martedì 25 luglio 2017

Srl semplificata, requisiti, costituzione e costi




Mettersi in gioco iniziando un’attività sotto la veste di imprenditori sembra essere una scelta meno difficile ed onerosa da attuare rispetto che in passato. Considerate le interessanti opportunità di abbattimento delle barriere all'ingresso, con tutti i vantaggi che la normativa sulle S.r.l. semplificate prevede in termini di diminuzione dei costi e degli oneri notarili e camerali normalmente previsti per altre forme di società di capitali e/o di persone, appare estremamente allettante la possibilità di realizzare una società con questa peculiare forma giuridica.

La disciplina sulle Srl a 1 euro, per chi vuole aprire una società a responsabilità limitata semplificata, è stata conclusa con il Decreto Lavoro 2013, che ha eliminato alcuni paletti lasciando intatte tutte le agevolazioni in materia di minori costi di avvio ma anche di statuto standard – integrabile ma inderogabile rispetto ai suoi tratti distintivi.

Vediamo dunque come aprire una S.r.l. semplificata e quanto costa.

Requisiti per aprire una Srls
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e contenere i dati anagrafici e requisiti della società:

La denominazione sociale contiene l’indicazione di società a responsabilità limitata.

Il capitale sociale è compreso fra uno e 9.999 euro, è sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve essere in denaro e versato all’organo amministrativo.

Vanno indicati gli amministratori (che, rispetto alla regola originaria, non devono più essere soci).

Costi di costituzione

Versamento capitale – da Euro 1 a euro 9.999. N.B. – la disciplina vigente impone l’obbligo di sottoscrivere e versare interamente il capitale sociale scelto nei limiti di legge dai soci al momento della costituzione della società.

Bolli e diritti – circa 150 euro (da verificare, vi sono poi eventuali bolli per copie conformi e tasse archivio notarile);

Imposta di registro – 200 euro;

Tassa Concessione GG. Vidimazione libri sociali – 309,87 euro da versare con bollettino postale
Vidimazione libri sociali – marca da bollo di 16 euro ogni 100 facciate (in genere 200 fogli, quindi 32 euro); il costo per la vidimazione varia, in Camera di Commercio si versa un diritto fisso di 25 euro;

P.E.C. per iscrizione alla CCIAA – a partire da 5 Euro con ARUBA;

Inizio attività – se non contestuale il costo varia in base al professionista che istruisce la pratica; i diritti di segreteria sono di 30 euro;

Non si paga. Per l’atto costitutivo, il notaio controlla i requisiti senza chiedere onorari ed entro 20 giorni deposita l’atto presso l’Ufficio del Registro Imprese tramite software ComUnica, senza spese per i diritti di segreteria e bollo.

Si paga. I costi dovuti sono il diritto annuale alla Camera di Commercio, l’imposta di registro, la denuncia inizio attività.

Un discorso a parte meritano i costi relativa alla tassa di concessione governativa per i libri sociali. Per le Srls, infatti, c’è l’obbligo di contabilità ordinaria, nonché di deposito del bilancio di esercizio presso il registro imprese e di tenuta dei libri sociali.

In totale quindi io costi si aggirano in media intorno ai 650 euro per la costituzione (a fronte dei circa 1400 euro minimi stimati per la costituzione di una SRL), che posso ulteriormente ridursi nel caso di startup innovativa.

Srl a un euro: tutte le regole in dettaglio
Le società a 1 euro sono oggi identificate con le Srls, che hanno inglobato, unificandole, le ex-Srl a capitale ridotto, subendo nel tempo una serie di modifiche in ottica di una maggiore flessibilità per quanto riguarda:

Statuto;

età dei soci;

aumenti di capitale;

trasformazione societaria.

L’atto costitutivo può contenere le seguenti voci aggiuntive, purché non incidano sulla legittimità dell’atto costitutivo né sulla validità delle clausole stesse:

eventuali clausole su durata della società, scelta del modello di amministrazione (collegiale, unipersonale, pluripersonale congiunta o disgiunta), previsione della possibilità di decisioni non assembleari;

dichiarazioni, menzioni e attestazioni di carattere formale, con particolare riguardo a quelle richieste dalla legge notarile in ordine all’intervento delle parti, alla loro capacità e ad altri aspetti della formazione dell’atto pubblico;

dichiarazioni che le parti rivolgono al notaio al fine della redazione della domanda di iscrizione della società nel registro delle imprese, quali ad esempio l’indicazione dell’indirizzo della sede sociale, o la data di scadenza degli esercizi sociali;

clausole meramente riproduttive di norme di legge, anche redatte in documento separato, eventualmente contenente anche gli elementi non contingenti e transitori dell’atto costitutivo.

Età dei soci
Il vecchio requisito della soglia massima dei 35 anni di età, inizialmente necessario per diventare socio di una società a responsabilità limitata semplificata, è stato abolito

Aumenti di capitale
Le Srl semplificate hanno l’obbligo di versare completamente, in denaro, il capitale (da uno a 10mila euro, superati i quali bisogna cambiare forma societaria). Ma l’obbligo di attribuzione in denaro non vale per gli aumenti di capitale, che si può aumentare fino ai 10mila euro senza obbligo integrale di versamento in denaro. Le operazioni di aumento di capitale sono disciplinate dalle norme dettate per la Srl ordinaria Questo vale anche in caso di perdite:  in materia di ricostituzione del capitale in presenza di perdite che superano un terzo (articoli 2482-bis e 2482-ter del codice civile), con riferimento ai valori di capitale richiesto per srls (da 1 a 10mila euro).

Trasformazione in Srl ordinaria
E’ possibile modificare lo statuto per passare da Srl semplificata a ordinaria ma serve che l’atto costitutivo (o Statuto) risultante dalle modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione e che siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci. Per quanto riguarda in particolare il passaggio da Srl semplificata alla forma di Srl ordinaria, è necessario il contestuale aumento del capitale sociale ad almeno 10mila euro, con modalità analoghe a quanto avviene in caso di trasformazione di una S.r.l. (con capitale inferiore a euro 120.000) in SpA, senza che risulti necessario accertare il valore del patrimonio sociale mediante una relazione di stima. Quindi, non è necessaria la perizia di stima del patrimonio sociale che, invece, è per esempio richiesta nel caso di trasformazione di una società di persone in Srl. Questo perché in sostanza si rimane all’interno della disciplina della stessa tipologia societaria, la Srl.

Passaggio da Srl ordinaria
Infine nel caso opposto, di passaggio da Srl ordinaria a Srls, è necessario ridurre il capitale sociale sotto i 10mila euro. Ne consegue che il passaggio può essere deliberato:

con efficacia immediata (salva l’iscrizione nel registro delle imprese) in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, anche ai sensi dell’art. 2482-ter del codice civile;

con efficacia subordinata al decorso del termine di 90 giorni nel caso in cui la riduzione del capitale sociale avvenga in base all‘art 2482 del codice civile (rimborso ai soci).



lunedì 24 luglio 2017

Lavoro intermittente: legittimo licenziare il lavoratore che compie 25 anni



La disciplina italiana sul lavoro intermittente non viola la disciplina europea in materia di divieti di discriminazioni dei lavoratori in ragione della loro età.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 19 luglio 2017, C‐143/16, ritiene che il datore di lavoro può essere autorizzato a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e a licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, quando tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e i mezzi per conseguire tale finalità sono appropriati e necessari.

Il caso dei giovani commessi di Abercrombie & Fitch è arrivato davanti alla Corte Ue. A portarcelo era stato un giovane assunto nel 2010 e poi licenziato al compimento dei 25 anni. Il lavoratore era stato assunto nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato il 1° gennaio 2012. Il 26 luglio di quell'anno, però, era stato licenziato perché compiva 25 anni.

Il lavoratore si era opposto a tale decisione e la Corte di appello di Milano gli aveva dato ragione ritenendo discriminatorio il licenziamento e imponendo all'azienda di riassumere il ragazzo.

La Cassazione aveva successivamente deciso di sollevare davanti alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale, chiedendo se fosse compatibile con il diritto dell’Unione la normativa italiana (Dlgs 276/2003) secondo cui il contratto di lavoro intermittente può riguardare soltanto lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore a 45.

I giudici europei hanno deciso che la legge italiana non contrasta con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000. Secondo i giudici «la facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare detto lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità».

La Corte non nega che la licenziabilità del lavoratore intermittente al compimento del venticinquesimo anno introduca una differenza di trattamento fondata sull’età. «Tuttavia - spiegano i giudici Ue - tale differenza di trattamento è giustificata dalla finalità di favorire l’occupazione giovanile. Infatti, i giovani sotto i 25 anni sono normalmente penalizzati sul mercato del lavoro dall'assenza di esperienza professionale. Per controbilanciare tale situazione, il contratto intermittente riservato agli infraventicinquenni consente agli stessi non tanto di ottenere un lavoro stabile quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro».

I giudici europei, insomma, alla luce di quanto sopra ritengono ragionevole la scelta del legislatore italiano di prevedere una simile tipologia contrattuale, compiuta in ragione dell'ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri nel perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e dell'occupazione e nel definire le misure atte a realizzarlo. La direttiva 2000/78 è rispettata.

Secondo i magistrati europei la previsione, per il datore di lavoro, della facoltà di concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da eseguire, e di licenziare il lavoratore al compimento del venticinquesimo anno, “persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per conseguire tale finalità”.

I magistrati sostengono anche che ai lavoratori intermittenti, nei periodi di lavoro, è garantito un trattamento complessivamente “non meno favorevole” rispetto a quello di un lavoratore stabile con mansioni equivalenti. Dunque, in sintesi “nella la misura in cui il limite di venticinque anni di età sia da considerarsi uno strumento appropriato e necessario a raggiungere i richiamati obiettivi di politica occupazionale, deve considerarsi legittimo nel quadro nell'ordinamento dell’Unione”.


mercoledì 12 luglio 2017

Dal 10 luglio 2017 i nuovi voucher: Libretto di famiglia e Contratto di prestazione occasionale




Al posto dei vecchi e super abusati bonus, ecco il Libretto di famiglia e il «Contratto di prestazioni occasionali» che può essere usato solo da imprese con meno di 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato. Al loro posto ci sono il Libretto di famiglia (Lf)   e il Contratto di prestazione occasionale (Cpo). Il primo va usato quando il datore di lavoro è una persona fisica. Il secondo per imprese e liberi professionisti che hanno non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato in azienda.

L’ambito familiare è definito e limitato alle sole persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale. I lavori che possono essere resi dai prestatori (anche per più famiglie) sono unicamente i piccoli lavori domestici (compresi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione), l’assistenza domiciliare ai bambini, persone anziane, ammalate o con disabilità, l’insegnamento privato supplementare. Di conseguenza non sarà, per esempio, possibile utilizzare il l Libretto di famiglia da parte di un condominio (che non è persona fisica e sarà trattato come tutti gli altri utilizzatori).

Escluse da questi contratti le imprese che operano in edilizia e affini, attività di escavazione, lavorazione di materiale lapideo e in miniere, cave e torbiere. Il Cpo non può essere usato nemmeno nell’ambito di esecuzione di appalti di opere o servizi. Per questo progetto l’Inps ha attivato una piattaforma digitale: dove chi li utilizza deve registrarsi.

Tra i diritti del lavoratore: un riposo giornaliero, pause e riposi settimanali; assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali; assicurazione per invalidità e vecchiaia, con iscrizione alla gestione separata. I compensi sono: esenti da tassazione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno e non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato. Il «Libretto di famiglia» può essere usato solo per lavori domestici, inclusi quelli di giardinaggio, pulizia o manutenzione; assistenza domiciliare a bambini e persone anziane, malate o disabili; insegnamento privato supplementare. Il Cpo, invece, riguarda professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, oltre che imprese agricole e Pa.

Il concetto di occasionalità della prestazione è definito dal limite economico senza che ci sia una distinzione tra libretto famiglia e contratto di prestazione occasionale. Nel corso di un anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) è consentito acquisire prestazioni di lavoro occasionale:

per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, compensi di importo non superiore a 2.500 euro.

Questi importi sono al netto di contributi e oneri di gestione.

Per il collaboratore domestico, il primo passo che deve svolgere per usufruire del nuovo strumento contrattuale è lo stesso del datore di lavoro: si deve registrare sulla piattaforma digitale dell’Inps (www.inps.it alla voce «Prestazioni occasionali» ). A lui spetta decidere come ricevere il compenso: accredito su un conto corrente fornendo l’iban, su un libretto postale o su una carta di credito abilitata. Infine il lavoratore può scegliere anche un bonifico domiciliato da riscuotere agli sportelli postali.

Ciascun lavoratore può incassare massimo 5 mila euro l’anno e il limite è di 2 mila e 500 per un solo datore di lavoro. Stessa cosa vale al contrario: ciascun datore di lavoro può raggiungere un importo complessivo non superiore a 5 mila euro. Limiti ci sono anche per la durata della prestazione che in un anno (calcolato dal 1° gennaio al 31 dicembre) non può superare le 280 ore complessive. Per il Libretto famiglia il compenso minimo stabilito è di 10 euro lordi all’ora, 8 netti.

Il datore di lavoro, dopo essersi registrato sul portale dell’Inps, dovrà versare una somma di denaro che formerà il suo portafoglio elettronico per pagare compenso, contributi e oneri di gestione. Inoltre il datore di lavoro, se si tratta di un «Lf», deve comunicare la prestazione entro il giorno 3 del mese successivo alla prestazione. Se si tratta di un «Cpo» invece almeno 60 minuti prima della prestazione. Il lavoratore sarà a sua volta avvisato con mail o sms.

Come registrarsi
Sul piano degli adempimenti, per accedere al Libretto di Famiglia è prevista la registrazione obbligatoria per l’utilizzatore e il prestatore sulla piattaforma informatica dell’Inps (www.inps.it). Adempimenti che potranno essere svolti anche dagli intermediari abilitati (legge 12/1979 e patronati) appena sono pronte le funzionalità (entro fine luglio). In fase di registrazione bisognerà scegliere se accedere al libretto famiglia o al contratto per prestazioni occasionali. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento con un valore nominale di 10 euro, utilizzabili per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora. Per ciascun titolo di pagamento erogato sono dovuti la contribuzione all’Inps (1,65 euro), il premio Inail (0,25 euro) e gli oneri gestionali (0,10 euro). Il compenso orario è dunque pari a 8 euro.

Per il Cpo il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36 euro netti, che è la retribuzione minima per 4 ore di lavoro. Questo vale anche se la prestazione ha una durata inferiore. Per le ore successive il compenso è di 9 euro l’ora, ai quali si devono aggiungere gli oneri a carico del datore di lavoro e un’addizionale dell’1% per gli oneri di gestione della prestazione e dell’erogazione del compenso. Il costo totale diventa quindi di 12,29 euro.

Le eccezioni
Si applica anche alle famiglie (come utilizzatori) la particolarità di calcolo del limite di compenso annuo se impiegano pensionati, giovani con meno di 25 anni, persone disoccupate o percettori di prestazione di sostegno al reddito. Per loro il computo sarà ridotto (75% dei compensi erogati) a favore dell’utilizzatore, ma non per il prestatore. In altre parole, impiegando solamente questi prestatori l’utilizzatore avrà un limite d’importo più elevato (6.667 euro), ma per il lavoratore i limiti rimangono quelli ordinari (2.500 oppure 5.000 euro) senza poterli superare. Come nella pregressa disciplina sui voucher, i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione fiscale, non incidono sul suo stato di disoccupato e sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.


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