venerdì 28 novembre 2014
Le modifiche all'articolo 18 e la nuova riforma del lavoro
L'articolo 18 dell'attuale Statuto dei Lavoratori, va a determinare nel sistema contrattuale italiano la cosiddetta tutela reale, in particolare ne disciplina il caso in cui il licenziamento di un singolo lavoratore è da considerarsi non legittimo, in quanto effettuato senza averne comunicato le motivazioni, oppure perché trattasi di licenziamento ingiustificato o discriminatorio.
E bene ricordare che il parlamento affiderà al governo una delega per intervenire sul mercato del lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali, l’attività ispettiva, gli strumenti di tutela della maternità, ma soprattutto per riorganizzare i contratti, introducendo il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che avrà quindi bisogno di una riscrittura dell’art. 18, e introducendo un salario minimo («anche in via sperimentale»), e aprendo al demansionamento e al controllo a distanza dei lavoratori.
È utile fare un punto sulle differenze introdotte rispetto all’originaria disciplina e alle modifiche già introdotte dalla riforma Fornero. Il nuovo art.18 sarà applicato a chi firmerà un nuovo contratto, con la formula che il governo vorrebbe «prevalente», quello cioè a tempo indeterminato con tutele crescenti. Ci sono però tre tipi di licenziamenti: vediamo come funzionano nelle aziende con più di 15 dipendenti.
L’unico per cui non cambierà nulla è il licenziamento discriminatorio, quello cioè che un giudice stabilirà effettuato per motivi di religione, di orientamento sessuale, politici o sindacali, o ai danni di un lavoratore che si è sposato o che ha goduto di un congedo parentale. In questo caso il giudice dichiara nullo il licenziamento e impone di reintegrare il lavoratore e di corrispondere il pagamento degli stipendi persi dalla data di illegittima estromissione dal posto di lavoro. Era così prima della Fornero, sarà così dopo il Jobs act.
Il secondo tipo è il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo soggettivo, quando cioè la responsabilità, sia legata a fatto specifico o al generale rendimento, viene imputata al lavoratore. Anche in questo caso il licenziamento può essere impugnato dal dipendente davanti a un giudice che dovrà stabilire se il fatto o la responsabilità imputata sussiste o meno. L’onere della prova è a carico del datore di lavoro. Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, prima della riforma Fornero, il lavoratore aveva diritto ad essere reintegrato, nelle imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti mentre per quelle che impiegano un numero inferiori ai 15 dipendenti c'era una sanzione economica da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità.
Con la riforma Fornero si era mantenuto la possibilità di reintegro (solo per le imprese con un numero di lavoratori superiore a 15 dipendenti) ma con una formulazione più stringente e, ovviamente, nel caso in cui i contratti collettivi prevedano una diversa sanzione: non il licenziamento ma, ad esempio, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per alcuni giorni. Negli altri casi un giudice può soltanto condannare il datore di lavoro a pagare al lavoratore una indennità che va da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità. Con il Jobs act, per questi licenziamenti, si vuole ridurre ulteriormente la discrezionalità del giudice.
Quello che cambierà di più è il licenziamento economico, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Prima della Fornero, anche in questo caso, se il datore di lavoro presentava una mutata esigenza produttiva, o una crisi, che il giudice valutava però non tale da giustificare il licenziamento, il lavoratore aveva diritto a ritornare al suo posto. Dopo Elsa Fornero il reintegro può avvenire solo se il motivo si rivela «manifestamente insussistente», con quindi una stretta anche in questo caso, altrimenti il lavoratore avrà diritto a un indennizzo economico compreso tra le 12 e le 24 mensilità.
Il Jobs act non prevede più il reintegro ma, con il contratto a tutele crescenti, vuole proprio evitare che per il licenziamenti economici si ricorra al giudice e quindi stabilirà nei decreti un’indennità prestabilita a cui il lavoratore avrà diritto in caso di licenziamento: crescerà al crescere dell’anzianità di servizio. Quindi con il contratto a tutele crescenti, le nuove regole escludono per i licenziamenti economici la possibilità della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegra ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato (prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento). Saranno i decreti delegati a dover recepire questi principi. Con i decreti delegati dovrebbe arrivare, in sostanza, una tipizzazione delle fattispecie per arginare la discrezionalità dei giudici.
Obiettivo della delega è il riordino delle tipologie contrattuali esistenti. Per le nuove assunzioni ci sarà un contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti in base all'anzianità di servizio. Mentre si punta a una riduzione delle altre forme contrattuali, a partire dai cocopro.
Il ddl delega parla di «universalizzazione» il sussidio di disoccupazione dell'Aspi (Assicurazione sociale per l'impiego), con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (fino al superamento di questa forma contrattuale). L'obiettivo è di estendere questa tutela a una platea di almeno 300mila collaboratori, compresi quelli con carriere molto discontinue (3-4 mesi di contratti in due anni). Verranno unificate Aspi e mini-Aspi, rapportando la durata del trattamento «alla pregressa storia contributiva del lavoratore». Ci sarà anche un incremento della durata massima del sussidio per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti.
Le nuove regole previste dalla delega per la «disciplina dei controlli a distanza» delle attività produttive sono soft. Il governo potrà aprire all'uso delle telecamere o altre strumentazioni tecnologiche sui luoghi di lavoro che oggi sono espressamente vietate dallo Statuto dei lavoratori. Ma i controlli dovranno essere sui macchinari. Previsto un ruolo speciale delle commissioni parlamentare sulla verifica dei testi dei decreti delegati.
Si punta ad eliminare la cassa integrazione in caso di «cessazione di attività aziendale o di un ramo» della stessa. Ma le cessazioni dovranno essere «definitive». Quindi se sussistono concrete prospettive di proseguimento o di ripresa dell'attività l'erogazione della cassa integrazione potrà proseguire.
L'articolo 13 dello Statuto dei lavoratori prevede oggi che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La delega prevede, invece, la possibilità di una nuova disciplina delle mansioni, contemperando l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto e della professionalità.
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