lunedì 6 giugno 2016

Cos'è il contratto a progetto: Jobs Act, Co.co.pe., Co.co.pro, Co.co.co.



Il Jobs Act, nonostante abbia dato un colpo di spugna ai contratti a progetto, non ha cancellato del tutto le Co.co.co., cioè le collaborazioni coordinate e continuative. Difatti, dopo l’entrata in vigore del Decreto di Riordino dei Contratti, le vecchie Co.co.co. sono comunque valide, e, dal primo gennaio 2016, saranno affiancate da una nuova tipologia di contratto parasubordinato, le Co.co.pe.

La sigla Co.co.pe. sta per collaborazioni continuative e personali: saranno ricondotte in questa categoria tutte le collaborazioni che consistono in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e con modalità di esecuzione, comprese le tempistiche ed il luogo di lavoro, organizzate dal committente.

Questa tipologia di rapporto di lavoro riguarda una moltitudine di lavoratori, solitamente inseriti di fatto nell'organizzazione aziendale ma formalmente non riconosciuti come subordinati e, quindi, privi delle garanzie tipiche di questo tipo di rapporto di lavoro.

Il rapporto è gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività. Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate secondo la disciplina previgente, se non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono la loro efficacia fino alla scadenza.

L'istituto di cui si sta parlando non trova applicazione anche nei confronti delle professioni intellettuali per le quali è richiesta l’iscrizione all’albo l'iscrizione all'albo. Su questo aspetto. La riforma del 2012 ha chiarito che tale esclusione riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali per l’esercizio delle quali l’iscrizione in appositi albi è necessaria per lo svolgimento dell’attività. Al contrario, la generica iscrizione ad un albo professionale da parte del collaboratore non è di per sé idonea all'esclusione del rapporto dal campo di applicazione della disciplina relativa al contratto a progetto.

Il contratto deve essere stipulato in forma scritta e, ai fini della prova, deve contenere: l'indicazione della durata (determinata o determinabile) della prestazione, la descrizione del progetto con indicazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato che si intende conseguire, il corrispettivo e i criteri della sua individuazione (tempi e modalità di pagamento), le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione della prestazione lavorativa, nonché eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore.

La retribuzione corrisposta ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito. La legge 92/2012 ha modificato questo aspetto della normativa: mentre, infatti, in precedenza, il compenso doveva tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto, dal 18/07/2012 in poi, esso non potrà essere inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva in modo specifico per ciascun settore di attività e, in ogni caso, sulla base dei minimi salariali applicati nel settore nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. Lo stesso legislatore precisa che, in assenza di specifica contrattazione collettiva, il compenso del lavoratore a progetto non potrà essere inferiore alle retribuzioni applicate a figure professionali affini.

In caso di gravidanza, di malattia e di infortunio del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, negli altri due casi, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile. Il collaboratore a progetto, salvo diverso accordo tra le parti, può svolgere la sua attività a favore di più committenti, non in concorrenza tra loro. Inoltre, il collaboratore non può diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione, nonché compiere atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.

Il Jobs Act ha specificato la disciplina da applicarsi alle Co.co.pe. sarà quella relativa al lavoro subordinato, escluse le seguenti categorie:

– collaborazioni previste da contratti collettivi nazionali, a causa di esigenze produttive e organizzative particolari, previste dal settore di attività: gli accordi dovranno regolamentare gli aspetti economici e normativi relativi a tali collaborazioni;

– collaborazioni prestate da professionisti iscritti ad albi, qualora siano inerenti all'attività professionale per la quale è necessaria l’iscrizione (ciò vuol dire che, se un avvocato collabora con un committente in un’attività al di fuori delle proprie competenze professionali, il suo rapporto potrà essere comunque ricondotto al lavoro subordinato, anche se è iscritto all’albo);

– attività effettuate da sindaci, amministratori, altri componenti di organi di controllo delle società, e partecipanti a collegi e commissioni;

– collaborazioni rese a società ed associazioni sportive dilettantistiche (Asd); in questo caso, è richiesta l’affiliazione a una federazione sportiva nazionale, alle discipline sportive associate, o a un ente di promozione sportiva riconosciuto dal C.O.N.I.



domenica 5 giugno 2016

In cosa consiste il trattamento di integrazione salariale



Il trattamento di integrazione salariale straordinario (CIGS) è una prestazione economica erogata dall'Inps per integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori al fine di fronteggiare le crisi dell’azienda o per consentire alla stessa di affrontare processi di ristrutturazione /riorganizzazione/ riconversione.

L’Inps, con il messaggio n. 1760 del 20 aprile 2016, ha comunicato che per l’anno 2016 opera l’incremento del trattamento di integrazione salariale straordinario nella misura del 10% della retribuzione persa a seguito della riduzione d’orario (per una durata massima di 12 mesi).

Com’è noto, la cassa integrazione (sia essa ordinaria o straordinaria) comporta la sospensione totale o parziale dell’attività lavorativa, con esonero del datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la retribuzione. Ciò che si è appena detto rappresenta una eccezione alle regole comuni che, piuttosto, dispongono la permanenza dell’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro che rifiuti senza giusta causa di ricevere la prestazione lavorativa. Invece, nei casi di crisi o di ristrutturazione che legittimino il ricorso alla cassa integrazione, il legislatore ha ritenuto di sostenere temporaneamente le imprese, esonerandole dal pagamento della retribuzione e dal versamento dei contributi nei confronti dei lavoratori sospesi in cassa integrazione.

Il meccanismo sopra brevemente descritto non avviene però a totale detrimento dei lavoratori, che – se pur perdono la retribuzione –ottengono però dall’Inps un indennizzo, denominato integrazione salariale. Più precisamente, nel caso di cassa integrazione ordinaria l’integrazione è pari all'80% della retribuzione perduta per effetto della sospensione dal lavoro, anche se dopo i primi 6 mesi di sospensione l’indennità non può superare un tetto massimo fissato dalla legge. Nel caso invece di cassa integrazione straordinaria, l’integrazione è sempre pari all’80% della retribuzione perduta, e sempre nel limite di un tetto massimo previsto dalla legge.

Quanto invece ai contributi previdenziali e assistenziali, la legge prevede (sia nel caso di cassa integrazione ordinaria che in quello di cassa integrazione speciale) l’accreditamento di contributi figurativi. Ciò significa che, anche a fronte del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, il lavoratore non risulta scoperto, ai fini contributivi, durante il periodo di cassa integrazione che, dunque, anche in assenza dei contributi reali, sarà utile in particolare per la maturazione della pensione.

La riforma del mercato del lavoro, approvata con la legge 28 giugno 2012, n. 92 ha introdotto alcune modifiche all’attuale sistema delle tutele in costanza di rapporto di lavoro.

In particolare, la legge di riforma ha definitivamente incluso nel gruppo delle imprese destinatarie del trattamento di integrazione salariale straordinario alcune tipologie di imprese, oggi ammesse solo annualmente al trattamento con specifici provvedimenti legislativi; tale legge ha, parimenti, messo a regime l’indennità di mancato avviamento al lavoro per i lavoratori del settore portuale. La legge di riforma ha, inoltre, modificato i requisiti per la concessione del predetto trattamento per le imprese in procedura concorsuale.

La legge di riforma ha previsto le disposizioni in materia di trattamento straordinario di integrazione salariale e i relativi obblighi contributivi sono estesi alle seguenti imprese:

a) imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta dipendenti;

b) agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più' di cinquanta dipendenti;

c) imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti;

d) imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti;

e) imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti.

Il Decreto di riordino degli ammortizzatori sociali, attuativo del Jobs Act, ha introdotto numerosi cambiamenti, oltreché nell’indennità di disoccupazione e di mobilità, nei seguenti trattamenti:

Trattamenti di integrazione salariale (Cig o Cigo, Cigs, Cig o Cigs in deroga);

Fondi di solidarietà;

Contratti di solidarietà espansiva.

Per quanto concerne la Cassa Integrazione, sia straordinaria che ordinaria, è stata innanzitutto ampliata, dal Decreto, grazie all’estensione dell’obbligo contributivo CIGO/CIGS ai lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante, e di un nuovo contributo addizionale.

Nel dettaglio, i trattamenti di cassa integrazione ordinaria e straordinaria possono essere concessi:

ai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno;

ai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale;

ai lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante (se l’azienda, nello specifico, è beneficiaria di Cigs, gli apprendisti potranno fruire della Cigs, se beneficiaria di Cigo, potranno fruire solo della Cigo, e fruiranno solo della Cigo anche se l’azienda beneficia di entrambi i trattamenti; il periodo formativo sarà allungato in corrispondenza delle ore integrate).

Per beneficiare dell’integrazione salariale, compresa la Cig, o Cigo, il lavoratore dovrà però possedere 90 giorni di effettivo lavoro, nella stessa Unità produttiva, alla data della domanda. Sono contati come giorni di effettivo lavoro anche le domeniche, i giorni liberi, i festivi, e le giornate in cui il dipendente e assente per infortunio o maternità obbligatoria.

Sono invece esclusi:
i dirigenti;

i lavoratori a domicilio;

i lavoratori con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;

i lavoratori con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca.

Nel 2016, il trattamento per le integrazioni salariali ammonterà, parimenti a quanto previsto dalla precedente normativa, all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell’orario ordinario contrattuale.
Non potranno essere però superati i seguenti limiti:
– 971,71 Euro (da aumentare nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e impiegati) quando la retribuzione mensile di riferimento (compresi ratei di tredicesima e quattordicesima) è pari o inferiore a 2.102,24 Euro;

– 1.167,91 Euro (da aumentare come sopra), quando la retribuzione mensile di riferimento è superiore a 2.102,24 Euro.

Lavoratore illegittimamente sospeso: omessa indicazione dei criteri di rotazione




L’ordinamento giuridico consente al datore di lavoro (che si trovi in particolari situazioni di crisi o abbia la necessità di procedere a ristrutturazioni o riorganizzazioni) di sospendere in tutto o in parte i propri dipendenti dal lavoro. Tuttavia, al contempo, questo potere viene disciplinato e limitato dalla legge. Pertanto, la sospensione in CIG disposta al di fuori di questi limiti è illegittima, e il lavoratore può ricorrere al Giudice del lavoro al fine di ottenere la riammissione al lavoro, nonché il risarcimento del danno (che, normalmente, consisterà nella differenza tra la retribuzione che egli avrebbe percepito se non fosse stato sospeso e l’indennità di CIG percepita durante la sospensione).

La CIGO ha la funzione di sostegno del reddito dei lavoratori per sospensioni dal lavoro e riduzioni dell’orario di lavoro dovute ad eventi transitori non imputabili né al datore di lavoro né ai lavoratori, ovvero a situazioni temporanee di mercato.

L’ammontare del trattamento economico è pari all’80% della retribuzione spettante ai lavoratori per le ore non lavorate; dopo il primo semestre di erogazione non può superare un tetto massimo incrementato annualmente in base all’indice ISTAT.

La legge impone una procedura di informazione e consultazione sindacale con le RSA, di solito preventiva. Solo nei casi di sospensione o riduzione indifferibile del lavoro, l’imprenditore deve comunicare alle RSA o, in mancanza di queste, agli organismi provinciali dei sindacati di categoria più rappresentativi, la durata prevedibile della sospensione o contrazione del lavoro ed il numero dei lavoratori interessati; se la sospensione o contrazione superi le 16 ore settimanali, su richiesta dell’imprenditore o degli organismi rappresentativi dei lavoratori si procede ad un esame congiunto sulla ripresa del normale lavoro e sui criteri di distribuzione degli orari di lavoro.

Per la CIGO, a differenza della CIGS, il datore di lavoro anticipa il trattamento una volta adottato il provvedimento di concessione, conguagliando i contributi dovuti. Se dall’omessa o tardiva domanda deriva la perdita totale o parziale della CIGO, l’imprenditore è tenuto a corrispondere ai lavoratori una somma pari all’importo dell’integrazione non percepita.

La durata massima della CIGO è di tre mesi continuativi, ma in casi eccezionali può essere prorogata per tre mesi fino a un massimo complessivo di un anno.

La fissazione dei criteri di rotazione, da osservare in caso di sospensione del personale per fruizione della CIGO, era oggetto di indirizzi giurisprudenziali ora si ritiene che, per omessa specificazione dei criteri di rotazione, rende illegittimo il decreto di concessione del trattamento di CIGS. Conseguentemente, al lavoratore sospeso spetta il diritto soggettivo di chiedere al giudice ordinario la condanna, previa disapplicazione in via puramente incidentale, del provvedimento amministrativo di concessione della CIGS e quella del datore di lavoro al pagamento dell’integrale obbligazione retributiva.

Il D.lgs. n. 148/15, di attuazione della L. n. 183/14 (c.d. Jobs Act), riordinando la disciplina degli ammortizzatori sociali, ha omesso, per il trattamento di CIGO, il riferimento all’osservanza dei criteri di rotazione. Questi, invece, costituiscono oggetto di specifica disposizione nel caso di procedimento volto a conseguire la CIGS. Sicché, anche all’esito della riforma, si registra quella diversa formulazione letterale delle norme che disciplinano il procedimento di concessione della CIGO e della CIGS. Per avere efficacia è stabilito che la comunicazione alle organizzazione sindacali deve avere ad oggetto “[…] le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati”. Il comma 4 dispone poi che “nei casi di eventi oggettivamente non evitabili che rendano non differibile la sospensione o la riduzione dell’attività produttiva”, il contenuto della comunicazione deve comprendere “la durata prevedibile della sospensione o riduzione e il numero dei lavoratori interessati”.

E’ doveroso ricordare che il potere di sospendere i propri dipendenti in CIG incontra innanzi tutto limiti di tipo formale. Infatti, la legge prescrive l’obbligo, per il datore di lavoro, di attivare preventivamente una procedura di informazione e (a richiesta) di consultazione con il sindacato.

L’obbligo di informare e, eventualmente, di trattare con il sindacato ha lo scopo di garantire che la sospensione dei lavoratori sia trasparente e corretta, con la conseguenza che eventuali violazioni della procedura sindacale rilevino, oltre che sul piano formale, anche su quello sostanziale.

Con riferimento ai vizi procedurali il lavoratore (ma anche il sindacato) potrebbe per esempio lamentare l’omissione della procedura, oppure il fatto che non siano state rese tutte le informazioni previste dalla legge, o che le stesse siano state fornite in maniera generica o falsa, o ancora che il datore di lavoro non ha dato seguito alla richiesta del sindacato di trattare.

Vi sono però altri limiti che il datore di lavoro deve rispettare e che, in caso contrario, legittimano il ricorso al giudice da parte del lavoratore. Innanzi tutto, si deve ricordare che il datore di lavoro può ricorrere alla CIG solo in presenza di situazioni di crisi o di ristrutturazione – riorganizzazione previste dalla legge. Sotto questo profilo, dunque, il lavoratore potrebbe per esempio contestare che la causa della sospensione, dichiarata dal suo datore di lavoro, non rientra tra quelle previste dalla legge, oppure che quella situazione non corrisponde al vero. Infine, il datore di lavoro deve scegliere il personale da sospendere in CIG utilizzando criteri oggettivi e coerenti con la causa della sospensione: il lavoratore potrebbe quindi lamentare di essere stato scelto sulla scorta di criteri che non corrispondono a tali caratteristiche.

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