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martedì 26 marzo 2019

Inps sulle pensioni: ecco a chi sarà tagliato l’assegno



Con la circolare n.44 del 2019, l’INPS ha illustrato i criteri e le modalità̀ di rivalutazione delle pensioni per l’anno 2019 in applicazione delle novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019. L’Istituto dettaglia anche quali sono i trattamenti che restano esclusi dal meccanismo di perequazione e specifica la misura da applicare, diversificata in base alla misura della prestazione spettante.

Novità in arrivo per 5,6 milioni di pensioni: dal 1° aprile gli assegni superiori a tre volte l’importo minimo (oltre i 1.522, 26 euro al mese) saranno ricalcolati per applicare quanto previsto dalla legge di Bilancio, che ha introdotto un meccanismo di adeguamento all'inflazione meno generoso rispetto al passato (legge 388/2000) per gli assegni più alti. Lo chiarisce l’Inps in una circolare appena pubblicata (44/2019). L’Istituto di previdenza precisa anche che per circa 2,6 milioni delle posizioni interessate, la riduzione media mensile dell'importo lordo sarà di 28 centesimi.

Vediamo cosa prevede la legge di Bilancio: per le pensioni fino a tre volte il minimo l’adeguamento all'inflazione è piena al 100%, mentre per tutti gli altri assegni la rivalutazione è compresa tra un massimo del 97% e un minimo del 40 per cento. Il 97% per le pensioni tra le tre e le quattro volte l’importo minimo (da 1.522 a 2.029 euro al mese); il 40% per quelle superiori a 4.569 euro.

La Manovra 2019 - che ha introdotto sette scaglioni per il triennio 2019-2021 - nel dettaglio prevede che per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o superiori a tre volte l’assegno minimo Inps e con riferimento all’importo complessivo la rivalutazione è:
del 97% per gli assegni tra 1.522 e 2.029 euro al mese; 

del 77% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese;

del 52% per gli assegni tra 2.537 e 3.046 euro al mese;

del 47% per gli assegni tra 3.046 e 4.061 euro al mese;

del 45% per gli assegni tra 4.061 e 4.569 euro al mese;

del 40% per gli assegni oltre 4.569 euro al mese.

Tutte queste percentuali vanno applicate all’inflazione che per il 2019 è stata stimata all’1,1 per cento. Di fatto, quindi, se le pensioni fino a 1.522 euro avranno un incremento dell’1,1% quelle oltre le nove volte il minimo (superiori a 4.569 euro al mese) recupereranno solo lo 0,44 per cento.

Nei prossimi mesi l’Inps chiederà il conguaglio di quanto indebitamente erogato nei primi tre mesi dell’anno (la nuova perequazione andava applicata già dal 1° gennaio, ma l’approvazione della Manovra in extremis ha reso di fatto impossibile far scattare gli adeguamenti).

A quanto ammontano i conguagli
Vediamo, con qualche esempio, a quanto potrebbero ammontare i conguagli, posto che per gli importi fino a 1.522,26 euro non ci sarà alcun “taglio”.

Una pensione di 2.300 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.324, 44 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 2.319, 48 euro per effetto delle novità previste dalla legge di Bilancio 2019. L’importo da “restituire” sarà di circa 5 euro al mese, 15 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 2.800 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.828,96 euro da gennaio a marzo: ad aprile si abbasserà a 2.816, 02 euro. L’importo da “restituire” sarà di 12,94 euro al mese, 39 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 4.700 euro (lordi) nel 2018 è passata a 4.744,64 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 4.720,68 euro per effetto delle novità. In questo caso l’importo complessivo da conguagliare sarà di circa 72 euro.

L’Inps in una nota precisa che «per importo complessivo lordo si intende la somma di tutte le pensioni di cui un soggetto è titolare, erogate sia dall’Inps che dagli altri enti presenti nel Casellario centrale, assoggettabili al regime della perequazione cumulata».

Non sono interessate dalla rimodulazione della perequazione i seguenti trattamenti:

le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice;

i trattamenti assistenziali e a carattere risarcitorio, quali le pensioni sociali e assegni sociali, prestazioni a favore dei mutilati, invalidi civili, ciechi civili e sordomuti;

l’indennità integrativa speciale;

le indennità e gli assegni accessori annessi alle pensioni privilegiate di prima categoria concesse agli ex dipendenti civili e militari delle amministrazioni pubbliche.

Meccanismo di perequazione

Per il periodo 2019-2021 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta:
per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento;
per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS;

Le misure previste sono le seguenti:

97 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS;

77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS;

52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS;

47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS;

45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo INPS;

40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento minimo INPS.


lunedì 24 settembre 2018

Opzione Donna i requisiti attuali






Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Le misure di Riforma Pensioni incluse nella Legge di Bilancio 2019 potrebbero lasciare fuori l'Opzione Donna: in attesa della proroga, ecco come funzionano oggi maturazione requisiti e decorrenza pensione.

In attesa di conoscere il destino della misura, dunque, ricordiamo come funziona ad oggi questa formula di pensione anticipata (con penalità) e chi sono le lavoratrici ammesse: ad oggi, infatti, dal punto di vista del requisito anagrafico il limite temporale si estende soltanto fino a quelle nate nell’ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958. Mentre un potenziale “rinnovo” consisterebbe in un’estensione dei termini così da includere una platea di contribuenti più ampia.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le sole lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione.

La novità 2017 rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della vecchia Legge di Bilancio, che ha esteso l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004): «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Attenzione: per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra).

Però, non è necessario (come in origine) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. Le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

L’Opzione Donna è una forma di pensione anticipata riservata alle sole lavoratrici che hanno compiuto 57 anni (o 58 nel caso delle autonome) entro il 31 dicembre 2015 e che alla stessa data avevano almeno 35 anni di contributi, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. Calcolo contributivo può comportare una decurtazione dal 20 al 30%.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, per richiedere l’Opzione Donna nel 2018 è necessario che i requisiti per accedere a questo strumento siano stati maturati negli anni scorsi. Nel dettaglio bisogna:

aver compiuto 57 anni e 7 mesi d’età entro il 31 luglio del 2016;

aver maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

Questa al momento è l’unica opzione che permette alle donne di andare in pensione in anticipo; tuttavia in questo periodo di campagna elettorale molti esponenti politici stanno presentando alcune proposte per una nuova Opzione Donna.



venerdì 18 maggio 2018

Assegni familiari, nuovi importi e limiti di reddito



Dal primo luglio 2018 cambiano i livelli di reddito ai fini della corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare e l'Inps ha pubblicato le nuove tabelle contenenti i nuovi livelli di reddito, nonché i corrispondenti importi mensili della prestazione, da applicare per il periodo intercorrente tra il 1° luglio 2018 ed il 30 giugno 2019.

Con la Circolare Inps n. 68/2018, l'ente di previdenza ha adeguato i redditi per il conseguimento degli ANF all'incremento dell’inflazione. Si tratta di un adeguamento che viene effettuato annualmente, come disposto per legge (la n. 153/88), la quale stabilisce che i livelli di reddito familiare ai fini della corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare vengano rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT, intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente.

Stabilite le nuove soglie di reddito per richiedere l'assegno familiare, il contributo economico destinato alle famiglie di alcune categorie di lavoratori aventi un reddito complessivo al di sotto dei limiti stabiliti annualmente dalla legge. "Dal 1° gennaio 2018 - spiega l'Inps in una nota - sono stati rivalutati sia i limiti di reddito familiare ai fini della cessazione o riduzione della corresponsione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione di pensione, sia i limiti di reddito mensili per l'accertamento del carico ai fini dei diritto agli assegni stessi".

Per quanto riguarda i limiti di reddito mensili, gli importi da considerare ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari risultano così fissati per tutto l'anno 2018: 714,62 euro per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio od equiparato; 1250,58 euro per due genitori ed equiparati. "I nuovi limiti di reddito - ricorda l'Istituto - valgono anche in caso di richiesta di assegni familiari per fratelli, sorelle e nipoti". Entrando nel concreto, nel 2018 il limite reddituale minimo nei nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, sale a 14.541,59 euro, per 137,5 euro mensili in presenza di un figlio minore. L’importo come è noto aumenta al crescere della numerosità del nucleo familiare o in presenza di un soggetto inabile.

In merito ai limiti di reddito familiare, invece, l'Inps invita a consultare le nuove tabelle pubblicate sul sito e calcolate in base al tasso d'inflazione programmato per il 2017, pari allo 0,9%. Le nuove disposizioni vengono applicate ai soggetti esclusi dalla normativa sull'assegno per il nucleo familiare, ovvero: i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e piccoli coltivatori diretti e i pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi.

Ammonta a 141,30 euro nel 2017 l'importo dell'assegno al nucleo familiare (ANF) riconosciuto dall'Inps alle famiglie dei lavoratori dipendenti o dei pensionati da lavoro dipendente. Si tratta di un sostegno economico che viene corrisposto a nuclei familiari composti da più persone e con un reddito complessivo inferiore a quello determinato ogni anno dalla legge. Per le domande relative a quest'anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.555,99 euro.

L'assegno al nucleo familiare spetta a: lavoratori dipendenti; lavoratori dipendenti agricoli; lavoratori domestici; lavoratori iscritti alla gestione separata; titolari di pensione a carico del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, dei fondi speciali ed ex ENPALS; titolari di prestazioni previdenziali; lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.

Gli ANF spettano per nucleo familiare che può essere composto da: il richiedente lavoratore o il titolare della pensione; il coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, anche se non convivente, o che non abbia abbandonato la famiglia. Gli stranieri residenti in Italia, poligami nel loro paese, possono includere nel proprio nucleo familiare solo la prima moglie, se residente in Italia; i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno; i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati, previa autorizzazione.

Il nucleo familiare può inoltre essere composto da: i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di 'nuclei numerosi', cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni, previa autorizzazione; i fratelli, le sorelle del richiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell'ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo se sono orfani di entrambi i genitori, non hanno conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non sono coniugati, previa autorizzazione; i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni e viventi a carico dell'ascendente, previa autorizzazione.

Se il richiedente svolge attività lavorativa dipendente, la domanda va presentata al proprio datore di lavoro utilizzando il modello ANF/DIP (SR16). In tal caso, il datore di lavoro deve corrispondere l'assegno per il periodo di lavoro prestato alle proprie dipendenze, anche se la richiesta è stata inoltrata dopo la risoluzione del rapporto, nel termine di prescrizione di cinque anni.

Nei casi di inclusione di componenti nel nucleo familiare (es. genitori separati, componenti maggiorenni inabili, etc.) o ai fini dell'aumento dei limiti reddituali (es. componente minorenne inabile) è necessario allegare al Mod. ANF/DIP l’Autorizzazione ANF precedentemente richiesta all'INPS.

Se il richiedente è addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata o ha diritto agli assegni come beneficiario di altre prestazioni previdenziali, la domanda va presentata online all'INPS attraverso il servizio dedicato.

In alternativa, si può fare la domanda tramite: Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile; enti di patronato e intermediari dell'Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

La domanda va presentata per ogni anno a cui si ha diritto. Qualsiasi variazione intervenuta nel reddito e/o nella composizione del nucleo familiare, durante il periodo di richiesta dell'ANF, deve essere comunicata entro 30 giorni.

Il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga o di pagamento della prestazione previdenziale, nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (ad esempio celebrazione del matrimonio, nascita di figli). La cessazione avviene alla fine del periodo in corso o alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare; ad esempio, nel caso di separazione legale dal coniuge decade per l'ex coniuge, mentre, resta valido per i figli affidati; o nel caso di raggiungimento della maggiore età del figlio non inabile a proficuo lavoro.


mercoledì 4 gennaio 2017

Opzione Donna ampliata con la Legge di stabilità 2017




La riforma Fornero del 2011 ha confermato fino al 31 Dicembre 2015 la possibilità per le donne di andare in pensione prima, a patto di scegliere per un assegno interamente calcolato con il metodo contributivo.

La Legge di Bilancio 2017 estende l'ambito di applicazione dell'istituto (transitorio e sperimentale) detto OPZIONE DONNA che permette alle lavoratrici l'accesso al trattamento anticipato di pensione in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi e a condizione che tali soggetti optino per il sistema di calcolo contributivo integrale. In base alla disciplina finora vigente, all'istituto in esame potevano fare ricorso le lavoratrici che avessero maturato gli entro il 31 dicembre 2015 (a prescindere dalla data della decorrenza iniziale del trattamento) i seguenti requisiti a

anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e età pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e a 58 anni e 3 mesi per le autonome.

L'accesso all'istituto è subordinato alla condizione che la lavoratrice opti per il sistema di calcolo contributivo integrale.

I commi 222 e 223 estendono, a decorrere dal 2017, l'applicabilità dell'istituto alle lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, non avessero raggiunto la suddetta frazione di 3 mesi (nell'età anagrafica).

Di conseguenza, con la nuova misura   della legge di stabilità 2017 rientrano nell'Opzione donna anche le lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, avessero un'età pari o superiore a 57 anni, se dipendenti, o a 58 anni, se autonome (fermi restando il possesso, alla medesima data, di un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e la condizione che la lavoratrice opti per il sistema di calcolo contributivo integrale).

La possibilità di optare per il regime sperimentale è riconosciuta alle lavoratrici iscritte all'assicurazione generale obbligatoria, ed ai fondi ad essa sostitutivi od esclusivi (dipendenti del settore privato; pubblico impiego e lavoratrici autonome) in possesso di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995. La facoltà di opzione non è invece esercitabile dalle lavoratrici iscritte alla gestione separata o che, comunque, intendano utilizzare la contribuzione presente in tale gestione per perfezionare il requisito contributivo.

I Requisiti anagrafici e Contributivi
A seguito delle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 281 della legge 208/2015 e dall'articolo 1, co. 222 della legge di bilancio 2017 possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorchè, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Si ricorda che con l'approvazione di tali ultime disposizioni è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

La facoltà di esercitare l'opzione per il calcolo della pensione con il sistema contributivo, aderendo al c.d. Progetto donna, anche se la pensione avesse avuto decorrenza successiva al 2015. In particolare “Opzione donna” permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in presenza dei prescritti requisiti contributivi ed anagrafici, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo.

La facoltà di opzione è stata estesa anche alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2015 abbiano maturano un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni (per le gestioni esclusive dell’AGO 34 anni, 11 mesi e 16 giorni) e un’età anagrafica pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni e 3 mesi per le autonome a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico.

domenica 18 dicembre 2016

Opzione Donna, i requisiti per il 2017



E’ stato uno dei capitoli più discussi nell'ambito della Riforma Pensioni inserita in Legge di Stabilità 2017: alla fine, è passata l’estensione dell’Opzione Donna alle lavoratrici nate nell'ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958.

La facoltà di esercitare l'opzione per il calcolo della pensione con il sistema contributivo, aderendo al c.d. Progetto donna, anche se la pensione avesse avuto decorrenza successiva al 2015. In particolare “Opzione donna” permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in presenza dei prescritti requisiti contributivi ed anagrafici, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo. La facoltà di opzione è stata estesa anche alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2015 abbiano maturano un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni (per le gestioni esclusive dell’AGO 34 anni, 11 mesi e 16 giorni) e un’età anagrafica pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni e 3 mesi per le autonome a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico.

Vediamo esattamente come è formulata la norma e cosa cambia rispetto a prima.

Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome (cfr: Circolare Inps 53/2011).

Si ricorda che con l'approvazione di tali è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della Legge di Bilancio.

Che prevede di estendere l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004) «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra). Però, non è necessario (come prima) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione. Tenendo conto che ai tre mesi scattati nel 2013 si sono aggiunti quattro mesi nel 2016, le lavoratrici che non maturano il requisito entro il 31 dicembre 2015 devono aggiungere sette mesi all'età anagrafica, perché lo matureranno nel 2016. Ipotesi, una lavoratrice dipendente che ha 35 anni di contributi e ha compiuto i 57 anni nel dicembre 2015, matura il requisito dell’Opzione Donna a fine luglio 2016.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione, la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.




lunedì 21 novembre 2016

Opzione Donna verso riapertura termini


Riapertura Opzione Donna in vista: lo annuncia il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano che prevede l’allungamento dei termini da fine 2015 a fine luglio 2016.

Il monitoraggio del Governo appena concluso è servito a stabilire quante risorse sono ancora disponibili per comprendere una platea ampia di lavoratrici. Damiano conferma che Padoan ha firmato il resoconto inviandolo al Ministero del Lavoro, primo passo per quantificare le risorse necessarie alla proroga del regime sperimentale che consente la pensione anticipata alle aventi diritto, calcolata con il metodo contributivo. Il Comitato Opzione Donna si sta muovendo sui Social per accelerare l’iter di trasmissione del resoconto alle Camere.

Al momento ci sono 2,5 miliardi e l’emendamento tiene conto di questa cifra.
L’Opzione Donna consente alle lavoratrici con 57 anni e tre mesi (58 e tre mesi per le autonome) e 35 anni di contributi di andare in pensione anticipata. Secondo la normativa in vigore, il requisito deve essere maturato entro fine 2015, escludendo di fatto le lavoratrici nate nell’ultimo trimestre dell’anno. L’allungamento a luglio 2016 amplierebbe la platea delle aventi diritto.

Si tratta di una corsia preferenziale introdotta dalla Legge Maroni (articolo 1, comma 9 della legge 243/04) e fortemente utilizzata dopo l’introduzione della Riforma Fornero, pur escludendo i contributi versati alla Gestione Separata INPS. La Legge di Stabilità 2016 ha eliminato le limitazioni INPS di cui alle Circolari n.35 e n.37 del 2012 (31 dicembre 2015 termine ultimo di decorrenza pensione), pur mantenendo le finestre mobili di 18 o 12 mesi (autonome o dipendenti) per l’accesso alla prestazione.

Il nuovo emendamento alla Legge di Bilancio 2017 (che contiene una nuova riforma delle pensioni in ottica di maggiore flessibilità in uscita) è stato proposto dalla commissione Lavoro in sede consultiva, dovrà quindi essere discusso dalla commissione Bilancio in sede referente. Il testo dovrebbe arrivare in aula il 24 novembre e approvato dall’aula di Montecitorio prima del 4 dicembre, giorno del referendum costituzionale per poi passare all’esame del Senato.

Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti sopra indicati a patto però di accettare un assegno interamente calcolato con il sistema contributivo.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015). Si ricorda che con l'approvazione della legge di stabilita' 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

La decurtazione scatta poiché, con il contributivo, si rinuncia al sistema misto che garantisce un trattamento più alto. Ecco un esempio che mostra come varia la riduzione dell’assegno in relazione agli anni di anticipo pensionistico: lavoratrice nata nel 1958, con 38 anni di contributi, ultima retribuzione annua pari a 25mila 700 euro.

Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la in vigore la cd.finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Pronto il responso per l'Opzione Donna sul monitoraggio delle risorse utilizzate e quelle residue rispetto allo stanziamento del Governo. Informazione necessaria per capire se esistono realmente i margini per la proroga oltre il 31 dicembre 2015 dell’Opzione Donna, come previsto da un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015) a patto però di un residuo di risorse rispetto ai fondi stanziati.

Tale possibilità di proroga del regime sperimentale doveva essere comunicata da Governo e INPS entro il 30 settembre 2016 alle Camere sulla base dei dati relativi al monitoraggio della sperimentazione dell’Opzione Donna, ma la scadenza non è stata rispettata.

Ora però, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario al Welfare, Franca Biondelli, fornite in risposta all'interrogazione parlamentare sollevata dalla Lega Nord in Commissione Lavoro alla Camera, i dati sembrano essere arrivati e la relazione relativa al monitoraggio dell’Opzione Donna sarà trasmessa a breve al Parlamento.

In particolare Biondelli ha spiegato:

«La relazione relativa al monitoraggio effettuato dall’INPS, è stata redatta la relazione sull'attuazione della sperimentazione con particolare riferimento agli specifici oneri previdenziali e alle relative previsioni di spesa. Tale relazione, già firmata dal Ministro Poletti, verrà inviata alle Camere non appena ricevuto il concerto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dallo stesso articolo 1, comma 281 della legge n. 208 del 2015.

In ogni caso, intendo rassicurare l’onorevole interrogante che è intenzione del Governo impiegare le risorse eventualmente non utilizzate al fine di portare a conclusione la sperimentazione originariamente introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004.

Assegno ridotto del 20-30% per le lavoratrici che scelgono l’Opzione Donna, prorogata dalla Legge di Stabilità (requisito anagrafico e contributivo maturato entro il 31 dicembre 2015, domanda di pensione presentabile per tutto il 2016): la pensione si calcola interamente con il contributivo e l’importo varia in base a contributi versati e anni di anni di pensione anticipata.


venerdì 11 novembre 2016

Disoccupati, arriva il bonus da mille a 5mila euro, come si ottiene



Al via da novembre l'assegno anti-disoccupazione. Da 1.000 fino a 5mila euro, il bonus per la ricollocazione sarà erogato dall'Anpal e sarà tanto più alto quanto più fragile è la posizione del senza lavoro, personalizzato sulla base di un 'rating', fissato con un algoritmo e condizionato al reale impegno a trovare un lavoro: niente assegno all'agenzia per l'impiego che non si impegna, niente Naspi al disoccupato che rifiuta un contratto congruo.

Il contratto di ricollocazione è uno speciale istituto destinato ai lavoratori disoccupati di lunga data che garantisce loro un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di una nuova occupazione. In pratica, con il contratto di ricollocazione il lavoratore licenziato riceve l'indennità di disoccupazione prevista dalla legge, cioè la Naspi, e inizia contemporaneamente un percorso di formazione e reinserimento professionale, attraverso un programma coordinato dalla sua Regione. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto di ricollocazione riceve dall'amministrazione regionale un contributo in denaro (voucher) che potrà poi spendere per un percorso di formazione presso un'agenzia di lavoro privata.

"Siamo pronti per fare partire già questo mese la fase sperimentale, mettendo a disposizione un primo blocco di circa 30mila assegni da offrire su tutto il territorio nazionale per poi estenderlo a tutti i richiedenti nella prima parte del 2017", ha annunciato Maurizio Del Conte, presidente della neonata Agenzia per le politiche attive per il lavoro, sottolineando come si tratti della "prima vera misura di politica attiva nazionale".

Nella fase sperimentale la scelta dei disoccupati ai quali verrà offerto il bonus avviene con metodi statistici, con un sistema ovviamente randomizzato che potrebbe suscitare qualche polemica, ma è garanzia di non discriminatorietà.

L'assegno, spendibile entro 12 mesi, va all'operatore (agenzie di impiego ecc.) che lo potrà incassare solo se colloca il disoccupato. Questi a sua volta incorre in sanzioni se rifiuta offerte di lavoro valide, dall'erosione della Naspi fino alla revoca. Il tutto con l'obiettivo di superare il concetto di sussidi passivi e favorire la ricollocazione.

Una volta a regime il sistema funzionerà così: sul sito dell'Anpal (che sarà attivato a breve e prenderà il posto di 'Cliclavoro') il disoccupato con almeno 4 mesi di Naspi effettua online la Did, dichiarazione di immediata disponibilità, e inserisce tutte le informazioni necessarie per stilare il suo profilo, dalla scolarizzazione, alle competenze, area geografica, durata disoccupazione, tra le altre. Qui un algoritmo elabora in automatico il profilo occupazionale, il profiling appunto, un indicatore di distanza dal mercato del lavoro che si riassume con un numero da 0 a 1 che gli dà diritto all'assegno di ricollocazione.

Dal 2017 la misura dovrebbe andare a regime, dove tutti i disoccupati potranno iscriversi e avere accesso alla misura effettuando la seguente procedura:

collegarsi al sito dell’Anpal;

effettuare online la dichiarazione di immediata disponibilità (DID);

compilare il form relativo con informazioni circa scolarizzazione, competenze, area geografica, durata disoccupazione e così via;

il sistema tramite un algoritmo elaborerà in automatico il profilo occupazionale, o profiling, un indicatore di distanza dal mercato del lavoro che gli dà diritto all’assegno di ricollocazione.

Per fare un esempio pratico:

0 rappresenta la minore distanza dal mondo del lavoro e quindi la più alta probabilità di trovare lavoro;

0,5 50% delle possibilità di trovare lavoro (con diritto all’assegno di 1000 euro);
1 rappresenta la maggiore difficoltà a trovare lavoro, che dà diritto ad ottenere l’assegno più alto (5mila euro).

Quindi per esempio chi segna uno 'score' di 0,5 ha il 50% delle possibilità di trovare lavoro, chi segna 1 avrà l'assegno più alto (5mila euro), chi segna 0 quello più basso (mille) e nel mezzo tutti i decimali possibili a cui corrisponde dunque una diversa entità dell'assegno entro la forchetta 1.000-5.000.

"Più alta è la distanza del disoccupato dal mercato del lavoro, più alto sarà l'assegno e quindi l'aiuto a rientrare nel mercato", commenta il giuslavorista. "Una rivoluzione culturale, un cambio di prospettiva - conclude Del Conte - una volta il futuro di chi restava senza lavoro erano gli ammortizzatori, oggi è cercare un nuovo posto di lavoro".

Settecentotrenta milioni di fondi Ue da destinare alle decontribuzioni mirate per giovani e Sud per il 2017 fino a 8mila euro. Il provvedimento, che sarà varato la prossima settimana dall'Agenzia per le politiche attive per il Lavoro che gestisce tali fondi (Anpal), colma parzialmente il mancato intervento in legge di Bilancio per il 2017 reperendo le coperture appunto nei fondi comunitari, in attesa nel 2018 di poter procedere verso un taglio strutturale del cuneo fiscale. "Un super bonus occupazionale da introdurre con un atto amministrativo dell'Agenzia - ha spiegato il presidente Anpal Maurizio Del Conte - una misura forte e selettiva per le categorie svantaggiate previste dai fondi comunitari". I fondi "sono destinati alle imprese che assumono giovani iscritti a Garanzia Giovani o lavoratori di qualunque età al Sud che siano senza lavoro da almeno sei mesi da destinare a decontribuzioni fino a 8.060 euro, come nel 2015", spiega ancora il giuslavorista.

Accusate di dopare il mercato del lavoro, le decontribuzioni sui neoassunti sono state introdotte dal governo a partire dal 2015, poi dimezzate nel 2016 per procedere con l'ultimo decalage nel prossimo anno. Ma alla fine l'intervento per il 2017 non è stato incluso nella Legge di Bilancio attualmente in discussione alla Camera: l'estensione a tutti del decalage sarebbe stata di entità troppo bassa, con il rischio di non rappresentare un incentivo attraente, una misura selettiva rischiava la bocciatura Ue configurandosi come aiuto di stato distorsivo del mercato. da qui il ricorso ai fondi Ue per assicurare continuità alle politiche del governo per il mercato del lavoro completando il triennio di decontribuzioni in vista di un taglio strutturale del cuneo nel 2018.

Il disoccupato che rifiuta congrue offerte di lavoro vedrà erodersi la Naspi e anche eventualmente la sua revoca. La dichiarazione di Immediata disponibilità per potersi avvalere dell’assegno va fatta dal disoccupato da almeno 4 mesi. Compilando una serie di dati otterrà un punteggio che vale un assegno diverso fra mille e 5mila euro.

Le cifre parlano chiaro, saranno oltre 20.000 i disoccupati non qualificati in cerca di una nuova occupazione. Sarà rivolto a questi ultimi il bonus da 5000 euro, in previsione del tempo che impiegheranno le agenzie del lavoro per la loro ricollocazione. Bisogna specificare che il bonus verrà dato per intero se il disoccupato in cerca di lavoro verrà assunto a tempo indeterminato. Viceversa, se il disoccupato verrà assunto con contratto a termine, il bonus sarà dimezzato.


martedì 18 ottobre 2016

Opzione Donna le novità e con l'assegno ridotto



Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti sopra indicati a patto però di accettare un assegno interamente calcolato con il sistema contributivo.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015). Si ricorda che con l'approvazione della legge di stabilita' 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

La decurtazione scatta poiché, con il contributivo, si rinuncia al sistema misto che garantisce un trattamento più alto. Ecco un esempio che mostra come varia la riduzione dell’assegno in relazione agli anni di anticipo pensionistico: lavoratrice nata nel 1958, con 38 anni di contributi, ultima retribuzione annua pari a 25mila 700 euro.

Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la in vigore la cd.finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Pronto il responso perc l'Opzione Donna sul monitoraggio delle risorse utilizzate e quelle residue rispetto allo stanziamento del Governo. Informazione necessaria per capire se esistono realmente i margini per la proroga oltre il 31 dicembre 2015 dell’Opzione Donna, come previsto da un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015) a patto però di un residuo di risorse rispetto ai fondi stanziati.

Tale possibilità di proroga del regime sperimentale doveva essere comunicata da Governo e INPS entro il 30 settembre 2016 alle Camere sulla base dei dati relativi al monitoraggio della sperimentazione dell’Opzione Donna, ma la scadenza non è stata rispettata.

Ora però, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario al Welfare, Franca Biondelli, fornite in risposta all'interrogazione parlamentare sollevata dalla Lega Nord in Commissione Lavoro alla Camera, i dati sembrano essere arrivati e la relazione relativa al monitoraggio dell’Opzione Donna sarà trasmessa a breve al Parlamento.

In particolare Biondelli ha spiegato:

«La relazione relativa al monitoraggio effettuato dall’INPS, è stata redatta la relazione sull’attuazione della sperimentazione con particolare riferimento agli specifici oneri previdenziali e alle relative previsioni di spesa. Tale relazione, già firmata dal Ministro Poletti, verrà inviata alle Camere non appena ricevuto il concerto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dallo stesso articolo 1, comma 281 della legge n. 208 del 2015.

In ogni caso, intendo rassicurare l’onorevole interrogante che è intenzione del Governo impiegare le risorse eventualmente non utilizzate al fine di portare a conclusione la sperimentazione originariamente introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004».

Assegno ridotto del 20-30% per le lavoratrici che scelgono l’Opzione Donna, prorogata dalla Legge di Stabilità (requisito anagrafico e contributivo maturato entro il 31 dicembre 2015, domanda di pensione presentabile per tutto il 2016): la pensione si calcola interamente con il contributivo e l’importo varia in base a contributi versati e anni di anni di pensione anticipata.


martedì 16 febbraio 2016

Pensione di reversibilità 2016 che accadrà?



Ricordammo che in caso di morte di un pensionato viene erogata ai familiari di quest'ultimo (e su loro richiesta) una prestazione economica detta pensione di reversibilità (che invece prende il nome di pensione indiretta quando il decesso colpisce un lavoratore non pensionato).

L'importo della pensione di reversibilità viene stabilito in una percentuale della pensione a suo tempo goduta dal defunto.

L’avvertimento che è stato lanciato da Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi-Cgil: in Commissione Lavoro alla Camera è arrivato un disegno di legge delega che contiene un punto gravissimo. In pratica, la pensione di reversibilità verrà considerata una prestazione assistenziale e non previdenziale, il governo prevede un intervento sulle pensioni di reversibilità. Sono le prestazioni di cui godono il coniuge o gli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che ha versato i contributi.

Con l’indicatore Isee possibili tagli ai nuovi assegni destinati a coniugi ed eredi in vita.

Leggendo le direttive del governo si capisce che le pensioni di reversibilità diventano «prestazione assistenziale», e che per poterne beneficiare in futuro bisognerà non superare certi parametri economici e si intende ancorare la reversibilità (ma anche assegno sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre figli minori) al reddito calcolato con il meccanismo dell’Isee.

L’Isee, l’“indicatore della situazione economica equivalente”, tiene conto anche di eventuali patrimoni finanziari e immobiliari. In altre parole, la vedova che ha fatto per una vita la casalinga - ma cui il coniuge ha lasciato in eredità qualche immobile e un pacchetto di Btp - rischia di dover dire addio all’assegno. In teoria: tutto deriverebbe da dove verrà posta l’asticella del parametro Isee. A sentire alcuni consulenti del governo, invece, non cambierebbe nulla, perché in questo caso non si considererebbe l’elemento patrimoniale dell’Isee. Vero è che nell'articolato due volte si parla di «razionalizzazione delle prestazioni», termine inquietante. Ed è vero anche che finora la pensione di reversibilità era appunto una misura «previdenziale», dovuta perché costruita con i contributi versati dal lavoratore nel corso degli anni; d’ora in poi sarà «assistenziale», e correlata ai mezzi di cui dispone il beneficiario.

Quindi rispetto al passato (l’assegno di reversibilità da strumento previdenziale diventa assistenziale), il disegno di legge introduce il concetto di “universalismo selettivo” per l’accesso alle prestazione che, dopo l’entrata in vigore delle nuove norme, saranno agganciate ai parametri Isee. Ed è qui che si è scatenata la polemica perché, attualmente, l’entità dell’assegno di reversibilità è legata soprattutto al numero dei superstiti e, in maniera minore, al loro reddito. Se le prestazioni saranno legate alla situazione economica complessiva, è probabile che la platea dei beneficiari delle pensioni di reversibilità possa ridursi. Non solo, collegando la pensione di reversibilità all’Isee, è prevedibile un taglio per tutti i nuovi assegni.

Cosa accadrà? La nuova normativa considera le reversibilità come prestazioni assistenziali e non più previdenziali e quindi lega la possibilità di accedervi o la percentuale dell'assegno all'Isee, l' indicatore della situazione economica equivalente. Il problema è che questo indicatore viene calcolato con riferimento al nucleo familiare del richiedente e non al reddito personale.

I beneficiari di pensioni di reversibilità sono più di 3 milioni (3.052.482) e la spesa totale nel 2015 è stata pari ad oltre 24,1 miliardi di euro (24.152.946.974). Quasi 3,5 milioni (3.469.254), per una spesa di oltre 20 miliardi di euro (20.500.376.967) sempre nel 2015, risultano invece i beneficiari di integrazione al minimo (quando la pensione derivante dai contributi versati è di importo molto basso, al di sotto del minimo 'vitale'). Sono i dati contenuti nell'analisi dell'impatto della regolamentazione che accompagna il ddl delega sulle norme di contrasto alla povertà, sul riordino delle prestazioni e sul sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla stabilità). Nel testo si fa riferimento alle "principali prestazioni di natura assistenziale, ovvero di natura previdenziale ma comunque sottoposte alla prova dei mezzi" che sono, oltre la pensione di reversibilità, "assegno sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre o più figli minori".

A fronte di queste decisioni a piangere saranno molte vedove, visto che numeri alla mano la reversibilità tocca soprattutto alle donne. Il provvedimento non è retroattivo, ma per dare un' idea di cosa stiamo parlando basterà ricordare che a oggi godono di questa prestazione 3 milioni 52 mila e 482 italiani.

Con l' Isee non si fa più riferimento al reddito personale ma a quello della famiglia: potrebbe succedere che una vedova con un reddito molto basso rischi di vedersi tagliare o addirittura di perdere il diritto alla pensione del marito solo perché vive ancora con il figlio che vanta una retribuzione minima da lavoro. Non solo. Perché c' è anche il discorso degli immobili. Nel calcolo del nuovo Isee, infatti, ha un peso fondamentale la casa di proprietà. Tanto che il rischio del paradosso non è affatto campato in aria: una vedova che ha un reddito minimo ma un tetto sicuro sotto il quale vivere si veda perdere la pensione.

Sul 2016 sappiamo che la soglia limite fissata per non subire la riduzione della prestazione è di 19.573 euro l' anno, e la speranza, a oggi decisamente meno solida rispetto a ieri, è che questi numeri e paletti resistano anche per gli anni a venire.



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