martedì 14 aprile 2015

Le tasse prosciugano gli stipendi: un terzo finisce in imposizioni fiscali



Tassazione sempre più pesante sui salari in Italia. Secondo il rapporto Taxing Wages dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è ormai alle soglie del 50%. Nel 2014 la differenza tra il costo totale del lavoro e il salario netto in busta paga per un single con una retribuzione media ha infatti raggiunto il 48,2%, in incremento di 0,4 punti rispetto al 2013. Il dato supera di oltre 12 punti la media Ocse che è del 36% (+0,1 punti sull'anno precedente) e l'aumento deriva dalle imposte sul reddito, mentre non emergono variazioni nell'incidenza dei contributi sociali.

Secondo i dati del rapporto ‘Taxing wages’ dell’Ocse, nel 2014 il peso della tassazione su una famiglia monoreddito con due figli è stato del 39%, 0,5 punti percentuali in più del 2013, e il quarto più elevato tra i Paesi dell’organizzazione. Per i single, il cuneo è aumentato di 0,37 punti al 48,2%, collocando l’Italia al sesto posto per pressione fiscale tra i Paesi Ocse. Nel 2013, il cuneo fiscale per le famiglie monoreddito era invece calato, sempre di 0,5 punti, e l’Italia era così scesa al 5/o posto della graduatoria tra i Paesi Ocse, superata dall’Austria, che nel 2014 scende invece al 6/o posto.

Il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato a febbraio di 3,3 miliardi rispetto a gennaio, salendo a 2.169,2 miliardi e raggiungendo il massimo storico, sopra il precedente picco di 2.167,7 miliardi del luglio 2014.  Con riferimento alla ripartizione per sotto settori il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 3,7 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 0,4 miliardi e quello degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato. Lo comunica Bankitalia nel supplemento al Bollettino statistico: ‘Finanza pubblica, fabbisogno e debito’.

L'imposta sui redditi rappresenta invece il 16,7% mentre i contributi a carico del lavoratore sono pari al restante 7,2%. Il costo totale del lavoro ammonta a 53.395 dollari a parità di potere d'acquisto e vede l'Italia al sedicesimo posto nell'Ocse. Al primo c'è il Belgio con quasi 72mila dollari, davanti alla Svizzera (70.700 dollari) e alla Germania (68.700 dollari). La Francia è a 61mila dollari, l'Austria a 65.300, il Regno Unito a 56.300 e gli Usa a 55mila.

Se si esamina invece il salario lordo (ovvero quello che si vede in busta paga), il prelievo complessivo in Italia è del 31,6%, quale somma tra il 22,1% dell'imposta personale sui redditi e il 9,5% del prelievo contributivo a carico del dipendente. Il salario lordo in Italia è in media di 40.426 dollari, al 19esimo posto nella classifica capeggiata in questo caso dalla Svizzera con 66.500 dollari e chiusa dal Messico con 12.400. Traducendo il dato nella valuta nazionale, secondo i calcoli dell'Ocse la retribuzione lorda per un lavoratore medio in Italia è di 30.463 euro, con un aumento dell'1,4%, che deve poi fare i conti con lo 0,1% di inflazione e con un aumento del tasso medio di imposta personale dello 0,5%, il quarto piu' alto dell'area Ocse. La Francia è a 37.400 euro (+1,7%), la Germania 46mila (+2,8%). Anche in Irlanda i salari lordi sono superiori a quelli italiani (34.500, +4%). Dietro all'Italia invece Spagna (26.200, +0,5%), Portogallo (17.400 euro, -1,2%) e Grecia (20.200, -2,9%).

Sono state soprattutto le addizionali locali ad appesantire nel 2014 il peso della tassazione sui salari in Italia. A spiegarlo è Maurice Nettley, economista dell'Ocse responsabile del rapporto 'Taxing Wages” che per un lavoratore 'single' con una retribuzione media registra un aumento del cuneo fiscale nella Penisola al 48,2%, 0,4 punti in più del 2013. È uno dei livelli più alti tra i Paesi industrializzati. “Per due terzi l'incremento deriva dalla tassazione da parte degli enti locali, che è salita nel corso dell'anno”, spiega Nettley in un colloquio con Radiocor.

I dati Ocse non registrano invece l'impatto del bonus degli 80 euro introdotto lo scorso anni dal Governo Renzi, perché è andato a beneficio dei salari sotto la media, mentre i capitoli del rapporto diffusi oggi si concentra sulla retribuzione media. Per vederne gli effetti bisognerà quindi aspettare il resto dello studio che prenderà in considerazione anche le fasce di retribuzione sopra e sotto la media e che sarà pubblicato nelle prossime settimane. In Italia l'aumento della tassazione è ancora più visibile sulle famiglie monoreddito con due figli, con un incremento del cuneo fiscale al 39% dal 38,5%, dato quest'ultimo rivisto al rialzo dal 38,2% annunciato lo scorso anno.

Oltre che alle varie addizionali locali, l'incremento del cuneo è legato al fatto che la crescita dei salari è stata più rapida rispetto alle agevolazioni e agli sgravi fiscali, spiega Nettley. Un fattore quest'ultimo comune all'intera area Ocse, dove il cuneo fiscale medio e' salito di 0,1 punti al 36% “sebbene nessun Governo abbia aumentato l'aliquota di imposta personale sul lavoratore medio”. Nel 2014 solo 7 Paesi hanno aliquote maggiori rispetto al 2010 e sei Paesi le hanno ridotte, sottolinea Nettley.

L'aumento avvenuto nel 2014, del resto segue quelli di 0,2, 0,1 e 0,5 punti percentuali avvenuti nei tre anni dal 2010. Tra il 2007 e il 2010 invece il peso di tasse e contributi previdenziali era calato dal 36,1% al 35,1% medio nell'Ocse. «In generale le tasse sui salari stanno aumentando da quattro anni. C’è stato un calo del cuneo fiscale immediatamente dopo la crisi finanziaria, perché i Governi hanno ridotto le aliquote fiscali per stimolare l'economia, ma da allora il cuneo è risalito e ora siamo ai livelli del 2008, prima della crisi», conclude Nettley.

In effetti, nel 2008 la media Ocse era del 36,1%, esattamente come nel 2014. In Italia, invece, dall'inizio della crisi la tassazione non ha fatto che aumentare e il cuneo fiscale è passato dal 46,6% del 2008 all'attuale 48,2%.




Congedi retribuiti come fare la domanda di due anni: prima circolare INPS


Il coniuge, i genitori, il fratello/sorella o il figlio convivente di una persona con disabilità, con riconoscimento dello «stato di handicap in situazione di gravità» (ai sensi della Legge n. 104/1992) possono usufruire fino a due anni di congedo retribuito previsto dall'articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001.

I periodi di congedo possono essere fruiti in modo continuativo o frazionato anche a giorni interi. Sia l'INPS che l'INPDAP hanno precisato che ai fini della f razionabilità stessa, tra un periodo e l'altro di fruizione è necessaria - affinché non vengano computati nel periodo di congedo straordinario i giorni festivi, i sabati e le domeniche - l'effettiva ripresa del lavoro, requisito non rinvenibile nel caso di domanda di fruizione del congedo in parola dal lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, e neppure nella fruizione di ferie tra una frazione di congedo e l'altra.

Anche per il congedo di due anni il riferimento è sempre alle persone con handicap in situazione di gravità (articolo 3 comma 3 Legge 104/1992). Tale condizione può essere dimostrata esclusivamente con una specifica attestazione rilasciata dalla Commissione di accertamento presente in ogni ASL.

Questa attestazione non può essere sostituita né da autocertificazione, né da altri certificati di invalidità civile parziale o totale.

Per poter richiedere i due anni di congedo è necessario che il disabile sia stato accertato handicappato in situazione di gravità da almeno 5 anni.

Questa condizione esclude la possibilità di richiedere il congedo, ad esempio, nei casi di gravi disabilità di bambini in tenera età, o ancora nel caso di menomazioni derivanti da gravi lesioni, tanto improvvise da non aver ancora consentito l’accertamento dell’handicap.

Secondo le indicazioni dell’INPS hanno diritto di usufruire dei due anni di congedo i genitori naturali o adottivi oppure, in mancanza di questi, i fratelli o le sorelle della persona disabile.

Le condizioni per richiedere il congedo retribuito sono le stesse previste per ottenere i permessi previsti dall'articolo 33 della Legge 104/1992.

Il congedo spetta alternativamente alla madre o al padre. Il beneficio non può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori.

Le regole variano a seconda che il figlio sia minorenne o maggiorenne.
Se il figlio è minorenne è possibile fruire del beneficio anche se uno dei due genitori non lavora.
Se il figlio è maggiorenne, convivente con entrambi i genitori, e l’altro genitore non lavora non è possibile ottenere il congedo se non in casi particolari già previsti da una precedente circolare e cioè:
invalidità totale o superiore a due terzi del familiare convivente con il disabile grave;
infermità temporanea per i periodi di ricovero ospedaliero;
età superiore ai 70 anni se in presenza di una qualsiasi invalidità comunque riconosciuta;
grave malattia;
presenza in famiglia di più di tre minorenni;
presenza in famiglia di un bambino di età inferiore a 6 anni;
necessità di assistenza anche in ore notturne e anche da parte del lavoratore (valutata dal medico INPS).
Se il genitore non è convivente con il figlio maggiorenne handicappato, il congedo può essere comunque concesso a patto che l'assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva dal richiedente.
Rimane ferma la condizione generale che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Da ultimo, una particolarità: il diritto ai due anni di congedo retribuito non viene riconosciuto agli affidatari.

Il diritto al congedo viene riconosciuto anche a fratelli o sorelle, del disabile grave. Questa opportunità è però condizionata dal fatto che entrambi i genitori siano deceduti. Inoltre in questo caso è richiesta la convivenza con la persona con handicap a prescindere dal fatto che quest’ultima sia maggiorenne o minorenne.

Il congedo è riconoscibile per la durata massima complessiva, nell’arco della vita lavorativa, di due anni.

Due anni è anche il limite massimo fruibile, tra tutti gli aventi diritto, per ogni persona con handicap. Per ogni disabile cioè è possibile fruire al massimo di due anni di congedo. Questi due anni sono frazionabili e possono quindi essere richiesti alternativamente da entrambi i genitori.
Ad esempio un genitore può richiedere un anno di congedo e l’altro genitore può usufruire dell’anno rimanente.

L’INPS precisa poi che i periodi di congedo retribuito rientrano nel limite massimo globale spettante a ciascun lavoratore, di due anni di permesso, anche non retribuito, "per gravi e documentati motivi familiari". Che cosa significa?

Ogni lavoratore ha diritto a due anni di congedo non retribuito per gravi e documentati motivi familiari, a prescindere dal fatto che in famiglia ci sia un disabile grave. Se il lavoratore ha un figlio con grave handicap può richiedere fino a due anni di congedo retribuito. Se però richiede il congedo retribuito non ha più diritto a quello non retribuito, oppure, se ne ha usufruito solo in parte, può utilizzare la parte residuale.

Per fare un esempio: un genitore ha già sfruttato un anno di congedo non retribuito; avendo un figlio con handicap grave può richiedere altri 12 mesi di congedo retribuito. Anche la moglie potrà richiedere solo 12 mesi di congedo retribuito e altrettanti di congedo non retribuito.
L’INPS precisa poi che non è possibile la fruizione contemporanea - con la stessa motivazione - di congedo retribuito da parte di un genitore e non retribuito da parte dell’altro genitore.
Le stesse regole valgono per i fratelli dei soggetti handicappati in caso di decesso dei genitori.

Eccezioni
Come sempre l’INPS è piuttosto restia a concedere benefici in modo ampio. Tende quindi ad interpretare sempre in modo molto restrittivo ciò che il Parlamento ha stabilito.

Nella circolare 64/2001 afferma che nel caso di due figli con handicap grave lo stesso genitore non può comunque richiedere un doppio congedo. Potrà fruirne esclusivamente l’altro genitore (nel caso sia una lavoratore) oppure, successivamente alla sua morte, i fratelli o le sorelle.

Altra eccezione riguarda l’ipotesi in cui il disabile svolga attività lavorativa: in tal caso il congedo non può essere concesso.

Vi è poi ancora un limite: durante il periodo di congedo, i genitori non possono usufruire dei benefici di cui all’art. 33 della legge 104/92. Altra precisazione riguarda la malattia o la maternità durante il periodo di congedo: nell’ipotesi che si verifichi uno di questi due casi, il congedo non si interrompe se sono trascorsi più di sessanta giorni dall’inizio della sua fruizione.

La misura della prestazione
Come si è ripetuto i congedi di due anni sono retribuiti e lo sono entro l’importo massimo annuo di lire 70 milioni e un limite giornaliero di lire 191.780. L’indennità per il congedo viene corrisposta nella misura dell’ultima retribuzione percepita e cioè quella percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo (comprensiva del rateo per tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi ecc.).

Nel caso di contratti di lavoro a tempo pieno, la retribuzione del mese preso a riferimento, va moltiplicata per 12 e divisa per 365 giorni (366 se le assenze cadono in un anno bisestile), con un limite giornaliero, quindi (anno 2000), di Lire 191.780.

Se invece si fa riferimento ad un contratto di lavoro a part time verticale, la retribuzione percepita nel mese stesso va divisa per il numero dei giorni retribuiti, compresi quelli festivi o comunque di riposo relativi al periodo di lavoro effettuato: la retribuzione giornaliera così determinata va raffrontata con il limite massimo giornaliero di lire 191.780.

Essendo questo tipo di congedo frazionabile anche a giorni, l’indennità viene corrisposta per tutti i giorni per i quali il beneficio è richiesto.

La frazionabilità
I due anni di congedo possono essere frazionati in periodi mensili, settimanali o anche in giornate. Vengono computati anche i giorni festivi, a meno che non vi sia stata una ripresa del lavoro. Facciamo un esempio. Si prede un periodo di congedo che va dal lunedì al venerdì; verranno conteggiati nel periodo di congedo anche il sabato e la domenica; queste due giornate non sarebbero state computate se il venerdì il lavoratore fosse rientrato al suo impiego.
Come richiedere il congedo
La domanda, redatta su appositi modelli, va presentata in duplice copia all’INPS di riferimento.
I modelli, disponibili presso tutti gli uffici periferici dell’INPS, si chiamano
"mod. hand 4" per i congedi straordinari ai genitori;
"mod. hand 5" per i congedi straordinari ai fratelli.

Nella domanda deve essere indicato il periodo di congedo di cui si intende fruire.
Deve inoltre essere riportata con chiarezza la denominazione del relativo datore di lavoro e, possibilmente, il numero di posizione INPS dello stesso, qualora si tratti di datore di lavoro privato.

L’INPS restituisce subito (o a stretto giro di posta, se pervenuta con tale mezzo) una copia all'interessato con l’attestazione da parte dell’INPS della ricezione.

L’interessato consegna al datore di lavoro il modulo controfirmato dall’INPS che è conseguentemente autorizzato, dal momento della consegna stessa, ad erogare la prestazione, dopo aver verificato le condizioni di erogazione sulla base della documentazione presentata.

Nel caso il datore di lavoro abbia dubbi circa la possibilità di accoglimento deve tempestivamente comunicarlo all’INPS, affinché questo stesso assuma le decisioni finali.

L’INPS, da parte sua, una volta ricevuta la domanda del lavoratore, effettuerà autonomamente, con la massima tempestività, le valutazioni di competenza, comunicando con immediatezza all'interessato e al suo datore di lavoro i motivi che dovessero ostare al riconoscimento del beneficio richiesto. Non è previsto un provvedimento esplicito di "autorizzazione" nell'ipotesi di esito positivo di queste valutazioni.

Il congedo straordinario e le relative prestazioni s’intendono decorrenti dalla data indicata sulla domanda, salvo diversa decorrenza fissata dal datore di lavoro, che in ogni modo è tenuto ad accoglierla, sempre che sussistano le condizioni di diritto, al massimo entro 60 giorni dalla richiesta.
Nel caso si intenda modificare il periodo di congedo fissato in precedenza, il lavoratore deve presentare, con le modalità seguite per la prima concessione, una nuova domanda che corregga la precedente.

Cosa allegare alla domanda
Alla domanda di congedo deve essere allegata la dichiarazione dell’altro genitore (o degli altri fratelli) di non aver fruito del beneficio, ovvero con l’indicazione dei periodi fruiti.
Va poi allegata la documentazione (anche in copia dichiarata autentica) relativa al riconoscimento della gravità dell’handicap, a suo tempo rilasciata dalla commissione medica della competente ASL, ai sensi dell’art. 4 comma 1 della legge 104/92, con dichiarazione di responsabilità relativa al fatto che nel frattempo non sono intervenute variazioni nel riconoscimento della gravità dell’handicap stesso ed impegno a comunicare qualsiasi variazione che possa avere riflessi sul diritto al congedo.
Non è necessario presentare la documentazione relativa all’handicap qualora questa sia già in possesso dell’INPS per una precedente domanda: in tal caso è sufficiente produrre una dichiarazione in tal senso, unitamente a quella relativa alla permanenza delle condizioni di gravità.

Infortunio sul lavoro Inail: procedura, retribuzione e quesiti



L’infortunio sul lavoro INAIL 2015 è un incidente che avviene in occasione dell’attività lavorativa che va ben oltre il concetto di durante l’orario di lavoro o sul posto di lavoro, in quanto in esso vengono ricomprese tutte quelle situazioni anche ambientali, nelle quali il lavoratore può essere a rischio di incidenti e quindi di infortunio.

Cos'è e come funziona l'infortunio Inail?
L’infortunio sul lavoro INAIL 2015 è coperto dall'assicurazione obbligatoria che prevede risarcimento, retribuzione indennità sostitutiva in caso di incidente violento dal quale derivi la morte e l’inabilità permanente o assoluta del lavoratore.

Nel concetto di infortunio sul lavoro INAIL, oltre a far rientrare gli incidenti causati da agenti aggressivi esterni tali da provocare danneggiamenti all'integrità psico fisica del lavoratore come ad esempio sostanze tossiche, sforzi muscolari eccessivi o virus,  l’INAIL ricomprende anche tutti gli eventi che possono minare la salute del lavoratore durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, quindi durante l’orario di lavoro e sul posto di lavoro ma anche gli eventi con rapporto indiretto di causa effetto, tra l’incidente che causa l’infortunio e l’attività lavorativa svolta.

Per cui l’INAIL copre tutti gli infortuni sul lavoro del lavoratore anche se direttamente causati dal lavoratore stesso per negligenza, imprudenza o imperizia ed estende la copertura assicurativa anche agli incidenti che il lavoratore potrebbe avere durante il normale tragitto di andata e ritorno tra casa e posto di lavoro, il cd. in itinere.

Cosa fare se il lavoratore si infortuna sul posto di lavoro?
Cosa deve fare il datore di lavoro e il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro:

1.Il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro deve comunicare immediatamente l’incidente al datore di lavoro che deve inviarlo subito al Pronto Soccorso.

2.Il pronto soccorso a seguito della visita medica rilascia il primo certificato medico che deve essere trasmesso dal lavoratore al datore di lavoro.

3.Il datore di lavoro deve obbligatoriamente presentare per via telematica il nuovo modello denuncia infortunio sul lavoro INAIL, nel caso in cui i giorni di prognosi dovessero superare i 3 giorni oltre la giornata in cui si è verificato l’incidente.

4.Una volta presentata la denuncia infortunio INAIL online, il lavoratore infortunato, due o tre giorni prima della scadenza della prognosi indicata sul certificato medico del pronto soccorso, deve recarsi alla visita medica presso gli ambulatori INAIL.

5.A seguito della visita medica INAIL, l’istituto provvede a:

◦fissare un nuovo appuntamento in caso di continuazione della temporanea e un certificato medico INAIL infortunio sul lavoro da consegnare al datore di lavoro;

◦chiudere l’infortunio temporaneo con un certificato di chiusura definitiva da consegnare in azienda per poter riprendere il lavoro.

Si ricorda che, la mancata denuncia infortunio INAIL da parte del datore di lavoro entro 2 giorni dal ricevimento del certificato medico o in caso di ritardata presentazione, viene sanzionato con una multa amministrativa da € 1.290,00 a € 7.745,00 sia da parte dell’Inail che dall'Autorità di Pubblica Sicurezza.

Tale sanzione, è prevista anche nel caso in cui il datore di lavoro non indichi o ometta completamente o parzialmente il codice fiscale del lavoratore nel modello di denuncia Inail, in tal caso l’ammontare della sanzione amministrativa è stabilito dall’art. 16, legge n. 251/1982.

Se l’infortunio invece è a carico di un lavoratore autonomo del settore artigianato o del settore dell’agricoltura non è prevista alcuna sanzione amministrativa per l’omessa o ritardata denuncia all’Inail, ma vi è la perdita del diritto all'indennità di temporanea per i giorni antecedenti l’inoltro della denuncia.

Incidente in itinere 2015 quando è risarcito?
L’infortunio sul lavoro incidente itinere Inail, è la tutela dei lavoratori che subiscono infortuni durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro.

L’INAIL copre quindi l'infortunio in itinere anche se l’incidente occorso al lavoratore si verifica quando durante il normale percorso per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale.

L’infortunio sul lavoro in itinere è risarcito per qualsiasi incidente avuto dal lavoratore durante il normale tragitto a prescindere dal mezzo di trasporto pubblico utilizzato, quindi anche in treno, a piedi, in autobus, taxi a patto che siano appurate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari.

Incidente in itinere occorso al lavoratore durante il tragitto normale tra casa e lavoro con il mezzo privato: auto, moto o bicicletta, è coperto dall’assicurazione, solo se tale uso è considerato per forza necessario ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa come ad esempio:

•se l’auto o il motorino sono stati forniti dal datore di lavoro per esigenze lavorative

•se il posto di lavoro non può essere raggiunto con i mezzi pubblici

•se il posto di lavoro è raggiungibile con i mezzi pubblici ma i loro orari non consentono di arrivare in tempo al turno di lavoro

•se i mezzi pubblici obbligano ad attese eccessivamente lunghe

•se i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato

•se la distanza della fermata più vicina è molto lunga da percorrere a piedi.

Importante: l’infortunio sul lavoro in itinere causato dal consumo di alcool, droga e di psicofarmaci, non è indennizzabile dall’INAIL come la mancanza della patente di guida da parte del conducente.

Per quanti giorni il datore di lavoro paga l’infortunio?
Chi paga l’infortunio sul lavoro e per quanti giorni? L’infortunio sul lavoro è pagato per i primi 4 giorni di assenza del lavoratore infortunato, dal datore di lavoro e comprendono la giornata in cui è avvenuto l’infortunio che è considerato giornata di lavoro a tutti gli effetti e quindi è pagata al 100% della retribuzione giornaliera spettante al lavoratore e i successivi 3 giorni, chiamati periodo di carenza che sono pagati invece al 60% della retribuzione.

Durante il periodo di carenza, ovvero, dal 2° al 4° giorno compresi, il datore di lavoro è obbligato per legge a corrispondere al lavoratore infortunato, le seguenti percentuali della retribuzione media giornaliera utilizzata dall’INAIL per il calcolo dell’indennità:

•100% per il giorno dell’infortunio

•60% dal 2° al 4° giorno compresi i sabati e le domeniche.


Indennizzo INAIL retribuzione e pagamento:
L’indennizzo infortunio sul lavoro è pagato dall’INAIL, dal 5° giorno in poi e per tutto il periodo di assenza dal lavoro per infortunio e spetta la suddetta percentuale di retribuzione:

•al 60% della retribuzione fino al 90° giorno

•al 75% della retribuzione dal 91°giorno e fino alla completa guarigione del lavoratore infortunato.

L’indennizzo INAIL per infortunio sul lavoro, è pagata per tutti i giorni, compresi i festivi che cadono le periodo di astensione dal lavoro. Tale indennità non è però cumulabile con l’indennità di malattia INPS e quindi Infortunio sul lavoro non è soggetto agli orari visite fiscali, indennità economica sanatoriale, cassa integrazione guadagni mentre è cumulabile con l’assegno per congedo matrimoniale, che è erogato sulla differenza tra la retribuzione spettante nello stesso periodo e l’integrazione INAIL e l’assegno per il nucleo familiare che spetta sia per i giorni di carenza e fino a un massimo di 3 mesi.

Il pagamento dell’indennità INAIL per infortunio sul lavoro, viene immediatamente erogata sulla prima busta paga spettante al lavoratore, in quanto è anticipata dal datore di lavoro in base a quanto stabilito dall’articolo 70 T.U. 1124/65 ma nel caso in cui l’azienda o il datore di lavoro non si avvalga di questa facoltà, è la stessa Inail ad erogare direttamente la temporanea assenza del lavoratore infortunato.

Dal momento che l’infortunio sul lavoro INAIL è indennizzabile dall’istituto senza alcun limite di durata, ovvero, l’INAIL paga l’indennità per tutto il periodo di assenza dal lavoro, il lavoratore deve prestare però molta attenzione alle limitazioni circa il diritto alla conservazione del posto di lavoro, stabilite dai vari CCNL di riferimento che in genere sono di 180 giorni.

Tabella danno biologico 2015:
Una novità importante circa il danno biologico derivato dall'infortunio sul lavoro, è stata introdotta dalla Legge di Stabilità 2014 che ha previsto con il comma 78 dell’articolo unico, uno stanziamento di 50 milioni di euro annui, a decorrere dal 2014, per l’aumento in via straordinaria delle indennità dovute dall’INAIL per danno biologico, in attesa che venga introdotto un meccanismo di rivalutazione automatico. Tale provvedimento, andrebbe quindi a portare una rivalutazione di circa il 7-8% della retribuzione degli assicurati.

Ma cos'è il danno biologico INAIL? Innanzitutto bisogna dire, che per l’infortunio sul lavoro che causa una inabilità permanente del lavoratore, occorre fare una distinzione tra gli incidenti avvenuti prima o dopo il 2000, in quanto la normativa è stata modificata:

•infortuni sul lavoro permanenti avuti prima del 25 luglio 2000: le disposizioni da applicare sono quelle del regime del Testo Unico 1124/65 che prevede l’erogazione di una rendita diretta per i casi di inabilità permanente pari o superiore all’11%.

•infortuni sul lavoro permanenti avuti dopo il 25 luglio 2000: la regola da applicare è quella stabilita dal Dlgs. 38/2000 che ha introdotto la tutela del danno biologico, ovvero, un’indennità in denaro per gli incidenti sul lavoro che hanno causato nel lavoratore, menomazioni di grado compreso tra 6% e 15% e di una rendita diretta per i casi di grado pari o superiore al 16%.

Nello specifico, l’infortunio sul lavoro con danno biologico è pagato dall’INAIL con una somma in denaro per gli incidenti che hanno causato menomazioni sul corpo del lavoratore. Tali menomazioni, calcolate in percentuali di danno biologico compreso tra il 6% e il 15%, sono elencate in specifiche tabelle INAIL che riportano le valutazioni del danno biologico per le menomazioni elencate e organizzate secondo criteri specifici, ovvero, distinti per tipologia ad esempio: valutazione danno biologico apparato cardio-circolatorio, danno biologico cicatrici e dermopatie, danno biologico dell’apparato digerente ecc.. La descrizione della menomazione e il valore del danno biologico si trovano nella tabella INAIL infortunio sul lavoro con danno biologico.

Il lavoratore infortunato, inoltre, entro 10 anni dall’incidente sul lavoro può presentare domanda di aggravamento del danno biologico. Tale istanza però, può essere fatta una sola volta entro i 10 anni dall’incidente o dall’erogazione della rendita. La domanda di aggravamento della rendita, invece, può essere presentata una volta all’anno per i primi 4 anni, dopodiché al 7° e al 10° anno dalla decorrenza della rendita.

Chi paga le spese visite mediche?
Chi paga le spese mediche in caso di infortunio sul lavoro? Il lavoratore assente dal lavoro per infortunio causata da incidente, è tutelato dall’INAIL anche per la copertura di esami diagnostici e le terapie riabilitative, in quanto le spese mediche sono completamente pagate dall'istituto, se preventivamente prescritte o autorizzate dall’Inail. Per il lavoratore, inoltre, per tutta la durata dell’erogazione dell’indennità INAIL per infortunio o malattia professionale INAIL 2015, se di durata temporanea, è prevista l’esenzione ticket sanitario per esami e analisi prescritti dall’Inail o dal medico curante.

Successivamente, per i casi in cui al lavoratore viene riconosciuta l’inabilità permanente o danno biologico, ha il diritto all'esenzione ticket parziale riferita alla patologia specifica, da richiedere alla ASL competente, producendo la documentazione Inail che attesti i postumi riconosciuti.





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