domenica 8 dicembre 2013

Licenziamento legittimo se il lavoratore non usa i dispositivi di sicurezza



La Cassazione civile sezione lavoro con sentenza del 12 novembre 2013, n. 25392 ha stabilito che il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza del lavoratore sul luogo di lavoro, informandolo e formandolo sui rischi dell'attività svolta e fornendogli inoltre tutti i dispositivi necessari per la sua protezione. Nel caso però in cui i dispositivi non vengano utilizzati senza una motivazione, dal lavoratore, quest’ultimo è inadempiente e, di conseguenza, è legittimo il licenziamento.

Quindi è legittimo il licenziamento del lavoratore che non rispetta ripetutamente le prescrizioni in materia di sicurezza. Il dipendente è stato licenziato per avere reiteratamente rifiutato di indossare gli occhiali di protezione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa all’interno del reparto produttivo, così come previsto dal documento di valutazione dei rischi e da specifica disposizione aziendale. Disposizione aziendale che è stata ritenuta legittima tenuto conto che il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo per l’omissione di misure di sicurezza espressamente e specificamente definite dalla legge, ma anche per l’omissione di quelle che siano suggerite da conoscenze sperimentali e tecniche. Pertanto è inadempiente il lavoratore che rifiuta reiteratamente di osservare l’obbligo discendente dalla prescrizione del datore. All’interno del rapporto di lavoro subordinato, non è legittimo il rifiuto del lavoratore.
datore di lavoro


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Riorganizzazione aziendale e licenziamento: sentenza Cassazione lavoro n. 25615 del 2013



La Cassazione civile, sez. lavoro con sentenza del 14 novembre 2013, n. 25615 ha stabilito che nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riconducibile anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall'imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo un'effettiva necessità di riduzione dei costi. Tale motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, con la conseguenza che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l'effettività del riassetto organizzativo operato, non essendo, peraltro, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite.

A sostegno del decisione la Corte si spiega quanto segue:

- le circostanze che avevano caratterizzato il nuovo assetto produttivo e societario ed avevano determinato la diversa e definitiva localizzazione delle attività facenti capo alla nuova società datrice di lavoro dell’appellante, avevano trovato riscontro nelle risultanze testimoniale e documentali;

- il processo di riorganizzazione (oggetto di informativa e consultazione in sede sindacale, come da verbale di accordo del luglio 2001 ex art. 47 legge n. 428/90), così come l'inerenza della attività lavorativa svolta dall’appellante al settore confluito nella nuova società, non avevano trovato alcuna contestazione nell'originario ricorso, ove il licenziamento risultava impugnato nei confronti della nuova società, avverso la quale erano state proposte le domande giudiziali, senza che fosse stata messa in discussione la effettiva titolarità del rapporto di lavoro;

- non era ravvisabile la violazione del diritto sancito dall’art. 33, comma quinto, legge n. 104/92 (il quale stabilisce che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede), perché tale norma attribuisce un diritto che, in virtù dell'inciso secondo il quale esso può essere esercitato "ove possibile", ed in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell'azienda oppure, quando, come nel caso in esame, sia venuta meno la originaria sede di lavoro;

- il motivo oggettivo di licenziamento, determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva deve essere valutato dal datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, poiché tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, spettando invece al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore; non erano quindi sindacabili, come già ritenuto nella sentenza di prime cure, le ragioni della riorganizzazione aziendale, mentre l'impossibilità di poter impiegare l’appellante in mansioni equivalenti risultava correttamente valutata con riferimento alla unica sede aziendale, dove la stessa appellante aveva rifiutato di trasferirsi.

Avverso la suddetta sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, il quale è stato rigettato.

Quindi l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità la possimao sintettizzare così: "nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riconducibile anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall'imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo una effettiva necessità di riduzione dei costi".



sabato 7 dicembre 2013

Come e dove verificare i propri contributi



Accedendo alla scheda informativa si possono verificare i contributi versati sulla propria posizione assicurativa Inps, scoprendo cos'è l'estratto conto contributivo, a cosa serve, cosa contiene.

Si ricorda che verificare i contributi versati nella propria posizione assicurativa è importante anche in relazione all’introduzione del sistema di calcolo della pensione con il metodo contributivo.

Tramite il link sul sito Inps  al servizio di Estratto conto contributivo. Dopo aver inserito il codice PIN, si può visualizzare in sicurezza l'elenco dei contributi versati sulla posizione assicurativa. Se si hanno contributi versati in diverse gestioni, l’estratto conto si presenta suddiviso in sezioni selezionabili singolarmente mediante il menu che espone in alto le diverse schede consultabili.

Il servizio è disponibile per i dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi, per gli iscritti alla gestione separata, per gli iscritti al fondo clero. Per gli iscritti alla Gestione separata è consultabile anche l’importo del montante contributivo cliccando sul tasto in basso a sinistra “montante parasubordinati”. Il servizio non è ancora disponibile per tutti gli iscritti alla Gestione dipendenti pubblici, in quanto è attualmente in sperimentazione su un campione di 1 milione di assicurati.

Omessi versamenti di contributi INPS
L’omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) è il reato previsto da legge speciale che punisce il datore di lavoro che non abbia adempiuto l’obbligo di pagamento all’Inps dei contributi dovuti con riferimento alla retribuzione dei propri dipendenti.

Chi sia stato informato dell’apertura di procedimento penale a proprio carico con riferimento al reato di omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) dovrà in primo luogo visionare il fascicolo del procedimento - direttamente, oppure attraverso Legale incaricato - al fine di raccogliere l’intera documentazione relativa alle contestazioni e verificare attraverso la propria contabilità d’impresa (libro matricola e registro delle presenza vidimati dall'Inail, certificati della Camera di Commercio attestanti il numero dei dipendenti, buste paga del periodo, prospetti riepilogativi mensili di sgravio fiscale, stampe di estratti dalle banche dati Inps etc.) l’effettiva cedenza di tali importi.

Sarà utile controllare, altresì, che non vi siano ricorsi o contestazioni pendenti in sede amministrativa con riferimento a tali contributi.

Sarà anche importante controllare l’esistenza di una pregressa notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale, contenente il termine per il pagamento degli omessi contributi – pena la comunicazione all’Autorità Giudiziaria. In assenza di tale notificazione, sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento.

Diversamente, occorrerà valutare la miglior scelta processuale, attraverso consulto con un professionista.

Il reato consegue ad una sanzione amministrativa e ad una cartella di pagamento inviati al datore di lavoro da parte dell’Ente previdenziale.

Oltre alla sanzione comminata dall’Ente per more e spese di recupero del credito, dunque, il datore di lavoro dovrà affrontare un procedimento penale. Constatato il mancato pagamento dei contributi dovuti, a fronte del mancato riscontro al sollecito, l’Ente Previdenziale, infatti, provvede a comunicare la notizia di reato alla Procura della Repubblica attraverso vera e propria denuncia.

Sarà utile pertanto, affidarsi a due professionisti distinti: da un lato ad un Commercialista che possa valutare la correttezza delle richieste di pagamento ed eventualmente verificare la sussistenza di presupposti per sollevare contestazioni relative all’avviso dell’Ente Previdenziale.

Dall’altro lato, a fronte dell’apertura del procedimento penale, il datore di lavoro dovrà ricorrere ad un Avvocato penalista per valutare le strade più opportune da seguire.

Nella generalità dei casi non si avrà molto tempo a disposizione in quanto le Procure - essendo la prova del mancato pagamento ricavabile già dalla denuncia presentata dall’Ente Previdenziale – notificano all’imputato direttamente un decreto Penale di condanna, avverso il quale dovrà valutarsi con l’Avvocato penalista eventuale opposizione a decreto penale di condanna.

Poniamo delle domande.

Il pagamento parziale dei contributi o la mancata prova della spontaneità non comporterà una riduzione della condanna?

Potranno comunque essere valutate dal Giudice minori riduzioni attraverso la concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis Codice Penale.

Che accertamenti effettua il Pubblico Ministero prima di procedere alla contestazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Non è previsto un particolare onere probatorio, potendo il Pubblico Ministero semplicemente motivare l’imputazione attraverso il riferimento alla relazione redatta dagli agenti accertatori Inps ed alla denuncia inoltrata alla Procura delle Repubblica a firma del funzionario Inps. Incomberà poi al datore di lavoro dimostrare il contrario.

Che condanna prevede il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
L’articolo 2, comma 1-bis della Legge 11 Novembre 1983, n. 638’ prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino ad € 1032,91.

Che termine avrò per pagare i contributi senza che si apra il procedimento penale per i reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Il pagamento entro tre mesi dalla notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale (contenente la contestazione o l’avviso dell'avvenuto accertamento della violazione) estingue il reato. Pertanto l’Ente Previdenziale non inoltrerà la denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E se dimostro di non aver mai ricevuto notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale?
Sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento, sino a tre mesi dalla comunicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.  Secondo un orientamento ancor più garantista, invece, l’avviso è “presupposto” del reato, pertanto, non potrà essere sostituito dalla notificazione inerente il procedimento penale. Conseguentemente, in assenza della notificazione dell’avviso, il procedimento penale potrebbe essere chiuso per mancanza della condizione di procedibilità per il reato in questione.

E se le difficoltà economiche neppure hanno consentito di pagare lo stipendio ai dipendenti?
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, supportato da pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione Penale (sentenza 28/05-26/06/2003 Presidente Marvulli), il reato di omesso versamento di contributi previdenziali non sarebbe sussistente nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione al lavoratore e ciò alla luce di una interpretazione letterale della norma che parla di “ritenute” “operate” sulle somme dovute a titolo di stipendio. Conseguentemente, se lo stipendio non è stato ancora corrisposto, le “ritenute” non sarebbero ancora state “operate”.

E’ applicabile l’indulto al reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Sì, per i reati commessi prima del 2 Maggio 2006, potrà essere richiesta l’applicazione Indulto di cui alla legge n. 241/2006.

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali può essere attribuito a chi sia stato delegato a tale pagamento da parte del datore di lavoro (ad esempio il Commercialista)?
No, la responsabilità penale è riferita al datore di lavoro, ossia al titolare del rapporto di lavoro con i lavoratori, e, dunque, nelle società, al rappresentante legale (salvo che, in imprese di complessa organizzazione, egli fornisca la prova di aver delegato la gestione amministrativa di tale rapporto nelle forme e con i requisiti previsti per le deleghe di responsabilità).

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali sussiste in assenza di volontarietà dell’omissione?

Per la punibilità è sufficiente la coscienza e la volontà della omissione contributiva o della tardività del versamento (Dolo generico), che non viene esclusa per il solo fatto di aver demandato a terzi, anche professionisti in materia, l'incarico di provvedere, perché obbligato al versamento è il “titolare del rapporto di lavoro” e, come tale, deve vigilare affinché il terzo adempia alla obbligazione, di cui egli è l'esclusivo destinatario.

Le difficoltà economiche possono escludere il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
No, le difficoltà economiche non costituiscono causa di giustificazione del mancato versamento delle dovute ritenute previdenziali ed assistenziali INPS.

L’avviso di pagamento da parte dell’Ente Previdenziale contiene anche importi a titolo di mora e spese di recupero del credito; si estingue il reato di omesso versamento di contributi previdenziali pagando esclusivamente gli importi relativi i contributi.

No. Occorrerà provare il pagamento integrale, comprensivo di interessi moratori, spese di recupero del credito e sanzioni civili.

Può essere convertita la pena in multa?

Sì, nella maggioranza dei casi il procedimento penale viene definito attraverso la notifica di un decreto penale di condanna al datore di lavoro, comminante già la sanzione pecuniaria sostitutiva (che consegue, in ogni caso, all’accertamento della responsabilità penale).

Se effettuo il pagamento prima del giudizio, ma oltre i termini dei tre mesi concessi, potrà essere applicata l’attenuante del risarcimento del danno?

Solo se il pagamento è integrale (ossia rappresenta l'ammontare dei contributi, gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall'istituto per il recupero del credito) può essere valutato dal Giudice quale integrale risarcimento del danno. Tuttavia spesso viene chiesta l’ulteriore prova della “spontaneità” del pagamento – spontaneità esclusa dalla Giurisprudenza se la necessità di pagare è sorta al solo fine di affrontare il giudizio penale.

Se pago la multa del procedimento penale, non dovrò più corrispondere i contributi previdenziali?

No, dovrò pagarli ugualmente all’Ente Previdenziale. Trattandosi di procedimenti distinti (da un lato penale e dall’altro amministrativo) le due sanzioni pecuniarie coesistono, essendo di natura differente.



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