venerdì 23 settembre 2016

Dati INPS sulle assunzioni e costi delle pensioni



Il Jobs Act non funziona, a confermalo arrivano adesso i dati dell'Inps che certifica il calo del 33 per cento delle assunzioni.

Ecco i dati per le assunzioni stabili. Nei primi sette mesi del 2016 sono stati stipulati 972.946 contratti a tempo indeterminato (comprese se le trasformazioni di contratti a termine e di apprendistato) a fronte di 896.622 cessazioni di contratti stabili con un saldo positivo per 76.324 unità. Il dato diffuso dall'Inps è peggiore dell'83,5% rispetto a quello dello stesso periodo del 2015 (quando l'incentivo per i contratti stabili era più alto) ma anche del dato riferito al 2014 quando non c'erano sgravi (il saldo sui rapporti a tempo indeterminato era positivo per 129.163 unità).

Nei primi sette mesi del 2016 sono stati venduti 84,3 milioni di voucher (buoni per il lavoro accessorio dal valore nominale di 10 euro) con un aumento del 36,2% sullo stesso periodo del 2015. Lo si legge nell'Osservatorio sul precariato dell'Inps. Nei primi sette mesi del 2015 si era registrata una crescita del 73% sullo stesso periodo del 2014.

Nel periodo gennaio-luglio 2016 le assunzioni nel settore privato sono risultate 3.428.000, con una riduzione di 382.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-10,0%); nel complesso delle assunzioni sono comprese anche le assunzioni stagionali, pari a 408.000.

L'INPS parla del calo dei contratti a tempo indeterminato, -379000, ovvero -33,7 per cento rispetto ai primi sette mesi del 2015. L’istituto nell’Osservatorio sul precariato spiega che "va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni a tempo indeterminato (-36,2%)".

Insomma l'effetto Jobs Act sembra che sia già finito.

Mentre per le pensioni il rimborso dell’Ape inserita per i casi di crisi o ristrutturazioni aziendali sarà a carico dei datori di lavoro. Ma le forme e la portata di questo finanziamento-deve essere ancora definito in sede di accordi sindacali e non per legge. Verosimilmente per rimborsare l’Ape in versione aziendale si utilizzerà lo 0,30% finora pagato dalle imprese per l’indennità di mobilità e che vale in complesso 600 milioni l’anno (questo ammortizzatore dal 2017 non ci sarà più.

Si sta parlando anche dell’utilizzo di una quota (un altro terzo) per costituire un fondo al quale le aziende potrebbero attingere per pagare appunto l’anticipo pensionistico in caso di un suo utilizzo per avviare alla pensione i lavoratori in esubero che rientrino negli stessi requisiti anagrafici e contributivi previsti per l’Ape volontaria o sociale (almeno 20 anni di versamenti e 63 anni di età dal 2017).

Sempre in questa ipotesi uno 0,10% (circa 200 milioni) verrebbe infine lasciato alle imprese come forma di riduzione del cuneo fiscale contributivo. Ma si parla anche di un’ulteriore alternativa: l’azienda anziché finanziare direttamente il rimborso potrebbe girare la sua quota sul capitale che il lavoratore ha cumulato nel suo fondo pensione complementare, rafforzando in questo modo la parte a cui lo stesso lavoratore può far ricorso per coprire l’anticipo con la rendita integrativa anticipata temporanea (Rita).

Ape social, ovvero l’anticipo a costo zero (perché abbattuto da una detrazione fiscale totale) per i soggetti più meritevoli: disoccupati con ammortizzatore sociale scaduto o con carichi familiari o, ancora, operai edili, macchinisti, forse maestre d’asilo e infermieri da sala operatoria che rientrino nelle fasce d’età e contribuzione previste per il biennio di sperimentazione. La dote per finanziare questo canale di anticipo bancario assicurato resta tra i 5 e i 600 milioni, ed è ancora da definire se chi avrà una pensione lorda superiore ai 1.500 euro dovrà o meno concorrere a parte del rimborso, mentre nulla cambia per l’Ape volontaria, riservata a chi sceglie l’anticipo fino a 3 anni e 7 mesi da

Quindi caccia aperta alle coperture per le pensioni. Mentre i sindacati stanno facendo pressione su due fronti. Sull'Ape sociale (quella gratuita riservata ad alcune categorie come i disoccupati) vorrebbero spostare il limite oltre il quale si comincia a pagare l'anticipo, sopra gli attuali 1.500 euro lordi. L'obiettivo è arrivare a 1.200 euro netti, quindi più o meno 1.650 lordi. Poi c'è la questione dei lavoratori precoci. Il governo prevede che per chi ha iniziato a lavorare presto, l'anticipo possa scattare con 42 anni e 10 mesi di contributi versati. I sindacati chiedono 41 anni e mezzo.

Come è sempre successo, quando si sono cambiate le regole della previdenza le tante incoerenze del nostro sistema sono venute fuori. Pensionati con trattamenti bassi e a rischio povertà, lavoratori con una relativa anzianità rimasti senza contratto e senza ammortizzatore sociale pure a rischio povertà, aziende (e pubbliche amministrazioni) non più in grado di effettuare rinnovi generazionali del personale, un mercato del lavoro costantemente squilibrato.

Stando a numeri forniti dal sottosegretario Tommaso Nannicini, chi ha una pensione mensile di mille euro e lascia il lavoro con un anno di anticipo dovrà rinunciare a 50 euro al mese per i successivi 20 anni: totale 12mila euro. Mentre un anticipo di tre anni verrebbe a costare 200 euro al mese, che spalmati su 20 anni fa 48mila euro. Che significa una decurtazione del 18%. Il tutto escludendo i costi dell’assicurazione che, secondo stime che circolano da giorni, porterebbe al 25% il costo totale della trattenuta.

Dal punto di vista tecnico, l’Ape , acronimo di anticipo pensionistico, che dovrebbe debuttare nel 2017, ruota intorno a un finanziamento che sarà erogato dalle banche a vantaggio del neo-pensionato e che servirà a pagare gli assegni nel periodo che precede il raggiungimento del requisito anagrafico standard per la pensione di vecchiaia. Successivamente tale somma verrà rimborsata dal pensionato in un arco temporale di vent’anni.

Il finanziamento sarà erogato dalle banche, ma per semplificare le procedure, è previsto un intervento dell’Inps che dovrebbe fare da “interlocutore” tra lavoratore e istituto di credito. L’intervento, e i costi, a carico dello Stato, saranno determinati dagli aiuti sotto forma di detrazioni, riconosciuti alle persone più in difficoltà, quali i disoccupati di lungo corso. Chi vorrà anticipare la pensione e avrà redditi medio-alti, invece, dovrebbe vedere l’operazione interamente a suo carico. Alcuni dettagli dell’operazione, però, non sono ancora stati definiti in attesa degli ulteriori incontri con i sindacati che si svolgeranno in settembre.





Apprendistato scuola-lavoro: si parte con il programma Enel, Ministero dell’Istruzione Ministero del Lavoro





Con sistema duale in apprendistato, si deve intendere la formazione alternata per il 50% a scuola e il restante 50% nell’ambiente di lavoro, con l’obiettivo di rafforzare l’offerta educativa per i giovani, affinché raggiungano un maggior livello di qualificazione.

ENEL, Ministero dell’Istruzione (MIUR) e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno dato il via ad una nuova edizione del programma di apprendistato scuola-lavoro 2016-2017: «un buon modello di collaborazione tra scuola e mondo del lavoro per migliorare l’occupabilità dei giovani e il loro inserimento nel mondo del lavoro», l’ha definito il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Il programma, che vedrà l’assunzione da parte del Gruppo Enel di 140 studenti del quarto e quinto anno di istituti tecnici industriali di sette regioni italiane.

“Dopo il successo della prima sperimentazione, siamo orgogliosi di presentare il nuovo programma di apprendistato scuola-lavoro realizzato in sinergia tra ministeri, istituzioni formative e azienda – ha affermato l’Ad del Gruppo Enel Francesco Starace – Alla base di questa modalità di inserimento ci sono evidenti vantaggi per entrambi gli attori: per l’azienda, che investe sui giovani e sulla loro formazione; per gli studenti, che hanno così l’opportunità di svolgere attività formative più allineate all'innovazione tecnologica e alle esigenze del mondo del lavoro, maturando contestualmente una prima esperienza professionale".

L'alternanza scuola-lavoro diventa così una strategia educativa dove il contesto lavorativo è chiamato ad assumere un ruolo complementare all'aula e al laboratorio scolastico nel percorso di istruzione degli studenti in modo da contribuire alla realizzazione di un collegamento organico tra istituzioni scolastiche e formative e il mondo del lavoro.

Al termine del quinto anno, con la conclusione del percorso scolastico e il conseguimento del diploma, per gli studenti degli istituti interessati, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Durante l’anno scolastico gli apprendisti trascorreranno un giorno a settimana in azienda, svolgendo un programma formativo incentrato prevalentemente sul laboratorio e sulle competenze specifiche richieste, mentre durante il periodo estivo saranno in azienda full time per il Training on the job durante il quale affiancheranno le squadre operative e applicheranno concretamente le nozioni apprese durante l’anno scolastico, nel rispetto delle competenze acquisite in materia di safety.

L’idea di avviare il progetto sperimentale è nata dall'esigenza di ottimizzare la gestione del turn over nelle posizioni tecnico-operative aziendali anticipando l’ingresso degli apprendisti in azienda già durante lo svolgimento del percorso scolastico e condividendo con la scuola contenuti teorici più allineati alle esigenze industriali e un’esperienza di training on the job finalizzata a completare la formazione individuale.

Il progetto è stato reso possibile dalla cornice normativa che, con il Decreto Legislativo 81/2015 e il successivo Decreto interministeriale del 12 ottobre 2015, ha reso stabile l’apprendistato scuola-lavoro quale ulteriore modalità di ingresso in azienda.

La prima fase del percorso si concluderà al termine del quinto anno di scuola, con il conseguimento del diploma. Quindi, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Il contratto, stipulato tra azienda e apprendista, è regolato in modo dettagliato dalla legge tedesca, che definisce con precisione obblighi e doveri delle parti. Il sistema duale è diffuso in altri paesi, come Austria e Svizzera e soprattutto nell'Europa del Nord. Soluzioni che si sono dimostrate in grado di assicurare una più ampia integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, riducendo così i livelli di disoccupazione.

La sperimentazione italiana del nuovo apprendistato normativo si basa su un modello fortemente innovativo che passa innanzitutto attraverso la ristrutturazione dell’apprendistato e delle sue caratteristiche (requisiti di accesso e modalità di regolazione della formazione): si punta così ad agire direttamente sul fronte delle imprese tramite la definizione di un nuovo mix di vincoli e benefici, in grado di bilanciare meglio l’onere formativo che esse assumono.



giovedì 22 settembre 2016

Inps: dimissioni e decorrenza pensione



L’Inps, con il messaggio n. 3755 del 20 settembre 2016, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alla decorrenza da attribuire ai trattamenti pensionistici in caso di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In caso di dimissioni telematiche, la decorrenza della pensione si calcola sull'ultimo giorno di lavoro, ossia sulla data precedente a quella inserita nel modulo online.

La decorrenza della pensione di un lavoratore che ha dato le dimissioni o ha risolto consensualmente il rapporto di lavoro per via telematica come previsto dal Jobs Act si calcola in base all’ultimo giorno di lavoro: lo specifica l’istituto previdenziale con Messaggio n.3755 del 20 settembre 2016. I riferimenti legislativi sono il decreto legislativo 151/2015 attuativo della Riforma del Lavoro e il decreto ministeriale del 15 dicembre 2015 che stabilisce le modalità operative per le dimissioni telematiche.

Per determinare la decorrenza della pensione, l’INPS prende come riferimento l’ultimo giorno di lavoro, che, in base alle regole di compilazione del modello telematico per le dimissioni, è quello precedente a quello indicato dal lavoratore.

Il modulo prevede infatti che, nel campo “Data di decorrenza dimissioni/risoluzione consensuale“, venga indicato il giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. In pratica, la data indicata coincide con il primo giorno di mancato svolgimento di attività di lavoro.

A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando la specifica procedura online accessibile dal sito del ministero del Lavoro. Sono esclusi da questo obbligo il lavoro domestico, i casi di risoluzione a seguito di conciliazione stragiudiziale e le ipotesi di convalida presso le DTL. Bisogna utilizzare il modulo online, accessibile tramite credenziali INPS, da inviare all’indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro e alla direzione territoriale competente.

A partire da tale data, infatti, i datori di lavoro non possono più accogliere le dimissioni presentate dal lavoratore su carta semplice.

Pertanto il lavoratore dimissionario:

se in possesso di PIN INPS, può compilare autonomamente i predetti modelli reperibili sul sito del Ministero del Lavoro.

oppure può rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati (patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali e commissioni di certificazione).


Le dimissioni e risoluzioni consensuali dovranno essere rese “efficaci” dal lavoratore attraverso la compilazione e l'invio telematico procedura che, pena l'inefficacia del recesso, dovrà aver cura di adempiere per mezzo proprio o per tramite di soggetto delegato. L'utilizzo della procedura telematica costituisce, inoltre, unica modalità con cui il lavoratore, entro sette giorni dalla data di convalida del recesso, potrà anche revocare le proprie dimissioni richiamando codice identificativo della comunicazione inviata e marcata temporalmente. Ciò premesso, ai fini della determinazione della decorrenza dei trattamenti pensionistici, la data di cessazione del rapporto di lavoro dipendente coincide con la data dell’ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il giorno precedente a quello indicato nella sezione del modulo “Data di decorrenza delle dimissioni /risoluzione consensuale”.




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