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giovedì 14 settembre 2017

Infortunio sul lavoro in itinere: il risarcimento



L’infortunio sul lavoro è un incidente che avviene in occasione dell’attività lavorativa che va ben oltre il concetto di durante l’orario di lavoro o sul posto di lavoro, in quanto in esso vengono ricomprese tutte quelle situazioni anche ambientali, nelle quali il lavoratore può essere a rischio di incidenti e quindi di infortunio.

L’infortunio in itinere è quello che subisce il lavoratore nel tragitto che deve percorrere necessariamente per recarsi sul luogo del lavoro e viene ricompreso nella copertura assicurativa fornita dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, gestita dall’INAIL. In particolare l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il tragitto che collega due luoghi di lavoro o, se non esiste mensa aziendale, nel percorso di andata e ritorno a quello di consumazione abituale dei pasti.

In via del tutto esemplificativa, per normale percorso deve intendersi quello più breve e diretto rispetto alla propria sede lavorativa nonché quello perimetrato entro un ragionevole arco temporale. La tutela risarcitoria prevista per tale tipologia di danno, potrà comunque essere invocata dal lavoratore qualora si verifichino circostanze atte oggettivamente ad impedire a quest'ultimo di seguire il normale tragitto e che lo costringano ad un percorso alternativo. Basti pensare al riguardo alle ipotesi di interruzione o deviazione di percorso effettuate su ordine del datore di lavoro o dovute a forza maggiore.

Chiarificatore sul punto è stato inoltre l'intervento della Cassazione, la quale ha in più occasioni sancito la possibilità di utilizzo del mezzo di trasporto privato:

a) In totale assenza di mezzi pubblici;

b) In presenza mezzi pubblici che non consentano il puntuale raggiungimento del luogo di lavoro;

c) In caso di eccessivo disagio procurato dallo stato in cui versano i mezzi pubblici presenti sulla zona interessata.

L’INAIL ha definito la qualificazione degli infortuni in itinere ovvero in attualità di lavoro, nello specifico riguardo gli eventi lesivi occorsi a lavoratori in missione e/o in trasferta. Sono meritevoli di tutela e quindi rimborsate le ipotesi occorse nell’arco temporale che va dal momento dell’inizio della missione e/o trasferta fino al rientro presso l’abitazione. Sussiste occasione di lavoro e quindi infortunio in itinere per gli eventi occorsi al lavoratore durante il tragitto dall’abitazione al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa, nonché durante il tragitto dall’albergo del luogo in cui la missione e/o trasferta deve essere svolta al luogo in cui deve essere prestata l’attività lavorativa.

Quindi tre elementi che lo caratterizzano:

la lesione

la causa violenta

l’occasione di lavoro.

Niente risarcimento per l’infortunio in itinere subito dal lavoratore che per recarsi a lavoro ha usato la propria automobile, se non era necessaria considerata la brevità del tragitto casa-lavoro, da poter percorrere anche a piedi. Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione.

L’assicurazione non copre l’evento lesivo se il lavoratore effettua delle interruzioni del tragitto casa-lavoro o delle deviazioni che non sono necessarie (a meno che non siano dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti).

L’assicurazione INAIL opera anche nel caso di infortunio in itinere che avviene utilizzando il mezzo di trasporto privato, purché sia necessario. La Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’INAIL presentato da un metalmeccanico infortunatosi in macchina, poco prima dell’orario di inizio dell’attività lavorativa, nel tragitto casa-lavoro, nonostante abitasse a meno di un chilometro dallo stabilimento.

Secondo i giudici, infatti, non è possibile concedere il risarcimento al lavoratore per l’infortunio in itinere se l’uso della propria auto non era indispensabile, considerando anche che il modo normale e più sicuro per spostarsi è l’uso dei mezzi pubblici e, laddove possibile, anche delle proprie gambe.

«Deve rilevarsi che, secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 (applicabile nella fattispecie ratione temporis) l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione e il luogo di lavoro, postula:

la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso costituisca per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione;

la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda;

la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto.»

Infine il recente sviluppo giurisprudenziale, allargando le maglie delle fattispecie analizzata, ha ricompreso nell'infortunio in itinere sia l'ipotesi di lesioni conseguenti ad una rapina subita dal lavoratore durante il percorso casa-lavoro, sia i casi di infortunio avvenuti durante il cammino a piedi o addirittura durante il trasporto su mezzi pubblici ovvero incidenti che si verificano in occasione di anomale interruzioni e/o deviazioni del nomale tragitto casa-lavoro.

Chi paga le spese visite mediche?

Il lavoratore assente dal lavoro per infortunio causata da incidente, è tutelato dall’INAIL anche per la copertura di esami diagnostici e le terapie riabilitative, in quanto le spese mediche sono completamente pagate dall'istituto, se preventivamente prescritte o autorizzate dall’INAIL. Per il lavoratore, inoltre, per tutta la durata dell’erogazione dell’indennità INAIL per infortunio o malattia professionale INAIL 2015, se di durata temporanea, è prevista l’esenzione ticket sanitario per esami e analisi prescritti dall’INAIL o dal medico curante.

Successivamente, per i casi in cui al lavoratore viene riconosciuta l’inabilità permanente o danno biologico, ha il diritto all'esenzione ticket parziale riferita alla patologia specifica, da richiedere alla ASL competente, producendo la documentazione INAIL che attesti i postumi riconosciuti.


mercoledì 26 aprile 2017

Mobbing, quando si può denunciare



Il Mobbing è una forma di terrore psicologico, il più delle volte senza una reale ragione, che viene esercitato sul luogo di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi, superiori e datori di lavoro.

Generalmente è un comportamento persistente ed offensivo che si riassume in un abuso di potere e che causa nell’aggredito sentimenti di disperazione, umiliazione e facile vulnerabilità. E' un atteggiamneto che  mina la fiducia in se stessi e diventa causa di un enorme stress.fini della configurabilità del mobbing occorre quanto segue:

la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

l’evento lesivo della salute e della personalità e dignità del dipendente, il nesso eziologico tra la condotta del datore o il superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore, la prova dell’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio, ai fini della configurabilità del mobbing.

 In altro senso, il mobbing è caratterizzato da una condotta del datore di lavoro o superiore gerarchico complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore all’interno dell’ambiente di lavoro, consistente in reiterati e sistemici atti ostili che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica determinanti la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente con effetti lesivi dell’equilibrio psico-fisico e della personalità del medesimo.

È, in definitiva, un dato acquisito che il mobbing, per assumere rilevanza giuridica, implica la esistenza di plurimi elementi di natura oggettiva e soggettiva.

Il lavoratore può denunciare il datore di lavoro, il capo, o i colleghi per mobbing se ha subito una serie ripetuta di condotte illecite che hanno leso la sua dignità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 2142/17) ha stabilito i cinque fattori principali che devono sussistere affinché si possa parlare di mobbing:

1) Comportamenti ostili in serie;

2) La ripetitività delle vessazioni per un congruo periodo di tempo: è stato ritenuto congruo un periodo pari a circa sei mesi;

3) La lesione della salute e della dignità del dipendente (ad esempio il disturbo di adattamento o la depressione);

4) Un rapporto di causa-effetto tra le condotte del datore e il danno subito dalla vittima: il secondo deve cioè essere conseguenza delle prime e di nient'altro;

5) L'intento persecutorio che collega tutti i comportamenti illeciti.

La sentenza specifica che il mobbing esiste nel caso di condotte poste in essere "con dolo specifico, ovvero con la volontà di nuocere, infastidire, o svilire un compagno di lavoro, ai fini del suo allontanamento dall'impresa". Tra i casi di mobbing vi sono il demansionamento, per cui il lavoratore viene costretto a svolgere mansioni di livello inferiore rispetto a quelle per cui è stato assunto, l'emarginazione sul lavoro, le continue critiche, la persecuzione sistematica, l'irrogazione di sanzioni disciplinari e le limitazioni alla possibilità di carriera.

Il lavoratore che vuole agire contro l'azienda per mobbing deve provare la volontà persecutoria e il piano vessatorio messo in atto dal datore di lavoro o dai colleghi. Dal punto di vista difensivo - spiega ancora il sito di consulenza legale - il dipendente può ricorrere a diverse strategie: dimettersi per giusta causa e ottenere l'assegno di disoccupazione, rifiutarsi di lavorare oppure presentare un ricorso urgente in tribunale (cosiddetto articolo 700 del codice di procedura civile) chiedendo il risarcimento del danno.

Sono 7 i parametri del mobbing secondo la Corte di Cassazione che, con sentenza n.10037/2015 ha individuato delle linee guida per riconoscere il vero mobbing  per provare di essere stati danneggiati sul lavoro:
ambiente, durata, frequenza, tipo di azioni ostili, dislivello tra antagonisti, andamento per fasi successive, intento persecutorio.


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mercoledì 27 luglio 2016

Danno biologico dovuto ad infarto: il lavoratore può chiedere il risarcimento al datore di lavoro



L’art. 13 d.lgl 38/2000 ha esteso la tutela del danno biologico definito come “lesione all'integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale".

Un esempio di danno biologico riconducibile ad un infortunio sul lavoro è quello di un infarto cagionato da stress da superlavoro. Il risarcimento del danno biologico è determinato con riferimento alle menomazioni prodotte dall'infortunio (indennizzo reddituale) in misura indipendente dalla capacità di produzione di reddito del soggetto danneggiato.

Su tale aspetto è intervenuta la Cassazione esprimendo un principio di estrema importanza. La Suprema Corte è stata chiamata ad occuparsi della controversia promossa da un lavoratore colpito dapprima da depressione, e poi da un infarto al miocardio, di gravità tale da determinare un’invalidità di grado elevato. Tali danni alla salute erano stati ritenuti imputabili, dal Tribunale in precedenza occupatosi del caso, in parte al comportamento del datore di lavoro, che per lungo tempo aveva sottratto al lavoratore i compiti di sua pertinenza, così determinando una situazione di stress sfociata dapprima in una sindrome depressiva e poi nell'infarto, ed in parte ad una preesistente patologia coronarica, che poteva essere considerata una delle cause dell’infarto. Pertanto, la responsabilità del danno, ed il conseguentemente risarcimento, erano stati posti solo in parte a carico della società datrice di lavoro.

Accogliendo il ricorso del dipendente, la Cassazione, ha invece posto interamente a carico della società la responsabilità del danno subito dal dipendente. Ciò in quanto, secondo la Suprema Corte, la comparazione del grado di incidenza di più cause nel verificarsi di un danno può essere effettuata solo in presenza di più comportamenti umani colpevoli, ma non quando una delle concause sia, come nell’ipotesi esaminata, di origine naturale. Ciò significa, in sostanza, che il datore di lavoro può essere esonerato, in parte, dalla responsabilità a lui imputabile, solo nel caso in cui dimostri che il danno è stato determinato anche da un inadempimento ai propri obblighi del lavoratore, o di un altro soggetto, mentre non può invocare a giustificazione del danno subito dal lavoratore il fatto che lo stesso fosse precedentemente malato, o che comunque a determinare il danno abbia concorso anche qualche evento naturale ed imprevedibile.

Con altra sentenza (n. 1307 del 5/2/2000), la suprema Corte ha esaminato il caso di un lavoratore con qualifica di quadro, che aveva svolto per circa sette anni le mansioni di capo ufficio addetto alla organizzazione delle esposizioni di un Ente Fiera e, nel marzo 1986, aveva subito un infarto cardiaco. Conseguentemente si era rivolto al Pretore di Bari per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico, sostenendo di essere stato costretto ad un'estenuante attività lavorativa con impegno medio settimanale di 60 ore a causa della inadeguatezza dell'organico e della complessità dei compiti affidatigli.

La domanda veniva rigettata dal Pretore e dal Tribunale. La sentenza del Tribunale era stata cassata dalla Suprema corte, sulla base del seguente principio: il potere imprenditoriale, volto alla massimizzazione della produzione, incontra un imprescindibile limite nella necessità di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e nel far sì che nell'attività di collaborazione richiesta ai dipendenti venga predisposta una serie di misure, oltre quelle legali, che appaiono utili a impedire l'insorgere o l'ulteriore deteriorarsi di situazioni patologiche idonee a causare effetti dannosi alla salute del lavoratore (art. 41 c. 2 Cost. e art. 2087 c.c.). Conseguentemente, la Corte ha rinviato la causa al Tribunale di rinvio.

Il Giudice del rinvio ha successivamente accolto la domanda del lavoratore, ritenendo provata la sussistenza delle condizioni di superlavoro in cui aveva operato il dipendente nell'indifferenza del datore di lavoro. Il giudice del rinvio, inoltre, sulla base della consulenza tecnica che già era stata disposta dal Pretore, ha ritenuto che l'infarto subito dal lavoratore fosse da attribuire all'attività lavorativa, nonostante la sussistenza di altri fattori di rischio, quali la familiarità ipertensiva, il fumo di 15 sigarette al giorno e la vita sedentaria. Conseguentemente, il datore di lavoro è stato condannato a risarcire il danno, quantificato in L. 300.000.000, oltre interessi e rivalutazione.

La questione è infine tornata all'esame della Suprema corte a seguito di ricorso del datore di lavoro. L'impugnazione è stata rigettato dalla sentenza sopra citata, che ha definitivamente posto fine alla controversia. In particolare, è stato ritenuto che il datore di lavoro, per non compromettere l'integrità psico-fisica del lavoratore, deve attare tutte misure necessarie, compreso l'adeguamento dell'organico. L'adozione di tali misure, comprese appunto quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte del lavoratore, resta necessaria anche nel caso in cui il lavoratore accetti di prestare lavoro straordinario continuativo, ancorché contenuto nel c.d. monte ore contrattuale massimo, o rinunci a un idoneo periodo feriale. Né ha efficacia esimente per il datore di lavoro, che abbia omesso le misure atte ad impedire l'evento lesivo, l'eventuale concorso di colpa del lavoratore: il datore di lavoro è esonerato da ogni responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, dell’imprevedibilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute.

Infine la Corte ha precisato che spetta al lavoratore fornire la prova della violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità psico-fisica del lavoratore. Al datore di lavoro spetta invece l’onere di provare che l’evento lesivo dipenda da un fatto a lui non imputabile e cioè da un fatto che presenti i caratteri dell’abnormità, dell’ imprevedibilità e dell’esorbitanza in relazione al procedimento lavorativo e alle direttive impartite.

La lesione della integrità psico - fisica è valutata sulla base di apposite tabelle in cui si tiene conto degli aspetti dinamico relazionali. Le prestazioni stabilite in presenza di danno biologico sono le seguenti:

indennizzo in capitale- quando la menomazione riportata dal danneggiato è di grado compreso tra il 6° e 15°;

rendita - per il danno biologico specifico

rendita - per indennizzo delle conseguenze dell’infortunio: quando la menomazione riportata dal danneggiato è di grado pari o superiore al 16°.




Lavoro: definizione danno biologico



Esistono diverse accezioni di danno biologico che, in generale, consiste nella lesione dell’integrità della persona, bene primario e costituzionalmente garantito. Ne deriva che la lesione può essere fisica o psichica, reversibile o permanente, e compromette quelle attività del soggetto considerate vitali.

La Corte di Cassazione (Sentenza 12/05/2006, n. 11039) ha decretato:

"Il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica".

Il danno biologico è quindi un danno non patrimoniale, ma che lede un diritto costituzionalmente garantito, per cui è risarcibile ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile.

Qualificandosi in generale come un danno alla salute, rientrano in questa fattispecie incidenti stradali o errori del chirurgo che causano invalidità al paziente.

La valutazione del danno biologico avviene tramite perizia medico legale e considera:

l’invalidità temporanea;

l’invalidità permanente.

Il grado di quest’ultima viene classificato in ragione di un punteggio percentuale e l’indennizzo avviene considerando delle tabelle, che prevedono una certa somma di denaro:

per ogni giorno di invalidità temporanea;

per ogni punto percentuale di invalidità (variabile in base all’età).

La giurisprudenza ha riconosciuto che qualunque danno alla salute comporta anche un danno in termini di ostacoli alla normale vita di relazione che, conseguentemente, risulta menomata. Questo è, in sintesi, il concetto del danno biologico, il cui risarcimento è ormai pacificamente ammesso.

La nozione del danno biologico trova, nel rapporto di lavoro subordinato, importanti applicazioni la legge impone al datore di lavoro l'obbligo di tutelare l'integrità fisica e psichica del lavoratore. In altre parole, datore di lavoro non solo deve rispettare le norme anti - infortunistiche che disciplinano il lavoro in luoghi pericolosi o insalubri, prescrivendo specifici mezzi di prevenzione e protezione. Oltre a ciò, il datore di lavoro deve prevenire i danni, tra l'altro, alla salute, adottando tutti gli strumenti resi disponibili dall'attuale stato della scienza e della tecnica, benché non espressamente contemplati dalle norme anti - infortunistiche.

Insomma, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno biologico derivante da una menomazione fisica o psichica subita nell'espletamento della attività lavorativa. Esattamente, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento qualora il lavoratore possa dimostrare non solo di aver subito una lesione fisica o psichica, ma anche che la lesione è dovuta al lavoro e non ad una causa diversa. Da quest'ultimo punto di vista, si può aggiungere che, per esempio nel caso di sordità, o in caso di simili lesioni, la prova che il danno dipende dal lavoro può essere fornita anche mediante l'allegazione della rendita riconosciuta dall'Inail per invalidità professionale. A tale riguardo bisogna anche precisare che la rendita per invalidità non è alternativa, ma aggiuntiva al risarcimento del danno biologico.

Se il lavoratore ha fornito le prove di cui si è parlato, il datore di lavoro potrà esimersi dal risarcimento dimostrando di aver rispettato non solo le norme anti - infortunistiche, ma anche di aver utilizzato tutti i rimedi preventivi consentiti dall'attuale stato della scienza e della tecnica.

Se il datore di lavoro fallisce questa prova, il lavoratore potrà ottenere il risarcimento del danno, normalmente commisurato al grado di invalidità corrispondente alla lesione subita. Di regola, questo accertamento viene effettuato mediante consulenza tecnica, affidata ad un medico legale, che provvede alla quantificazione della invalidità; sulla scorta di questa quantificazione, il giudice liquiderà in via equitativa il danno.

Una sentenza della Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro è responsabile nei confronti del lavoratore dipendente, nel caso in cui quest’ultimo abbia subito una compromissione della salute determinata da un impegno eccessivo sul lavoro, ricollegabile a un numero di dipendenti insufficiente.

Secondo la Corte di Cassazione, la ricerca di livelli competitivi di produttività non può compromettere l’integrità psico-fisica del lavoratore; da questo principio viene fatto discendere il conseguente dovere dell’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e psichica del lavoratore, compreso un organico adeguato al volume di produzione dell’azienda stessa.

Anche se il dipendente accetta di lavorare troppo, svolgendo una consistente mole di lavoro straordinario, pur nei limiti fissati dalla contrattazione collettiva, ciò non esime il datore di lavoro dal dovere di limitare questo sforzo eccessivo. Le risorse umane insomma debbono essere sufficienti a consentire un impegno lavorativo non eccessivo e comunque non pregiudizievole alla salute; se necessario, al fine di evitare che l’usura fisica e psichica determini danni alla salute del dipendente, l’organico aziendale deve essere rivisto e adeguato a un impegno sopportabile per tutti i dipendenti.

L’importo dell’indennizzo dipende dal grado di menomazione:

inferiore al 6%: nessun indennizzo;

dal 6% al 15%: indennizzo del danno biologico in capitale (nessun indennizzo per conseguenze patrimoniali);

dal 16% al 100%: una rendita diretta composta da un indennizzo del danno biologico in rendita e da un’ulteriore quota di rendita, per conseguenze patrimoniali.

Per capire l’entità dell’indennizzo dobbiamo considerare:

tabella delle menomazioni, prevista dal decreto legislativo 38/2000, aggiornata con menomazioni quali il danno estetico e quello all'apparato riproduttivo, oltre al «tradizionale» danno biologico per infortunio sul lavoro o malattia professionale;

tabella di indennizzo, che presenta una serie di caratteristiche: è areddituale, indipendente dal reddito, poiché la menomazione produce lo stesso pregiudizio alla salute per tutti gli essere umani; crescente, al crescere della gravità della menomazione; variabile, in funzione dell’età (decresce al crescere dell’età) e del sesso (tiene conto della maggiore longevità femminile); uguale, per i settori industria ed agricoltura. La struttura della tabella segue questi criteri di applicazione:

- inferiore al 6% è prevista la franchigia;

- dal 6% al 15% è differenziata per sesso, l’indennizzo in capitale è in funzione dell’età e del grado di menomazione;

- dal 16% al 100%: indennizzo in rendita in funzione del grado di menomazione.


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