domenica 9 novembre 2014

Contratto a tempo determinato si cambia entro dicembre 2014



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.

Quale è il vantaggio che offre, invece, un contratto di lavoro a tempo determinato? Sicuramente, tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato.

Il contratto di lavoro a tempo determinato, inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro con la percezione di un reddito adeguato per la pianificazione della propria vita, può costituire espressione della c.d.“flessibilità buona” per il lavoratore e per il datore di lavoro.

I chiarimenti in merito alle trasformazioni di contratti di lavoro a tempo determinato e alle sanzioni che verranno applicate in caso di superamento dei limiti.

Il Dl n.34/14 ha imposto nuove regole in termini di limite massimo di contratti a termine che può stipulare un’azienda ma, in caso di rapporti di lavoro già in essere prima dell’entrata in vigore del Decreto, alle aziende che sforano il tetto del 20% di contratti a tempo determinato non verranno applicate sanzioni amministrative.

I datori di lavoro che al 21 marzo 2014 avevano già in essere un numero di contratti a termine oltre il tetto limite del 20% consentito dall’attuale legge dovranno mettersi in regola entro il 31 dicembre 2014. Dopo tale scadenza ai datori di lavoro fuori norma verrà impedita la possibilità di avviare ulteriori rapporti a termine fino a quando non rientrerà nel limite percentuale, ma non verrà applicata la sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro (art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001).

Ricordiamo che ai fini del calcolo del tetto limite di contratti a termine stipulati è necessario fare riferimento ai contratti di lavoro in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione escluse tutte le forme di lavoro non subordinato, mentre non rilevano tutte le successive variazioni in aumento o in diminuzione della forza lavoro che intervengono in corso di anno, e che per i datori che occupano fino a 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?

Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento. Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi

intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.

Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.

Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – i cui introiti confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e formazione - a carico del datore di lavoro pari:

al  20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;

al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.

Si parla, quindi, di contratto a termine a-causale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.

Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

La contrattazione collettiva può tuttavia stabilire:

un termine di rientro più favorevole per il datore di lavoro, rispetto a quello del 31 dicembre;

un limite quantitativo meno restrittivo del 20%;

una durata complessiva del rapporto a termine (comprensiva di proroghe e rinnovi) superiore al tetto legale dei 36 mesi, stabilito con la stessa norma di revisione del tempo determinato, prevedendo la possibilità di stipulare contratti a termine privi di causale nel limite di 36 mesi, proroghe incluse.

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