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mercoledì 20 giugno 2018

Pensione: percorso e calcolo



Il criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo). I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31/12/1995.
Dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di  almeno 18 anni al 31/12/1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota  di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.

IL SISTEMA CONTRIBUTIVO
La pensione è calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo.

Per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 e possano far valere, al momento dell'opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui 5 successivi al 1995.
Tale facoltà non può essere esercitata da chi ha maturato un'anzianità contributiva  pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995.

Ai fini del calcolo occorre:

individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;

calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell'aliquota di computo (33% per i dipendenti; 20% per gli autonomi; vigente anno per anno per gli iscritti alla gestione separata);

determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (prodotto interno lordo) determinata dall'Istat;

applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione, così come riportato nella tabella:

IL SISTEMA RETRIBUTIVO
Si applica alle anzianità contributive maturate fino al 31/12/2011 dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

Secondo tale sistema, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi.

Si basa su tre elementi:

l'anzianità contributiva, è data dal totale dei contributi fino ad un massimo di 40 anni che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;

la retribuzione/reddito pensionabile, è data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;

l'aliquota di rendimento, è pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro il limite (per le pensioni con decorrenza nel 2012 di 44.161 euro annui) per poi decrescere per fasce di importo superiore. Ciò vuol dire che se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all'80%.

L'importo della pensione con il sistema retributivo si compone di due quote:
Quota A determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni  degli ultimi 5 anni, o meglio, delle 260 settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane di contribuzione) immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi

Quota B determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle retribuzioni/redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni per gli autonomi.

IL SISTEMA MISTO

Si applica ai lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e a decorrere dal 1° gennaio 2012 anche ai lavoratori  con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995  la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 2011 secondo le modalità descritte  nel paragrafo relativo al sistema retributivo, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 2012.

Dovrebbe essere ampiamente noto che la pensione è frutto:
a) della contribuzione che il lavoratore versa autonomamente o tramite il suo datore di lavoro, al proprio ente previdenziale e
b) della cura prestata a raccogliere i contributi di primo pilastro integrandoli con quelli di secondo pilastro, scegliendo la tipologia del fondo pensione, i comparti più indicati in base alla propria fase professionale e, infine, la tipologia di rendita. Il primo punto risente del rischio di non avere un'occupazione stabile nel corso del proprio percorso professionale; il che rappresenta un problema solo in parte, purtroppo, rimediabile dal singolo lavoratore. Il secondo punto è nell'80% dei casi in capo al singolo lavoratore, che ha la responsabilità di costruire la propria rendita pensionistica attraverso una serie di decisioni. Innanzitutto scegliere di aderire e poi di farlo nella maniera più coerente con le proprie esigenze. La pensione “si costruisce”, non è qualcosa che “spetta”, che, cioè, ci cade in mano al raggiungimento dei requisiti.

Che, peraltro, negli ultimi anni sono quanto mai in movimento. Un bricolage previdenziale che si arricchisce, a partire dal 2018, di due elementi importati: l'anticipo pensionistico e la rendita integrativa temporanea anticipata. Ape e Rita, questi gli acronomi, sono di fatto due ammortizzatori sociali di natura privata, che i lavoratori devono imparare a conoscere, per poterli utilizzare al meglio: evitando distorsioni, forzature ed errori. Per fare questo occorre quella che si potrebbe chiamare un'«alfabetizzazione previdenziale», che renda comprensibile la materia. Questo fascicolo conta di fare la sua parte, per accompagnare per mano i singoli in questo articolato processo decisionale.

C’è uno nuovo strumento INPS online per calcolare la quota della pensione in base al proprio regime contributivo, che consente anche di effettuare simulazioni relative ad altri eventuali sistemi di calcolo (retributivo, misto): si tratta del servizio “Calcolo Quote di pensione“, per utilizzare il quale l’istituto di previdenza fornisce anche un apposito Manuale.

Il servizio Calcolo Quote di Pensione è accessibile dall’area riservata Servizi Online del sito INPS, che richiede autenticazione (ci vuole il PIN). Una volta effettuata la procedura di autenticazione, bisogna cliccare sul pulsante “Applicazioni” sotto la voce “Calcolo Quote pensione“. Bisogna inserire codice fiscale e data di decorrenza della pensione, quindi si sceglie “Attiva funzione“. A questo punto, si sceglie il regime pensionistico (contributivo, retributivo, misto, misto pro-rata), e compare un riepilogo della propria posizione.






venerdì 20 ottobre 2017

Riscatto della laurea ai fini pensionistici



Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto,  cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all'Università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi.

Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all'operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.

Il riscatto della laurea ai fini pensionistici può essere chiesto da tutti i lavoratori iscritti alle gestioni INPS che abbiano già conseguito il titolo di studio e non siano già coperti da contribuzione nel periodo di frequentazione dell’università. Si possono riscattare solo gli anni previsti dalla durata ordinaria del corso di laurea, se lo studente è andato fuori corso non potrà riscattare gli anni in più che ci ha impiegato per laurearsi. La frequentazione dell’università deve essere successiva al 31 marzo 1996. Il riscatto della laurea può essere chiesto anche da chi è già titolare di pensione. Naturalmente, se lo si chiede per anticipare la pensione di vecchiaia, l’operazione andrà fatta prima dell’età pensionabile perché gli anni siano poi conteggiabili ai fini della maturazione della pensione. Possono chiedere il riscatto dalla laurea anche i soggetti inoccupati.

Una regola fondamentale consiste nel fatto che i periodi di cui si chiede il riscatto non devono già essere coperti da contribuzione. Nel caso in cui, durante il corso di studi, ci sia stato un periodo limitato di lavoro durante il corso, ad esempio un impiego part-time, potrà essere chiesto il riscatto della laurea al netto dei periodi già coperti da contribuzione. Sono ammessi al riscatto tutti i titoli di laurea (vecchio ordinamento, laurea triennale, laurea magistrale, diplomi di specializzazione post-laurea, Accademia delle Arti e Conservatorio, dottorati di ricerca. Non sono inclusi, invece, i master universitari.

Il riscatto della laurea è un’operazione onerosa, il cui costo dipende da diversi fattori: collocazione cronologica del periodo di studio (prima o dopo il 1995, e prima e dopo il 2011), e sistema di calcolo della pensione (contributivo o retributivo).

Se il periodo di riscatto è valutato con metodo retributivo, il calcolo si effettua in base al principio della riserva matematica. In sintesi, si calcolano due diverse pensioni: quella senza riscatto, e quella che conteggia anche gli anni del corso di studi. La nuova pensione tiene conto di un beneficio corrispondente all’aumento delle settimane in quota A (media rivalutata degli ultimi 5 anni di contribuzione prima del pensionamento).

Il beneficio pensionistico va a questo punto moltiplicato per un coefficiente attuariale legato a età, sesso e stato lavorativo del richiedente. Esempio: beneficio (calcolato in base allo schema sopra indicato) pari a 15mila 600 lordi annui. Coefficiente di un lavoratore di 63 anni pensionato pari a 16,68. Onere spettante: 260mila 200 euro.

Se invece il periodo di riscatto è valutato con il contributivo, il calcolo si effettua con il sistema a percentuale, che consiste nell’applicazione dell’aliquota contributiva in vigore al momento della domanda sull’imponibile previdenziale dello ultime 52 settimane. In pratica, si calcolano gli ultimi 12 mesi di contribuzione obbligatoria precedenti alla domanda di riscatto, si applica l’aliquota vigente (ad esempio, il 33% per l’Assicurazione generale obbligatoria), si calcola l’adeguamento per il periodo oggetto di riscatto.

Esempio: retribuzione imponibile ultimi 12 mesi 40mila euro. Costo onere annuale 13mila 200 euro, per quattro anni di studi 52mila 800 euro.

Esiste infine uno specifico metodo di calcolo per gli inoccupati, che è analogo a quello che si effettua per chi ha la pensione contributiva (quindi, su base percentuale) prendendo come riferimento il minimale reddituale della Gestione Commercianti per l’anno della domanda di riscatto. Per esempio, il minimale 2017 è pari a 15.548, quindi l’onere di riscatto è di 5mila 130,84 euro per ogni anno.

Altro esempio, un laureato di 32 anni, impiegato, che guadagna circa 25.000 euro l’anno (non è un miraggio, si può fare). Quanto dovrebbe pagare ogni anno per riscattare la laurea per la pensione? Circa 8.300 euro l’anno. Moltiplicato per 5 anni (triennale più magistrale) arriviamo ai 41.200 euro in totale. Ci vorrebbe un mutuo. Ma sarebbe peggio se aspettasse ad avere quasi l’età pensionabile: il costo raddoppierebbe. Gli converrebbe lavorare 5 anni in più e dimenticarsi del riscatto. Come si vede, il riscatto della laurea è un’operazione piuttosto costosa. per cui è sempre opportuno fare bene tutti i calcoli sulla convenienza (in relazione al fatto che poi aumenta la pensione, piuttosto che si aggancia prima l’età pensionabile).

Possono essere riscattati solo i periodi corrispondenti alla durata legale del corso di laurea (o una sua parte), compresi i dottorati di ricerca, i diplomi di specializzazione post laurea ed i titoli di studio equiparati a seguito dei quali sia stata conseguita la laurea o i diplomi previsti dall’articolo 1, della legge 341/1990. Possono essere riscattati anche i titoli conseguiti all’estero, se hanno valore legale in Italia.

Non possono invece essere riscattati:

i periodi di iscrizione fuori corso;

i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto;

le borse di studio concesse dalle Università per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;

gli assegni concessi da alcune scuole di specializzazione



domenica 19 gennaio 2014

Sistemi di calcolo delle pensioni a partire dal 2014



Il criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31 dicembre 1995 (e per coloro che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo). I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31 dicembre 1995.

Dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 18 anni al 31 dicembre 1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.

L'importo percepito mensilmente da un pensionato si basa su un calcolo che, ha subito diversi cambiamenti, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

Fino al 1995, tale importo si calcolava col sistema retributivo, in base, cioè, allo stipendio percepito alla fine della carriera lavorativa. Ma quando ci siamo accorti che il numero dei pensionati cresceva troppo, rispetto a quello dei lavoratori, siamo passati al sistema contributivo, basato sui contributi effettivamente versati dal lavoratore, nel corso della sua vita lavorativa.

Il passaggio tra i due sistemi è stato regolato da diverse leggi, le quali hanno cercato di rendere la transizione meno traumatica possibile, salvaguardando i diritti già acquisiti dei lavoratori e, al contempo, rendendo economicamente sostenibile il sistema pensionistico.

Vediamo le regole attuali. L'importo dell'assegno mensile viene calcolato con criteri diversi, a seconda dell'anno d'inizio del lavoro. I tre sistemi applicabili sono descritti di seguito.

Sistema retributivo. L'importo della pensione viene calcolato in base alla media delle retribuzioni (o dei redditi, per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni di lavoro (10 anni per i dipendenti e 15 per gli autonomi). Si calcola il 2 per cento di tale media, per ogni anno di contributi versati (ad esempio: con 40 anni di contributi, si prende l'80 per cento della media dello stipendio degli ultimi 10 anni). È il sistema più vantaggioso per il pensionato, ma dal 1 gennaio 2012 nessuno può più andare in pensione con un calcolo solo contributivo.

Sistema contributivo. L'importo della pensione viene calcolato in base ai contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa. La somma dei contributi versati ("montante") viene rivalutata, in base ad un indice fornito dall'Istat, basato a sua volta sulle variazioni quinquennali del Pil (prodotto interno lordo). Il risultato viene poi moltiplicato per un "coefficiente di trasformazione", variabile in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione. Il suo valore varia tra il 4,42 per cento (pensionando di 57 anni) e il 5,62 per cento (pensionando di 65 anni).

Sistema misto. L'importo della pensione viene calcolato in parte secondo il sistema retributivo (retribuzione "pensionabile" moltiplicata per l'aliquota di rendimento e per gli anni di contribuzione) e per la restante parte con il sistema contributivo (somma di tutti i contributi versati nel periodo, moltiplicata per l'indice di rivalutazione e poi per il coefficiente di trasformazione).

Ed ecco come si applicano i diversi sistemi, in base all'anno di inizio dell'attività lavorativa.

Sistemi di calcolo della pensione

Chi, al 31 dicembre 1995, aveva già maturato almeno 18 anni di contributi. Sistema applicato retributivo fino al 31 dicembre 2011, poi contributivo

Chi, al 31 dicembre 1995, già lavorava, ma non aveva ancora maturato 18 anni di contributi Sistema applicato retributivo fino al 31 dicembre 1995, poi contributivo.

Chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. Sistema applicato contributivo

Quindi la pensione è calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo.

Per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 e possano far valere, al momento dell'opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui 5 successivi al 1995.

Tale facoltà non può essere esercitata da chi ha maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.



sabato 7 dicembre 2013

Come e dove verificare i propri contributi



Accedendo alla scheda informativa si possono verificare i contributi versati sulla propria posizione assicurativa Inps, scoprendo cos'è l'estratto conto contributivo, a cosa serve, cosa contiene.

Si ricorda che verificare i contributi versati nella propria posizione assicurativa è importante anche in relazione all’introduzione del sistema di calcolo della pensione con il metodo contributivo.

Tramite il link sul sito Inps  al servizio di Estratto conto contributivo. Dopo aver inserito il codice PIN, si può visualizzare in sicurezza l'elenco dei contributi versati sulla posizione assicurativa. Se si hanno contributi versati in diverse gestioni, l’estratto conto si presenta suddiviso in sezioni selezionabili singolarmente mediante il menu che espone in alto le diverse schede consultabili.

Il servizio è disponibile per i dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi, per gli iscritti alla gestione separata, per gli iscritti al fondo clero. Per gli iscritti alla Gestione separata è consultabile anche l’importo del montante contributivo cliccando sul tasto in basso a sinistra “montante parasubordinati”. Il servizio non è ancora disponibile per tutti gli iscritti alla Gestione dipendenti pubblici, in quanto è attualmente in sperimentazione su un campione di 1 milione di assicurati.

Omessi versamenti di contributi INPS
L’omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) è il reato previsto da legge speciale che punisce il datore di lavoro che non abbia adempiuto l’obbligo di pagamento all’Inps dei contributi dovuti con riferimento alla retribuzione dei propri dipendenti.

Chi sia stato informato dell’apertura di procedimento penale a proprio carico con riferimento al reato di omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) dovrà in primo luogo visionare il fascicolo del procedimento - direttamente, oppure attraverso Legale incaricato - al fine di raccogliere l’intera documentazione relativa alle contestazioni e verificare attraverso la propria contabilità d’impresa (libro matricola e registro delle presenza vidimati dall'Inail, certificati della Camera di Commercio attestanti il numero dei dipendenti, buste paga del periodo, prospetti riepilogativi mensili di sgravio fiscale, stampe di estratti dalle banche dati Inps etc.) l’effettiva cedenza di tali importi.

Sarà utile controllare, altresì, che non vi siano ricorsi o contestazioni pendenti in sede amministrativa con riferimento a tali contributi.

Sarà anche importante controllare l’esistenza di una pregressa notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale, contenente il termine per il pagamento degli omessi contributi – pena la comunicazione all’Autorità Giudiziaria. In assenza di tale notificazione, sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento.

Diversamente, occorrerà valutare la miglior scelta processuale, attraverso consulto con un professionista.

Il reato consegue ad una sanzione amministrativa e ad una cartella di pagamento inviati al datore di lavoro da parte dell’Ente previdenziale.

Oltre alla sanzione comminata dall’Ente per more e spese di recupero del credito, dunque, il datore di lavoro dovrà affrontare un procedimento penale. Constatato il mancato pagamento dei contributi dovuti, a fronte del mancato riscontro al sollecito, l’Ente Previdenziale, infatti, provvede a comunicare la notizia di reato alla Procura della Repubblica attraverso vera e propria denuncia.

Sarà utile pertanto, affidarsi a due professionisti distinti: da un lato ad un Commercialista che possa valutare la correttezza delle richieste di pagamento ed eventualmente verificare la sussistenza di presupposti per sollevare contestazioni relative all’avviso dell’Ente Previdenziale.

Dall’altro lato, a fronte dell’apertura del procedimento penale, il datore di lavoro dovrà ricorrere ad un Avvocato penalista per valutare le strade più opportune da seguire.

Nella generalità dei casi non si avrà molto tempo a disposizione in quanto le Procure - essendo la prova del mancato pagamento ricavabile già dalla denuncia presentata dall’Ente Previdenziale – notificano all’imputato direttamente un decreto Penale di condanna, avverso il quale dovrà valutarsi con l’Avvocato penalista eventuale opposizione a decreto penale di condanna.

Poniamo delle domande.

Il pagamento parziale dei contributi o la mancata prova della spontaneità non comporterà una riduzione della condanna?

Potranno comunque essere valutate dal Giudice minori riduzioni attraverso la concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis Codice Penale.

Che accertamenti effettua il Pubblico Ministero prima di procedere alla contestazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Non è previsto un particolare onere probatorio, potendo il Pubblico Ministero semplicemente motivare l’imputazione attraverso il riferimento alla relazione redatta dagli agenti accertatori Inps ed alla denuncia inoltrata alla Procura delle Repubblica a firma del funzionario Inps. Incomberà poi al datore di lavoro dimostrare il contrario.

Che condanna prevede il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
L’articolo 2, comma 1-bis della Legge 11 Novembre 1983, n. 638’ prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino ad € 1032,91.

Che termine avrò per pagare i contributi senza che si apra il procedimento penale per i reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Il pagamento entro tre mesi dalla notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale (contenente la contestazione o l’avviso dell'avvenuto accertamento della violazione) estingue il reato. Pertanto l’Ente Previdenziale non inoltrerà la denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E se dimostro di non aver mai ricevuto notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale?
Sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento, sino a tre mesi dalla comunicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.  Secondo un orientamento ancor più garantista, invece, l’avviso è “presupposto” del reato, pertanto, non potrà essere sostituito dalla notificazione inerente il procedimento penale. Conseguentemente, in assenza della notificazione dell’avviso, il procedimento penale potrebbe essere chiuso per mancanza della condizione di procedibilità per il reato in questione.

E se le difficoltà economiche neppure hanno consentito di pagare lo stipendio ai dipendenti?
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, supportato da pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione Penale (sentenza 28/05-26/06/2003 Presidente Marvulli), il reato di omesso versamento di contributi previdenziali non sarebbe sussistente nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione al lavoratore e ciò alla luce di una interpretazione letterale della norma che parla di “ritenute” “operate” sulle somme dovute a titolo di stipendio. Conseguentemente, se lo stipendio non è stato ancora corrisposto, le “ritenute” non sarebbero ancora state “operate”.

E’ applicabile l’indulto al reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Sì, per i reati commessi prima del 2 Maggio 2006, potrà essere richiesta l’applicazione Indulto di cui alla legge n. 241/2006.

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali può essere attribuito a chi sia stato delegato a tale pagamento da parte del datore di lavoro (ad esempio il Commercialista)?
No, la responsabilità penale è riferita al datore di lavoro, ossia al titolare del rapporto di lavoro con i lavoratori, e, dunque, nelle società, al rappresentante legale (salvo che, in imprese di complessa organizzazione, egli fornisca la prova di aver delegato la gestione amministrativa di tale rapporto nelle forme e con i requisiti previsti per le deleghe di responsabilità).

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali sussiste in assenza di volontarietà dell’omissione?

Per la punibilità è sufficiente la coscienza e la volontà della omissione contributiva o della tardività del versamento (Dolo generico), che non viene esclusa per il solo fatto di aver demandato a terzi, anche professionisti in materia, l'incarico di provvedere, perché obbligato al versamento è il “titolare del rapporto di lavoro” e, come tale, deve vigilare affinché il terzo adempia alla obbligazione, di cui egli è l'esclusivo destinatario.

Le difficoltà economiche possono escludere il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
No, le difficoltà economiche non costituiscono causa di giustificazione del mancato versamento delle dovute ritenute previdenziali ed assistenziali INPS.

L’avviso di pagamento da parte dell’Ente Previdenziale contiene anche importi a titolo di mora e spese di recupero del credito; si estingue il reato di omesso versamento di contributi previdenziali pagando esclusivamente gli importi relativi i contributi.

No. Occorrerà provare il pagamento integrale, comprensivo di interessi moratori, spese di recupero del credito e sanzioni civili.

Può essere convertita la pena in multa?

Sì, nella maggioranza dei casi il procedimento penale viene definito attraverso la notifica di un decreto penale di condanna al datore di lavoro, comminante già la sanzione pecuniaria sostitutiva (che consegue, in ogni caso, all’accertamento della responsabilità penale).

Se effettuo il pagamento prima del giudizio, ma oltre i termini dei tre mesi concessi, potrà essere applicata l’attenuante del risarcimento del danno?

Solo se il pagamento è integrale (ossia rappresenta l'ammontare dei contributi, gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall'istituto per il recupero del credito) può essere valutato dal Giudice quale integrale risarcimento del danno. Tuttavia spesso viene chiesta l’ulteriore prova della “spontaneità” del pagamento – spontaneità esclusa dalla Giurisprudenza se la necessità di pagare è sorta al solo fine di affrontare il giudizio penale.

Se pago la multa del procedimento penale, non dovrò più corrispondere i contributi previdenziali?

No, dovrò pagarli ugualmente all’Ente Previdenziale. Trattandosi di procedimenti distinti (da un lato penale e dall’altro amministrativo) le due sanzioni pecuniarie coesistono, essendo di natura differente.



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