lunedì 24 luglio 2017

Lavoro intermittente: legittimo licenziare il lavoratore che compie 25 anni



La disciplina italiana sul lavoro intermittente non viola la disciplina europea in materia di divieti di discriminazioni dei lavoratori in ragione della loro età.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 19 luglio 2017, C‐143/16, ritiene che il datore di lavoro può essere autorizzato a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, quando tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari.

Il caso dei giovani commessi di Abercrombie & Fitch è arrivato davanti alla Corte Ue. A portarcelo era stato un giovane assunto nel 2010 e poi licenziato al compimento dei 25 anni. Il lavoratore era stato assunto nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato il 1° gennaio 2012. Il 26 luglio di quell'anno, però, era stato licenziato perché compiva 25 anni.

Il lavoratore si era opposto a tale decisione e la Corte di appello di Milano gli aveva dato ragione ritenendo discriminatorio il licenziamento e imponendo all'azienda di riassumere il ragazzo.

La Cassazione aveva successivamente deciso di sollevare davanti alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale, chiedendo se fosse compatibile con il diritto dell’Unione la normativa italiana (Dlgs 276/2003) secondo cui il contratto di lavoro intermittente può riguardare soltanto lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore a 45.

I giudici europei hanno deciso che la legge italiana non contrasta con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000. Secondo i giudici «la facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità».

La Corte non nega che la licenziabilità del lavoratore intermittente al compimento del venticinquesimo anno introduca una differenza di trattamento fondata sull’età. «Tuttavia - spiegano i giudici Ue - tale differenza di trattamento è giustificata dalla finalità di favorire l’occupazione giovanile. Infatti, i giovani sotto i 25 anni sono normalmente penalizzati sul mercato del lavoro dall'assenza di esperienza professionale. Per controbilanciare tale situazione, il contratto intermittente riservato agli infraventicinquenni consente agli stessi non tanto di ottenere un lavoro stabile quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro».

I giudici europei, insomma, alla luce di quanto sopra ritengono ragionevole la scelta del legislatore italiano di prevedere una simile tipologia contrattuale, compiuta in ragione dell'ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri nel perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e dell'occupazione e nel definire le misure atte a realizzarlo. La direttiva 2000/78 è rispettata.

Secondo i magistrati europei la previsione, per il datore di lavoro, della facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare il lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, “persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità”.

I magistrati sostengono anche che ai lavoratori intermittenti, nei periodi di lavoro, è garantito un trattamento complessivamente “non meno favorevole” rispetto a quello di un lavoratore stabile con mansioni equivalenti. Dunque, in sintesi “nella la misura in cui il limite di venticinque anni di età sia da considerarsi uno strumento appropriato e necessario a raggiungere i richiamati obiettivi di politica occupazionale, deve considerarsi legittimo nel quadro nell'ordinamento dell’Unione”.


mercoledì 12 luglio 2017

Dal 10 luglio 2017 i nuovi voucher: Libretto di famiglia e Contratto di prestazione occasionale




Al posto dei vecchi e super abusati bonus, ecco il Libretto di famiglia e il «Contratto di prestazioni occasionali» che può essere usato solo da imprese con meno di 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato. Al loro posto ci sono il Libretto di famiglia (Lf)   e il Contratto di prestazione occasionale (Cpo). Il primo va usato quando il datore di lavoro è una persona fisica. Il secondo per imprese e liberi professionisti che hanno non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato in azienda.

L’ambito familiare è definito e limitato alle sole persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale. I lavori che possono essere resi dai prestatori (anche per più famiglie) sono unicamente i piccoli lavori domestici (compresi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione), l’assistenza domiciliare ai bambini, persone anziane, ammalate o con disabilità, l’insegnamento privato supplementare. Di conseguenza non sarà, per esempio, possibile utilizzare il l Libretto di famiglia da parte di un condominio (che non è persona fisica e sarà trattato come tutti gli altri utilizzatori).

Escluse da questi contratti le imprese che operano in edilizia e affini, attività di escavazione, lavorazione di materiale lapideo e in miniere, cave e torbiere. Il Cpo non può essere usato nemmeno nell’ambito di esecuzione di appalti di opere o servizi. Per questo progetto l’Inps ha attivato una piattaforma digitale: dove chi li utilizza deve registrarsi.

Tra i diritti del lavoratore: un riposo giornaliero, pause e riposi settimanali; assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali; assicurazione per invalidità e vecchiaia, con iscrizione alla gestione separata. I compensi sono: esenti da tassazione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno e non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato. Il «Libretto di famiglia» può essere usato solo per lavori domestici, inclusi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione; assistenza domiciliare a bambini e persone anziane, malate o disabili; insegnamento privato supplementare. Il Cpo, invece, riguarda professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, oltre che imprese agricole e Pa.

Il concetto di occasionalità della prestazione è definito dal limite economico senza che ci sia una distinzione tra libretto famiglia e contratto di prestazione occasionale. Nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) è consentito acquisire prestazioni di lavoro occasionale:

per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, compensi di importo non superiore a 2.500 euro.

Questi importi sono al netto di contributi e oneri di gestione.

Per il collaboratore domestico, il primo passo che deve svolgere per usufruire del nuovo strumento contrattuale è lo stesso del datore di lavoro: si deve registrare sulla piattaforma digitale dell’Inps (www.inps.it alla voce «Prestazioni occasionali» ). A lui spetta decidere come ricevere il compenso: accredito su un conto corrente fornendo l’iban, su un libretto postale o su una carta di credito abilitata. Infine il lavoratore può scegliere anche un bonifico domiciliato da riscuotere agli sportelli postali.

Ciascun lavoratore può incassare massimo 5 mila euro l’anno e il limite è di 2 mila e 500 per un solo datore di lavoro. Stessa cosa vale al contrario: ciascun datore di lavoro può raggiungere un importo complessivo non superiore a 5 mila euro. Limiti ci sono anche per la durata della prestazione che in un anno (calcolato dal 1° gennaio al 31 dicembre) non può superare le 280 ore complessive. Per il Libretto famiglia il compenso minimo stabilito è di 10 euro lordi all’ora, 8 netti.

Il datore di lavoro, dopo essersi registrato sul portale dell’Inps, dovrà versare una somma di denaro che formerà il suo portafoglio elettronico per pagare compenso, contributi e oneri di gestione. Inoltre il datore di lavoro, se si tratta di un «Lf», deve comunicare la prestazione entro il giorno 3 del mese successivo alla prestazione. Se si tratta di un «Cpo» invece almeno 60 minuti prima della prestazione. Il lavoratore sarà a sua volta avvisato con mail o sms.

Come registrarsi
Sul piano degli adempimenti, per accedere al Libretto di Famiglia è prevista la registrazione obbligatoria per l’utilizzatore e il prestatore sulla piattaforma informatica dell’Inps (www.inps.it). Adempimenti che potranno essere svolti anche dagli intermediari abilitati (legge 12/1979 e patronati) appena sono pronte le funzionalità (entro fine luglio). In fase di registrazione bisognerà scegliere se accedere al libretto famiglia o al contratto per prestazioni occasionali. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento con un valore nominale di 10 euro, utilizzabili per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Per ciascun titolo di pagamento erogato sono dovuti la contribuzione all’Inps (1,65 euro), il premio Inail (0,25 euro) e gli oneri gestionali (0,10 euro). Il compenso orario è dunque pari a 8 euro.

Per il Cpo il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36 euro netti, che è la retribuzione minima per 4 ore di lavoro. Questo vale anche se la prestazione ha una durata inferiore. Per le ore successive il compenso è di 9 euro l’ora, ai quali si devono aggiungere gli oneri a carico del datore di lavoro e un’addizionale dell’1% per gli oneri di gestione della prestazione e dell’erogazione del compenso. Il costo totale diventa quindi di 12,29 euro.

Le eccezioni
Si applica anche alle famiglie (come utilizzatori) la particolarità di calcolo del limite di compenso annuo se impiegano pensionati, giovani con meno di 25 anni, persone disoccupate o percettori di prestazione di sostegno al reddito. Per loro il computo sarà ridotto (75% dei compensi erogati) a favore dell’utilizzatore, ma non per il prestatore. In altre parole, impiegando solamente questi prestatori l’utilizzatore avrà un limite d’importo più elevato (6.667 euro), ma per il lavoratore i limiti rimangono quelli ordinari (2.500 oppure 5.000 euro) senza poterli superare. Come nella pregressa disciplina sui voucher, i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sul suo stato di disoccupato e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.


lunedì 10 luglio 2017

APe volontaria e APe sociale, requisiti e beneficiari a confronto




L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps a lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. La domanda all’Inps per questa tipologia di pensione anticipata dovrà essere presentata nella finestra temporale compresa tra il 1 maggio e il 30 giugno 2017. Tale finestra sarà valida per tutti coloro che raggiungeranno i requisiti richiesti per l’accesso entro il 31 dicembre 2017.

Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

Le certezze definitive si avranno solo con i decreti attuativi sull’APe volontaria, che sono ancora attesi, ma comunque sia le regole applicative sull’APe sociale hanno già chiarito tutti i dubbi relativi alle differenze di requisiti per l’accesso alle due indenità. Il punto in comune è rappresentato dai 63 anni di età, che sono sempre necessari sia per il diritto all’Ape sociale sia per quello all’APe volontaria.

Il requisito contributivo invece è più alto per l’APe sociale. Per l’anticipo pensionistico di mercato bastano 20 anni di contributi, per quello pagato dallo stato ce ne vogliono 30 (disoccupati, caregiver, lavoratori con disabilità al 74%), oppure 36 (mansioni gravose).

Il tempo che manca all’età per la pensione di vecchiaia è un paletto che riguarda solo l’APe volontaria, mentre non è previsto per l’APe sociale: quindi, per l’accesso all’APe volontaria non possono mancare più di tre anni e sette mesi alla maturazione del requisito per la pensione di vecchiaia. Per l’APe sociale non è previsto alcun paletto. Sono in realtà allo studio meccanismi per prevedere una flessibilità nell’applicazione del requisito dei 3 anni e 7 mesi per l’APe volontaria, per armonizzare la legge agli scatti sulle aspettative di vita (che non possono essere calcolati in anticipo, ma che potrebbero poi allungare la distanza dalla pensione). Per questi dettagli, bisogna attendere il decreto applicativo. Un’altra differenza relativa al rapporto fra APe e maturazione della pensione, è che l’APe volontaria è utilizzabile esclusivamente per raggiungere la pensione di vecchiaia (con scelta non più revocabile), mentre l’APe sociale si interrompe nel caso in cui, prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia, il lavoratore maturi il diritto a pensione anticipata.

In entrambi i casi, è previsto che l’assegno venga calcolato sulla base della pensione maturata nel momento della richiesta. Ma gli importi sono diversi. Nel caso dell’APe sociale c’è un tetto a 1500 euro lordi. Nel caso dell’APe volontaria, invece, è previsto che l’assegno maturato sia pari ad almeno 1,4 volte il minimo (700 euro lordi). Quindi, questo ultimo trattamento (l’Ape volontario) non può essere inferiore a 700 euro lordi, mentre l’Ape sociale non può superare i 1500 euro. Attenzione: è possibile che i decreto attuativi sull’APe volontario permettano di sommare le due indennità, consentendo quindi a chi avrebbe maturato un assegno più alto di 1500 euro di chiedere la differenza sotto forma di APe volontaria. In questo caso, la somma sarà poi da restituire con rate ventennali.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Infine, l’APe volontario è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti (fra quelle contenute nell’allegato alla Legge di Bilancio).




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog