domenica 18 marzo 2012

Busta paga più leggera a marzo 2012

Iniziano a farsi vedere i primi effetti del decreto "Salva Italia. Nella busta paga di marzo i lavoratori con busta paga si vedranno detrarre l' addizionale regionale Irpef riferita al 2011 comprensiva degli aumenti retroattivi istituiti dalla manovra finanziaria. L'aliquota passa dallo 0.9% all'1,23%.

Oltre alla addizionale regionale a marzo scatta anche il pagamento dell'acconto del 30% dell'addizionale comunale Irpef. Anche quest'imposta ha subito aumenti per effetto dello sblocco delle aliquote varato dalla manovra Tremonti dello scorso agosto. Moltissimi comuni  non appena deliberato lo sblocco hanno subito operato al rialzo sulle aliquote, portando l'imposta da circa 129 euro a 177 euro pro capite. E hanno tempo fino a giugno per deliberare ulteriori ritocchi.
Le addizionali Irpef incidono più pesantemente sulle buste paga perché non ci sono detrazioni. Il loro importo si riferisce all'imponibile puro, a differenza della tassazione Irpef nazionale che gode particolari detrazioni e viene calcolata su un importo, di conseguenza, ridotto.

Il salasso del fisco si abbatterà anche sulle imprese che tra Iva, trattenute Irpef e tassa sui libri sociali dovranno versare oltre 14 miliardi nelle casse dell'erario. Ma all'orizzonte non si prospetta nulla di buono: grazie alle novità fiscali introdotte con le ultime manovre (l'ultima del 2011 del precedente Governo e il Salva-Italia dell'attuale) saranno i dipendenti e i cittadini a pagare  il conto più salato. Così con le nuove addizionali si troveranno con una busta paga più leggera il prossimo 27 marzo; poi dovranno iniziare a preoccuparsi della nuova Imu (c'é tempo fino a giugno). E in prospettiva (neanche troppo lontana) potrebbero dover fronteggiare una nuova mazzata  di tutto rispetto: l'aumento di due punti delle aliquote Iva.

Ha ricordato la Cgia –che  arriveranno nelle casse dello Stato 14,6 miliardi di euro, tra ritenute Irpef, Iva e vidimazione dei libri sociali. La maxi scadenza fiscale riguarderà oltre 5 milioni di persone, tra titolari unici di società e piccoli imprenditori. Per questi si aggiungeranno anche i contributi previdenziali per collaboratori e dipendenti. Si tratta, sintetizza la Cgia, di 4,9 miliardi di ritenute Irpef, relative ai dipendenti, 9,3 miliardi di Iva e 400 milioni di euro di tasse per la vidimazione dei libri sociali, obbligo che spetta alle società di capitali. Questa scadenza - commenta il segretario della Cgia Guido Bortolussi - "rischia di essere un vero e proprio stress test che misurerà la tenuta finanziaria del nostro sistema produttivo". Sistema che però come noto è già alle prese con una preoccupante carenza di liquidità. Una situazione che Confesercenti sintetizza così: Una batosta per le Pmi fino a 5.100 euro annui. Ammesso che lo stress-test di cui parla Bortolussi non faccia vittime non pochi effetti potrebbero riscontrarli i dipendenti sulle prossime buste paga: c'é da fare i conti con l'addizionale regionale Irpef, sbloccata sempre dal decreto Salva-Italia.

Lavoro: la nuova indennità di disoccupazione. ASPI

La riforma degli ammortizzatori sociali sarà incentrata sulla creazione dell'Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi). Si tratta in sostanza di una forma di tutela e di sostegno al reimpiego. L'Aspi sostituirà tutto quanto non rientra nella cassa integrazione ordinaria (e la parte di Cig straordinaria che resterà dopo la riforma) comprendendo indennità di mobilità, incentivi di mobilità, disoccupazione per apprendisti, una tantum co.co.pro e altre indennità. Si applicherà a tutti i lavoratori dipendenti privati e ai lavoratori pubblici con contratto non a tempo indeterminato. Come requisiti per accedere al sostegno nella proposta del ministro si ipotizzano due anni di anzianità assicurative e almeno 52 settimane ultimo biennio. Dodici mesi per la durata, che salgono a 18 per i lavoratori sopra i 58 anni. L'importo ipotizzato al tavolo è di un massimo di 1.119 euro, con abbattimento dell'indennità del 15% dopo i primi sei mesi, e di un ulteriore 15% sempre ogni sei mesi.

L’Aspi è il nuovo ammortizzatore sociale per garantire un'integrazione al reddito per tutti i lavoratori dipendenti del settore privato e per i dipendenti con contratto a termine del settore pubblico. Un sussidio unico, cui si arriverà con una gradualità molto stretta a partire dal 2013 per raggiungere il nuovo regime entro il 2015 e che manda in pensione le indennità di mobilità, gli incentivi di mobilità, la disoccupazione per apprendisti, e tutte le altre forme di indennità introdotte con il lungo regime delle deroghe.

Questo nuovo ammortizzatore sociale si appoggerà al sistema della cassa integrazione ordinaria (per le crisi congiunturali) mentre dovrebbe restringersi per la cassa integrazione straordinaria, cui le imprese accedono per situazioni di crisi strutturale o per affrontare fasi di ristrutturazione o riconversione. Alla Cigs non saranno più ammesse le richieste per cessazione di attività e, in generale, i criteri di assegnazione diventeranno più rigorosi.

L'Aspi prevede requisiti piuttosto flessibili di ammissione: per accedere al sostegno si ipotizzano due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio mentre l'assegno sarebbe di circa 1.119 euro (tetto massimo), con un abbattimento del 15 per cento dopo i primi sei mesi e di un ulteriore 15 per cento dopo altri sei mesi. Stando a una prima lettura dei sindacati l'Aspi sarebbe più conveniente rispetto al sussidio di disoccupazione ma meno conveniente della mobilità, che garantisce fino al 100% della busta nei primi mesi per poi fermarsi all'80%. Infine l'aliquota contributiva: sarà dell'1,3% per i contratti a tempo determinato e flessibili cui si aggiungerà un altro 1,4 per cento (per un totale del 2,7%) per i contratti a tempo indeterminato.

Riforma del mercato del lavoro la partita fra governo e parti sociali

La partita fra governo, sindacati e Confindustria si gioca principalmente sugli ammortizzatori sociali e sull’art 18 dello Statuto dei lavoratori. Il Governo si sta preparando a intervenire sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori limitando ai soli licenziamenti discriminatori l'obbligo del reintegro nel posto di lavoro ma la modifica potrebbe valere almeno all'inizio solo per i nuovi assunti.
E' quanto emerso dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti nel corso del convegno del Centro studi di Confindustria. Monti ha affermato che martedì ''si chiuderà la trattativa'' sulla riforma del mercato del lavoro. Quindi, con o senza accordo (oggi più difficile secondo quando ammesso dai sindacati), il Governo andrà avanti con la riforma. Ma se l'articolo 18 sembra il tema più complicato da affrontare anche sulle altre questioni aperte non si è ancora trovato un punto di equilibrio.
Ecco, in estrema sintesi, i temi sui quali si interverrà e si giocherà questa difficile partita.
Articolo 18: Il Governo avrebbe voluto limitare l'obbligo del rientro nel posto di lavoro solo per i licenziamenti discriminatori (considerati nulli e quindi mai effettuati) prevedendo per quelli senza giusta causa o giustificato motivo solo l'indennizzo economico. La mediazione alla quale il Governo sta lavorando è di lasciare per i licenziamenti disciplinari (giusta causa e giustificato motivo soggettivo) la scelta al giudice tra reintegro e risarcimento economico mentre per i motivi economici (il cosiddetto giustificato motivo oggettivo) resterebbe solo l'indennizzo. La mediazione sembra comunque indigeribile per la Cgil pronta ad accettare al massimo interventi sui tempi dei processi mentre Cisl e Uil potrebbero accettarla per sbarrare la strada a ipotesi più drastiche.
Ammortizzatori sociali: il Governo punta a un sussidio di disoccupazione universale (l'Aspi) che sostituisca l'attuale indennità di disoccupazione (che dura 8-12 mesi) ma anche la mobilità (l'indennità erogata in caso di licenziamenti collettivi nelle aziende industriali con più di 15 dipendenti che può durare fino a 48 mesi per un over 50 del Sud). Il nuovo sistema (l'indennità dura 12 mesi per gli under 55 e 18 per gli over 55) rende più omogenee le tutele ma ha scatenato la rivolta delle piccole imprese e in particolare degli artigiani che si troverebbero a pagare contributi più alti. Potrebbero accettare la parificazione del contributo (all'1,3%) se venisse loro riconosciuta una riduzione dell'aliquota Inail, cassa nella quale commercianti e artigiani risultano largamente in attivo. I sindacati hanno comunque chiesto che si mantenga la mobilità almeno per i lavoratori più anziani che dovessero perdere il lavoro dopo i 60 anni con una sorta di scivolo verso la pensione. Il Governo punta a limitare anche l'uso della cassa integrazione con l'esclusione della causale cessazione di attività (eliminando quindi l'autorizzazione della cig straordinaria nei casi di chiusura degli impianti).
Contratti: il sistema proposto dal Governo penalizza sul fronte dei costi e degli adempimenti burocratici i contratti flessibili. In particolare si prevede per i contratti a tempo determinato un contributo aggiuntivo dell'1,4% mentre per i contratti a progetto (spesso utilizzati dalle aziende per rapporti che sono sostanzialmente subordinati) dovrebbe arrivare un aumento dei contributi previdenziali (27,72%), avvicinandoli all'aliquota dei lavoratori dipendenti (33%). Dovrebbe essere valorizzato il contratto di apprendistato rafforzandone il contenuto formativo. Sulla flessibilità in entrata c'è preoccupazione da parte delle imprese perché si prevedono più costi e maggiore burocrazia, motivo per cui la Confindustria ha chiesto di ''rivedere la proposta''.
Ma a gelare le previsioni del capo del governo arrivano i paletti di Susanna Camusso: il segretario generale della cgil punta il dito su misure "molto squilibrate" che le appaiono "molto lontane da portare ad un accordo".
Dello stesso avviso Raffaele Bonanni: "la discussione e' tra gli opposti estremisti", evidenzia il segretario della Cisl denunciando "il gioco al massacro che vuole che il governo decida". Il risultato, lamenta il sindacalista, sarà che "il governo deciderà nel peggiore dei modi come ha fatto sulle pensioni". Osserva che sull'art. 18, senza un'intesa, "il governo è tentato di andare molto più avanti". "E' un errore storico grave quello di chi si oppone a mediare sull'art. 18 ha riferito ancora Bonanni -. Così si consente al governo di cambiarlo unilateralmente. Noi lo vogliamo salvare, gli altri preferiscono lavarsi le mani".
Pessimista anche Luigi Angeletti: per il segretario generale della Uil, sulla riforma del mercato lavoro "non ci sono allo stato attuale soluzioni condivise.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog