domenica 19 ottobre 2014

Rischio del Tfr in busta paga: tasse troppo alte


La possibilità di farsi accreditare in busta paga il Tfr (Trattamento di fine rapporto) rischia di rivelarsi un boomerang per i contribuenti.

Secondo la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, l'anticipo sarà conveniente per i lavoratori con un reddito fino a quella soglia. Quando l'aliquota arriva al 38%, il conto inizia ad essere svantaggioso. Per 90mila euro di stipendio l'aggravio arriva a 569 euro l'anno. Fino a 15 mila euro lordi di reddito l’aliquota con il quale verrebbe tassato il Tfr in busta paga rispetto a quello che si ottiene alla fine del rapporto di lavoro sarebbe la stessa: 23%. Per i redditi superiori, la tassazione separata è vantaggiosa per il lavoratore rispetto a quella ordinaria. Se per i redditi dai 15 mila euro lordi ai 28.650 il divario di imposizione è ancora sostenibile (50 euro in più di imposta l’anno se si chiede l’anticipo in busta paga) oltre questa soglia la richiesta di anticipo non è più conveniente perché sarebbe tassata al 38% con oltre 300 euro di tasse in più l’anno. L’imposizione aumenta con la crescita del reddito e per chi guadagna 90 mila euro l’anno arriva a 568,50 euro in più di tasse. In pratica si ricevono in busta paga di Tfr netto 3.544 euro a fronte dei 4.112 accantonati a tassazione separata.

Il lavoratore che chiede l'anticipo di TFR in busta paga perde la tassazione sostitutiva e la quota di TFR ricevuta è soggetta a tassazione ordinaria

L'operazione Tfr in busta paga prevista dal testo della Legge di Stabilità 2015 varato dal Consiglio dei Ministri il 15 ottobre scorso ha suscitato alcune reazioni in merito al profilo fiscale. Infatti, sulla retribuzione integrativa di chi opta per avere la liquidazione del TFR nella busta paga mensile scatterà la tassazione Irpef ordinaria, e non la tassazione sostitutiva come avviene in genere per il TFR. Ciò, se confermato nel testo ufficiale che verrà trasmesso al Parlamento, farebbe crollare l'appeal della misura per i lavoratori con un reddito superiore ai 15mila euro. Per tali lavoratori, infatti, l'Irpef sul reddito che supera i 15mila euro parte dal 27%, mentre l'aliquota media attualmente applicata al Tfr è compresa tra il 23 e il 26%. Pertanto, più elevato è il reddito da lavoro meno è conveniente (fiscalmente) l'opzione del Tfr in busta paga. In senso opposto, invece, l'imposta sostitutiva sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto (ovvero sul maturato) passerà dall'11 al 17%.

Al salire del reddito aumenta il conto del Fisco: per 90 mila euro 568 euro di imposte La misura è volontaria e vale per i dipendenti privati assunti da almeno sei mesi

La platea cui questo l’anticipo del TFR conviene corrisponde a quella dei percettori del bonus, cioè titolari di redditi che non superino i 24-26 mila euro annui.

La richiesta di avere la quota maturanda del Tfr in busta paga è volontaria e può essere fatta dal dipendente privato che sia stato assunto da almeno sei mesi. Sono esclusi i collaboratori domestici, i lavoratori agricoli e i dipendenti di aziende in crisi.

La misura è sperimentale: vale dal marzo prossimo, con effetto retroattivo a gennaio, e termina nel giugno 2018. Effettuata la scelta, questa non può essere revocata per tre anni.

La quota del Tfr che può essere anticipata in busta paga è quella maturanda, anche se normalmente destinata alla previdenza complementare: nel fondo di appartenenza verranno versati solo i contributi del dipendente e del datore di lavoro. L’anticipazione sarà mensile e non in un’unica soluzione.

Il governo ha deciso di tassare la quota di Tfr in busta paga come se questa andasse a integrare lo stipendio e dunque applicando le aliquote Irpef ordinarie. Di conseguenza l’anticipo del Tfr in busta paga sarà conveniente per i lavoratori con un reddito fino a 15 mila euro mentre subiranno un aggravio fiscale quelli al di sopra di questa soglia.

Dunque è chiaro che la fascia cui la misura si rivolge sta sotto i 24 mila euro. In particolare per chi può contare su un reddito di 20 mila lordi l’anno, il Tfr netto annuale sarebbe di 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte dei 1.058 di Tfr netto annuale accantonato.



venerdì 17 ottobre 2014

Regime dei Minimi: le novità della Legge di Stabilità 2015




Il regime fiscale agevolato per i contribuenti cosiddetti "minimi", introdotto a partire dal 1° gennaio 2008, in linea di massima, prevede l'applicazione di una imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 20%.

I contribuenti che iniziano una attività di lavoro autonomo e presumono di rispettare i requisiti previsti per l'applicazione del regime in esame, devono comunicarlo nella dichiarazione di inizio attività (modello AA9/9), barrando l'apposita casella nel quadro B.

In caso di inizio dell’attività nel corso del periodo d’imposta, il limite dei ricavi e dei compensi deve essere ragguagliato all’anno.

Il regime cessa di avere applicazione nell’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti superino di oltre il 50% il limite dei 30.000 euro. In tal caso il contribuente diventerà debitore anche dell’Iva maturata per le operazioni effettuate antecedentemente al superamento del limite e comunque limitatamente all’esercizio in cui è avvenuto il superamento e potrà detrarre la relativa imposta sugli acquisti e sulle importazioni.

In tal caso il contribuente dovrà:

istituire i registri previsti dal titolo II del D.P.R. n. 633/1972 entro il termine per l’effettuazione della liquidazione periodica relativa al mese o al trimestre in cui è superato il limite;

adempiere agli obblighi ordinariamente previsti per le operazioni effettuate successivamente al superamento del limite;

presentare la comunicazione annuale dati Iva e la dichiarazione annuale Iva entro i termini ordinariamente previsti;

versare eventualmente l’imposta a saldo risultante dalla dichiarazione annuale relativa all’anno in cui è stato superato di oltre il 50% il limite di 30.000 euro entro i termini ordinariamente previsti;

annotare i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi e l’ammontare degli acquisti effettuati anteriormente al superamento del limite entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale Iva.

Rientrano nel regime dei contribuenti minimi i lavoratori autonomi e le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che nell'anno solare precedente hanno conseguito compensi in misura non superiore a 30.000 euro.

Sono esclusi i soggetti non residenti che svolgono l'attività nel territorio dello Stato e coloro che si avvalgono di regimi speciali di determinazione dell'IVA.

I compensi rilevanti sono quelli richiamati in precedenza quando si è analizzato il regime "ordinario".
Per avvalersi del regime in esame è, altresì, necessario che i contribuenti:

I soggetti che iniziano l'attività possono immediatamente applicare il regime agevolato se prevedono di rispettare le predette condizioni, tenendo conto che, in caso di inizio di attività in corso d'anno, il limite dei 30.000 euro di ricavi o compensi deve essere ragguagliato all'anno.

Riguardo agli acquisti di beni strumentali, il limite va riferito all'intero triennio precedente e non ragguagliato ad anno. All'importo di 15.000 euro occorre far riferimento, pertanto, anche nell'eventualità che l'attività sia iniziata da meno di tre anni.

Il valore dei beni strumentali cui far riferimento è costituito dall'ammontare dei corrispettivi relativi alle operazioni di acquisto effettuate anche presso soggetti non titolati di partita IVA.

I contribuenti che applicano il regime dei contribuenti minimi usufruiscono, sostanzialmente, di due differenti tipi di agevolazioni:

 applicazione di una imposta sostitutiva del 20% sul reddito determinato secondo apposite regole che sostituisce sia l'Irpef e le relative addizionali che l'Irap e l'Iva;

 esonero dalla maggior parte degli obblighi contabili e dichiarativi.

Durante la permanenza nel regime agevolato, non è possibile esercitare il diritto di rivalsa né è possibile detrarre l'Iva assolta sugli acquisti nazionali e comunitari e sulle importazioni.

La fattura emessa non deve, pertanto, recare l'addebito dell'imposta.

Relativamente alle modalità di determinazione del reddito di lavoro autonomo su cui applicare l'imposta sostitutiva del 20%, vale il "principio di cassa".

Il Regime dei Minimi si rinnova: la Legge di Stabilità lo riforma ancora una volta introducendo dal 2015 un regime fiscale agevolato per i lavoratori autonomi con reddito fino a 15mila euro. L’imposta sostitutiva aumenta dal 5 al 15% ma scompare il limite dei 5 anni per la permanenza nel regime a tassazione forfettaria dedicata a lavoratori autonomi, piccole imprese e professionisti entro determinate soglie di reddito, ampliando la platea degli aventi diritto.

La nuova Riforma del Regime dei Minimi è contenuta nell’articolo 9 della bozza circolante della Legge di Stabilità 2015, ma per averne conferma bisognerà attendere il testo definitivo approvato dal Governo nel CdM, nonché il termine della discussione parlamentare.

Tra le novità di maggiore rilievo l’innalzamento dell’imposta forfetaria al 15% (sostitutiva di IRPEF, IRAP e addizionali). I minimi verranno inoltre esonerati dall’IVA, con una serie di eccezioni relative a particolari tipologie di operazioni (operazioni con l’estero, importazioni ed esportazioni). Per le operazioni su cui l’IVA è dovuta, questa va liquidata entro il giorno 16 del mese successivo all’effettuazione delle operazioni. Restano poi gli obblighi di numerazione e conservazione di fatture e bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi, e di conservazione dei relativi documenti.

Il nuovo Regime dei Minimi è applicabile a persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti e professioni i cui ricavi non superano quelli previsti in specifiche tabelle, che cambiano a seconda delle tipologie di attività, allegate alla Legge di Stabilità. Non rilevano ricavi e compensi derivanti dall’adeguamento degli Studi di Settore. Nel caso di più attività esercitate (con diversi codici ATECO), rileva il limite più elevato dei ricavi e compensi relativi alle diverse attività.

Il calcolo sui beni strumentali deve seguire le seguenti regole:

per i beni in locazione finanziaria, rileva il costo sostenuto dal concedente;
per i beni in locazione, noleggio o comodato, rileva il valore normale;
i beni in utilizzo promiscuo concorrono nella misura del 50%;
non rilevano i beni il cui costo unitario è superiore a quanto 516,4 euro;
non rilevano i beni immobili utilizzati nell’attività d’impresa o nell’esercizio della professione.

Possono avvalersi del Regime dei Minimi le nuove imprese o le persone che intraprendono attività professionale che comunicano, con la dichiarazione di inizio attività, di presumere la sussistenza dei requisiti di reddito.

Sono invece esclusi:

le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali IVA o di altri regimi forfettari di determinazione del reddito;

i soggetti non residenti, ad eccezione dei cittadini comunitari o dei paesi dello Spazio Economico Europeo;

i soggetti la cui attività prevalente è costituita da cessione di immobili, fabbricati, terreni edificabili, mezzi di trasporto nuovi;

gli esercenti attività d’impresa o i professionisti che sono anche azionisti di altre società di persone, associazioni, Srl.


mercoledì 8 ottobre 2014

Cosa fare del TFR o trattamento di fine rapporto di lavoro


La normativa attuale prevede una doppia opzione: il lavoratore può scegliere di mantenere il TFR sotto forma di liquidazione da incassare alla fine del rapporto di lavoro, oppure utilizzarlo per costruire una pensione integrativa.

Spesso genera confusione. È quella somma che viene corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore dipendente al termine del rapporto di lavoro, qualunque sia la causa che ne determina la cessazione. In particolari fattispecie è prevista anche la possibilità di chiedere un anticipo dell’importo maturato nella misura massima del 70% e, in caso di decesso del lavoratore, il TFR accantonato è liquidato agli eredi o agli aventi diritto.

Il TFR si determina accantonando, per ciascun anno, il 6,91% della retribuzione lorda. Di fatto, quindi, il TFR è una retribuzione differita nel tempo, che cresce di anno in anno in relazione al lavoro prestato e all’ammontare della retribuzione.

Pertanto, per definizione, il TFR non ha alcun legame con la prestazione pensionistica pubblica e non rappresenta in alcun modo una fonte di finanziamento di quest’ultima, ma può piuttosto essere utilizzato per finanziare la previdenza complementare.

Per esempio, se un lavoratore dipendente privato decide di destinare il TFR maturato nel corso della vita lavorativa a un forma di previdenza complementare può raggiungere, al pensionamento, un’integrazione alla pensione pubblica variabile tra il 6% e il 12% del reddito.

È utile ricordare che chi destina il proprio TFR a un fondo pensione può in caso di necessità ottenere anticipazioni: fino al 75% del montante accumulato per spese mediche e prima casa e fino al 30% senza motivazioni (dopo 8 anni di adesione al fondo). Un'opportunità, in caso di emergenza, da non sottovalutare.

Si ha bisogno di previdenza complementare? Per rispondere a questa domanda è necessario effettuare una valutazione della propria posizione di previdenza obbligatoria (Inps, ex Inpdap,…). In poche parole quale pensione prenderemo dal nostro ente pensionistico obbligatorio? Una risposta puntuale a questa domanda, fermo restando che dei possibili cambiamenti legislativi e del nostro futuro legislativo non abbiamo certezza, richiederebbe una ricostruzione puntuale della propria storia contributiva.

Fatte le giuste considerazioni (gli strumenti di calcolo sono in grado di analizzare adeguatamente gran parte delle variabili pensionistiche), si può arrivare alla conclusione se la pensione pubblica è una risorsa per noi sufficiente. Se è cosi, la previdenza complementare non è una priorità di particolare interesse, in caso contrario, ci conviene prendere in seria considerazione la partecipazione a queste nuove forme di risparmio come descritto successivamente.

Un’ultima considerazione per i fortunati che avranno una sufficiente pensione pubblica: la vecchiaia è l’età nella quale è necessario avere qualche certezza in più. Sino ad ora il Tfr (meglio noto come liquidazione) rappresentava quel gruzzolo su cui contare al termine dell’attività lavorativa. La previdenza complementare non esclude questa opportunità di crearsi un piccolo patrimonio di sicurezza, anzi prevede che sino al 50% dei risparmi cumulati siano sempre disponibili in forma capitale, oppure per chi non ha maturato una rendita vitalizia di una certa entità la quota in capitale può essere anche il 100%. Conviene valutare attentamente l’alternativa fra liquidazione e prestazione in capitale da previdenza complementare, perché il trattamento fiscale di quest’ultima è più favorevole.

Se si è consapevoli che la pensione obbligatoria non sarà sufficiente, è necessario definire l’obiettivo da conseguire come reddito annuo aggiuntivo (rendita vitalizia integrativa) a partire dall’età di pensionamento. Semplificando: se prima di andare in pensione lo stipendio fosse di 1.800 euro netti mensili, e l’Inps me ne desse solo 1.080 euro netti mensili, e se ritenessi 1.500 euro netti sufficienti a mantenere il mio tenore di vita, dovrò puntare a un’integrazione di 420 euro netti mensili (circa 5.000 euro/anno). Questa stima non può però prescindere da considerazioni soggettive nella definizione di quanto debba essere per noi un reddito adeguato al momento del pensionamento.

Se la funzione della previdenza complementare è proprio quella di garantire una integrazione del reddito in pensione, purtroppo la misura precisa di questa rendita non è possibile conoscerla. Questo perché i fondi pensione per loro natura investono i risparmi nei mercati azionari ed obbligazionari con diversi profili di rischio finanziario e diverse aspettative di guadagno. Ma se manca una misura garantita delle prestazioni, ciò non impedisce di stimare approssimativamente la rendita ed in soccorso viene allora l’autorità di vigilanza della previdenza complementare (la Covip) che dovrebbe presto emanare delle linee guida “omogenee” a questo fine.

Per costruire in modo attendibile un quadro del futuro, sarà suggerito ipotizzare un tasso di inflazione pari al 2%, un tasso di rendimento della componente di investimento obbligazionaria pari al 3,5% e un tasso di rendimento della componente di investimento azionaria pari al 6,5%. Questi dati consentono di valutare l’evoluzione probabile dell’accumulo dei contributi negli anni di lavoro. Per calcolare correttamente il risparmio accumulato, sempre Covip suggerisce che il reddito da lavoro sul quale si calcolano i contributi cresca ogni anno del 3,6%. Inoltre è necessario tener conto nel calcolo di tutte le componenti di costo del fondo pensione scelto.

Per giungere finalmente alle prestazioni, bisognerà adeguare alla reale speranza di vita del neopensionato i coefficienti che trasformano il montante accumulato in rendita vitalizia (per la precisione: la recente tavola demografica IPS55, con caricamento iniziale pari al 1,25% e tasso tecnico pari a 1%).

Covip rammenta che è sempre giusto sottolineare che “nel corso del rapporto di partecipazione la posizione individuale effettivamente maturata è soggetta a variazioni in conseguenza della variabilità dei rendimenti conseguiti nella gestione e che tale variabilità è tanto più elevata quanto maggiore è l’investimento azionario relativo al profilo di investimento dell’aderente”.

Conviene ricordare in ultimo che questa è una misura di massima che non tiene conto di altri aspetti importanti: se si dovesse trarre un'unica conclusione dai numeri qui riportati, converrebbe sottolineare che garantirsi una rendita vitalizia per gli anni della pensione è un obiettivo ambizioso e impegnativo. L’unica garanzia è iniziare per tempo e non procrastinare una decisione di importanza vitale. Come si può notare nel caso del lavoratore 50enne i ripensamenti tardivi non sono un granché efficaci, dal momento che a pochi anni dalla fine dell’attività lavorativa per avere 100 euro in più di pensione mensile, bisogna risparmiarne ben più di 100 euro al mese.

La scelta di aderire o no a un fondo pensione è volontaria e personale e chi intende aderire ha diverse possibilità, potendosi avvalere di una forma pensionistica collettiva oppure individuale. Tra le forme collettive rientrano i Fondi pensione negoziali (o chiusi), i Fondi aperti ad adesione collettiva e i Fondi preesistenti (cioè costituiti prima del 15 novembre 1992). Tra le forme individuali rientrano i Fondi aperti ad adesione individuale e i contratti di assicurazione sulla vita.

La convenienza fra lasciare il TFR in azienda e aderire a un fondo pensione (chiuso, aperto, etc) dipende da vari fattori, quali:

- l'età; il tipo di lavoro e di contratto individuale; il contratto nazionale di categoria (ccnl) applicato; l'azienda in cui lavori (per la presenza di accordi aziendali specifici); la tua storia contributiva presso l'inps; le prospettive di reddito futuro; eventuali altri redditi personali e/o familiari; eventuale coniuge e/o figli a carico; la conoscenza dei mercati finanziari; la propensione al rischio; la futura reversibilità della pensione.

Con il silenzio-assenso il TFR va a un fondo pensione e non si può più tornare indietro.


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