lunedì 24 settembre 2018

Opzione Donna i requisiti attuali






Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Le misure di Riforma Pensioni incluse nella Legge di Bilancio 2019 potrebbero lasciare fuori l'Opzione Donna: in attesa della proroga, ecco come funzionano oggi maturazione requisiti e decorrenza pensione.

In attesa di conoscere il destino della misura, dunque, ricordiamo come funziona ad oggi questa formula di pensione anticipata (con penalità) e chi sono le lavoratrici ammesse: ad oggi, infatti, dal punto di vista del requisito anagrafico il limite temporale si estende soltanto fino a quelle nate nell’ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958. Mentre un potenziale “rinnovo” consisterebbe in un’estensione dei termini così da includere una platea di contribuenti più ampia.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le sole lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione.

La novità 2017 rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della vecchia Legge di Bilancio, che ha esteso l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004): «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Attenzione: per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra).

Però, non è necessario (come in origine) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. Le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

L’Opzione Donna è una forma di pensione anticipata riservata alle sole lavoratrici che hanno compiuto 57 anni (o 58 nel caso delle autonome) entro il 31 dicembre 2015 e che alla stessa data avevano almeno 35 anni di contributi, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. Calcolo contributivo può comportare una decurtazione dal 20 al 30%.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, per richiedere l’Opzione Donna nel 2018 è necessario che i requisiti per accedere a questo strumento siano stati maturati negli anni scorsi. Nel dettaglio bisogna:

aver compiuto 57 anni e 7 mesi d’età entro il 31 luglio del 2016;

aver maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

Questa al momento è l’unica opzione che permette alle donne di andare in pensione in anticipo; tuttavia in questo periodo di campagna elettorale molti esponenti politici stanno presentando alcune proposte per una nuova Opzione Donna.



mercoledì 12 settembre 2018

Decreto dignità: ecco cosa cambia per il contratto di somministrazione



Per somministrazione di lavoro si intende la fornitura professionale di lavoratori/trici attuata da un soggetto autorizzato (somministratore) a beneficio di un altro soggetto (utilizzatore). La somministrazione di lavoro coinvolge tre soggetti:

il/la lavoratore/trice

l’utilizzatore = l'azienda o professionista  che utilizza il prestatore di lavoro, può essere un soggetto privato o anche una Pubblica Amministrazione;

il somministratore = agenzie di somministrazione di lavoro.

Il somministratore deve essere registrato presso il Ministero del Lavoro, dove è istituito un apposito albo delle Agenzie per il lavoro. Sul mercato del lavoro possono operare senza la necessità di iscrizione all'albo solamente:

le università pubbliche e private;

le fondazioni universitarie;

enti locali come i Comuni e le Provincie;

gli Istituti di scuola secondaria di secondo grado, pubblici o paritari;

le Associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, comparativamente più rappresentative, firmatarie di C.C.N.L.;

gli Enti Bilaterali;

l'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro.

I contratti di somministrazione sono applicabili a qualsiasi settore produttivo. La Pubblica Amministrazione può stipulare soltanto contratti di somministrazione a tempo determinato.

La somministrazione, sia a termine che a tempo indeterminato, è inoltre vietata nei seguenti casi:

per sostituire lavoratori in sciopero;

presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi  di lavoratori adibiti alle stesse mansioni  salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;

presso unità produttive nelle quali è operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro;

da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi  per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Il contratto di somministrazione di lavoro tra agenzia e utilizzatore va stipulato in forma scritta e deve contenere i seguenti elementi:

gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;

il numero dei lavoratori da somministrare;

l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;

la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;

le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei medesimi;

il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

Alla luce dei nuovi cambiamenti, risulta essere più dispendiosa per il datore di lavoro. Il motivo è legato al contributo addizionale di cui si fa carico lo stesso datore e che è pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini dei contributi previdenziali. Nello specifico, le nuove limitazioni prevedono l’applicazione di:

una durata massina di 24 mesi;

un limite massimo di proroghe che è stato fissato a 4;

l’obbligo di indicare, riferendosi all’utilizzatore, una causale dopo 12 mesi e in caso di rinnovo del contratto;

un limite massimo di assunti a tempo determinato che deve essere pari al 30% del totale dell’organico.

Il rinnovo del contratto sarà contemplato tenendo conto di esigenze temporanee e oggettive, o connesse a incrementi di un certo rilievo e non programmabili, o legate a picchi di attività. Se è presente una di queste condizioni si potrà apporre un termine al primo contratto che in questo caso, non deve superare i 24 mesi di lavoro. In definitiva, il termine che viene apposto al contratto di lavoro può dunque ricevere una proroga, ma nei seguenti casi:

tramite un atto scritto;

con il consenso del lavoratore;

secondo le condizioni e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore.

È stato reintrodotto anche il reato di somministrazione fraudolenta, ovvero quando la somministrazione di lavoro viene effettuata con lo scopo di raggirare le norme di legge. In questo caso, somministratore e utilizzatore devono pagare 20€ per ogni lavoratore coinvolto e per ogni giornata di somministrazione.

L’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. I lavoratori  somministrati hanno diritto a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli  condizionati alla iscrizione ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio. Godono inoltre dei diritti sindacali previsti dalla legge n. 300 del 1970, e successive modificazioni.

Con le novità apportate dal Decreto Dignità 2018, viene stabilito un nuovo limite quantitativo con riferimento al contratto di somministrazione a tempo determinato. Più nel dettaglio dispone che:   il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipula del contratto. ATTENZIONE nel caso di inizio dell'attività nel corso dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto.

Sono però fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi applicati dall'utilizzatore e il limite del D.Lgs. 81/2015 in materia di numero complessivo dei contratti a tempo determinato.

Rimane esclusa  dai limiti la somministrazione di lavoro relativa ai lavoratori in mobilità, ai soggetti disoccupati che beneficiano, da almeno sei mesi, di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e ai lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 18 ottobre 2017.

Alle violazioni del nuovo limite percentuale si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all'articolo 40, comma 1, del D.Lgs. n. 81, ossia la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250.



mercoledì 29 agosto 2018

Reperibilità: per spostamenti motivati comunicazione necessaria



In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.

Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.

Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.

Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.

Il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro lo stato di malattia e giustificarlo con valida certificazione, redatta dal medico dopo la necessaria visita. L’annullamento di un certificato, qualora necessario, può avvenire online entro 24 ore dalla sua emissione. Nel caso di malattia insorta in un paese della Comunità europea, si deve presentare il certificato di malattia all’INPS e al datore di lavoro entro due giorni dal rilascio.

L’annullamento di un certificato, qualora necessario, può avvenire online entro 24 ore dalla sua emissione. Trascorso tale periodo, il medico deve rilasciare all'assistito una dichiarazione scritta che certifichi le variazioni dei dati rispetto a quelli già inviati.

Quando il paziente abbia necessità di trascorrere il periodo di malattia in un luogo diverso dalla propria residenza, deve darne comunicazione al proprio medico e fornirgli le informazioni relative al nuovo domicilio, con le indicazioni utili alla sua individuazione e specificando frazione, contrada, cognome, presso cui si è temporaneamente trasferito ed eventuali ulteriori elementi aggiuntivi che possano consentire al medico di controllo l’agevole individuazione dell’abitazione; persiste infatti anche in caso di domicilio diverso dalla residenza abituale il dovere di rispettare le fasce di reperibilità per essere sottoposti alla visita medica di controllo domiciliare, se predisposta. Il nominativo indicato nel certificato deve essere leggibile sul citofono e sulla cassetta postale.

Il lavoratore avente diritto alla tutela previdenziale dell’Inps che cambi il proprio indirizzo di reperibilità durante il periodo di prognosi indicata nel certificato, deve darne comunicazione con congruo anticipo al datore di lavoro ed alla Struttura territoriale Inps di appartenenza, con le modalità previste:

Posta elettronica: inviando una e-mail indirizzata alla casella medicolegale.NOMESEDE@inps.it (Chi risieda a Genova, ad esempio, invierà a: medicolegale.genova@inps.it);

Fax: inviando specifica comunicazione al numero di fax indicato dalla Struttura territoriale;

Contact Center Multicanale: contattando il numero verde 803.164.

L'obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo dell'INPS comporta che l'allontanamento dall'abitazione, indicata all'ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia, possa essere giustificato, in caso di adeguata motivazione, solo quando tempestivamente comunicato dimostrando così la necessaria cooperazione del lavoratore con l'ente di controllo, prevista dalla normativa e sottolineata dalla Corte Costituzionale.

La Corte di appello conferma la sentenza del Tribunale che ha respinto la domanda proposta dal lavoratore nei confronti dell'INPS per il riconoscimento dell'indennità di malattia per il periodo compreso tra il 21 maggio e l'8 giugno 2001. La Corte d'Appello aveva infatti  rilevato che:

il ricorrente aveva fornito la prova dell'esistenza di un motivo socialmente apprezzabile per l'allontanamento dal domicilio durante il periodo di malattia consistente nel grave incidente stradale subito dal nipote, figlio di sua sorella e nella necessità di accompagnare la sorella presso la clinica;

il ricorrente non aveva nemmeno tentato di dimostrare l'impossibilità di avvisare il datore di lavoro e l'INPS della repentina partenza;

l'inevitabilità del viaggio era stata insufficientemente provata, posto che il ricorrente non aveva allegato né provato che la sorella non era in grado di raggiungere autonomamente;

era sfornita di qualsiasi indice di prova l'affermazione che la sorella era in preda alla disperazione e che avrebbe potuto compiere qualsiasi gesto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, fondandolo su due motivi:

il lavoratore ha allegato e dimostrato la ricorrenza di un motivo, ritenuto socialmente apprezzabile, di assenza alla visita di controllo nel proprio domicilio l'INPS e che tale circostanza deve essere ritenuta sufficiente per l'erogazione dell'indennità di malattia, tenuto altresì conto che la solidarietà familiare è valore che assurge a rango costituzionale;

il lavoratore  denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria, illogica, irragionevole motivazione della sentenza impugnata avendo, la Corte territoriale, fondato la propria statuizione su circostanze secondarie e marginali, pur avendo ritenuta provata la ricorrenza di un motivo socialmente apprezzabile.

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi congiuntamente, in quanto si  trattava di valutare la sussistenza di un giustificato motivo di assenza dal domicilio durante il periodo di assenza del dipendente dal posto di lavoro per malattia. La pronuncia ribadisce l’orientamento maggioritario, secondo cui l'obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo comporta che l'allontanamento dall'abitazione indicata all'ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia sia giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo, anche qualora i giudici considerino adeguato il motivo dello spostamento. Qualora tale comunicazione sia stata omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto, ma l'omissione o il ritardo devono a loro volta essere giustificati.

I giudici affermano infatti che " Invero, l'obbligo dell'INPS di erogare l'indennità di malattia permane, anche a fronte di un comportamento del lavoratore che si sottragga alla verifica sanitaria, solamente ove ricorrano serie e comprovate ragioni, quale l'indifferibile necessità di recarsi presso un luogo diverso dal proprio domicilio, e considerato l'obbligo di cooperazione in capo all'assicurato per la realizzazione del fine di rilevanza pubblica di impedire abusi di tutela. Il ricorso non ha illustrato quali erano le ragioni di indifferibilità dell'allontanamento dal domicilio del lavoratore e non ha nemmeno fornito i motivi della mancata collaborazione con l'ente previdenziale."

La giurisprudenza è molto chiara quando afferma alcuni principi chiave in materia di visita fiscale per malattia e conseguente obbligo di reperibilità. In sintesi:

al lavoratore è consentito assentarsi da casa durante gli orari in cui dovrebbe invece essere reperibile, ma solo a per motivi urgenti e indifferibili (cosiddetto “giustificato motivo”);

anche quando sussistono detti motivi urgenti e indifferibili, l’assenza dalla abitazione durante gli orari di reperibilità va prima comunicata al datore di lavoro e all’Inps;

tale preventiva comunicazione può essere evitata solo se ricorrano gravi e indifferibili ragioni. Il lavoratore deve quindi dimostrare l’impossibilità di avvisare il datore di lavoro e l’Inps della repentina uscita di casa.

Il lavoratore si considera “assente” non solo quando non è presente presso l’abitazione, ma anche quando, in qualsiasi modo, impedisca la visita di controllo. Si pensi al caso in cui il nome del malato non sia presente sul citofono; all’ipotesi in cui il citofono stesso sia rotto e nessuno risponda; al caso in cui venga addotta una patologia auditiva che ha impedito di sentire il campanello, ecc. In tutti questi casi, il lavoratore si considera comunque assente ingiustificato.

Insomma, l’assenza può coincidere con qualsiasi condotta che impedisca l’esecuzione del controllo sanitario, per incuria, negligenza o qualsiasi altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale.

Cosa comporta l’assenza alla visita fiscale?
L’ingiustificata assenza del lavoratore alla visita di controllo comporta la decadenza dal diritto al trattamento economico per malattia.

In particolare, le conseguenze possono essere così schematizzate:

ASSENZA

Prima visita: perdita totale di qualsiasi trattamento economico

Seconda visita: oltre alla precedente sanzione, riduzione del 50% del trattamento economico per il residuo periodo. La seconda visita di controllo può essere sia la visita medica domiciliare sia la visita medica ambulatoriale.

Terza visita: l’erogazione dell’indennità economica previdenziale a carico INPS viene interrotta da quel momento e fino al termine del periodo di malattia: il caso si configura come mancato riconoscimento della malattia ai fini della corresponsione della relativa indennità].

L’assenza deve essere giustificata

Il lavoratore può sottrarsi alla visita fiscale e, quindi, all’obbligo di reperibilità, solo per comprovate ragioni quali, ad esempio, l’indifferibile necessità di recarsi in un altro luogo (tipico è il caso dell’abbandono del domicilio per recarsi presso l’ambulatorio del medico curante).

Il lavoratore che, per un motivo giustificato, serio e urgente, si allontani dall’abitazione presso la quale deve essere reperibile al medico fiscale, deve prima avvisare l’Inps e il datore di lavoro della sua assenza. Infatti, l’obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo INPS comporta che l’allontanamento dall’abitazione sia giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo dell’Istituto.

Se il dipendente non può neanche inviare tale comunicazione in anticipo o se la invia dopo essersi assentato, dovrà giustificare il mancato o tardivo avviso.
Infatti – precisa la Cassazione – qualora tale comunicazione sia omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto a percepire il trattamento di malattia, ma l’omissione od il ritardo devono essere giustificati a loro volta.

In altri termini, l’obbligo dell’INPS di erogare l’indennità di malattia permane anche nei confronti di un lavoratore che si sottragga alla verifica sanitaria, a condizione che ricorrano serie e comprovate ragioni dell’allontanamento dal domicilio indicato all’ente e fermo restando l’obbligo di cooperazione in capo all’assicurato, in modo tale da realizzare il fine di rilevanza pubblica e di impedire (quantomeno ridurre) gli abusi di tutela.

L’INPS ha fornito chiarimenti in merito al campo di applicazione della normativa che prevede le esclusioni dall’obbligo di reperibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato.

Si ricorda che, sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della Struttura sanitaria;

stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%.

I lavoratori interessati dall’esenzione, sono quelli con contratto di lavoro subordinato appartenenti al settore privato, sono esclusi quindi i lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps.



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