lunedì 1 dicembre 2014

Pensioni per il 2015 aumenti saranno una chimera


Gli incrementi sulle pensioni che in genere scattano ogni inizio dell’anno, per essere queste adeguate all'inflazione, quest’anno saranno impercettibili e anzi per i primi mesi del 2015, le rate seppure di qualche euro si abbasseranno

Un’altra brutta notizia per i pensionati: l’inflazione tiene al palo gli assegni. Per il 2015 non ci sarà alcun aumento. Anzi, nei primi due mesi dell’anno – secondo quanto scrive Il Messaggero – l’importo potrà risultare leggermente più basso di quello del 2014, per il recupero di una piccola somma che era stata percepita in più”.

Un'inflazione dannosamente vicina allo zero non è una buona notizia, visto che si associa ad un'economia che non riesce a uscire dalla recessione. Ma gli incrementi ai minimi storici rilevati quest'anno dall'Istat porteranno dal prossimo gennaio 2015 una sorpresa poco gradita per i pensionati: la rivalutazione dei loro assegni sarà quasi impercettibile. Anzi, nei primi due mesi dell'anno l'importo potrà risultare leggermente più basso di quello del 2014, per il recupero di una piccola somma che era stata percepita in più.

Per capire esattamente cosa accadrà bisogna ricordare come funziona il meccanismo di adeguamento annuale delle pensioni, chiamato perequazione. Ogni anno gli importi vengono rivalutati sulla base dell'indice dei prezzi al consumo rilevato dall'Istat per l'anno precedente. Siccome l'Inps effettua i relativi calcoli più o meno a partire dal mese di novembre, viene stimato un indice provvisorio sulla base di quello dei primi nove mesi. Il relativo decreto del ministero dell'Economia sta per essere formalizzato, ma dati gli andamenti recenti si stima un incremento limitato allo 0,3 per cento, livello storicamente bassissimo (nel 2009 si arrivò allo 0,7 per cento).

Gli incrementi da "zero virgola" dell'inflazione, rilevati dall'Istat, porteranno dal prossimo gennaio una sorpresa poco gradita per i pensionati, perché la rivalutazione dei loro assegni sarà quasi impercettibile.

È vero che questi ritocchi, praticamente nulli, corrispondono a un livello dei prezzi di fatto congelato, per cui sulla carta non c'è perdita di potere d'acquisto. Ma per i pensionati, esclusi dal bonus da 80 euro, è un altro duro colpo.

All'inizio di quest'anno, sulla base dell'inflazione 2013, era stato riconosciuto un incremento provvisorio dell'1,2 per cento, che però con i dati definitivi è risultato leggermente più alto di quello effettivo, pari all'1,1. Di conseguenza l'Inps dovrà limare di quello 0,1 per cento gli aumenti dello scorso anno, ed anche recuperare con le prime due rate del 2015 i pochi euro percepiti in più dai pensionati.

L'effetto pratico è gli incrementi saranno quasi inesistenti, anche ragionando sulle cifre lorde. Una pensione pari all'importo del trattamento minimo, originariamente stimato per il 2014 a 501,38 euro al mese, viene rivista a 500,88 e su questa base portata a 502,38. L'aumento è quindi di un euro al mese.

Ma con tutta probabilità, gli interessati vedranno nella propria busta paga una somma ancora più bassa, perché l'Inps dovrà anche recuperare i poco più di 6 euro che non erano dovuti: se, come di consuetudine, lo farà tramite trattenute sulle rate di gennaio e febbraio il totale effettivo risulterà ancora più basso, circa 499 euro.

Su importi un po' più consistenti, più o meno al di sopra dei 600 euro mensili, inizia ad entrare in gioco il fisco. Che per la sua natura progressiva, ed in particolare a causa della detrazione decrescente riconosciuta ai pensionati, va ad intaccare anche i circa 2 euro al mese di aumento effettivo che spettano intorno ai mille euro di pensione o i poco meno di 4 che sarebbero riconosciuti per un assegno di valore doppio. E poi c'è sempre da restituire la manciata di euro in più percepiti nel corso del 2014.

Per ironia della sorte, su un livello di adeguamento all'inflazione già così basso operano anche le decurtazioni stabilite con la precedente legge di Stabilità. Per cui al di sopra di tre volte il trattamento minimo (circa 1.500 euro al mese), quell'esiguo 0,3 per cento teorico va applicato al 95 per cento; al di sopra delle quattro volte al 75 per cento; oltre le cinque volte il minimo al 50 per cento e infine al 45 per cento se l'importo della pensione è superiore a sei volte il trattamento minimo.

In pratica anche quell'esiguo incremento dovuto all'adeguamento alla pur bassa inflazione non ci sarà, anzi le prime due buste paga gennaio 2015 e febbraio 2015 risulteranno ancora più bassi dell’anno precedente proprio per il recupero che l’Inps si accinge a fare. Per fare un esempio una pensione di 501,38 euro al mese con molta probabilità per i primi due mesi del 2015 sarà di circa 499 euro per poi essere rivista e portata a 502,38 euro per il resto dell’anno.



Pensioni INPS per le donne nel 2015 bastano 57 anni



La pensione anticipata è una strumento previdenziale che sostituisce la pensione di anzianità. Si consente sostanzialmente al lavoratore che non ha raggiunto l'età per ottenere la pensione di vecchiaia, ma che ha versato un elevato numero di contributi di ottenere una pensione. Si tratta di uno strumento introdotto con la riforma delle pensioni Monti-Fornero nel 2011.

Le donne lavoratrici che hanno almeno 35 anni di contributi e 57 anni di età e che volessero andare in pensione, ma con l’assegno calcolato interamente con il metodo contributivo, potranno continuare a presentare la domanda all’Inps. In questo senso dovrebbe esprimersi una circolare dell’Istituto di previdenza che potrebbe essere firmata, riaprendo in sostanza i termini che altrimenti sarebbero scaduti.

La possibilità in esame è stata introdotta nel 2004 e prevede, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, la possibilità per le lavoratrici dipendenti con 35 anni di versamenti di ritirarsi a 57 anni (58 per le lavoratrici autonome) ma con l'importo della pensione calcolato interamente col sistema contributivo (prendi quanto hai versato in tutta la vita lavorativa) anziché col retributivo (pensione pari al 70% dello stipendio con 35 anni di contributi). Normalmente la donna che sceglie di sfruttare questa possibilità prende dunque almeno il 15-20% in meno.

Come quello che dovrebbe essere comunicato  dall’Inps riaprendo i termini per la cosiddetta «opzione donna».

Di regola la donna che sceglie questa possibilità prende almeno il 15-20% in meno. Nei primi anni sono state poche centinaia le lavoratrici che hanno scelto l’opzione donna. Ma dopo la riforma Fornero, che ha cancellato le pensioni di anzianità e aumentato bruscamente l’età per la pensione di vecchiaia, il numero di domande all’Inps si è impennato, anche perché questa possibilità è spesso rimasta l’unica per non finire esodati (senza lavoro e senza pensione). Così nel 2013 sono state 8.846 le richieste e quest’anno, fino a settembre, ne sono già arrivate altre8.652.

Ricordiamo che la riforma delle pensioni del 2004 prevedeva che le lavoratrici potessero andare in pensione a 57 anni se dipendenti e a 58 anni se autonome, in entrambi i casi con almeno 35 anni di contributi, e applicando l’adeguamento alle speranze di vita (tre mesi in più dal primo gennaio 2013). In cambio del ritiro anticipato, la lavoratrice accetta una decurtazione della pensione, che viene calcolata interamente con il metodo contributivo.

Secondo una precedente circolare dell’Inps, che aveva tenuto conto del fatto che sulla vecchia pensione di anzianità si applicava la cosiddetta finestra mobile, passava cioè un anno dalla maturazione dei requisiti alla decorrenza della pensione, il termine per le domande scadeva a fine 2014 (novembre, tenendo conto che bisogna presentarla un mese prima) anziché il 31 dicembre 2015.

Donne in pensione: si torna indietro, ma a condizione di una diminuzione di bonus. E’ noto come la legge Fornero abbia alzato le pensioni per uomini e donne. Drasticamente. Dall’Inps, tuttavia, arriva una vera e propria svolta per il ‘gentil sesso’: potranno andare in pensione a 57 anni con 35 anni di contributi. A patto, tuttavia, di una minorazione dell’assegno pensionistico: – 20%, addirittura.

Chi, infatti, fra le lavoratrici, decide di andare in pensione prima, a 57 anni per le dipendenti e a 58 per le autonome, con 35 anni di contributi, sceglie di calcolare la sua pensione finale esclusivamente con sistema contributivo, sulla base dunque dei contributi versati durante la propria vita lavorativa, invece che con il più remunerativo sistema retributivo.
In questo modo di riceve una pensione pari al 70% dello stipendio, per cui si ha una riduzione dell’assegno pensionistico finale e questi tagli alla pensione rappresentano i risparmi per lo Stato. Dovrebbero essere 6mila le lavoratrici donne che il prossimo anno matureranno i requisiti di accesso alla pensione anticipata secondo tale regola. Al momento, nonostante si attendano ancora regole ufficiali dall'Inps, non è prevista l'estensione di questa possibilità di uscita anticipata anche agli uomini, come si era auspicato.



domenica 30 novembre 2014

Calcolo importo indennità di disoccupazione ASPI 2015



Il nuovo sussidio del 2015 sostituirà l'indennità di disoccupazione ordinaria per un importo massimo erogabile di 1.000 euro al mese. Si invita a leggere la pagina indennità di disoccupazione 2015 pubblicata su questo blog.

Con la Nuova Aspi 2015 l'importo massimo erogabile come indennità è di mille euro e si rivolge ad apprendisti, soci lavoratori subordinati di cooperative, personale artistico dipendente e dipendenti a tempo determinato delle PA.

Per ottenere l'indennità bisogna avere almeno due anni di anzianità assicurativa e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l'inizio del periodo di disoccupazione.

Per quanto riguarda gli apprendisti questi dovranno di fatto attendere il 1 gennaio 2015 per maturare il diritto al sussidio ordinario ASPI (1 aprile 2013 per la mini-aspi).

La cosiddetta Mini ASPI invece, prevista dalla riforma Fornero sul mercato del lavoro, dal 1 gennaio 2013 sostituisce la vecchia indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.

Si tratta di un ammortizzatore sociale che spetta ai lavoratori dipendenti che abbiano involontariamente perduto il lavoro a causa di licenziamento o della scadenza di un contratto a termine.

Tra i lavoratori sono compresi i dipendenti a tempo determinato della Pubblica Amministrazione, i dipendenti a tempo determinato della scuola, i soci di cooperative che svolgano un lavoro subordinato, gli apprendisti e il personale artistico che svolga un lavoro subordinato.

Rientrano nella Mini ASPI naturalmente anche i lavoratori stagionali, se in possesso dei requisiti richiesti (almeno 13 contributi settimanali nelle 52 settimane precedenti la data di cessazione rapporto).

La Mini ASpI non spetta, invece, ai dipendenti a tempo indeterminato della Pubblica Amministrazione, agli operai agricoli con contratto a tempo determinato e indeterminato, ai lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale perché possono godere di altre agevolazioni secondo la specifica normativa.

L'assicurazione è finanziata tramite contributi obbligatori a carico esclusivamente del datore di lavoro nella misura del 1,61% della retribuzione imponibile di tutti i lavoratori occupati.

Il sussidio o assegno di disoccupazione ordinaria dell'INPS spetta esclusivamente al lavoratore dipendente del settore privato non agricolo quando quest'ultimo perde il lavoro involontariamente.

Questo significa che il primo requisito per avere diritto al trattamento economico è quello di essere stati licenziati per qualsiasi motivo da un precedente datore di lavoro oppure essersi dimessi per giusta causa o giustificato motivo.

Il sussidio di disoccupazione non spetta nel caso ci si sia dimessi volontariamente oppure a seguito di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Il secondo requisito è che venga dichiarata espressamente la disponibilità a trovare un nuovo posto di lavoro da parte del lavoratore disoccupato presso il Centro per l'Impiego territorialmente competente.

Per effettuare il calcolo della Aspi per l’anno 2015 è necessario applicare alla media mensile degli stipendi percepiti negli ultimi due anni rivalutati secondo le variazioni ISTAT. la quota del 75%. Il calcolo Aspi prevede dunque che l'importo sia pari al 75% della media mensile della retribuzione degli ultimi due anni, fermo restando il limite dell'importo massimo erogabile di 1.000 euro.

L'indennità mensile per l'ASpI varia a seconda della retribuzione percepita dall'avente diritto:

per retribuzioni medie imponibili ai fini previdenziali degli ultimi due anni pari o inferiori a € 1.180 (per anno 2013): il 75%;

per retribuzioni medie imponibili ai fini previdenziali degli ultimi due anni superiori a € 1.180 (per anno 2013): il 75% dell'importo di € 1.180 incrementato del 25% del differenziale tra la retribuzione media mensile e € 1.180.

L'indennità comunque non può superare l'importo massimo definito annualmente.

La retribuzione mensile media si ottiene dividendo la retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicandola per 4,33.

L'indennità subisce una decurtazione legata al tempo di percezione se superiore ai sei mesi:

dopo sei mesi viene ridotta del 15%

dopo dodici mesi ridotta di un ulteriore 15%

In particolare per i soci di cooperative, ma sembrerebbe anche per tutti i lavoratori dipendenti da aziende che versano in modo ridotto il contributo, viene prevista la riduzione proporzionale alla riduzione contributiva anche dell'indennità.

Sugli importi erogati non viene operata nessuna trattenuta contributiva.

La norma prevede un periodo di durata transitorio diverso tra ASpI e mobilità.

Aspi. A regime, dall'1.1.2016:
12 mesi fino 54 anni di età, con detrazione dei periodi di ASpI o MiniASpI già fruiti nel "medesimo periodo"
18 mesi dai 55 anni nel limite delle settimane di contribuzione fatte valere nel biennio e con detrazione dei periodi di ASpI o MiniASpI già percepiti nel biennio

Periodo transitorio 2013 - 2015:

anno 2013:
8 mesi fino a 49 anni di età
12 mesi dai 50 anni di età

Anno 2014:
8 mesi fino a 49 anni di età

12 mesi dai 50 anni ai 54 di età

14 mesi dai 55 anni di età nel limite delle settimane di contribuzione fatte valere nel biennio

Anno 2015:
10 mesi fino a 49 anni di età

12 mesi dai 50 anni ai 54 di età

16 mesi dal 55 anni di età nel limite delle settimane di contribuzione fatte valere nel biennio

Mobilità - Periodo transitorio 2013 - 2016:

anno 2013
12 mesi fino a 39 anni di età (24 mesi se al Sud)

24 mesi dai 40 ai 49 anni di età (36 mesi se al Sud)

36 mesi dai 50 anni di età (48 mesi se al Sud)

Anno 2014:
12 mesi fino a 39 anni di età (18 mesi se al Sud)

24 mesi dai 40 ai 49 anni di età (30 mesi se al Sud)

30 mesi dai 50 anni di età (42 mesi se al Sud)

Anno 2015:
12 mesi fino a 39 anni di età

18 mesi dai 40 ai 49 anni di età (24 mesi se al Sud)

24 mesi dai 50 anni di età (36 mesi se al Sud)

Anno 2016:
12 mesi fino 39 anni di età

12 mesi dai 40 anni ai 49 anni di età (18 mesi se al Sud)

18 mesi dai 50 anni di età (24 mesi se al Sud)

In assenza di un intervento normativo a partire dal gennaio 2017 l'istituto dell'indennità di mobilità scompare facendo transitare anche questo ammortizzatore nell'ASpI. Inoltre in via transitoria, periodo 2013 - 2016, a seguito di specifici interventi governativi, possono essere concessi trattamenti di Cassa integrazione o mobilità in deroga alla normativa vigente, per un massimo di 12 mesi continuativi.

L'esempio di calcolo di cui ci occuperemo in questa mini-guida riguarda un impiegato di una piccola azienda industriale, il quale è stato licenziato con regolare preavviso a seguito cessazione definitiva dell'attività aziendale.

Considerato che nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro il Sig. xx, in possesso del requisito di anzianità contributiva, ha lavorato continuativamente per la stessa azienda, e quindi può far valere almeno 52 contributi settimanali, gli spetta il trattamento previsto per l'ASPI Ordinaria (Assicurazione Sociale per l'Impiego, ex Indennità di Disoccupazione).

Il requisito di anzianità contributiva prevede che per avere diritto al sussidio di disoccupazione occorra essere stato iscritto all'INPS come lavoratore dipendente ed avere quindi maturato la contribuzione utile al maturamento della pensione da almeno 24 mesi alla data di cessazione rapporto.

In seguito alla cosiddetta riforma Fornero (legge 92/2012), a decorrere dal 1 gennaio 2013 la vecchia indennità di disoccupazione è stata rimpiazzata dall'Aspi, l'Assicurazione sociale per l'impiego.

Possono beneficiare della nuova indennità tutti i lavoratori dipendenti, sia con contratto a tempo indeterminato sia determinato, che perdono involontariamente il proprio lavoro.

Oltre a chi viene licenziato, hanno diritto all'indennità coloro che si dimettono per giusta causa e le lavoratrici madri che si dimettono durante il periodo in cui esiste il divieto di licenziamento (dalla data di gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino) e i padri lavoratori per la durata del congedo di paternità e fino al compimento del primo anno di età del bambino.

Il meccanismo di calcolo del sussidio o assegno di disoccupazione, sia ASPI che mini-ASPI, è il medesimo.

L' assegno mensile di disoccupazione è pari al 75% della retribuzione mensile nei casi in cui sia uguale o inferiore - nell'anno 2015 - all'importo di 1.000 euro mensili.

Se la retribuzione mensile è superiore a quell'importo, l'Aspi viene calcolata aggiungendo al 75% dell'importo di 1.000 euro il 25% della differenza tra la retribuzione mensile e i 1.000 euro.
Dopo i primi sei mesi l'indennità viene ridotta del 15% e dopo dodici mesi di un ulteriore 15%. Ovviamente, non si gode più dell'Aspi nel caso il disoccupato trovi un lavoro o raggiunga i requisiti per la pensione.

Gli importi erogati al lavoratore disoccupato non sono soggetti ad alcuna trattenuta contributiva, mentre vengono applicate le normali trattenute irpef.

Durante il periodo considerato transitorio, cioè fino al 31 dicembre del 2015, la durata dell'Aspi varia a seconda dell'anno e dell'età del lavoratore.

Nel 2015 la durata sarà pari a 10 mesi per chi non ha ancora compiuto i 50 anni, di 12 mesi per chi è nella fascia di età tra i 50 e i 54 anni e di 16 mesi dal 55° anno di età.

Dal primo gennaio 2016 il sistema di indennità entra a regime e cambiano le durate: dal primo gennaio 2016 la durata sarà di 12 mesi fino a 55 anni di età e saranno però dedotti gli eventuali periodi di indennità già usufruiti durante il biennio 2013-2015.




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