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mercoledì 27 luglio 2016

Lavoro: definizione danno biologico



Esistono diverse accezioni di danno biologico che, in generale, consiste nella lesione dell’integrità della persona, bene primario e costituzionalmente garantito. Ne deriva che la lesione può essere fisica o psichica, reversibile o permanente, e compromette quelle attività del soggetto considerate vitali.

La Corte di Cassazione (Sentenza 12/05/2006, n. 11039) ha decretato:

"Il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica".

Il danno biologico è quindi un danno non patrimoniale, ma che lede un diritto costituzionalmente garantito, per cui è risarcibile ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile.

Qualificandosi in generale come un danno alla salute, rientrano in questa fattispecie incidenti stradali o errori del chirurgo che causano invalidità al paziente.

La valutazione del danno biologico avviene tramite perizia medico legale e considera:

l’invalidità temporanea;

l’invalidità permanente.

Il grado di quest’ultima viene classificato in ragione di un punteggio percentuale e l’indennizzo avviene considerando delle tabelle, che prevedono una certa somma di denaro:

per ogni giorno di invalidità temporanea;

per ogni punto percentuale di invalidità (variabile in base all’età).

La giurisprudenza ha riconosciuto che qualunque danno alla salute comporta anche un danno in termini di ostacoli alla normale vita di relazione che, conseguentemente, risulta menomata. Questo è, in sintesi, il concetto del danno biologico, il cui risarcimento è ormai pacificamente ammesso.

La nozione del danno biologico trova, nel rapporto di lavoro subordinato, importanti applicazioni la legge impone al datore di lavoro l'obbligo di tutelare l'integrità fisica e psichica del lavoratore. In altre parole, datore di lavoro non solo deve rispettare le norme anti - infortunistiche che disciplinano il lavoro in luoghi pericolosi o insalubri, prescrivendo specifici mezzi di prevenzione e protezione. Oltre a ciò, il datore di lavoro deve prevenire i danni, tra l'altro, alla salute, adottando tutti gli strumenti resi disponibili dall'attuale stato della scienza e della tecnica, benché non espressamente contemplati dalle norme anti - infortunistiche.

Insomma, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno biologico derivante da una menomazione fisica o psichica subita nell'espletamento della attività lavorativa. Esattamente, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento qualora il lavoratore possa dimostrare non solo di aver subito una lesione fisica o psichica, ma anche che la lesione è dovuta al lavoro e non ad una causa diversa. Da quest'ultimo punto di vista, si può aggiungere che, per esempio nel caso di sordità, o in caso di simili lesioni, la prova che il danno dipende dal lavoro può essere fornita anche mediante l'allegazione della rendita riconosciuta dall'Inail per invalidità professionale. A tale riguardo bisogna anche precisare che la rendita per invalidità non è alternativa, ma aggiuntiva al risarcimento del danno biologico.

Se il lavoratore ha fornito le prove di cui si è parlato, il datore di lavoro potrà esimersi dal risarcimento dimostrando di aver rispettato non solo le norme anti - infortunistiche, ma anche di aver utilizzato tutti i rimedi preventivi consentiti dall'attuale stato della scienza e della tecnica.

Se il datore di lavoro fallisce questa prova, il lavoratore potrà ottenere il risarcimento del danno, normalmente commisurato al grado di invalidità corrispondente alla lesione subita. Di regola, questo accertamento viene effettuato mediante consulenza tecnica, affidata ad un medico legale, che provvede alla quantificazione della invalidità; sulla scorta di questa quantificazione, il giudice liquiderà in via equitativa il danno.

Una sentenza della Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro è responsabile nei confronti del lavoratore dipendente, nel caso in cui quest’ultimo abbia subito una compromissione della salute determinata da un impegno eccessivo sul lavoro, ricollegabile a un numero di dipendenti insufficiente.

Secondo la Corte di Cassazione, la ricerca di livelli competitivi di produttività non può compromettere l’integrità psico-fisica del lavoratore; da questo principio viene fatto discendere il conseguente dovere dell’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e psichica del lavoratore, compreso un organico adeguato al volume di produzione dell’azienda stessa.

Anche se il dipendente accetta di lavorare troppo, svolgendo una consistente mole di lavoro straordinario, pur nei limiti fissati dalla contrattazione collettiva, ciò non esime il datore di lavoro dal dovere di limitare questo sforzo eccessivo. Le risorse umane insomma debbono essere sufficienti a consentire un impegno lavorativo non eccessivo e comunque non pregiudizievole alla salute; se necessario, al fine di evitare che l’usura fisica e psichica determini danni alla salute del dipendente, l’organico aziendale deve essere rivisto e adeguato a un impegno sopportabile per tutti i dipendenti.

L’importo dell’indennizzo dipende dal grado di menomazione:

inferiore al 6%: nessun indennizzo;

dal 6% al 15%: indennizzo del danno biologico in capitale (nessun indennizzo per conseguenze patrimoniali);

dal 16% al 100%: una rendita diretta composta da un indennizzo del danno biologico in rendita e da un’ulteriore quota di rendita, per conseguenze patrimoniali.

Per capire l’entità dell’indennizzo dobbiamo considerare:

tabella delle menomazioni, prevista dal decreto legislativo 38/2000, aggiornata con menomazioni quali il danno estetico e quello all'apparato riproduttivo, oltre al «tradizionale» danno biologico per infortunio sul lavoro o malattia professionale;

tabella di indennizzo, che presenta una serie di caratteristiche: è areddituale, indipendente dal reddito, poiché la menomazione produce lo stesso pregiudizio alla salute per tutti gli essere umani; crescente, al crescere della gravità della menomazione; variabile, in funzione dell’età (decresce al crescere dell’età) e del sesso (tiene conto della maggiore longevità femminile); uguale, per i settori industria ed agricoltura. La struttura della tabella segue questi criteri di applicazione:

- inferiore al 6% è prevista la franchigia;

- dal 6% al 15% è differenziata per sesso, l’indennizzo in capitale è in funzione dell’età e del grado di menomazione;

- dal 16% al 100%: indennizzo in rendita in funzione del grado di menomazione.


mercoledì 14 gennaio 2015

Lavoratori usuranti: la domanda per la pensione 2015



Innanzitutto si definiscono lavoratori impegnati in mansioni usuranti, i lavoratori che svolgono le seguenti attività:

"Lavori in galleria, cava o miniera”: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori nelle cave”, mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale;

“lavori nelle gallerie”, mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori in cassoni ad aria compressa”;

“lavori svolti dai palombari”;

“lavori ad alte temperature”: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di seconda fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale;

“lavorazione del vetro cavo”: mansioni dei soffiatori nell’industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio;

“lavori espletati in spazi ristretti”, con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuamente all’interno di spazi ristetti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;

“lavori di asportazione dell’amianto”: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.

lavoratori notturni che possano far valere una determinata permanenza nel lavoro notturno, con le seguenti modalità:

lavoratori a turni, che prestano la loro attività di notte per almeno 6 ore, comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per un numero minimo di giorni lavorativi annui non inferiore a 78 per coloro che perfezionano i requisiti per l’accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008 ed il 30 giugno 2009, e non inferiore a 64, per coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato dal 1° luglio 2009;

lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore nell'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per periodi di lavoro di durata pari all'intero anno lavorativo.

Ad essi vengono associati ai fini del trattamento pensionistico, anche:

lavoratori addetti alla c.d. “linea catena”, ovvero i lavoratori alle dipendenze di imprese per le quali operano le voci di tariffa per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’Inail, impegnati all'interno di un processo produttivo in serie, con ritmo determinato da misurazione di tempi, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali, ad attività di regolazione o controllo computerizzato delle linee;

conducenti di veicoli pesanti, di capienza complessiva non inferiore ai nove posti compreso il conducente, adibiti a servizi pubblici di trasporto.

La disciplina sull’accesso al pensionamento di anzianità per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, con requisiti agevolati rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, è stata completamente revisionata nel corso del 2011 (decreti 67 e 214).

A partire dall’anno 2012 sono stati modificati i requisiti di accesso al beneficio.

Vediamo adesso i requisiti per la domanda di pensione, richiesta che deve essere fatta entro il 1° marzo 2015.

I lavoratori  che rispondono ai seguenti requisiti di cui sopra:

che maturano i requisiti nel 2015, possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 61 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 97,3, se lavoratori autonomi, di un’età minima di 62 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,3.

Invece , sempre per quanto riguarda i lavoratori che svolgono lavoro notturno, occupati per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all’anno, che maturano i requisiti nel 2015, possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 63 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 99,3, se lavoratori autonomi, di un’età minima di 64 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 100,3.

Infine, i lavoratori che svolgono lavoro notturno, occupati per un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 all’anno, che maturano i requisiti nel 2015, possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 62 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,3, se lavoratori autonomi, di un’età minima di 63 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 99,3.

Tutte questo categorie possono accedere al trattamento pensionistico con particolari modalità presentando la domanda entro il 1° marzo 2015.

La domanda di accesso al beneficio pensionistico deve essere presentata entro il 1° marzo del 2015 per coloro che perfezionano i requisiti dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015.

Dopo la domanda  l'  INPS comunicherà  al lavoratore , entro il 30 ottobre 2015,

l'accoglimento della domanda, con indicazione della prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, oppure

l'accertamento del possesso dei requisiti relativi  ma con spostamento  della decorrenza del trattamento pensionistico  per motivi finanziari; in tal caso, la prima data utile per l'accesso al pensionamento  verrà comunicata successivamente; oppure

il rifiuto della domanda per  mancato possesso dei requisiti.

Il beneficio pensionistico è riconosciuto ai lavoratori che, in possesso dei requisiti soggettivi richiesti, abbiano svolto una o più delle attività usuranti per un tempo pari:

ad almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, per le pensioni aventi decorrenza entro il 31 dicembre 2017;

ad almeno la metà della vita lavorativa per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2018 in poi.

Per l’individuazione del periodo degli ultimi 10 anni di attività lavorativa:

si procede alla valutazione per “anno solare”, quello intercorrente tra un qualsiasi giorno dell’anno e il corrispondente giorno dell’anno precedente;

se il richiedente ha cessato l’attività lavorativa prima del 31.12 dell’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato, si considerano i 10 anni precedenti la data di cessazione dell’attività lavorativa;

se il richiedente svolge attività lavorativa al 31.12 dell’anno maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato, si considerano i 10 anni precedenti il 31.12 dell’anno di maturazione dei requisiti;

si considerano i periodi di svolgimento effettivo di attività lavorativa desumibile dall’accredito di contribuzione obbligatoria, con esclusione dei periodi totalmente coperti da contribuzione figurativa (c.d. neutri);

si considerano i periodi di svolgimento di attività di lavoro dipendente e/o autonomo.

Per l’individuazione del periodo dei 7 anni di svolgimento di attività lavorative particolarmente faticose e pesanti:

si procede alla valutazione per “anno solare”, quello intercorrente tra un qualsiasi giorno dell’anno e il corrispondente giorno dell’anno precedente;

si tiene conto dei periodi di svolgimento effettivo di attività lavorativa particolarmente faticosa e pesante desumibile dall’accredito di contribuzione obbligatoria, con esclusione dei periodi totalmente coperti da contribuzione figurativa (c.d. neutri);

si tiene conto dei periodi di svolgimento di attività di lavoro dipendente.

Tale periodo:

si deve collocare entro il periodo degli ultimi 10 anni di attività lavorativa;

deve comprendere l’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato (nell’anno di maturazione dei requisiti occorre aver svolto attività lavorativa particolarmente faticosa e pesante);

può non essere continuativo.



lunedì 19 agosto 2013

Lavorare in Franchising come iniziare l'attività nel 2013



Il Franchising è il contratto concluso tra due imprenditori con il quale una parte, il franchisor, cioè l’affiliante, attribuisce all’altra, franchisee, cioè l’affiliato, il diritto di produrre o commercializzare beni o servizi con i propri segni distintivi o brevetti, esperienze e tecniche contro un corrispettivo di denaro, e fa parte della categoria dei contratti atipici.

Il lavoro franchising è una delle più solide opportunità per lo sviluppo di un proprio punto vendita e della crescita economica di un proprio settore. Da un negozio di abbigliamento ad una agenzia viaggi, da un alimentari di prodotti tipici ad uno store di telefonia, molti sono i vantaggi garantiti dai marchi presente sul mercato che offrono contratti di franchising.

Per Contratto di Franchising si deve intendere un accordo con la quale un Franchisor (Impresa Affiliante) concede ad un Franchisee (Impresa affiliata), dietro un corrispettivo finanziario che può essere diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising con la possibilità di poter commercializzare beni e/o servizi.

Il contratto di franchising è un accordo tra produttore (che concede la commercializzazione dei propri prodotti a terze persone, nonché l’utilizzo del marchio e dell’insegna) e rivenditore, ossia l’affiliato. Il primo, franchisor, si impegna nella fornitura di prodotti secondo la quantità richiesta (in molti casi contrattualizzata in misura minima o massima). Il franchisee si obbliga a promuovere ed eseguire le vendita nella zona assegnata; prestare assistenza (anche post-vendita) ai clienti; sottostare alle clausole dettate dal franchisor, da intendersi quali regole interne di organizzazione su modalità e prezzo di vendita dei prodotti.  Nella concessione di vendita è molto frequente la clausola “concessionario di vendita in esclusiva” a favore del venditore all’interno di un’area specificata.

Lavorare in franchising presenta un vantaggio, da una parte si avvantaggia l'Impresa Affiliante che riesce grazie alle reciproche prestazioni di servizi dell’affiliato di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato, dall’altra si avvantaggia l'Impresa affiliata che si avvale della posizione di affidabilità, Conoscenza e di prestigio acquisita dal franchisor, permettendogli di inserirsi nel mercato sfruttando il Nome e la conoscenza da parte dei consumatori finali del nome dell’impresa Affiliante.

Da preventivare prima di siglare un’affiliazione in franchising sono i costi di inizio attività (start-up). Primo fra tutti per l’affitto di locale idoneo: solitamente, infatti, i franchisor richiedono locali costosi, ubicati in centro città o luoghi ad alta frequentazione come centri commerciali e aeroporti. Le spese per le attrezzatura IT(dotazione informatica e software), per la gestione commerciale e ovviamente per il personale. A queste si aggiungono solitamente anche costi fissi da riconoscere al franchisor quali diritti d’ingresso o fee periodici, ossia una cifra fissa che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale. Per royalties si intende poi la percentuale che l’affiliante deve riconoscere al franchisor commisurata al giro d’affare oppure in quota fissa.

Nella stipula di contratti di franchising è necessario prestare attenzione ai seguenti elementi che possono rivelarsi fondamentali per la buona riuscita dell'attività.
Definizione dell’ambito e estensione della clausola di esclusiva. Questa clausola di esclusiva nei Contratti di franchising è solitamente reciproca, in quanto vincola sia l'Impresa affiliata a non vendere beni prestare servizi in concorrenza con quelli dell’affiliato o dell'Impresa Affiliante, obbligando  l'Impresa affiliata nel Contratto di franchising  non venderli e prestare servizi al di fuori del territorio assegnato.

Durata del contratto in franchising. E’ bene precisare che non è prevista una durata massima del contratto di franchising, infatti può essere stipulato sia tempo indeterminato (in questo caso le parti indicheranno nel contratto la modalità e il potere di recesso da parte sia del Franchisor che del franchisee) sia tempo determinato ( in questo caso le parti dovranno disciplinare la facoltà di rinnovo del contratto di franchising. In ogni caso ed è bene precisare questo punto , la durata del contratto in franchising deve in ogni caso essere tale da consentire al franchisee l’ammortamento degli investimenti effettuati.

Definizione dell’oggetto del contratto di franchising. Occorre che venga definito e descritto con particolare minuzia e attenzione tutto il know how, cioè l’insieme di formule, conoscenze, segni distintivi che permettono di individuare i prodotti e servizi del franchisor.
E’ necessario infine definire sempre nell’ambito dell’oggetto del contratto di franchising nei dettagli anche la tipologia di consulenza commerciale, promozionale e di marketing che il franchisor si impegna a trasmettere ai propri affiliati.
Definire con attenzione gli obblighi per il franchisee al rispetto delle direttive indicate dal franchisor, anche eventualmente modificate in corso d’opera.
Definire con attenzione l’ambito dell’obbligo di riservatezza sul know how trasferito.
Definire il rispetto di determinati standard di qualità e le modalità di verifica dei suddetti standard.
Definire eventuali penali per il non rispetto degli obblighi contrattuali nel contratto in franchising.

Vediamo alcuni siti online da consigliare:

Aprireinfranchising.it
Lavorofranchising.it
Franchising.it

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