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sabato 3 febbraio 2018
NASpI in caso di rifiuto al trasferimento
La NASPI è un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque ha perso il lavoro a partire dal 1° 2015, ha diritto ad un assegno di disoccupazione se ha lavorato almeno 3 mesi.
L’INPS, con messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018, si è pronunciato in merito all'accesso alla NASpI nelle ipotesi di:
risoluzione consensuale in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti (o oltre) con i mezzi di trasporto pubblico;
dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.
L' Inps ricorda le precedenti istruzioni in materia e sottolinea che in questi casi lo stato di disoccupazione del lavoratore si puo considerare involontario e dare quindi diritto al trattamento di disoccupazione NASPI, sia nel caso si realizzi per risoluzione consensuale con procedura di conciliazione e l'erogazione di somme compensative al lavoratore, sia per dimissioni per giusta causa.
Va ricordato che si ha giusta causa di dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò anche indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.
Inoltre, nel caso di specie è possibile accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, in presenza di tutti i requisiti legislativamente previsti, anche laddove il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano, in sede di conciliazione, la corresponsione, a favore del lavoratore stesso, di somme a vario titolo e di qualunque importo.
In caso, invece, di dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, ricorre la giusta causa delle dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.
Stante quanto sopra, in presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda è ammesso l’accesso alla prestazione NASpI a condizione che il trasferimento non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 c.c.
Al lavoratore è richiesta la documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), e se la controversia giudiziale o extragiudiziale. non ha raggiunto una definizione il lavoratore è tenuto a comunicarne l’esito . Inoltre laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS potrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione.
Ma occorre fare molta attenzione al contenuto del messaggio dell’Inps, in quanto, come vedremo, al lavoratore che ha deciso di lasciare il posto di lavoro perché non è sostenibile il trasferimento da parte dell’azienda, conviene la risoluzione consensuale del rapporto, e quindi un accordo con il datore di lavoro, anziché perseguire la strada della dimissione per giusta causa. Vediamo perché.
In ordine al requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione, ai sensi dell’art.2 comma 5 della citata legge n. 92 e dell’art. 3 comma 2 del citato decreto n.22 le predette indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di:
dimissioni per giusta causa;
e di risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012.
Quindi il primo aspetto che chiarisce il messaggio dell’Inps è che la risoluzione consensuale tra datore di lavoro e lavoratore che rifiuta il trasferimento ad altra sede aziendale (sempre distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico) deve essere effettuata nell’ambito della procedura di conciliazione.
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giovedì 22 settembre 2016
Inps: dimissioni e decorrenza pensione
L’Inps, con il messaggio n. 3755 del 20 settembre 2016, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alla decorrenza da attribuire ai trattamenti pensionistici in caso di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In caso di dimissioni telematiche, la decorrenza della pensione si calcola sull'ultimo giorno di lavoro, ossia sulla data precedente a quella inserita nel modulo online.
La decorrenza della pensione di un lavoratore che ha dato le dimissioni o ha risolto consensualmente il rapporto di lavoro per via telematica come previsto dal Jobs Act si calcola in base all’ultimo giorno di lavoro: lo specifica l’istituto previdenziale con Messaggio n.3755 del 20 settembre 2016. I riferimenti legislativi sono il decreto legislativo 151/2015 attuativo della Riforma del Lavoro e il decreto ministeriale del 15 dicembre 2015 che stabilisce le modalità operative per le dimissioni telematiche.
Per determinare la decorrenza della pensione, l’INPS prende come riferimento l’ultimo giorno di lavoro, che, in base alle regole di compilazione del modello telematico per le dimissioni, è quello precedente a quello indicato dal lavoratore.
Il modulo prevede infatti che, nel campo “Data di decorrenza dimissioni/risoluzione consensuale“, venga indicato il giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. In pratica, la data indicata coincide con il primo giorno di mancato svolgimento di attività di lavoro.
A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando la specifica procedura online accessibile dal sito del ministero del Lavoro. Sono esclusi da questo obbligo il lavoro domestico, i casi di risoluzione a seguito di conciliazione stragiudiziale e le ipotesi di convalida presso le DTL. Bisogna utilizzare il modulo online, accessibile tramite credenziali INPS, da inviare all’indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro e alla direzione territoriale competente.
A partire da tale data, infatti, i datori di lavoro non possono più accogliere le dimissioni presentate dal lavoratore su carta semplice.
Pertanto il lavoratore dimissionario:
se in possesso di PIN INPS, può compilare autonomamente i predetti modelli reperibili sul sito del Ministero del Lavoro.
oppure può rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati (patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali e commissioni di certificazione).
Le dimissioni e risoluzioni consensuali dovranno essere rese “efficaci” dal lavoratore attraverso la compilazione e l'invio telematico procedura che, pena l'inefficacia del recesso, dovrà aver cura di adempiere per mezzo proprio o per tramite di soggetto delegato. L'utilizzo della procedura telematica costituisce, inoltre, unica modalità con cui il lavoratore, entro sette giorni dalla data di convalida del recesso, potrà anche revocare le proprie dimissioni richiamando codice identificativo della comunicazione inviata e marcata temporalmente. Ciò premesso, ai fini della determinazione della decorrenza dei trattamenti pensionistici, la data di cessazione del rapporto di lavoro dipendente coincide con la data dell’ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il giorno precedente a quello indicato nella sezione del modulo “Data di decorrenza delle dimissioni /risoluzione consensuale”.
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sabato 9 aprile 2016
Lavoro: criticità delle dimissioni telematiche
La nuova procedura per le dimissioni e la risoluzione consensuale introdotta dal Jobs Act ha ottime ragioni ma può presentare anche qualche problema.
Tra le numerose disposizioni contenute nella Legge delega n. 183/2014 “Jobs Act” il Legislatore, nell'obiettivo di adeguamento della regolamentazione del mercato del lavoro sulla base delle nuove esigenze tecnico/produttive, ha lasciato spazio anche alla revisione di una serie di procedure che trovano loro rappresentazione normativa nel D.Lgs 151/2015 conosciuto come “Decreto Semplificazioni”. Uno degli aspetti contenuti nel suddetto decreto è la volontà del Legislatore di effettuare un nuovo “giro di vite” sul fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”.
Ricordiamo come, a riguardo, era già intervenuta la precedente riforma del mercato del lavoro Legge n. 92/2012 (Legge Fornero) che aveva introdotto la procedura di convalida delle dimissioni volontarie quale strumento che, nelle more di accertare la genuina volontà del recesso da parte del lavoratore, si configurava, fino al 11 marzo 2016, un valido strumento che permettesse di accertare la legittimità del recesso con una simbiotica compartecipazione delle parti all'adempimento.
Vediamo com’è articolata la nuova procedura per le dimissioni e le risoluzioni consensuali?
Il lavoratore può procedere personalmente oppure tramite soggetti individuati dalla norma.
Nel caso in cui decidesse di procedere direttamente dovrà:
munirsi di Pin Inps (se non ne è già in possesso);
effettuare apposita registrazione sul portale www.cliclavoro.gov.it munendosi, in tal modo, di una user e di una password;
accedere al sito www.lavoro.gov.it per la compilazione dell'apposito modello. Nel caso in cui il rapporto sia iniziato dopo l'anno 2008, il sistema proporrà automaticamente i rapporti di lavoro esistenti, in modo da consentire al lavoratore la scelta di quello dal quale intende recedere. Al contrario, per i rapporti iniziati prima del 2008 (ante introduzione del modello “UniLav”), sarà lo stesso lavoratore a dover inserire manualmente tutti i dati necessari;
inviare telematicamente il modello, ricevendo, al contempo, un codice alfanumerico attestante
l'avvenuta trasmissione. Il modello sarà automaticamente inoltrato alla competente Direzione Territoriale del Lavoro e alla casella di posta elettronica del datore di lavoro. Da quanto indica il Dicastero di Via Flavia, con la circolare n. 12/2016, per il datore di lavoro sembrerebbe possibile indicare anche una mail “ordinaria” e non, necessariamente, un indirizzo di posta elettronica certificata.
Dal 12 marzo 2016 le dimissioni e risoluzioni consensuali dovranno essere rese “efficaci” dal lavoratore attraverso la compilazione e l'invio telematico come abbiamo visto sopra, procedura che questi, pena l'inefficacia del recesso, dovrà aver cura di adempiere per mezzo proprio o per tramite di soggetto delegato. L'utilizzo della procedura telematica costituisce, inoltre, unica modalità con cui il lavoratore, entro sette giorni dalla data di convalida del recesso, potrà anche revocare le proprie dimissioni richiamando codice identificativo della comunicazione inviata e marcata temporalmente.
La nuova procedura riguarda tutti i datori di lavoro privati con esclusione dei rapporti di lavoro domestico. La procedura di convalida ex art. 26 D.Lgs 151/2016 non riguarderà i casi di dimissioni o risoluzioni consensuali intervenute durante il periodo di congedo di maternità/paternità del soggetto lavoratore o dei primi tre anni di vita del bambino che restano soggette all'obbligo.
Vediamo di mettere in evidenza altre criticità che la nuova norma solleva. Innanzitutto ci si chiede cosa succederebbe se il lavoratore non seguisse la procedura prevista dalla norma. In caso di mancato esperimento della procedura telematica, il datore di lavoro sarà costretto ad aprire un procedimento disciplinare – ex art. 7 della L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) – dovendo, molto probabilmente, giungere a un licenziamento disciplinare per assenze ingiustificate. Tale recesso comporterebbe, come noto, l'obbligo di pagare il “ticket di licenziamento”.
Un’altra situazione paradossale nella quale potrebbe venirsi a trovare il datore di lavoro è quella relativa all'esercizio del “diritto di ripensamento”. Immaginiamo un lavoratore che, all'improvviso, si dimette. Il datore di lavoro deve correre subito ai ripari ed effettuare una nuova assunzione. Ma il “vecchio” lavoratore, entro sette giorni, può ripensarci e revocare le dimissioni. Quale sarà la sorte del neo-assunto in “sostituzione”?
Infine, se il lavoratore vuole procedere personalmente all’invio delle dimissioni telematiche e non è già in possesso del Pin Inps, dovrà per prima cosa provvedere a tale richiesta e attendere che gli sia recapitato via posta tradizionale una parte del codice. A questo punto, il lavoratore potrebbe trovarsi nella paradossale situazione di non poter rassegnare le dimissioni, o magari a doverle procrastinare nel tempo, in quanto non ha ricevuto in tempo utile il codice pin.
giovedì 18 febbraio 2016
Indennità di disoccupazione: NASpI e risoluzione consensuale
Vediamo i chiarimenti del Ministero del lavoro sull'indennità NASPI a seguito di risoluzione consensuale in aziende al disotto dei 15 dipendenti (d.lgs.22/2015)
La Direzione Generale Ammortizzatori Sociali ha rilasciato questo parere a seguito di una richiesta di chiarimenti sulla possibilità di vedersi riconoscere l’indennità di disoccupazione NASpI per il lavoratore che si trovi in stato di disoccupazione a seguito di richiesta congiunta, con il datore di lavoro, ed ha chiarito che la NASpI non spetta al soggetto disoccupato in seguito a risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con datore di lavoro avente meno di quindici dipendenti intervenuta nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 c.p.c.
Questa conclusione è dovuta a quanto disposto dall’articolo 3, comma 2, del D. Lgs n. 22/2015 che stabilisce letteralmente che la NASpI è riconosciuta oltre che nei casi di licenziamento anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 604/1966 come modificato dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012 (Legge Fornero).
Quindi viene chiarito che la NASpI non spetta al soggetto disoccupato in seguito a risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con datore di lavoro avente meno di quindici dipendenti intervenuta nell'ambito del tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 cpc. Ciò in base all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 22/2015, che stabilisce che la NASpI è riconosciuta oltre che nei casi di licenziamento anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale intervenuta nell'ambito della procedura conciliativa «preventiva» prevista dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, disciplina che si applica (art. 18 della legge n. 300/1970) ai datori di lavoro con almeno 15 dipendenti.
Quindi la NASpI non spetta al soggetto disoccupato in seguito a risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con datore di lavoro avente meno di quindici dipendenti intervenuta nell'ambito del tentativo di conciliazione.
Il principio del decreto legislativo 22/2015 nel ridisegnare il perimetro di tutela nei casi di perdita involontaria del posto di lavoro ha del resto inteso tutelare, con la concessione dell'ammortizzatore sociale di disoccupazione, i soli lavoratori che abbiano perduto involontariamente l’occupazione, con ciò ribadendo un principio storicamente presente da sempre nella disciplina legislativa dell'indennità di disoccupazione. La perdita involontaria del rapporto di lavoro, in altri termini, non può essere riconosciuta nei casi in cui la risoluzione del rapporto, seppur sorta per decisione unilaterale del datore di lavoro, venga ricomposta consensualmente in esito alla procedura di conciliazione per le controversie di lavoro prevista dal codice di rito.
martedì 28 aprile 2015
Ambito di applicazione della nuova Naspi
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con l’Interpello n. 13 del 24 aprile 2015, ha fornito indicazioni in merito all'ambito di applicazione della nuova Naspi, ricordando che l’indennità NASpI, oltre ad essere riconosciuta in caso di involontaria perdita dell’occupazione, è altresì concessa nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Con Interpello del 24 aprile 2015 n. 13, la Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro ha fornito indicazioni in merito all'ambito di applicazione della nuova Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego, art. 3 del D.Lgs n. 22/2015), ricordando che l'indennità Naspi.
Viene quindi ampliato l’ambito applicativo della Naspi. Oltre ai casi di licenziamento per motivi economici o per giustificato motivo oggettivo, oltre ai casi di disoccupazione per giusta causa (mancato pagamento della retribuzione ad esempio), la nuova prestazione a sostegno del reddito spetta anche per i licenziamenti per giusta causa per motivi disciplinari. Ed anche se il lavoratore accetta la procedura di conciliazione volontaria (che è comunque finalizzata a ridurre il contenzioso tra datore di lavoro e lavoratore). In tutti questi casi viene considerata una disoccupazione involontaria da parte del lavoratore.
Il licenziamento disciplinare, lo ricordiamo, è quel licenziamento che rientra nei casi di licenziamento per giusta causa, ossia quando il licenziamento è motivato da una condotta colposa o manchevole del lavoratore.
La Naspi è la nuova indennità di disoccupazione che viene pagata dall’Inps per gli eventi di disoccupazione a partire dal 1 maggio 2015. La nuova prestazione porta con sé numerose novità soprattutto in termini di requisiti e durata. Ma anche due importanti novità ben chiarire dal Ministero del lavoro nell’interpello che ora vediamo.
La Naspi spetta anche per le dimissioni per giusta causa e per le risoluzioni consensuali. Il Ministero: “L’indennità Naspi oltre ad essere riconosciuta in caso di involontaria perdita dell’occupazione, è altresì concessa nelle ipotesi in cui il lavoratore, ricorrendo una giusta causa, decida di interrompere il rapporto di lavoro e, in tutti i casi in cui in esito alla procedura di conciliazione di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966 – introdotta dall’art. 1 comma 40 della L. n. 92/2012 – le parti addivengano ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro”.
Il Ministero nell’interpello precisa che “a differenza della disciplina normativa sull’ASpI, in virtù della quale il Legislatore aveva tassativamente indicato le fattispecie per cui non fosse possibile fruire del trattamento indennitario, con il dettato di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 22/2015, è stato specificato l’ambito di applicazione “in positivo” per il riconoscimento della nuova prestazione di assicurazione sociale, senza indicare le ipotesi di esclusione”.
Il Ministero autorizza la Naspi per i licenziamenti disciplinari: “Tanto premesso, appare conforme al dato normativo, specie in ragione della nuova formulazione, considerare le ipotesi di licenziamento disciplinare quale fattispecie della c.d. “disoccupazione involontaria” con conseguente riconoscimento della Naspi”.
Il Ministero a ricordato di aver già avuto modo di chiarire, con interpello n. 29/2013 sulla concessione dell’ASpI, come “non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare”.
La nota ministeriale sottolinea, altresì, che il licenziamento disciplinare non possa essere inteso tout court quale forma di “disoccupazione volontaria”, in ragione del fatto che la misura sanzionatoria adottata mediante il licenziamento non risulta automatica; infatti, “l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio del potere discrezionale” non trascurando, peraltro, l’aspetto dell’impugnabilità del licenziamento stesso che nelle opportune sedi giudiziarie potrebbe essere ritenuto illegittimo.
Il Ministero: “In relazione alla nuova procedura della c.d. offerta di conciliazione “agevolata” introdotta dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015, si ritiene altresì possibile riconoscere al lavoratore che accetta l’offerta un trattamento o indennità della Naspi.
La norma da ultimo citata stabilisce, nello specifico, che in caso di licenziamento il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento stesso, in una delle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c., un importo che non costituisce reddito imponibile e non risulta assoggettato a contribuzione previdenziale e la cui accettazione da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
Evidentemente l’accettazione in questione non muta il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro che resta il licenziamento e comporta, per espressa previsione normativa, esclusivamente la rinuncia all’impugnativa dello stesso.
Ne consegue che, non modificando il titolo della risoluzione del rapporto, tale fattispecie debba intendersi pur sempre quale ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento del datore di lavoro.
In definitiva, si ritiene possano essere ammessi alla fruizione dell'indennità della Naspi sia i lavoratori licenziati per motivi disciplinari, sia quelli che abbiano accettato l’offerta economica del datore di lavoro nella ipotesi disciplinata dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015”.
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mercoledì 27 marzo 2013
Licenziamento del lavoratore possibilità al trasferimento o al tempo parziale
Rispetto rigoroso della tempistica, esatta individuazione dei requisiti dimensionali dell'azienda, definizione del perimetro del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Sono i tre binari su cui si articola la circolare n. 3/2013 del ministero del Lavoro sulla conciliazione obbligatoria preventiva. Senza dimenticare l'obbligo di pagamento del ticket sui licenziamenti scattato il 1 gennaio 2013, che va versato a prescindere dall'esito della conciliazione.
A parte i passaggi previsti dalla conciliazione obbligatoria, bisogna considerare con attenzione anche i diversi effetti che questa produce sul rapporto di lavoro, a seconda dell'esito finale.
Il datore di lavoro può avanzare la procedura del licenziamento del lavoratore se il tentativo di conciliazione viene meno perché le parti non hanno trovato un accordo, perché si è verificato l'abbandono o l'assenza di una di esse, oppure se la convocazione da parte della Direzione Territoriale del lavoro (Dtl ) non è arrivata nei termini previsti: in queste ipotesi, la cessazione del rapporto ha effetto dal giorno della comunicazione alla Dtl con cui il procedimento è stato avviato (individuata nella data di ricezione della comunicazione da parte dell'ufficio), fatti salvi il diritto al periodo di preavviso – se il lavoratore non ha continuato a lavorare, durante la procedura – oppure, in alternativa, all'indennità sostitutiva in favore del lavoratore.
In alcuni casi, come quello di un periodo contrattuale di preavviso breve, si pone il problema di computare a questo titolo soltanto una parte dei giorni lavorati.
Per evitare eccessi, la riforma del lavoro ha previsto che eventuali malattie insorte dopo la comunicazione di avvio non producano alcuna sospensione del licenziamento, mentre restano validi gli effetti sospensivi previsti dalle norme a tutela della maternità e della paternità e in caso di impedimento derivante da un infortunio sul lavoro.
Viceversa, nell'ipotesi di esito positivo della conciliazione, le soluzioni alternative al licenziamento possono essere diverse: si pensi, ad esempio al trasferimento del lavoratore, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno tempo parziale.
I contenuti dell'accordo sono verbalizzati dalla commissione di conciliazione, e acquistano un valore incontestabile.
Nel caso di risoluzione consensuale del rapporto, invece, la Dtl ne dà sempre atto con un verbale e resta escluso l'obbligo di convalida – previsto dall'articolo 4, comma 17, della legge 92/2012 – davanti a uno degli organismi abilitati. Inoltre, in deroga alla disciplina ordinaria, il lavoratore può accedere all'Aspi ed essere affidato a un'agenzia del lavoro per la ricollocazione.
Sugli adempimenti operativi che riguardano la comunicazione obbligatoria del licenziamento ai servizi per l'impiego, che in via ordinaria deve essere effettuata nei cinque giorni successivi al recesso, il ministero del Lavoro (con la nota 18273 del 12 ottobre 2012) ha già chiarito che il termine di riferimento decorre dalla conclusione della procedura di conciliazione: vale a dire dalla data di effettiva risoluzione del rapporto, e non dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento, che la legge 92/2012 individua come «data legale» e dalla quale si producono gli effetti del licenziamento.
Ricordaiamo che, in caso di omissione della comunicazione obbligatoria, è prevista una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, con un importo che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 500 euro.
A parte i passaggi previsti dalla conciliazione obbligatoria, bisogna considerare con attenzione anche i diversi effetti che questa produce sul rapporto di lavoro, a seconda dell'esito finale.
Il datore di lavoro può avanzare la procedura del licenziamento del lavoratore se il tentativo di conciliazione viene meno perché le parti non hanno trovato un accordo, perché si è verificato l'abbandono o l'assenza di una di esse, oppure se la convocazione da parte della Direzione Territoriale del lavoro (Dtl ) non è arrivata nei termini previsti: in queste ipotesi, la cessazione del rapporto ha effetto dal giorno della comunicazione alla Dtl con cui il procedimento è stato avviato (individuata nella data di ricezione della comunicazione da parte dell'ufficio), fatti salvi il diritto al periodo di preavviso – se il lavoratore non ha continuato a lavorare, durante la procedura – oppure, in alternativa, all'indennità sostitutiva in favore del lavoratore.
In alcuni casi, come quello di un periodo contrattuale di preavviso breve, si pone il problema di computare a questo titolo soltanto una parte dei giorni lavorati.
Per evitare eccessi, la riforma del lavoro ha previsto che eventuali malattie insorte dopo la comunicazione di avvio non producano alcuna sospensione del licenziamento, mentre restano validi gli effetti sospensivi previsti dalle norme a tutela della maternità e della paternità e in caso di impedimento derivante da un infortunio sul lavoro.
Viceversa, nell'ipotesi di esito positivo della conciliazione, le soluzioni alternative al licenziamento possono essere diverse: si pensi, ad esempio al trasferimento del lavoratore, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno tempo parziale.
I contenuti dell'accordo sono verbalizzati dalla commissione di conciliazione, e acquistano un valore incontestabile.
Nel caso di risoluzione consensuale del rapporto, invece, la Dtl ne dà sempre atto con un verbale e resta escluso l'obbligo di convalida – previsto dall'articolo 4, comma 17, della legge 92/2012 – davanti a uno degli organismi abilitati. Inoltre, in deroga alla disciplina ordinaria, il lavoratore può accedere all'Aspi ed essere affidato a un'agenzia del lavoro per la ricollocazione.
Sugli adempimenti operativi che riguardano la comunicazione obbligatoria del licenziamento ai servizi per l'impiego, che in via ordinaria deve essere effettuata nei cinque giorni successivi al recesso, il ministero del Lavoro (con la nota 18273 del 12 ottobre 2012) ha già chiarito che il termine di riferimento decorre dalla conclusione della procedura di conciliazione: vale a dire dalla data di effettiva risoluzione del rapporto, e non dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento, che la legge 92/2012 individua come «data legale» e dalla quale si producono gli effetti del licenziamento.
Ricordaiamo che, in caso di omissione della comunicazione obbligatoria, è prevista una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, con un importo che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 500 euro.
mercoledì 2 gennaio 2013
Aspi da gennaio 2013: il ministro del Lavoro Fornero calcola le indennità e le tutele
Il ministro Elsa Fornero ha spiegato l'Aspi e i nuovi ammortizzatori in vigore da gennaio 2013 in base alla Riforma del Lavoro: tutela estesa e assegno più alto rispetto alla disoccupazione.
L'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali (Assicurazione Sociale per l'Impiego) "potrà contribuire a ridurre l'ansia e il disagio di molte famiglie". E' quanto ha scritto il ministro Fornero, in una lettera al Corriere della Sera ricordando il "quadro di forte difficoltà sociale"
La Riforma degli ammortizzatori sociali, con Aspi e mini Aspi dal 2013, «potrà contribuire a ridurre l’ansia e il disagio di molte famiglie» in un periodo di «forte difficoltà sociale», anche perché la «nuova copertura assicurativa viene estesa a categorie finora prive di tutela» con assegni più alti di quelli previsti in precedenza: parola del ministro Fornero, che ha presentato i nuovi sussidi della Riforma del Lavoro al Corriere della Sera.
L’assicurazione per l’impiego Aspi sostituisce da gennaio 2013 l’indennità di disoccupazione e la mini Aspi va a tutelare i precari rimasti senza lavoro.
Dal 2017 l’Aspi subentrerà all’attuale indennità di mobilità, mentre la cassa integrazione resterà invariata.
A regolamentare i nuovi ammortizzatori è l‘articolo 2 della Riforma del Lavoro (legge 92/2012).
Vediamo le principali caratteristiche dell’Aspi:
si applica ai lavoratori dipendenti con anzianità contributiva di due anni;
è estesa ad apprendisti e soci lavoratori di cooperative;
nel 2013 dura 8 mesi per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50 con scatti graduali fino al 2016 quando di stabilizzerà a 12 mesi per gli under 54 e a 18 mesi per gli altri;
l’indennità dipende dalla retribuzione dell’ultimo biennio (intorno all’80%);
è finanziata dalle aziende che pagano un contributo dell’1,61%;
prevede un contributo aggiuntivo dell’1,4% per i contratti a termine (quindi 3,01% totali);
implica una sorta di incentivo a trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato: all’azienda vengono restituite fino a sei mensilità del contributo addizionale.
La Mini Aspi è invece riconosciuta a chi ha almeno 13 settimane di lavoro negli ultimi 12 mesi. E’ corrisposta per un numero di settimane pari alla metà di quelle lavorate nell’ultimo anno (quindi per un massimo di sei mesi) e la sua indennità è calcolata come l’Aspi.
Il ministro del Lavoro ha fornito cifre: «un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità avrebbe percepito 877 euro di mobilità o 845 euro di disoccupazione« mentre «con l’Aspi ne prenderà 927» quindi «rispettivamente il 6% e il 10% in più» rispetto al vecchio sistema.
Altro esempio: un lavoratore che guadagnava 1.800 euro, avrebbe preso 877 euro di mobilità e 931 di disoccupazione, mentre con l’Aspi prenderà 1062 euro, rispettivamente il 21% e il 14% in più».
«Anche la durata è stata aumentata» sottolinea il ministro: nel 2013 sarà uguale a quella della disoccupazione (8 mesi per i lavoratori sotto i 50 anni), e poi inizierà a crescere arrivando a coprire, nel 2016, 12 mesi per gli under 54 e 18 mesi per chi ha superato questa età.
Sui nuovi ammortizzatori resta critica la posizione dei sindacati, in particolare su un punto: il fatto che l’Aspi dal 2017 sostituirà la mobilità. E’ infatti vero, come sottolineato dal ministro Fornero, che l’indennità copre un periodo più lungo rispetto all’attuale disoccupazione, ma la stessa considerazione non vale per la mobilità, che invece può durare (con le proroghe) fino a quattro anni.
La riforma si fonda su due pilastri: Aspi e fondi di solidarietà bilaterali per i quali "il Governo si è impegnato con la legge di stabilità a garantire risorse". L'Aspi, ha aggiungto il ministro, rappresenta "la tutela universale per tutti i lavoratori dipendenti" e sarà "più generosa" della vecchia disoccupazione e mobilità. "Un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità - sottolinea - ora avrà tra il 6 e il 10% in più rispetto al vecchio sistema. Chi prendeva 1.800 euro avrà tra il 14% e il 21% in più".
L'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali (Assicurazione Sociale per l'Impiego) "potrà contribuire a ridurre l'ansia e il disagio di molte famiglie". E' quanto ha scritto il ministro Fornero, in una lettera al Corriere della Sera ricordando il "quadro di forte difficoltà sociale"
La Riforma degli ammortizzatori sociali, con Aspi e mini Aspi dal 2013, «potrà contribuire a ridurre l’ansia e il disagio di molte famiglie» in un periodo di «forte difficoltà sociale», anche perché la «nuova copertura assicurativa viene estesa a categorie finora prive di tutela» con assegni più alti di quelli previsti in precedenza: parola del ministro Fornero, che ha presentato i nuovi sussidi della Riforma del Lavoro al Corriere della Sera.
L’assicurazione per l’impiego Aspi sostituisce da gennaio 2013 l’indennità di disoccupazione e la mini Aspi va a tutelare i precari rimasti senza lavoro.
Dal 2017 l’Aspi subentrerà all’attuale indennità di mobilità, mentre la cassa integrazione resterà invariata.
A regolamentare i nuovi ammortizzatori è l‘articolo 2 della Riforma del Lavoro (legge 92/2012).
Vediamo le principali caratteristiche dell’Aspi:
si applica ai lavoratori dipendenti con anzianità contributiva di due anni;
è estesa ad apprendisti e soci lavoratori di cooperative;
nel 2013 dura 8 mesi per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50 con scatti graduali fino al 2016 quando di stabilizzerà a 12 mesi per gli under 54 e a 18 mesi per gli altri;
l’indennità dipende dalla retribuzione dell’ultimo biennio (intorno all’80%);
è finanziata dalle aziende che pagano un contributo dell’1,61%;
prevede un contributo aggiuntivo dell’1,4% per i contratti a termine (quindi 3,01% totali);
implica una sorta di incentivo a trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato: all’azienda vengono restituite fino a sei mensilità del contributo addizionale.
La Mini Aspi è invece riconosciuta a chi ha almeno 13 settimane di lavoro negli ultimi 12 mesi. E’ corrisposta per un numero di settimane pari alla metà di quelle lavorate nell’ultimo anno (quindi per un massimo di sei mesi) e la sua indennità è calcolata come l’Aspi.
Il ministro del Lavoro ha fornito cifre: «un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità avrebbe percepito 877 euro di mobilità o 845 euro di disoccupazione« mentre «con l’Aspi ne prenderà 927» quindi «rispettivamente il 6% e il 10% in più» rispetto al vecchio sistema.
Altro esempio: un lavoratore che guadagnava 1.800 euro, avrebbe preso 877 euro di mobilità e 931 di disoccupazione, mentre con l’Aspi prenderà 1062 euro, rispettivamente il 21% e il 14% in più».
«Anche la durata è stata aumentata» sottolinea il ministro: nel 2013 sarà uguale a quella della disoccupazione (8 mesi per i lavoratori sotto i 50 anni), e poi inizierà a crescere arrivando a coprire, nel 2016, 12 mesi per gli under 54 e 18 mesi per chi ha superato questa età.
Sui nuovi ammortizzatori resta critica la posizione dei sindacati, in particolare su un punto: il fatto che l’Aspi dal 2017 sostituirà la mobilità. E’ infatti vero, come sottolineato dal ministro Fornero, che l’indennità copre un periodo più lungo rispetto all’attuale disoccupazione, ma la stessa considerazione non vale per la mobilità, che invece può durare (con le proroghe) fino a quattro anni.
La riforma si fonda su due pilastri: Aspi e fondi di solidarietà bilaterali per i quali "il Governo si è impegnato con la legge di stabilità a garantire risorse". L'Aspi, ha aggiungto il ministro, rappresenta "la tutela universale per tutti i lavoratori dipendenti" e sarà "più generosa" della vecchia disoccupazione e mobilità. "Un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità - sottolinea - ora avrà tra il 6 e il 10% in più rispetto al vecchio sistema. Chi prendeva 1.800 euro avrà tra il 14% e il 21% in più".
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martedì 1 gennaio 2013
Lavoro: dal 2013 arriva il nuovo sussidio di disoccupazione l’Aspi
Dal mese di gennaio 2013 debutta l'Aspi, la nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), che sostituirà l'indennità contro la disoccupazione involontaria e a regime dal 2017 anche l'indennità di mobilità.
Quindi ogni tipo di tutela della disoccupazione confluirà nell'Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), con il graduale superamento dell'indennizzato di mobilità. La nuova assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Questa Assicurazione prevede l'ampliamento della platea dei soggetti tutelati (tutti i dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti), l'aumento della misura e della durata delle indennità erogabili e un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario nonché da maggiorazioni contributive.
L’Inps, con il messaggio n. 20830 del 18 dicembre 2012, ha chiarito che i lavoratori che firmano una risoluzione consensuale durante un tentativo obbligatorio di conciliazione, a causa di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno diritto all’Aspi o alla Mini-Aspi, ovvero all’ex indennità di disoccupazione con requisiti ordinari e ridotti.
Quindi dal 1° gennaio 2013, entreranno in vigore due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente il lavoro. È su questo punto che è intervenuto il messaggio dell’INPS, a chiarire quando la risoluzione consensuale dà diritto al lavoratore di richiedere l’Aspi o la Mini-Aspi. La Riforma del Lavoro, riscrivendo l’art. 7 della legge n. 604 del 1966, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per le “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento”. Ma si precisa che questa procedura deve essere seguita solo dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti, che hanno il requisito dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Vediamo come si sviluppa l’ASPI. Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.
Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.
Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.
Se si raggiunge un accordo, si arriva alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in base alla quale per il lavoratore scatta l’applicazione delle normative dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) e il lavoratore, di conseguenza, percepisce la nuova indennità di disoccupazione prevista a partire dal 2013.
L'Aspi spetta dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell'ultimo rapporto di lavoro, o dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la relativa domanda, a condizione che permanga la condizione di disoccupazione. La liquidazione dell'indennità avviene, a pena di decadenza, dietro presentazione, da parte dei lavoratori aventi diritto di un'apposita domanda, da inviare all'Inps esclusivamente in via telematica, entro due mesi dalla data di spettanza del trattamento. La fruizione dell'indennità è comunque condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.
Vediamo in sintesi cosa cambia con l'arrivo della nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.
Aspetto retributivo: per le retribuzioni mensili fino a 1.180 euro mensili (valore 2013) l'Aspi sarà pari al 75% (dal 60% attuale per l'indennità di disoccupazione). Per le retribuzioni superiori a questa soglia si avrà diritto al 25% della parte eccedente con un tetto massimo per l'Aspi pari per il 2013 a 1.119,32 euro.
Per poter beneficiare dell'Aspi è necessaria un'anzianità assicurativa pari a due anni, e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente il licenziamento. Possono chiederla i lavoratori dipendenti del settore privato compresi gli apprendisti ad esclusione del clero e dei giornalisti.
La durata della prestazione a regime potrà essere per 12 mesi se si hanno meno di 55 anni e per 18 mesi per gli over 55. Dopo i primi sei mesi nè prevista una riduzione del 15% dell'importo e di un altro 15%, qualora ancora dovuto, dopo il primo anno. Per il 2013 la transizione prevede ancora 8 mesi di assegno per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50.
L’Aspi sarà finanziata da una contribuzione fissa, a carico del datore di lavoro, pari al 1,31% (lo stesso versato oggi per la disoccupazione nei rapporti di lavoro dipendente) ma è prevista una contribuzione aggiuntiva dei datori di lavoro per i contratti a termine dell'1,4%. Per il datore di lavoro che trasformasse il contratto a termine in uno a tempo indeterminato è possibile il recupero del contributo aggiuntivo per un massimo di sei mensilità.
Sarà possibile trasformare l'indennità Aspi in liquidazione per poter così avere un capitale e avviare un'impresa. Il lavoratore che però rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perde il sussidio.
Fino al 2014 la mobilità resisterà ancora: fino alla fine del 2014 la transizione verso l'Aspi prevede ancora che il sussidio duri 12 mesi per gli under 40 anni (24 al Sud), 24 mesi per chi ha tra 40 e 49 anni (36 al Sud), 36 mesi per gli over 50 (48 al Sud) per poi diminuire gradualmente negli anni successivi fino ad arrivare nel 2017 a 12 mesi per gli under 55 e 18 mesi per i più anziani.
Quindi ogni tipo di tutela della disoccupazione confluirà nell'Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), con il graduale superamento dell'indennizzato di mobilità. La nuova assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Questa Assicurazione prevede l'ampliamento della platea dei soggetti tutelati (tutti i dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti), l'aumento della misura e della durata delle indennità erogabili e un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario nonché da maggiorazioni contributive.
L’Inps, con il messaggio n. 20830 del 18 dicembre 2012, ha chiarito che i lavoratori che firmano una risoluzione consensuale durante un tentativo obbligatorio di conciliazione, a causa di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno diritto all’Aspi o alla Mini-Aspi, ovvero all’ex indennità di disoccupazione con requisiti ordinari e ridotti.
Quindi dal 1° gennaio 2013, entreranno in vigore due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente il lavoro. È su questo punto che è intervenuto il messaggio dell’INPS, a chiarire quando la risoluzione consensuale dà diritto al lavoratore di richiedere l’Aspi o la Mini-Aspi. La Riforma del Lavoro, riscrivendo l’art. 7 della legge n. 604 del 1966, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per le “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento”. Ma si precisa che questa procedura deve essere seguita solo dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti, che hanno il requisito dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Vediamo come si sviluppa l’ASPI. Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.
Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.
Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.
Se si raggiunge un accordo, si arriva alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in base alla quale per il lavoratore scatta l’applicazione delle normative dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) e il lavoratore, di conseguenza, percepisce la nuova indennità di disoccupazione prevista a partire dal 2013.
L'Aspi spetta dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell'ultimo rapporto di lavoro, o dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la relativa domanda, a condizione che permanga la condizione di disoccupazione. La liquidazione dell'indennità avviene, a pena di decadenza, dietro presentazione, da parte dei lavoratori aventi diritto di un'apposita domanda, da inviare all'Inps esclusivamente in via telematica, entro due mesi dalla data di spettanza del trattamento. La fruizione dell'indennità è comunque condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.
Vediamo in sintesi cosa cambia con l'arrivo della nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.
Aspetto retributivo: per le retribuzioni mensili fino a 1.180 euro mensili (valore 2013) l'Aspi sarà pari al 75% (dal 60% attuale per l'indennità di disoccupazione). Per le retribuzioni superiori a questa soglia si avrà diritto al 25% della parte eccedente con un tetto massimo per l'Aspi pari per il 2013 a 1.119,32 euro.
Per poter beneficiare dell'Aspi è necessaria un'anzianità assicurativa pari a due anni, e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente il licenziamento. Possono chiederla i lavoratori dipendenti del settore privato compresi gli apprendisti ad esclusione del clero e dei giornalisti.
La durata della prestazione a regime potrà essere per 12 mesi se si hanno meno di 55 anni e per 18 mesi per gli over 55. Dopo i primi sei mesi nè prevista una riduzione del 15% dell'importo e di un altro 15%, qualora ancora dovuto, dopo il primo anno. Per il 2013 la transizione prevede ancora 8 mesi di assegno per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50.
L’Aspi sarà finanziata da una contribuzione fissa, a carico del datore di lavoro, pari al 1,31% (lo stesso versato oggi per la disoccupazione nei rapporti di lavoro dipendente) ma è prevista una contribuzione aggiuntiva dei datori di lavoro per i contratti a termine dell'1,4%. Per il datore di lavoro che trasformasse il contratto a termine in uno a tempo indeterminato è possibile il recupero del contributo aggiuntivo per un massimo di sei mensilità.
Sarà possibile trasformare l'indennità Aspi in liquidazione per poter così avere un capitale e avviare un'impresa. Il lavoratore che però rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perde il sussidio.
Fino al 2014 la mobilità resisterà ancora: fino alla fine del 2014 la transizione verso l'Aspi prevede ancora che il sussidio duri 12 mesi per gli under 40 anni (24 al Sud), 24 mesi per chi ha tra 40 e 49 anni (36 al Sud), 36 mesi per gli over 50 (48 al Sud) per poi diminuire gradualmente negli anni successivi fino ad arrivare nel 2017 a 12 mesi per gli under 55 e 18 mesi per i più anziani.
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