domenica 20 luglio 2014

Pensione, effetto crisi sul calcolo dell'assegno




Per conseguire un assegno previdenziale più consistente un lavoratore può ritardare l'età del pensionamento, può trarre beneficio da un incremento dello stipendio o del reddito e conseguentemente dei contributi versati, può in alcuni casi effettuare versamenti aggiuntivi e può ricorrere al secondo pilastro.

Pensioni, importi in picchiata: ecco quanti soldi si possono perdere.

Professionisti, statali: ecco chi ci perde e chi ci guadagna La pensione? Non dipende solo dal lavoratore, dall'età fino a cui lavora e dalla sua retribuzione. L'assegno che un lavoratore percepirà dipende anche dalle condizioni economiche del Paese perché il Pil può incidere fino al 20-25% sulla misura del trattamento previdenziale. La rivalutazione dei contributi versati è legata alla variazione annua del Pil. Con il sistema contributivo, infatti, il montante individuale viene rivalutato su base composta a un tasso di capitalizzazione che è pari alla variazione media quinquiennale del Pil nominale calcolata dall'Istat. Ne consegue che se il Pil cresce poco o per nulla, dopo 20 o 30 anni gli importi messi da parte varranno meno rispetto a una situazione economica di crescita. E il valore del primo assegno pensionistico si ridurrà rispetto all'ultima retribuzione.

Chi andrà in pensione dopo il 2020, dovrà "pagare il conto" delle riforme previdenziali che hanno introdotto la revisione prima triennale poi biennale dei coefficienti di trasformazione: il Sole 24 Ore ricorda che la Ragioneria generale dello Stato ha calcolato che dal 2020 in poi il tasso di sostituzione netto passerà dall'84% al 77% e che dopo il 2035 si ridurrà fino al 71% e questo accade per il passaggio dal pensionamento di vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo. Andrà peggio per gli autonomi: per loro il salto avverrà prima dal momento che dal 94% di inizio decennio si arriverà al 734% nel 2020. Tradotto significa che per assicurarsi una retribuzione pari al 70% dell'ultima retribuzione si dovranno accumulare 40 anni di contributi e avvicinarsi ai settant'anni di età.

Il Sole 24 Ore ha citato il caso di un 42enne che ha iniziato a versare i contributi a 25 anni, se andrà in pensione a 68 anni percepirà un assegno pari al 65,6% dell'ultima retribuzione. Ma questo solo la variazione media del Pil durante la sua vita lavorativa sarà stata pari all'uno per cento. Con una variazione del 2% può contare sull'80,5%.  Ma se il Pil dovesse rimanere inviarato il tasso di sostituzione scenderebbe al 54%.  Se dunque la difficile situazione economica che sta attraversando l'Italia dovesse prolungarsi, l'effetto sulle pensioni sarà deflagrante e a pagarne saranno i più giovani perché chi adesso è vicino alla pensione non sarà danneggiato dal punto di vista pensionistico.

Per conseguire un assegno previdenziale più consistente un lavoratore può ritardare l'età del pensionamento, può trarre beneficio da un incremento dello stipendio o del reddito e conseguentemente dei contributi versati, può in alcuni casi effettuare versamenti aggiuntivi e può ricorrere al secondo pilastro.

Ma c'è una variabile a lui esterna su cui non può intervenire e che, da sola, incide in modo consistente sull'importo della pensione e, più in generale, sulla tenuta dell'intero sistema: la variazione annua del prodotto interno lordo a cui è collegata la rivalutazione dei contributi versati. Con il sistema contributivo, infatti, il montante individuale alla fine di ogni anno viene rivalutato su base composta a un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del Pil nominale calcolata dall'Istat.
Ne consegue che, tenendo immutate le altre variabili, se il Pil cresce poco o per nulla, dopo 20-30 anni gli importi accantonati varranno di meno di quanto accadrebbe con un'economia in fase espansiva. Dal punto di vista pratico, il tasso di sostituzione (cioè quanto varrà il primo assegno pensionistico rispetto all'ultima retribuzione) si ridurrà.

I lavoratori dipendenti che andranno in pensione dopo il 2020 dovranno innanzitutto fare i conti con gli effetti delle ultime riforme previdenziali, che hanno alzato i requisiti e introdotto la revisione triennale e poi biennale dei coefficienti di trasformazione. Come calcolato dalla Ragioneria generale dello Stato dal 2020 in poi il tasso di sostituzione netto passerà dall'84 al 77 per cento. Dopo il 2035 si scenderà al 71% quale effetto principalmente del passaggio dal pensionamento di vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo. Per gli autonomi, invece, il salto avverrà prima, dato che dal 94% di inizio decennio si arriverà al 74% del 2020. Dagli esempi riportati a inizio pagina si vede che per garantirsi una pensione pari almeno al 70% dell'ultima retribuzione in molti casi si dovranno accumulare più di 40 anni di contributi e avvicinarsi alla soglia dei 70 anni di età.

Tra i fattori da considerare c'è pure l'andamento della retribuzione, anche se questa risulta decisamente più determinante con il sistema retributivo che collega direttamente l'assegno allo stipendio degli ultimi anni, per cui un'accelerazione di carriere nel finale garantiva effetti positivi. Rispetto a quest'ultimo il sistema contributivo "avvantaggia" le carriere piatte e discontinue perché prende in considerazione tutto quanto è stato versato.

Comunque i più giovani, assoggettati interamente al sistema contributivo, dovranno contare sui contributi versati nel corso della carriera lavorativa, sperando che sia il più possibile continuativa, in modo da non perdere anni e ritrovarsi a 70 anni con un montante ridotto.

Il punto è che molte elaborazioni, tra cui quella della Ragioneria dello Stato, ipotizzano proprio un tasso di variazione medio del Pil all'1,5% nel lungo periodo (fino al 2060). A fonte dell'andamento dell'economia italiana negli ultimi anni queste ipotesi rischiano di essere ottimistiche. Non va dimenticato, infatti, che per esempio nel 2013 la variazione del Pil è stata pari a -1,9 per cento. Se il quadro di contrarietà dovesse protrarsi a lungo a pagarne le conseguenze saranno ovviamente le generazioni più giovani perché per chi è prossimo alla pensione un'economia bloccata negli ultimi anni di lavoro incide poco sul tasso di sostituzione.


giovedì 17 luglio 2014

Microsoft taglia 18mila posti di lavoro




Per il gigante del software è il più grande taglio di posti di lavoro di sempre. Microsoft ha annunciato che nel prossimo anno lasceranno l'azienda 18mila dipendenti. Il drastico taglio è dovuto (anche) all'integrazione con Nokia. Microsoft ha comprato la divisione "Device and Services" a settembre per 7,17 miliardi di dollari, ma soltanto ora si appresta a integrare ruoli e competenze. E’ quanto ha annunciato la stessa azienda in una nota. La riduzione rappresenta il 14% della forza lavoro e sarà realizzata entro un anno. Si tratta della maggiore ondata di tagli della storia di Microsoft.

Gli oneri che la società mette in conto includono tra i 750 e gli 800 milioni di dollari per le liquidazioni ed altri benefit collegati e tra i 350 e gli 800 milioni di dollari di costi collegati agli asset. Secondo le previsioni il piano di ristrutturazione sarà «sostanzialmente completato» entro il 31 dicembre di quest'anno e «del tutto completato» entro il 30 giugno 2015.

Il programma è stato delineato in una e-mail ai dipendenti dell'amministratore delegato: «La settimana scorsa ho sintetizzato la direzione strategica e la piattaforma della società. Ho chiarito che il focus deve essere l'inizio del viaggio non la fine. I passi più difficili riguardano la creazione dell'organizzazione e della cultura per dare vita alle nostre ambizioni», ha scritto Satya Nadella, specificando che la società comincerà a tagliare 13.000 posti di lavoro e che l'ampia maggioranza delle persone che rimarranno a casa riceverà notifica entro i prossimi sei mesi. «È importante notare che stiamo eliminando posti in alcune aree e che ne saranno aggiunti in altre aree strategiche», ha aggiunto, spiegando che la società «cercherà di essere il più attenta e trasparente possibile nel corso del processo».

A fine giugno Microsoft, come scrive il Wall Street Journal, aveva 99mila dipendenti full time, di cui 58mila negli Stati Uniti. Dei 18mila, 12.500 sono professionalità che verranno eliminate in seguito alle sinergie con Nokia.

Nella mail ai dipendenti scrive: «Iniziamo ora con i primi 13mila dipendenti e la maggior parte di loro verrà informata nei prossimi 6 mesi. Ci tengo a sottolineare che mentre eliminiamo ruoli in alcune aree, ne stiamo aggiungendo altri in posizioni strategiche». Nadella assicura che chi lascerà l'azienda lo farà nella maniera meno traumatica possibile. Il che significa incentivi economici: Microsoft valuta che nei prossimi 4 trimestri l'impatto andrà da 1,1 a 1,6 miliardi di dollari.

Il ceo spiega la decisione con due esigenze: semplificazione organizzativa e fusione con Nokia. La prima voce intende ridurre innanzitutto le linee di management per accelerare le decisioni e «diventare più agili». Il secondo punto riguarda, appunto, Nokia. Oltre al tema occupazionale, Nadella annuncia che i Nokia X, ovvero gli smartphone di fascia bassa annunciati a febbraio con sistema operativo Android, confluiranno nella linea Lumia con Windows.

Microsoft Italia spiega che al momento non è al corrente di quali saranno le conseguenze della riorganizzazione in Italia, mentre i principali tagli interesseranno Finlandia e Cina.

Pochi giorni fa Nadella aveva spedito una nota ai dipendenti dove aveva tratteggiato l'identità della nuova Microsoft. In tre parole: cloud, mobilità, produttività. Il ceo aveva spiegato che non si tratta solo di portare documenti e fogli di calcolo da pc a smartphone, ma «reinventare la produttività di ogni persona e organizzazione in modo che faccia di più e ottenga maggiori risultati».

La Ue convoca l'azienda.«Mi rammarico per il taglio annunciato da Microsoft, la ristrutturazione è una realtà ma deve essere fatto in modo responsabile, basato sul dialogo con le parti sociali e rispettando le leggi sulla consultazione dei lavoratori»: così il commissario al lavoro Lazlo Andor, che ha chiesto di incontrare i rappresentanti di Microsoft «il prima possibile per avere più informazioni su tagli, misure per mitigare le conseguenze sociali e per capire come mobilitare fondi Ue a sostegno di chi ha perso il posto».

Alitalia nuovo contratto di lavoro firmato da Filt-Cgil e Fit-Cisl




Le federazioni dei lavoratori del trasporto aereo hanno imboccato strade diverse con la Filt-Cgil e la Fit-Cisl che hanno sottoscritto il nuovo contratto nazionale di lavoro e l'accordo per il contenimento del costo del lavoro nel 2014, mentre la Uil trasporti e l'Ugl hanno deciso di non firmare.

E' stata trovata un'intesa al tavolo al Ministero dei Trasporti con azienda e sindacati sul Contratto nazionale di settore e i risparmi sul costo del lavoro. La Filt-Cgil e la Fit-Cisl hanno firmato il contratto e l'accordo sui risparmi per circa 31 milioni per i prossimi 5 mesi. Non hanno invece firmato Uil-Trasporti e Ugl.

Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, "noi il testo del Contratto nazionale di settore" così com'è al momento "viola molti diritti delle persone che lavorano in Alitalia e non c'entra nulla con l'operazione Etihad, che non ha mai chiesto di fare un contratto nazionale. Con questo testo - prosegue - non credo ci siano le condizioni perché il rush finale abbia un esito positivo. Tutto ciò che c'era da fare con il matrimonio con Etihad avesse successo noi lo abbiamo fatto" noi abbiamo fatto l'accordo sugli esuberi, il resto attiene tra i rapporti tra aziende e lavoratori.

L'ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, dopo l'incontro con i sindacati ha annunciato che "Alitalia sta morendo. "Abbiamo scelto di non firmare perché il testo del contratto propostoci non prevedeva quelle modifiche a garanzia della rappresentanza", ha detto Claudio Tarlazzi, segretario generale del sindacato di categoria della Uil.

Il sindacalista ha aggiunto che "in virtù degli accordi esistenti tra confederazioni e Confindustria è allo stato dubbio che il nuovo contratto sia legittimo. Comunque noi chiederemo che venga sottoposto al voto dei lavoratori".

Intanto il Ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina fa sapere che conta di dire addio ad Alitalia nel momento in cui la compagnia tornerà in utile. «Alitalia è un caso in cui noi abbiamo sia quote azionarie che crediti e riteniamo che qui ci sia un progetto industriale che valga la pena di essere seguito e che può portarci a uscire da questa azienda nel momento in cui tornerà in utile, ovvero secondo il piano industriale nel 2017. Per cui noi supportiamo il progetto

Credo che ci siano pienamente le condizioni per concludere l’accordo», tra Alitalia ed Etihad, aveva detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, interpellato sul nodo degli esuberi. «Il problema della Cgi va essenzialmente riferito all’accordo sulla gestione degli esuberi». Per cui, «con il consenso di tutte le altre organizzazioni e il consenso parziale della Cgil credo ci siano le condizioni» per chiudere. «La Cgil - prosegue Poletti a margine del vertice dei ministri del Lavoro e dell’Ambiente dell’Unione Europea, in corso a Milano - ha dichiarato di essere interessata e disponibile a sottoscrivere il contratto e l’accordo sulla riduzione degli oneri economici». Quanto al collocamento degli esuberi, «è collegato ai tempi dell’accordo e delle procedure di Alitalia e di Etihad», spiega il ministro, aggiungendo che «ci deve essere una richiesta da parte di Alitalia per il passaggio alla cassa integrazione per crisi per cessazione. Poi le procedure seguiranno i tempi». Poletti ricordava poi che per le persone che rimarranno non collocate «abbiamo previsto per settembre di attivare un lavoro preliminare tra Regione Lazio, ministero del Lavoro ed Enac». Si aprirà quindi «un tavolo per la predisposizione degli strumenti di supporto al ricollocamento», ha aggiunto il titolare del Welfare, concludendo che «questo può avvenire solo nel momento in cui la mobilità è decretata».

Sulla firma del contratto nazionale del trasporto aereo serve referendum tra i lavoratori, chiedono Avia e Anpac, le associazioni degli assistenti di volo e dei piloti. «Noi non firmiamo - ha detto il presidente Avia, Antonio Divietri - ci prendiamo il tempo per fare le verifiche con i lavoratori. Non è un rifiuto, ma una firma tecnica che vale dopo il referendum certificato». Per il presidente Anpac, Giovanni Galiotto, «alla luce di quanto abbiamo sentito, immaginiamo che non ci sia nulla da firmare perché l'azienda credo non ci presenti un testo non condiviso. Ci prendiamo lo spazio per consultare i nostri associati».


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