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venerdì 23 ottobre 2015

Infortunio fuori orario di lavoro: azienda responsabile


L'infortunio sul lavoro è l'evento traumatico, avvenuto per una causa violenta sul posto di lavoro o anche semplicemente in occasione di lavoro, che comporta l'impossibilità di svolgere l'attività lavorativa per più di tre giorni. Si tratta del sintomo più evidente del mancato rispetto degli obblighi di prevenzione previsti per tutelare la salute dei lavoratori. La legge prevede una specifica assicurazione obbligatoria per indennizzare i lavoratori che subiscono uno di questi eventi e che copre anche gli infortuni che si verificano nel tragitto che il lavoratore compie per recarsi sul luogo di lavoro o per rientrare a casa (il c.d. infortunio in itinere).

Il datore di lavoro è responsabile degli infortuni dei dipendenti, anche fuori orario, se mancano i requisiti di sicurezza: è quanto è stato disposto dalla sentenza n .37598 del 16 settembre 2015 dalla Corte di Cassazione.

Le responsabilità dell’azienda nel caso di infortuni sul lavoro di un dipendente restano tali, sul fronte giuridico, anche se c’è stata negligenza da parte del lavoratore infortunato e anche se l’incidente avviene fuori orario di lavoro in relazione al caso di un operaio edile caduto dall'impalcatura di un cantiere. L’impresa è stata ritenuta responsabile di lesioni personali colpose, anche se in effetti il dipendente aveva commesso una serie di irregolarità, presentandosi in cantiere fuori dall'orario di lavoro e non indossando l’imbracatura di sicurezza.

I giudici hanno sottolineato che le misure di sicurezza sul cantiere erano comunque insufficienti: mancavano reti di protezione e impalcature adeguate. Non aver indossato l’imbracatura di sicurezza fornita è certamente motivo di negligenza del lavoratore ma non esclude le responsabilità del datore di lavoro. Così come non è rilevante il fatto che l’incidente sia avvenuto al di fuori orario di lavoro: il dipendente stava comunque svolgendo le sue mansioni e di fatto è questo il dato determinante.

L’unico caso in cui il datore di lavoro non è responsabile, ricorda la Cassazione, è rappresentato da una causa del tutto estranea al processo produttivo e alle mansioni attribuite, con carattere di eccezionalità. Nel caso specifico, invece, mancavano questi elementi. Viceversa, è certo che erano assenti misure di sicurezza sul lavoro obbligatorie, come un’impalcatura a norma e una rete anti caduta, e il fatto che il lavoratore non indossasse gli indumenti di sicurezza è un’aggravante a carico dell’impresa, che non è riuscita a dare a quest’obbligo il carattere di assoluta prioritaria necessità.

Vediamo il caso di una vicenda lontana avvenuta in Australia riguardante un episodio da leggere alla luce della circolare INAIL n. n.52/2013. Nel dettaglio, la circolare richiama le caratteristiche essenziali dell’occasione di lavoro come elemento qualificante della nozione di infortunio con riferimento alla fattispecie specifica dell’infortunio in attualità di missione, con un punto di partenza del ragionamento significativo nel tempo della missione il lavoratore cessa di essere nella propria disponibilità per rientrare nella obbligatorietà organizzativa prodotta dal datore di lavoro.

Che possiamo sintetizzare così: che qualsiasi infortunio occorso sia nella normalità della prestazione di lavoro sia nelle ore occupate fuori orario per le proprie esigenze di vita è riferibile al rischio della missione affidata dal datore di lavoro che ne sopporta (e l’assicurazione con lui) tutte le conseguenze.

Anche quelle di un infortunio occorso nella camera di albergo, a differenza degli infortuni occorsi nella propria abitazione, esclusi dalla tutela assicurativa poiché il lavoratore esce dal vincolo aziendale per entrare in un ambiente di rischio da lui stesso governato.

La conclusione è inattaccabile e costituisce una chiave di lettura della scelta del decreto 38/2000 per
la definizione di infortunio in itinere indennizzabile, comprensiva degli infortuni su mezzi (e strade) pubblici, ma non – salvo eccezioni –  su mezzi privati. Istintivamente, infatti, verrebbe da privilegiare l’infortunio da circolazione stradale in quanto più rischiosa; mentre in una assicurazione basata sul rischio professionale la diversa scelta accolta nel decreto 38 è ineccepibile poiché si tutela, così, le situazioni in cui il lavoratore esce dalla propria sfera affidandosi alla costrittività del trasporto pubblico, ideale prosecuzione di quella aziendale.

La Cassazione ha stabilito che il caso di trasferta del lavoratore senza imposizione del luogo del soggiorno da parte del datore di lavoro (lasciato a libera scelta del lavoratore), concreta un’ipotesi di rischio “elettivo”, cioè non immediatamente connesso con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che all’infortunio occorso al lavoratore durante il percorso per recarsi all’albergo prescelto non può riconoscersi la natura di infortunio in itinere.

Ricordiamo inoltre che con la lettera del 1 agosto 2013 l’INAIL ha chiarito che, in base al regolamento comunitario, il lavoratore che dovesse subire un infortunio sul lavoro durante un distacco o la trasferta in un altro paese della Comunità Europea ha comunque diritto alle conseguenti prestazioni mediche e all’indennità economica da parte dell’INAIL . A tale riguardo l’Istituto suggerisce ai datori di lavoro la preventiva richiesta del modulo PD DA1, anche con validità semestrale o annuale, da consegnare al lavoratore interessato, precisando che comunque il mancato espletamento di questa formalità non comporta sanzioni.

La Cassazione, inoltre, ha fissato un principio fondamentale in ordine al rapporto tra sicurezza e responsabilità del datore di lavoro, stabilendo a carico di quest’ultimo l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro sempre e comunque, a prescindere dall'orario di lavoro dei dipendenti. In particolare la Corte ha previsto che “il legale rappresentante della società, quale responsabile della sicurezza, risponde dell’infortunio del lavoratore anche se avvenuto fuori dell’orario di lavoro, in quanto le norme antinfortunistiche sono poste a tutela di tutti coloro che si trovano a contatto degli ambienti di lavoro, a prescindere dall'orario di servizio”.

lunedì 9 marzo 2015

Lavoro: dipendente chi lavora fuori dalla sede principale


Il concetto di trasferta distinto dal distacco e dal trasferimento.

La trasferta presuppone che al lavoratore venga temporaneamente richiesto di prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla ( si tratta della sede indicata nel contratto di lavoro quale luogo normale di svolgimento dell’attività lavorativa) anche all'estero. A tale richiesta alla quale il lavoratore in genere è tenuto a adeguarsi.

Ai fini del configurarsi della trasferta del lavoratore, è necessaria la permanenza di un legame del prestatore con l'originario luogo di lavoro. Sono invece irrilevanti la protrazione dello spostamento per un luogo periodo di tempo e anche l'eventuale la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima.

 L’inizio della trasferta deve essere comunicata preventivamente all’Inail. La giurisprudenza prevalente indica che si debba parlare di trasferimento e non di trasferta quando il provvedimento di trasferimento momentaneo del lavoratore/ collaboratore/amministratore non indichi la data di rientro ovvero di termine della trasferta.

 Non esiste una vera e propria disciplina legale della trasferta, per cui si occupano di questa materia:

i contratti collettivi nazionali di lavoro , regolandone, in particolare, i risvolti di carattere economico,

e la giurisprudenza per i profili di diritto.

La disciplina collettiva attribuisce al lavoratore una indennità che in alcuni casi ha natura retributiva, in altri risarcitoria (o di rimborso spese), o, infine, natura “mista”. La differenza tra la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità di trasferta non è di poco conto, dal momento che la legge - art. 51, c. 5 e 6 del D.P.R. n. 917/86 - prevede un diverso trattamento fiscale e contributivo da applicare alle somme corrisposte ai lavoratori inviati in trasferta, a seconda che si tratti di compensi o rimborsi spese.

 Altra categoria sono i Trasfertisti che si differenziano dai lavoratori inviati in trasferta a seguito di una singola e contingente decisione del datore di lavoro . I trasfertisti sono i lavoratori la cui prestazione è, per sua natura, itinerante, e per i quali si può dire che non vi sia neppure un normale luogo di lavoro, intendendosi come tale un luogo in cui di norma si svolge la prestazione. La distinzione è fondamentale, dal momento che per questi ultimi la contrattazione collettiva prevede di solito la corresponsione di uno speciale emolumento, che ha la funzione di “rappresentare il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione”, e che, pertanto, “ha natura retributiva”.

In assenza di normativa contrattuale la giurisprudenza decide in materia di licenziamento per rifiuto del lavoratore alla trasferta.

Si; sul diritto del lavoratore di rifiutare una trasferta, secondo la giurisprudenza prevalente, in assenza di una normativa specifica , il potere del datore di lavoro di inviare il lavoratore in trasferta “prescinde dall’espressa disponibilità da parte del lavoratore, e dal fatto che, nel luogo di assegnazione, il lavoratore svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro”.

Inoltre, va ricordato che la giurisprudenza considera il rifiuto della trasferta come un atto di insubordinazione del lavoratore, cui può conseguire il licenziamento: si segnala, sul punto, quanto affermato da una pronuncia della Pretura di Milano (Pret. Milano 30 marzo 1999; analogamente in Trib. Milano 26 marzo 1994), che ha ritenuto “legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti la disposizione aziendale di recarsi in trasferta per un periodo di 4 mesi; tali legittimità, peraltro, esige – non potendo essere applicabile alla trasferta la norma di cui all’art. 2103 c.c. – una verifica della fondatezza delle esigenze che sono alla base di una decisione aziendale che ha immediati effetti anche sulla vita di relazione del lavoratore”.

E’, dunque, dannoso che un lavoratore, in assenza di una sentenza del giudice che ne accerti la illegittimità, rifiuti di dare esecuzione al provvedimento di trasferta.

La trasferta è uno spostamento temporaneo del lavoratore in una località diversa da quella contrattuale, per esigenze aziendali transitorie e contingenti: il contratto non subisce modifiche, ed al lavoratore possono essere riconosciute indennità e rimborso spese. Dal punto di vista fiscale, è regolamentata dall’art. 51, co. 5, D.P.R. 917/1986 (Tuir):

l’indennità forfettaria non fa reddito imponibile fino a 46,48 euro giornalieri se la trasferta è entro il territorio nazionale e fino a 77,47 euro se all’estero, al netto delle spese di viaggio e trasporto;

il rimborso spese analitico per vitto, alloggio, viaggio, trasporto, ecc. non concorre a formare reddito fino a 15,49 euro giornalieri su territorio nazionale e 25,82 euro all’estero;
il rimborso misto (analitico delle spese + indennità di trasferta) prevede la riduzione di 1/3 per

l’indennità forfettaria in caso di rimborso spese di alloggio o vitto e di 2/3 in caso di rimborso spese di entrambe le voci.

Distacco con residenza in Italia
Il lavoratore sarà soggetto alla tassazione italiana. La base imponibile è determinata dall'indennità di trasferimento, prima sistemazione ed equipollenti e dagli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero.

Le prime voci elencate godono, per il primo anno, di un regime speciale in occasione del trasferimento dalla sede di lavoro e non concorrono alla formazione del reddito imponibile per il 50% fino a 1.549,37 euro per i trasferimenti in Italia e 4.648,11 euro per quelli da o verso l’estero. Se il dipendente ottiene altre indennità per servizi svolti all'estero e percepiti per compensare il disagio del dipendente, può accedere a un regime agevolato secondo cui l’indennità concorre alla formazione della base imponibile per il 50% dell’ammontare.

Se la permanenza all’estero supera 183 giorni in 12 mesi con requisiti di continuità ed esclusività, la retribuzione del lavoratore è definita a partire dalle retribuzioni convenzionali indicate ogni anno da un decreto interministeriale del ministero del Lavoro a dell’Economia.

Distacco con residenza fuori Italia
I redditi prodotti fuori dall’Italia non concorrono a costituire la base imponibile. Dal punto di vista previdenziale, i contributi vanno pagati differentemente se il Paese estero ha o meno un accordo con l’Italia circa la sicurezza sociale. In caso affermativo la base imponibile previdenziale si calcola seguendo i co. da 1 a 8, art. 15, Tuir, in caso negativo si calcolano in base alle retribuzioni convenzionali, come previsto dalla L. 398/1987.



venerdì 1 novembre 2013

Infortunio sul lavoro in itinere : missione e trasferta circolare INAIL n. 52 del 2013




Con la circolare n. 52 del 2013, l'INAIL specifica gli istituti dell’occasione di lavoro e dell’infortunio in itinere, basandosi sull'evoluzione giurisprudenziale fornita in materia dalla giurisprudenza di legittimità, per poi verificare come gli stessi debbano trovare applicazione nelle ipotesi in cui l’infortunio sia occorso durante la missione e/o la trasferta del lavoratore. Ed introduce nuove ipotesi di "occasione di lavoro" in materia di infortunio ricomprendendo eventi durante missioni e trasferte del lavoratore.

L’INAIL interviene sulla qualificazione degli  infortuni in itinere ovvero in attualità di lavoro, nello specifico riguardo gli eventi lesivi occorsi a lavoratori in missione e/o in trasferta. Sono meritevoli di tutela e quindi rimborsate le ipotesi occorse nell’arco temporale che va dal momento dell’inizio della missione e/o trasferta fino al rientro presso l’abitazione. Sussiste occasione di lavoro e quindi infortunio in itinere per gli eventi occorsi al lavoratore nei limiti espressi dalla circolare durante il tragitto dall’abitazione al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa, nonché durante il tragitto dall’ albergo del luogo in cui la missione e/o trasferta deve essere svolta al luogo in cui deve essere prestata l’attività lavorativa.

Quindi  tre elementi che lo caratterizzano:
la lesione
la causa violenta
l’occasione di lavoro.

Vediamo cosa si intende per infortuni in itinere. In virtù dell’art. 12 del d.lgs. 38/2000 la tutela assicurativa è stata estesa agli eventi infortunistici occorsi durante il normale tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione al luogo di lavoro, effettuato a piedi o con mezzo pubblico o con mezzo di trasporto privato purché necessitato. Mentre per normalità del percorso si intende sia il percorso più breve e diretto che collega i due luoghi, sia quello più lungo, giustificato da particolari esigenze di viabilità (es. traffico, lavori in corso), sia quello misto (con l’impiego di vari mezzi di trasporto), sia quel percorso che ha subito delle deviazioni a causa di:

cause di forza maggiore (es. malore, viabilità interrotta)

esigenze essenziali ed improrogabili (es. maltempo, esigenze familiari)

adempimento di obblighi penalmente rilevanti (es. soccorso)

Il termine necessitato invece si riferisce ad una serie di condizioni, al cui verificarsi, l’uso del mezzo potremo definirlo “giustificato” quali :

la mancanza di mezzi pubblici di trasporto che collegano il luogo di abitazione con il luogo di lavoro;

la mancanza di coincidenza tra l’orario dei mezzi pubblici e quello di lavoro (es. orario treno incompatibile);

il risparmio di tempo, conseguito utilizzando il mezzo privato, tale da essere pari o superiore a un’ora per ogni tragitto, e il carattere di regolarità dello stesso oggettivamente riscontrabile;

i tempi d’attesa derivanti dall’uso dei mezzi pubblici troppo lunghi e tali da rendere troppo lunga l’assenza del lavoratore dalla famiglia;

la notevole la distanza tra abitazione e luogo di lavoro, nel quale caso l’uso del mezzo privato è ritenuto giustificato per distanze superiori a 1Km da percorrere a piedi per ogni singolo tragitto.

Alla luce delle considerazioni esposte, si devono ritenere meritevoli di tutela, nei limiti sopra delineati, tutti gli eventi occorsi a un lavoratore in missione e/o trasferta dal momento dell’inizio della missione e/o trasferta fino al rientro presso l’abitazione.

Le disposizioni si applicano ai casi futuri nonché alle fattispecie in istruttoria e a quelle per le quali sono in atto controversie amministrative o giudiziarie o, comunque, che non siano prescritte o decise con sentenza passata in giudicato.


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