domenica 19 gennaio 2014
Sistemi di calcolo delle pensioni a partire dal 2014
Il criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31 dicembre 1995 (e per coloro che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo). I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31 dicembre 1995.
Dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 18 anni al 31 dicembre 1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.
L'importo percepito mensilmente da un pensionato si basa su un calcolo che, ha subito diversi cambiamenti, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
Fino al 1995, tale importo si calcolava col sistema retributivo, in base, cioè, allo stipendio percepito alla fine della carriera lavorativa. Ma quando ci siamo accorti che il numero dei pensionati cresceva troppo, rispetto a quello dei lavoratori, siamo passati al sistema contributivo, basato sui contributi effettivamente versati dal lavoratore, nel corso della sua vita lavorativa.
Il passaggio tra i due sistemi è stato regolato da diverse leggi, le quali hanno cercato di rendere la transizione meno traumatica possibile, salvaguardando i diritti già acquisiti dei lavoratori e, al contempo, rendendo economicamente sostenibile il sistema pensionistico.
Vediamo le regole attuali. L'importo dell'assegno mensile viene calcolato con criteri diversi, a seconda dell'anno d'inizio del lavoro. I tre sistemi applicabili sono descritti di seguito.
Sistema retributivo. L'importo della pensione viene calcolato in base alla media delle retribuzioni (o dei redditi, per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni di lavoro (10 anni per i dipendenti e 15 per gli autonomi). Si calcola il 2 per cento di tale media, per ogni anno di contributi versati (ad esempio: con 40 anni di contributi, si prende l'80 per cento della media dello stipendio degli ultimi 10 anni). È il sistema più vantaggioso per il pensionato, ma dal 1 gennaio 2012 nessuno può più andare in pensione con un calcolo solo contributivo.
Sistema contributivo. L'importo della pensione viene calcolato in base ai contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa. La somma dei contributi versati ("montante") viene rivalutata, in base ad un indice fornito dall'Istat, basato a sua volta sulle variazioni quinquennali del Pil (prodotto interno lordo). Il risultato viene poi moltiplicato per un "coefficiente di trasformazione", variabile in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione. Il suo valore varia tra il 4,42 per cento (pensionando di 57 anni) e il 5,62 per cento (pensionando di 65 anni).
Sistema misto. L'importo della pensione viene calcolato in parte secondo il sistema retributivo (retribuzione "pensionabile" moltiplicata per l'aliquota di rendimento e per gli anni di contribuzione) e per la restante parte con il sistema contributivo (somma di tutti i contributi versati nel periodo, moltiplicata per l'indice di rivalutazione e poi per il coefficiente di trasformazione).
Ed ecco come si applicano i diversi sistemi, in base all'anno di inizio dell'attività lavorativa.
Sistemi di calcolo della pensione
Chi, al 31 dicembre 1995, aveva già maturato almeno 18 anni di contributi. Sistema applicato retributivo fino al 31 dicembre 2011, poi contributivo
Chi, al 31 dicembre 1995, già lavorava, ma non aveva ancora maturato 18 anni di contributi Sistema applicato retributivo fino al 31 dicembre 1995, poi contributivo.
Chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. Sistema applicato contributivo
Quindi la pensione è calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo.
Per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 e possano far valere, al momento dell'opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui 5 successivi al 1995.
Tale facoltà non può essere esercitata da chi ha maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.
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domenica 12 gennaio 2014
Pensione anticipata con il prestito Inps
L’ipotesi che si aggira avrebbe uno scopo ben preciso, ovvero garantire la flessibilità su un duplice livello (oltre che arrestare il numero degli esodati):
per i lavoratori che vogliono andare in pensione in anticipo;
per le aziende che vorrebbero ringiovanire il proprio personale (togliendo dal limbo moltissimi giovani che faticano ad entrare nel mercato del lavoro).
Come funziona la pensione anticipata con prestito INPS? Il lavoratore che vuole andare in pensione, ma non ha ancora maturato i requisiti, che scatteranno comunque nel giro di 2-3 anni, potrebbe ricevere un assegno pensionistico, pari ad una determinata percentuale della propria retribuzione (pare si tratti di circa il 75%-80%), versato dall’INPS con un eventuale contributo dell’azienda. Sul tema vige ancora un certo dubbio. Se da una parte si parla dei soli lavoratori del settore privato, dall’altro si aggiungono i lavoratori con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi, che risultano inoccupati o rischiano di rimanere senza occupazione alla fine del periodo di mobilità.
Una volta raggiunti i requisiti, l’assegno verrebbe decurtato di una certa percentuale (che secondo le ipotesi al vaglio potrebbe oscillare tra il 10% ed il 15%) per poter restituire quanto incassato con il prestito pensionistico.
La pensione anticipata con prestito INPS non sarebbe altro che un’alternativa alla staffetta generazionale ma quali sono i costi? Secondo il ministro l’onere da sostenere potrebbe essere molto elevato, ma non trapelano ancora cifre attendibili.
Ovviamente tutto dipende dai numeri: quanti sarebbero i lavoratori e le aziende interessati? Giovannini spiega:
"Già oggi c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta".
Il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, sta lavorando ad una «manutenzione» della riforma delle pensioni per introdurre degli elementi di flessibilità sia per i lavoratori che vogliono lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti attuali, ma anche per le imprese che potrebbero avere la necessità di ringiovanire il proprio personale. Lo schema è quello del cosiddetto «prestito pensionistico», un’ipotesi che già era circolata e di cui si era parlato nei mesi scorsi. Funzionerebbe più o meno così: supponiamo che ad un lavoratore manchino due anni alla pensione. Con le regole attuali non potrebbe fare altro che attendere.
Con il meccanismo al quale sta lavorando il ministro del lavoro potrebbe lasciare anticipatamente il lavoro. Non andrebbe in pensione, ma incasserebbe un assegno pari ad una certa percentuale del suo stipendio (per esempio l’80%) pagato dall’Inps eventualmente con il contributo della stessa azienda. Dal momento in cui, maturati i requisiti per la pensione, si incomincia ad incassare l’assegno previdenziale, quest’ultimo verrebbe decurtato di una cifra (che secondo le ipotesi circolate potrebbe oscillare tra il 10 e il 15%) per poter restituire i soldi ottenuti in prestito nei due anni precedenti. «Il meccanismo al quale stiamo lavorando», spiega a Il Messaggero il ministro Giovannini, «prevede anche il coinvolgimento da parte delle imprese oltre che del lavoratore e dello Stato. È un’operazione anche finanziariamente difficile da disegnare». . Il prestito pensionistico dovrebbe valere soltanto per i lavoratori del settore privato e sarebbe, comunque, un meccanismo volontario.
Il principale ostacolo, come sempre accade quando si parla di pensioni, sono i costi per le casse pubbliche di un sistema del genere. Costi che, spiega Giovannini, «possono essere molto alti». Dipenderà dal numero di lavoratori e dal numero di imprese eventualmente interessate ad attivare il il prestito. Se, per esempio, il mondo imprenditoriale non fosse propenso ad utilizzare il sistema, tutti i costi si scaricherebbero sui lavoratori e sull’Inps e dunque il meccanismo potrebbe diventare difficilmente sostenibile. Anche per questo, non appena il lavoro tecnico di Giovannini sarà concluso, il risultato sarà illustrato alle parti sociali, a cominciare dalla Confindustria, per sondare l’interesse delle imprese.
«Già oggi», spiega Giovannini, «c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime», aggiunge il ministro, «potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta».
Il prestito pensionistico, inoltre, sarebbe alternativo all’altra ipotesi di cui pure si era parlato, ossia la cosiddetta staffetta generazionale. In questo caso i lavoratori più anziani vedrebbero trasformati i loro contratti in part time con una contribuzione figurativa a carico dello Stato in modo da non incidere sulla futura pensione, dando così la possibilità alle imprese comunque di far entrare giovani nel mercato del lavoro. Rispetto alla staffetta, il prestito pensionistico avrebbe anche un altro vantaggio, non secondario, quello di essere una misura in grado di dare una risposta più strutturale anche al problema degli esodati, fino ad oggi affrontato con interventi spot, l’ultimo in finanziaria con la salvaguardia di altri 33 mila lavoratori.
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Buoni pasto limite esenzione per il 2014
I buoni pasto sono esenti da oneri fiscali e previdenziali fino a euro 5,29, le indennità di mensa, invece, comprendono sempre l’imposizioni di contributi; le uniche eccezioni a questa norma sono le indennità sostitutive corrisposte agli addetti alle strutture lavorative a carattere temporaneo, come gli addetti ai cantieri edili, o le unità produttive ubicate in zone dove mancano servizi di ristorazione; in questo caso valgono le regole per i buoni pasto. Tutto ciò vale anche per i nuovi collaboratori a progetto, assimilati ai dipendenti.
Non aumenterà la soglia di esenzione per i buoni pasto, che non continueranno a non formare reddito fino a 5,29 euro al giorno. Così come il via libera dell'Unione europea all'esenzione Iva per chi ha volumi d'affari fino a 65mila euro annui non avrà ripercussioni su chi è ora nel regime dei minimi: per continuare a pagare le tasse al 5% (senza versare Iva e Irap) bisognerà mantenere sempre come bussola – oltre agli altri requisiti richiesti – il limite annuo di ricavi di 30mila euro.
Chiusura anche sull'innalzamento della soglia dei ricavi fino a 65mila euro per i contribuenti minimi. Il costo in termini di minor gettito sarebbe di 29 milioni di euro all'anno ma il problema maggiore è la valutazione sulla «compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato». Come a dire che senza il consenso dell'Unione europea su questo punto non si possono fare modifiche. In realtà, la richiesta nasce dal via libera comunitario all'innalzamento della soglia di esenzione dall'Iva per i contribuenti con volume d'affari fino a 65mila euro.
Mense aziendali per i dipendenti: in questo caso non opera il limite di euro 5,29, e l'aliquota iva del 4% (anziché 10%) è applicabile, oltre che alle mense interne, anche in pubblici esercizi essenzialmente sulla base e nei limiti di importo stabiliti in apposite convenzioni / appalti tra datore di lavoro e pubblico esercizio. Quest'ultimo però deve essere munito di apposita licenza e con spazi e locali destinati a fungere da mensa esterna per le imprese.
Ciò vale anche fornendo i pasti su vassoi presso il datore di lavoro, o tramite servizi convenzionati di mensa diffusa a mezzo di card elettroniche personalizzate e tracciate, o tramite distributori automatici in azienda.
Per evitare il limite di deducibilità di euro 5,29, tipico del buono pasto o ticket restaurant, occorre quindi che si configuri un vero servizio di mensa per i dipendenti e assimilati.
Esempio comparativo con valore erogato 5,29 euro:
INDENNITA' PAGATA IN BUSTA
Netto percepito 3,52 euro
Costo azienda 6,98 euro
BUONI PASTO
Netto percepito 5,29 euro
Costo azienda 5,29 euro
Esempio di spesa annua di una azienda che assegna la somma di 5,29 Euro al giorno per 220 giorni lavorativi a un lavoratore del terziario con un reddito lordo non superiore a 15.000 euro annui:
Costo per indennità di mensa in busta paga:
Importo netto annuo 1.163,80 euro
Irpef lavoro dipendente 347,63 euro
Inps carico dipendente 8,89% 147,48 euro
Inps carico azienda 28,98 % 497,34 euro
Costo totale azienda 2.156,25 euro
Costo per acquisto di buoni pasto:
Importo 1.163,80 euro
Ovviamente in entrambi i casi il superamento della quota di 5,29 euro/giorno comporta l’assoggettamento in busta paga di ritenute proporzionali e contributi per la differenza attribuita.
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