domenica 17 marzo 2013

Assunzioni per il 2013 opportunità per chi lavora con internet


Internet è poco sfruttato dall’economia europea. E' quanto sostiene un nuovo studio della società Email-Brokers, secondo il quale sono ancoro troppo poche le aziende europee che vantano una presenza online e che riescono, quindi, a cogliere le opportunità offerte dall’eCommerce e dai social network in termini di business e creazione di occupazione. Dallo studio emerge che i paesi che vantano la maggior presenza di aziende online sono la Germania, il Belgio e l’Olanda, con una percentuale rispettivamente del 64%, 61% e 58%.
L’Italia risulta invece al secondo posto per numero di aziende attive nei social media (5,6%), dietro alla Gran Bretagna (6%) e davanti alla Svezia (5,4%). La Gran Bretagna (16%) è anche, col Lichtenstein (17%), il paese con la maggiore percentuale di aziende attive nel commercio online.
Comunque per il 2013 i profili più richiesti sono gli ingegneri e i laureati o diplomati, con esperienza, nel settore informatico. E Le opportunità di lavoro si trovano soprattutto nelle multinazionali italiane digitali.

Il settore web-internet offre opportunità di lavoro in diversi ambiti e per tutti i livelli di esperienza e specializzazione.

Amazon ha aperto una ventina di posizioni nelle sedi di Milano e Cagliari tra le quali spiccano manager costumer service, responsabili di reparto logistico, product manager, ingegneri industriali, analisti finanziari, online marketing specialist, email marketing manager. Il nuovo centro di customer service aperto a Cagliari lo scorso novembre prevede di creare 500 posti di lavoro nei prossimi cinque anni. Le posizioni aperte su www.amazon.it/lavoro.

Aruba cerca a Firenze e Arezzo candidati con profili di sviluppatore software, analisti tecnico funzionali e project manager in ambito tecnico. L'azienda preferisce assumere laureati o diplomati nel settore informatico con esperienza in attività di progettazione object oriented, nella realizzazione di applicazioni e architetture SOA per quanto attiene la figura dell'analista e buona conoscenza della lingua inglese. Le posizioni aperte sono disponibili al sito www.aruba.it/lavora.asp. Il numero di risorse, in particolare in ambito tecnico, ha subito un notevole incremento nel corso dell'ultimo anno soprattutto grazie ai nuovi servizi di Cloud Computing che Aruba sta proponendo al mercato e al processo di internazionalizzazione che sta vivendo.

Mentre in fase di potenziamento del proprio organico, Phonetica Spa è alla ricerca di operatori telefonici inbound (part time 20 ore settimanali) per la gestione di un servizio in lingua portoghese nella sede torinese. Le competenze richieste includono la buona conoscenza di inglese e portoghese. Le figure professionali più ricercate dall'azienda sono receptionist telefonici, gestori customer care e customer service; addetti al marketing telefonico e alla vendita telefonica BtoB.

QVC è dotato di un e-commerce online: E l'azienda è alla ricerca di nuovi talenti nelle aree Merchandising & planning, Finance, IT, E-Commerce, Marketing, area televisiva e nel Call center per il ruolo di operatore telefonico. Per consultare le posizioni aperte si può visitare il sito www.qvc.it/azienda/lavora-con-noi, per candidature spontanee mandare invece il curriculum vitae a italy.recruiting@qvc.com e in ambito Call center a italy.recruiting.CC@qvc.com.

Yahoo ha delle offerte di lavoro nella sede milanese: DR Analyst, Editorial Intern, Advertising Technology producer, Junior Sales support, International account manager e Stretegic planner. Ci si può candidare sul sito http://it.careers.yahoo.com.

L'azienda di e-commerce Zalando è alla ricerca di due stagisti nel marketing (uno nel canale Social media e uno nel SEO) e un Project manager per il servizio assistenza clienti. All'indirizzo www.zalando.it/career/departments è possibile applicare anche per offerte all'interno dei canali degli altri Paesi dove le posizioni aperte sono circa 400.

Lavoro 2013: licenziamenti individuali per motivi economici


Innanzitutto diciamo che il licenziamento individuale per motivi economici è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, regolato dall’articolo 3 della legge n.604/1966, secondo la quale costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale:
la crisi dell'impresa
la cessazione dell'attività
il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, nel caso in cui non è possibile il suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili e coerenti con il livello di inquadramento.

Il licenziamento individuale per motivi economici, non è dovuto a un inadempimento del lavoratore, ma a esigenze tecniche ed economiche dell’attività aziendale.

Nelle aziende con più di 15 dipendenti l'assenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro per licenziare, quando viene comprovata davanti a un giudice, produce il reintegro del lavoratore e il risarcimento del danno subito.

Va messo in evidenza che la disciplina limitativa del licenziamento individuale risultante dalle leggi attualmente vigenti si applica nei confronti dei lavoratori dipendenti che rivestono la qualifica di impiegato ed operaio e, per quelli assunti in prova, dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva (art. 10 L. n. 604/1966). La disciplina del licenziamento economico si applica sia ai vecchi lavoratori sia ai nuovi assunti.

Vediamo adesso i primi numeri sulla procedura di conciliazione preventiva, introdotta dalla riforma Fornero per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (cosiddetti licenziamenti economici), danno utili indicazioni per valutare se e come sta funzionando l'istituto.

Secondo i dati del ministero del Lavoro, aggiornati al 31 gennaio 2013, emerge un primo fatto positivo: le direzioni territoriali stanno rispettando i termini che fissa la legge per svolgere la procedura. In gran parte dei casi, le parti sono convocate entro sette giorni dalla formulazione della richiesta di conciliazione, e la procedura si conclude entro i 20 giorni successivi. Non si tratta di un dato banale, se si considerano le croniche difficoltà della Pa quando deve gestire termini così stretti.

Il dato risulta ancora più positivo se si considera che i tentativi di conciliazione richiesti alla data del 31 gennaio sono molti: sono state, infatti, presentate 12.563 richieste, con alcuni picchi nelle città più popolose (1.042 a Roma, 1.180 a Milano, addirittura 1.450 a Napoli).

Risulta importante vedere gli esiti di queste richieste: alla data di osservazione 1.124 procedimenti risultavano ancora pendenti, mentre 1.831 si sono estinti per mancata comparizione delle parti. Le procedure concluse con un accordo tra le parti sono state 3.958, e il numero di quelle concluse con un mancato accordo è quasi identico, 3.638. Sommando le liti concluse con un accordo ai procedimenti abbandonati spontaneamente dalle parti, si scopre che quasi metà dei licenziamenti sono stati abbandonati o conciliati grazie alla procedura (il 46%), in cambio di una transazione economica.

Il grande numero di conciliazioni raggiunte potrebbe essere legato all'incertezza intorno alla nuova disciplina dei licenziamenti: ancora non ci sono sentenze che hanno definito i contorni del nuovo regime sanzionatorio e la procedura accelerata introdotta dalla legge Fornero mostra dei problemi di interpretazione che ne stanno depotenziando l'efficacia.

Un altro fattore, meno episodico e più strutturale, che può aver aumentato il numero delle conciliazioni può essere la regola, introdotta dalla riforma, che consente l'accesso all'Aspi alle persone che risolvono, nell'ambito della procedura obbligatoria, il proprio rapporto di lavoro. In passato le persone che risolvevano il rapporto di lavoro doveva escogitare gli stratagemmi più spericolati per accedere al trattamento di disoccupazione, in quanto questo spetta solo a chi ha perso il lavoro contro la propria volontà.

Quindi in sintesi in riferimento al licenziamento individuale per motivi economici vediamo cosa accade. Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo.

Mentre con la riforma riforma Fornero. Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, potrà decidere solo per l’indennizzo economico, che sarà tra le 15 e le 27 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti.

Se il motivo economico è addotto per mascherare un licenziamento disciplinare o discriminatorio, si ricade nelle due ipotesi qui di seguito. Ossia, Il giudice non è chiamato a valutare il tipo di licenziamento, ma se dovesse valutare l’inesistenza dei motivi economici, scatterà l’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità.

Licenziamento sentenze della Cassazione del 2013


Con la nuova riforma del lavoro la certezza è una sola: non esiste una strada sola per le istanze di reintegro nel posto di lavoro. A fare da esempio, c'è la vertenza che riguardava un lavoratore addetto a un appalto, poi improvvisamente cessato. Quel che più conta, però, è che, nel caso esaminato, il ritorno sul posto di lavoro non è stato interpretato come diretta conseguenza del sollevamento incongruo dall’incarico.

Esclusa, per il soggetto coinvolto, anche la possibilità di vedersi collocato ad altra mansione o funzione sempre nello stesso ambiente di lavoro.
Qualora un caso simile fosse pervenuto all’attenzione del Tribunale prima dello scorso 18 luglio, quando, cioè, è diventata legge dello Stato la riforma Fornero, l’esito del procedimento sarebbe stato opposto. Dunque, anche qualora l’autorità giudiziaria ravvisi l’illiceità dell’interruzione del rapporto di lavoro, non è automatico che a questa sentenza consegua il ritorno all’occupazione precedentemente svolta o a una affine.

Ne consegue che il diritto al reintegro non vada in alcun modo collegato alla legittimità o meno dell’atto di licenziamento, poiché viene inteso come collegato, ma non corrispondente, alla decisione di interruzione del rapporto di lavoro. Infatti, non è un caso che il datore di lavoro sia stato condannato, in chiusura di dibattimento, al risarcimento del lavoratore, ma non alla sua riassunzione completa. Quindi, il panorama sviluppatosi con la legge Fornero è molto, forse troppo, variegato e scivoloso: saranno le situazioni contingenti a determinare il diritto al reintegro o meno del lavoratore ingiustamente licenziato che ha sporto ricorso. Questo è uno scenario che porta sempre più incertezza sulla posizione occupazionale di moltissimi dipendenti, anche nel caso si rivolgano al giudice essendo certi di spuntarla contro il datore di lavoro.

Comunque la riforma del mercato del lavoro potrebbe riportare in primo piano la figura del licenziamento discriminatorio, anche se – alla luce degli orientamenti della giurisprudenza – non sarà facile per un lavoratore dimostrare di esserne stato vittima. La legge 92/2012 ha modificato l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, incidendo sui licenziamenti disciplinari e su quelli per motivi economici, ma ha sostanzialmente lasciato immutata la disciplina dei licenziamenti discriminatori.

Mentre la risoluzione del rapporto basata su motivi disciplinari o economici, se ritenuta illegittima, può essere oggi sanzionata, in alcuni casi, con il solo indennizzo economico, in luogo della reintegrazione sul posto di lavoro, l'illegittimità del licenziamento discriminatorio continua a prevedere come sanzione la reintegrazione del lavoratore in azienda.

Con la sentenza 3547 del 7 marzo 2012, la Cassazione ha affermato che il licenziamento del dirigente può essere considerato arbitrario solo quando si dimostra pretestuoso e quindi non corrispondente alla realtà. In pratica, se il licenziamento è collegato a un effettivo processo di riorganizzazione del settore aziendale, la motivazione risulterà lecita e obiettivamente verificabile, escludendo in questo modo l'arbitrarietà del provvedimento espulsivo. Di diverso avviso la tesi del ricorrente, secondo cui la soppressione dell'area di responsabilità non rientrava in precise scelte organizzative ma era dettata da intenti ritorsivi o discriminatori.

Ricordiamo inoltre che in un'altra vicenda giuridica la Cassazione ha dato ragione al direttore provinciale di una confederazione e consigliere di amministrazione di una società controllata dalla stessa confederazione. Il lavoratore sosteneva di essere stato licenziato per volontà del presidente in conseguenza del proprio rifiuto di sottoscrivere il bilancio aziendale e di aver espresso un fermo rifiuto sul distacco di alcuni dipendenti della federazione presso la società controllata, poiché si sarebbe potuta ravvisare l'ipotesi di somministrazione di manodopera vietata. La Cassazione, con la sentenza 2958 del 27 febbraio 2012, ha confermato la pronuncia di merito ritenendo che l'assunto difensivo fosse adeguatamente motivato. Infatti, da un lato c'erano indici di ritorsione nei confronti del dipendente, dall'altro era mancato un riscontro fattuale del motivo economico posto alla base del licenziamento per riduzione dei costi ingenti legati alla posizione lavorativa del direttore.

Altra sentenza. Niente licenziamento se il lavoratore è costretto all'inattività. E' quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza 1693 depositata il 24 gennaio 2013. Un dipendente di un'azienda telefonica denunciava di aver subito una dequalificazione professionale giungendo alla totale inattività lavorativa. La ditta aveva privato quasi completamente il dipendente delle sue mansioni, fino a licenziarlo per giusta causa per mancata osservanza dell'orario di lavoro. Il tribunale accoglieva la domanda di risarcimento del danno e rigettava quella sull'illegittimità del licenziamento. In appello, invece, la corte disponeva la reintegra del lavoratore e gli riconosceva il risarcimento del danno. In sostanza, l'inattività forzosa  del lavoro voluta dall'azienda ha contribuito a determinare l'inadempimento del lavoratore, ridimensionando la gravità delle mancanze imputategli. La società sosteneva che per il datore di lavoro esiste solo l'obbligo di retribuire il proprio dipendente, non anche quello di farlo lavorare, e che se il datore di lavoro provvede al regolare pagamento della retribuzione il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire la propria prestazione.

La Cassazione ha affermato che il rifiuto del lavoratore subordinato di svolgere la propria prestazione lavorativa (mansioni inferiori) può essere legittimo, e quindi non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive, se il rifiuto è proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede (Cassazione n. 4060/2008). L'interesse aziendale all'esecuzione della prestazione è venuto meno nella misura in cui il comportamento del dipendente di non osservare l'orario di lavoro è stato tollerato dalla società che non ha contestato immediatamente con sanzioni di carattere disciplinare. L'inattività forzata del lavoratore non solo non giustificherà il licenziamento ma sarà anche fonte dell'obbligo di risarcimento del danno in capo al datore di lavoro.

La Cassazione civile, sezione lavoro con la sentenza 4197 del 20 febbraio 2013 ha stabilito che è illegittimo il licenziamento per abbandono del posto di lavoro se il codice disciplinare aziendale richiede, per rendere lecito l'atto del datore di lavoro, una condizione in più, vale a dire che il comportamento del lavoratore abbia determinato un danno o pericolo all'azienda o a persone.

Il caso riguarda un dipendente di una società cooperativa, che, durante l'attività lavorativa, lascia, improvvisamente, il posto di lavoro, esce dall'azienda e viene, di conseguenza, licenziato. Il lavoratore impugna l'atto del datore di lavoro di fronte al giudice sostenendo, a sua giustificazione, di essersi dovuto recare in ospedale per rimuovere un corpo estraneo dall'occhio e, comunque, di avere comunicato l'uscita al proprio superiore. Il tribunale dà ragione alla società e conferma il licenziamento. Il dipendente licenziato si rivolge alla Corte d'appello, che rovescia la decisione di primo grado, ritenendo illegittimo il licenziamento: secondo i giudici, il lavoratore era ricorso, effettivamente, a cure mediche, aveva segnalato il suo allontanamento al suo superiore e non aveva determinato, con la sua condotta, né interruzione nel ciclo produttivo aziendale né, come richiesto per la liceità del licenziamento dalla specifica regolamentazione aziendale, danno o pericolo a cose o a persone.

La Cassazione riconosce, che si era verificato un infortunio sul lavoro, avvalorando così le affermazioni del lavoratore circa l'esistenza di una situazione di emergenza. In secondo luogo, la Corte d'appello ha tenuto presente il principio in base al quale un licenziamento è giustificato solo se la condotta del lavoratore fa venir meno la fiducia del datore nell'esattezza delle future prestazioni.
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