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mercoledì 25 febbraio 2015

Lavoro a tempo parziale in straordinario senza causale



Novità sul lavoro a tempo parziale: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Le parti possono pattuire clausole elastiche (che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part time verticale o misto).

Modifiche più formali che sostanziali per il contratto a tempo parziale. I cambiamenti sostanziali riguardano soprattutto le prestazioni supplementari, le clausole elastiche e flessibili, il diritto di precedenza e/o di trasformazione del rapporto, con la conseguenza di rendere meno rigido questo tipo di contratto.

È stata introdotta una maggiore liberalizzazione con riferimento alle causali che consentono di chiedere prestazioni supplementari. È stato infatti confermato che i contratti collettivi possono stabilire il numero massimo di ore di lavoro supplementare e le conseguenze del suo superamento, ma è stata è stata eliminata la previsione che possano anche individuare le relative causali. Se lo faranno (e sicuramente continueranno a farlo) la disposizione avrà pertanto valore contrattuale e non legale.

È stata inoltre disciplinata l’ipotesi (in realtà molto rara) in cui il contratto collettivo non si occupi delle prestazioni supplementari. In questo caso il datore di lavoro potrà richiederle in misura non superiore al 15% delle ore settimanali concordate, da compensare con una maggiorazione della quota oraria pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retribuiti indiretti e differiti.

Resta invece confermato il principio secondo cui il lavoro supplementare può essere chiesto solo in presenza di un contratto a tempo parziale di tipo orizzontale (articolo 4, comma 1) mentre se è di tipo verticale o misto è possibile richiedere prestazioni di lavoro straordinario (articolo 4, comma 6). Considerata la riscrittura della norma, sarebbe stato opportuno eliminare queste precisazioni poco comprensibili.

Anche in questo caso è stata disciplinata l’ipotesi in cui il contratto collettivo non contenga specifiche previsioni sulle clausole elastiche e flessibili. Non è preclusa alle parti la possibilità di stipulare accordi in tal senso, a condizione che gli stessi siano definiti davanti alle commissioni di certificazione (articolo 76 del Dlgs 276/2003) e che contengano, a pena di nullità, le seguenti previsioni:

condizioni e modalità con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione (clausola flessibile) e variare in aumento la durata della stessa;

preavviso di almeno due giorni lavorativi;

la durata massima dell’aumento (in caso di clausole elastiche) non può eccedere il 25% della normale prestazione annua a tempo parziale;

diritto del lavoratore a percepire una maggiorazione pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti indiretti e differiti. Quest’ultima precisazione dovrebbe riguardare solo le ore in più (clausola elastica) e non le ore svolte in orari diversi (clausole flessibili).

È stata eliminata la disposizione secondo la quale il contratto individuale poteva prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei dipendenti già assunti a tempo parziale, in attività presso unità produttive situate nello stesso ambito comunale e adibiti alle stesse mansioni o equivalenti.

Resta invece confermato il diritto di richiedere la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno per il lavoratore che precedentemente aveva trasformato in senso inverso. Il diritto sussiste in caso di assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

Nuovo è invece il diritto alla trasformazione riconosciuto al genitore con figlio convivente di età non superiore a 13 anni. Il comma 7 dell’articolo 6 prevede che il lavoratore può chiedere (per una sola volta) in luogo del congedo parentale la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo corrispondente a quello del congedo con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento.

Infine il diritto alla trasformazione del rapporto a tempo parziale, riconosciuto dall'articolo 12 bis del decreto legislativo 61/2000, ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o ai lavoratori che devono assistere familiari affetti da patologie oncologiche, è stato esteso in presenza di «gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti».

L’intervento operato con lo schema di decreto legislativo di riordino delle forme contrattuali nell’ambito del Jobs act punta a definire le norme generali che regolano il rapporti di lavoro a tempo parziale anche quando quest’ultimo non è oggetto della contrattazione collettiva (situazione peraltro non molto diffusa). Il Dlgs interviene quindi in particolare sulle prestazioni supplementari, cioè quelle ore di lavoro in più rispetto all'orario ridotto ma entro il limite settimanale a tempo pieno, sulle clausole elastiche e flessibili (quando e quanto si lavoro), sulla possibilità per il dipendente di chiedere la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale e viceversa.



domenica 9 novembre 2014

Contratto a tempo determinato si cambia entro dicembre 2014



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.

Quale è il vantaggio che offre, invece, un contratto di lavoro a tempo determinato? Sicuramente, tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato.

Il contratto di lavoro a tempo determinato, inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro con la percezione di un reddito adeguato per la pianificazione della propria vita, può costituire espressione della c.d.“flessibilità buona” per il lavoratore e per il datore di lavoro.

I chiarimenti in merito alle trasformazioni di contratti di lavoro a tempo determinato e alle sanzioni che verranno applicate in caso di superamento dei limiti.

Il Dl n.34/14 ha imposto nuove regole in termini di limite massimo di contratti a termine che può stipulare un’azienda ma, in caso di rapporti di lavoro già in essere prima dell’entrata in vigore del Decreto, alle aziende che sforano il tetto del 20% di contratti a tempo determinato non verranno applicate sanzioni amministrative.

I datori di lavoro che al 21 marzo 2014 avevano già in essere un numero di contratti a termine oltre il tetto limite del 20% consentito dall’attuale legge dovranno mettersi in regola entro il 31 dicembre 2014. Dopo tale scadenza ai datori di lavoro fuori norma verrà impedita la possibilità di avviare ulteriori rapporti a termine fino a quando non rientrerà nel limite percentuale, ma non verrà applicata la sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro (art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001).

Ricordiamo che ai fini del calcolo del tetto limite di contratti a termine stipulati è necessario fare riferimento ai contratti di lavoro in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione escluse tutte le forme di lavoro non subordinato, mentre non rilevano tutte le successive variazioni in aumento o in diminuzione della forza lavoro che intervengono in corso di anno, e che per i datori che occupano fino a 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?

Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento. Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi

intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.

Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.

Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – i cui introiti confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e formazione - a carico del datore di lavoro pari:

al  20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;

al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.

Si parla, quindi, di contratto a termine a-causale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.

Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

La contrattazione collettiva può tuttavia stabilire:

un termine di rientro più favorevole per il datore di lavoro, rispetto a quello del 31 dicembre;

un limite quantitativo meno restrittivo del 20%;

una durata complessiva del rapporto a termine (comprensiva di proroghe e rinnovi) superiore al tetto legale dei 36 mesi, stabilito con la stessa norma di revisione del tempo determinato, prevedendo la possibilità di stipulare contratti a termine privi di causale nel limite di 36 mesi, proroghe incluse.

mercoledì 19 marzo 2014

Nuovo contratto unico: indeterminato ma in prova per tre anni



La riforma del lavoro che il nuovo governo si appresterebbe a varare ha al centro un nuovo contratto unico di inserimento. Ancora da precisare in molti dettagli decisivi, ma con alcuni caratteri già definiti. Il primo: essere limitato a una certa fascia di età, probabilmente al di sotto dei 34 anni, per favorire l’impiego dei giovani. Il secondo: la tipologia a tempo indeterminato, con la possibilità però per le aziende di interrompere il rapporto nei primi tre anni a fronte di un indennizzo economico proporzionato al lavoro svolto. In pratica, verrebbe temporaneamente sospesa l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegra nel posto di lavoro per i licenziamenti privi di giustificazione.

L’ipotesi è quella prevista dal Jobs Act: contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, ossia senza la protezione dell’articolo 18 (reintegro) per il primo periodo di assunzione. In pratica, è come se l’attuale periodo di prova, in genere di pochi mesi, fosse esteso a qualche anno, per dare al datore di lavoro il tempo di valutare il rapporto costi/benefici dell’assunzione garantendo però alla fine un contratto stabile al dipendente. Al momento si parla di tre anni.

E le altre forme contrattuali oggi utilizzate? Si parla di contratto unico a tempo indeterminato ma a conti fatti sembra più una riforma di quello attuale, visto che non soltanto rimarrà anche il contratto a tempo determinato – si ipotizza per i contratti a termine una estensione a 36 mesi del periodo di assunzione senza causale (attualmente un anno) – ma rimarrà anche quello da co.co.pro. A confermarlo è la riforma degli ammortizzatori sociali allo studio, che per l’appunto medita di estendere il sussidio di disoccupazione anche a queste figure.

Si pensa di garantire un trattamento massimo di due anni anche ai collaboratori a progetto. Per questo scopo servono 9,5 miliardi che teoricamente ci sarebbero: l’ipotesi è di sommare ai 7,1 mld già erogati per ASPI e Mini ASPI i 2,4 mld per gli ammortizzatori in deroga visto che, nonostante la Legge Fornero li preveda fino al 2018, sarebbero sostituiti dal nuovo sussidio. In pratica resterebbe la cassa integrazione ordinaria (destinata a sostenere le aziende in difficoltà con un piano per uscire dalla crisi), mentre verrebbe ridotta la cig in deroga (magari attraverso un meccanismo graduale). Su questo punto si servirà un confronto con le parti sociali, sindacati in primis. Ricordiamo che all‘attuale ASPI hanno diritto i dipendenti anche a tempo determinato per 12-18 mensilità a seconda dell’anzianità lavorativa. I co.co.pro non vi accedono ma percepiscono indennità in base a contributi versati e ai minimali annui (massimo 6mila euro per sei mesi di lavoro).

La scelta di orientarsi verso un contratto unico – nelle diverse declinazioni messe a punto da Pietro Ichino e da Tito Boeri e Pietro Garibaldi  intende rispondere da un lato al dramma di una disoccupazione giovanile oltre il 40% e dall’altro al fenomeno del precariato, cercando di indirizzare le assunzioni verso un unico canale a tempo indeterminato. Secondo l’ultimo monitoraggio dei flussi occupazionali, infatti, i contratti “standard” sono calati ad appena il 15,4% delle assunzioni, il 5,9% sono le collaborazioni a progetto, mentre la gran parte delle assunzioni, il 69,3%, avviene con contratti a termine (in realtà, in un anno si ripetono molte più assunzioni a tempo anche sulla stessa persona e dunque il loro peso nei flussi è percentualmente assai più rilevante di quanto non siano in realtà i lavoratori temporanei sul totale degli occupati, circa il 15%).



sabato 15 marzo 2014

Piano lavoro: le nuove regole per i contratti a tempo determinato




Con l’entrata in vigore del decreto legge - riporta una nota del ministero del Lavoro - «il datore può sempre instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato senza causale, nel limite di durata di trentasei mesi. Viene così superata la precedente disciplina che limitava tale possibilità solo al primo rapporto di lavoro a tempo determinato. La possibilità di prorogare un contratto a termine in corso di svolgimento è sempre ammessa, fino ad un massimo di 8 volte nei trentasei mesi». Resta immutata «quale unica condizione per le proroghe, il fatto che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato».

Modifiche alla bozza di decreto legge del piano Renzi che semplifica contratti a termine e apprendistato. Il ministero chiarisce che con l'entrata in vigore del decreto legge il datore di lavoro «può sempre instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato senza causale, nel limite di durata di trentasei mesi. Viene così superata la precedente disciplina che limitava tale possibilità solo al primo rapporto di lavoro a tempo determinato».

Il ministero ha spiegato che «la possibilità di prorogare un contratto di lavoro a termine in corso di svolgimento è sempre ammessa, fino a un massimo di 8 volte nei trentasei mesi». Unica condizione per le proroghe, «il fatto che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato». Per i contratti a termine limite del 20% per ogni datore di lavoro, il ministero del Lavoro ha chiarito che nell'introdurre il limite del 20% di contratti a termine che ciascun datore di lavoro può stipulare rispetto al proprio organico complessivo, il decreto fa comunque salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7, del Dlgs 368/2001, che da un lato lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo e, dall'altro, tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità.

Infine, per tenere conto delle realtà imprenditoriali più piccole, è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine.

I contratti a tempo determinato potranno essere sempre senza causale fino a 36 mesi. Il ministero del Lavoro conferma quanto anticipato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nella presentazione del Jobs Act. Viene così superata la precedente disciplina che limitava tale possibilità solo al primo rapporto di lavoro a tempo determinato.

Inoltre - sottolinea in una nota il ministero - la possibilità di prorogare un contratto a termine in corso di svolgimento è sempre ammessa, fino ad un massimo di 8 volte nei trentasei mesi". Rimane, "quale unica condizione per le proroghe, il fatto che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato".


domenica 14 luglio 2013

Contratti di lavoro senza causale, modello Expo fino al 31 dicembre 2016



Le aziende chiedono contratti a termine rinnovabili per 3 anni. Senza causali e con soli 5 giorni di stop.

Le aziende dovrebbero avere la possibilità di stipulare con la stessa persona uno o più contratti a termine, per un massimo di 36 mesi, senza dover indicare alcuna causale, ossia alcuna motivazione del nuovo contratto di lavoro. La differenza rispetto alle norme vigenti è considerevole, perché adesso si può fare solo il primo contratto a termine senza indicare la causale e per una durata massima di 12 mesi. Se passasse invece la proposta delle imprese, si potrebbero fare fino a 6 contratti a termine di seguito, dice la bozza di emendamento, per una durata massima complessiva di 36 mesi e con un intervallo tra l'uno e l'altro di soli 5 giorni. Molto meno dei 60 giorni (90 per i contratti di durata superiore a sei mesi) previsti dalla legge Fornero e ridotti a 10 e 20 giorni dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, col decreto legge approvato dal consiglio dei ministri il 28 giugno.

L'obiettivo dichiarato, anche in vista dei lavori eccezionali previsti per Expo 2015, è favorire l'occupazione giovanile, smorzando però oneri e adempimenti. Il fronte degli imprenditori vorrebbe infatti poter stipulare con la stessa persona uno o più contratti a termine, per un massimo di 36 mesi, senza dover indicare una causale specifica.

Quindi si parla di Misure straordinarie per l'occupazione in occasione di Expo 2015» e che prevede, fino al 31 dicembre 2015 (quindi un anno in meno del periodo proposto dalle imprese) 6 interventi: abolizione della causale sui contratti a termine; liberalizzazione dei lavori a chiamata; del lavoro in somministrazione; aumento da 2mila a 5mila euro del limite dei compensi per il lavoro accessorio; contratti a progetto con la causale Expo 2015; ampliamento della possibilità di ricorrere al telelavoro.

Le misure congiunturali devono puntare a realizzare un aumento di contratti a termine che, nel breve periodo, consenta di dare sollievo all'attuale, drammatica situazione dell'occupazione. Ed in questa prospettiva tornano utili anche le assunzioni a termine non finalizzate ad una stabilizzazione, ma ad alleviare temporaneamente le tensioni occupazionali e sociali. In modo dare più speranze ai giovani e al loro rapporto con il mondo del lavoro.

Per fare questo è necessario varare un piano per: a) allungare la durata massima del contratto a termine; b) consentire, nei limiti della durata massima, la prorogabilità del termine iniziale, come del resto avveniva già per il contratto di inserimento che è stato sostituito dal contratto a termine senza causale; c) ridurre gli intervalli che devono intercorrere tra un contratto a termine e quello successivo riportandoli, per legge e non per accordo collettivo, a 10/20 giorni ed azzerandoli per i contratti a termine con finalità sostitutive espressamente individuate; d) sospendere per due anni il contributo addizionale del 1,4% su questi contratti a termine; mantenendo, invece, il vantaggio contributivo (ed aggiungendo quello fiscale) nel caso della loro conversione a tempo indeterminato.



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