domenica 19 febbraio 2012

Quote rosa estese anche a società a controllo pubblico

Il ministro Elsa Fornero, ha annunciato l'intenzione di estendere le quote rosa ai consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico. "Stiamo mettendo a punto un regolamento perché le stesse regole vengano applicate anche alle società a controllo pubblico e possibilmente alle istituzioni politiche", ha detto il ministro parlando in una deliberazione pubblica agli altri ministri del Welfare europei riuniti a Bruxelles.
L'Unione europea è fortemente unita nel ritenere che bisogna agire per aumentare la presenza delle donne nei consigli d'amministrazione delle società europee, ma l'ipotesi di imporre a livello Ue quote rosa obbligatorie accoglie tiepidi consensi.
Durante il dibattito pubblico, pochi paesi (Francia, Austria e Italia) si sono dichiarati a favore di azioni vincolanti, mentre la maggioranza (incluso Gran Bretagna, Slovacchia, Lituania e Lettonia) si è rilevata contro quote rosa obbligatorie. In Italia, le donne presenti nei board delle società quotate rappresentano solo l'8%, ''ma le cose cambieranno e anche presto'': ha detto Elsa Fornero, all'audizione pubblica del consiglio lavoro Ue.
La legge che introduce le quote rosa nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa e delle società a partecipazione pubblica, è stata adottata in via definitiva il 28 giugno dello scorso anno. In base a questa legge, i Cda dovranno essere composti da un quinto di donne a partire dal 2012 (20% nel primo mandato) e da un terzo dal 2015 (il 33,3% nel secondo mandato). Le nuove regole entreranno quindi a pieno regime nel triennio del mandato 2015-2018.
Tuttavia le cose cambieranno e anche rapidamente, perché, grazie a un'iniziativa trasversale delle forze politiche ed alla mobilitazione delle organizzazioni che si occupano del tema "il Parlamento ha approvato una legge che porterà rapidamente le donne a rappresentare il 20% nei posti chiave e molto rapidamente un terzo.

Riforma del mercato del lavoro 2012 i nodi da sciogliere


E' giusto ricordare che con le regole attuali sul licenziamento il datore di lavoro sa che deve  rinunciare a licenziare i dipendenti che non sono produttivi o poco fedeli al principio dell'azienda  perché è consapevole che il giudice del lavoro reintegrerebbe il lavoratore, e per di più dovrà dovendo pagare al dipendente reintegrato tutti gli arretrati.
Vediamo quali sono gli argomenti in gioco per la riforma del mercato del lavoro l'obiettivo è  di aumentare il tasso di partecipazione al mercato stesso e  ridurre il dualismo tra garantiti e precari e dare maggiori opportunità a giovani e alle donne.
Occupazione femminile: il ministro del lavoro Elsa Fornero è molto sensibile al tema e ha già annunciato sgravi fiscali per favorire l'occupazione femminile. Nel nostro Paese la partecipazione al mercato delle donne è molto bassa anche per la scarsità dei servizi di supporto alla famiglia, esempio asili nido.
Il governo punta ad una flessibilità buona per un migliore in ingresso nel mercato del lavoro con controlli e sanzioni contro i contratti utilizzati impropriamente (come le associazioni in partecipazione, le false partite Iva e i casi di contratti a progetto utilizzati per rapporti che sono sostanzialmente di lavoro subordinato). Il Governo punta a valorizzare l'apprendistato come contratto prevalente di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani agevolandolo ma chiedendo che la formazione sia effettiva.
Sugli ammortizzatori sociali,  si tenterà di mettere a punto un sussidio di disoccupazione più sostanzioso di quello attuale dando invece una grossa stretta alla cassa integrazione straordinaria. Sara invece rafforzata la cassa ordinaria limitando quindi lo strumento ai casi di effettivo reinserimento dei lavoratori in azienda.
Per le politiche attive del lavoro si punta a rafforzare la formazione e a legare il sussidio a un percorso di formazione e alla ricerca attiva di un lavoro. Anche adesso è formalmente previsto che il sussidio si perda nel caso non si accetti un lavoro che si rende disponibile ma di fatto la norma è scarsamente utilizzata.

Una regola che si potrebbe seguire e di lasciare il diritto al reintegro nel posto di lavoro sui licenziamenti discriminatori mentre in tutti gli altri casi il lavoratore va adeguatamente indennizzato in un contesto di maggiore tutela per i disoccupati.

sabato 18 febbraio 2012

Cassa integrazione dibattito sul lavoro fra governo e i sindacati

E' battaglia tra il Governo e i sindacati sull'ipotesi di abolire la cassa integrazione straordinaria per sostituirla con un sussidio di disoccupazione. Lo scopo del Governo è di mettere in campo una revisione importante del sistema degli ammortizzatori sociali sostituendo una situazione di grande segmentazione (con differenze in caso di crisi tra lavoratori di aziende grandi e piccole, tra licenziamenti collettivi ed individuali) con un sistema più omogeneo ed una platea di beneficiari più grande.

Ricordiamo i dati che fotografano questo periodo di crisi economica. Nel 2011 i lavoratori che si sono trovati in cassa integrazione sono stati un milione e mezzo, quelli in mobilità 189 mila, quelli in disoccupazione più di 2 milioni. Diamo uno sguardo alla spesa. Per gli ammortizzatori sociali che è passata da 8 miliardi del 2006 a una media di più di 18 miliardi all’anno nel’ultimo triennio.

Nel 2011 la voce che ha prosciugato più risorse è stata l’indennità di disoccupazione: 10 miliardi e mezzo di euro tra ordinaria, agricola e a requisiti ridotti . L’assegno può durare al massimo 12 mesi. È pari al 60% della retribuzione per i primi sei mesi, poi cala fino al 40%. Al secondo posto, con quasi 2,4 miliardi, l’indennità di mobilità, che viene corrisposta per 2 anni, 3 per che a più di 50 anni, ai lavoratori allontanati dalle aziende in crisi. Al terzo, con 2,3 miliardi, la cassa integrazione straordinaria, erogata per un massimo di due anni ai lavoratori non ancora espulsi. Al quarto posto la cassa integrazione in deroga, che dal 2009 ha fornito un sussidio (in genere non più di 12 mesi) anche ai lavoratori delle piccole imprese e dei settori fino ad allora non coperti da ammortizzatori, ma che è servita anche a prorogare la cassa integrazione ordinaria e straordinaria una volta scaduta. Per la deroga si è speso quasi un miliardo e 600 milioni. Al quinto posto la cassa integrazione ordinaria, con 1 miliardo e cento milioni, che interviene al massimo per un anno in caso di crisi temporanee. Tranne la cassa in deroga, che è finanziata con la fiscalità generale, cioè da tutti noi, gli altri ammortizzatori sono alimentati da specifici contributi che imprese e lavoratori versano all’Inps. Di solito le entrate sono superiori alle spese. Ma non è stato più così dal 2008. Nel 2011 il saldo negativo, a carico del bilancio pubblico, è stato di 9,3 miliardi, dei quali 6,5 in capo all’indennità di disoccupazione, 1,7 alla mobilità e 1,6 alla deroga. Nell’ultimo triennio il rosso sale a 28,3 miliardi.

Il governo dei tecnici ha annunciato una revisione profonda del sistema degli ammortizzatori sociali anche se l'operatività non scatterà subito a causa della crisi economica (probabilmente nel 2014). Si cercherà di mettere a punto un sussidio di disoccupazione più considerevole di quello attuale dando invece una grossa stretta alla cassa integrazione straordinaria.  Sarà invece rafforzata la cassa ordinaria limitando quindi lo strumento ai casi di effettivo reinserimento dei lavoratori in azienda.

A tal proposito , il leader della Fiom, Landini, ha detto no all'ipotesi di una stretta sulla Cassa integrazione straordinaria. "Sostituirla con l'indennità di disoccupazione è come aprire ai licenziamenti collettivi di fronte alle riorganizzazioni aziendali", risponde al ministro del Lavoro Fornero che ha avanzato la proposta. Landini chiede piuttosto di "estendere la Cassa anche a chi non ce l'ha". "Da sempre la Cigs è stata lo strumento che ha impedito i licenziamenti di massa", sottolinea.

Anche la Cisl ha bocciato l'ipotesi di cancellazione della Cassa integrazione straordinaria e la sostituzione con un sussidio di disoccupazione. "Siamo contrari, il ministro sa che vogliamo confermare il sistema degli ammortizzatori esistenti", ha sostenuto Bonanni.

La Cgil ha rielaborato i dati di gennaio sulla cassa integrazione, citando i dati delle rilevazioni Inps da parte del proprio osservatorio Cig, affermando che il calo del mese di fatto è in segnale di una "progressiva transizione verso la disoccupazione". A gennaio erano in cassa integrazione l'equivalente di 312.000 lavoratori con una perdita media in busta paga di 675 euro.
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