lunedì 16 gennaio 2017
Riforma della scuola: maturità solo con la formazione in azienda
Scuola, approvata la delega con cui si darà il via alla riforma del sostegno; ecco tutte le novità che riguarderanno uno dei settori più delicati della scuola italiana.
Le deleghe riguardano: Inclusione scolastica, Cultura umanistica, Diritto allo studio, Formazione iniziale e accesso all'insegnamento nella secondaria di primo e secondo grado, Istruzione Professionale, Scuole italiane all'estero, Sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a sei anni .
La delega sulla scuola rimasta fuori dal «pacchetto» approvato oggi in Consiglio dei ministri riguarda il nuovo Testo Unico in materia di istruzione, cioè il riordino delle disposizioni legislative vigenti. I provvedimenti vanno ora in conferenza unificata per il parere e alle competenti commissioni parlamentari.
L'altternanza scuola-lavoro diventa requisito di ammissione all’esame di Maturità, che subirà un nuovo “restyling”: dalle attuali tre prove scritte più colloquio, si passerà infatti a due scritti e orale (a saltare sarà la terza prova, il cosiddetto «quizzone»). L’Invalsi sbarca ufficialmente in quinta superiore (non però agli esami, ma in un periodo diverso dell’anno), e testerà le competenze degli studenti in italiano, matematica e, è la novità, inglese. A cambiare sarà anche la formazione iniziale dei docenti, con l’arrivo del «corso-concorso», dopo la laurea (sulla falsariga delle selezioni in magistratura); e, per la prima volta in Italia, debutterà un sistema integrato di educazione e di istruzione per i bambini d’età 0-6, con l’istituzione di un fondo ad hoc da 229 milioni l’anno.
A poche ore dalla scadenza dei 18 mesi, il governo ha acceso sabato il primo semaforo verde ad otto delle nove deleghe contenute nella legge 107 (per la revisione del Testo unico sulla scuola, il Dlgs non attuato, sarà previsto un ddl delega specifico e successivo).
Assunzioni, alternanza e un pò di merito
I provvedimenti licenziati vanno ora alle commissioni parlamentari competenti e in Conferenza Unificata per il parere: «È stato approvato un pacchetto importante - ha commentato il premier, Paolo Gentiloni, che ha ripreso regolarmente il suo posto in Cdm, dopo i problemi di salute dei giorni scorsi -. Le riforme non si fermano». Del resto, i decreti attuativi della Buona Scuola «rappresentano la parte più innovativa e qualificante della legge 107 - ha aggiunto la neo ministra, Valeria Fedeli (che caparbiamente ha rispolverato i testi dai cassetti del Miur) -. In sede referente, ascolteremo tutti i soggetti coinvolti, con l’obiettivo di mettere gli alunni al centro di un progetto che punta a fornire loro un’istruzione e una formazione adeguate agli standard europei».
E in effetti le misure per i ragazzi contenute negli otto Dlgs approvati ieri dall'esecutivo sono realmente “di peso”: a cominciare dalla revisione degli esami di Stato. Qui, tuttavia, le novità entreranno in vigore dal 2018 (non ci sarà quindi nessun cambiamento per le prove di quest’anno). La nuova maturità sarà, quindi, composta da due prove scritte nazionali (la prima, che continuerà ad accertare la padronanza della lingua italiana; e la seconda, su discipline caratterizzanti l’indirizzo di studi), e il colloquio orale che verificherà il conseguimento delle competenze raggiunte, la capacità argomentativa e critica del candidato, e, anche, l’esposizione delle attività svolte in alternanza.
L’esito dell’esame di Stato, oggi, è espresso in centesimi: fino a 25 punti per il credito scolastico, fino a 15 per ciascuna delle tre prove scritte, fino a 30 per il colloquio. Da domani (cioè dal 2018) il voto finale resterà in centesimi, ma si darà maggior peso al percorso fatto dal ragazzo nell’ultimo triennio: e così il credito scolastico salirà a 40 punti (e poi, 20 punti per ciascuno scritto e 20 punti per l’orale). Nessuna novità per la commissione. Rimarrà come l’attuale: tre commissari interni, tre esterni e presidente proveniente da un altro istituto.
A cambiare sarà pure l’esame di terza media, che attualmente conta sei scritti più il colloquio. Si passerà a tre scritti (italiano, matematica e lingua straniera) e un colloquio per accertare le competenze trasversali (ridando, in questo modo, più valore al percorso scolastico). Il test Invalsi (la prova nazionale standardizzata) rimarrà in terza media, ma si svolgerà durante un periodo dell’anno diverso dagli esami (come per la Maturità).
“Dal 2018 la nuova maturità sarà composta da due prove scritte, la prima sulla lingua italiana e la seconda su discipline caratterizzanti l’indirizzo di studi. L’ orale verificherà il conseguimento delle competenze raggiunte, la capacità argomentativa e critica del candidato, e, anche, l’esposizione delle attività svolte in alternanza.”
Novità in arrivo (dal 2021, come chiesto dal Mef) anche per l’accesso alla cattedra: oggi chi vuole insegnare a medie e superiori deve abilitarsi, dopo la laurea, attraverso il tirocinio formativo attivo (Tfa), che gli consente l’inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto per le supplenze. Poi, per conquistare il ruolo si deve attendere un concorso. Con le nuove regole, dopo l’università si potrà partecipare a un «corso-concorso». Chi lo supererà si inserirà in un percorso di formazione di tre anni, due dei quali fatti anche a scuola (al termine del triennio si viene assunti a tempo indeterminato). È comunque prevista una fase transitoria per chi oggi è già iscritto nelle graduatorie di istituto.
Verso una qualità più omogenea del sistema
Passando, poi, alle altre deleghe, sul fronte inclusione sociale, si punta a una maggiore formazione dei docenti di sostegno e a garantire continuità didattica, attraverso, pure, l’elaborazione di un progetto educativo individuale per gli alunni con disabilità. Si rafforza, inoltre, il diritto allo studio, prevedendo maggiori borse, esoneri delle tasse e agevolazioni sui libri di testo. Spazio pure alla promozione della cultura umanistica; e a un mini-restyling delle scuole italiane estere (estendendo le novità previste dalla legge 107).
L’ultimo degli otto Dlgs approvati ieri riguarda invece il riordino degli istituti professionali (Ip): qui si punta a innovare l’offerta formativa, rafforzando le materie d’indirizzo e i legami con il territorio. La bozza di provvedimento, però, è poco chiara sul raccordo con i corsi regionali: «Sono sorpresa del varo delle deleghe senza coinvolgimento delle Regioni - ha sottolineato l’assessore lombardo, Valentina Aprea -. Vigileremo sull’attuazione del riordino degli Ip».
Maturità
Dal 2018, la maturità contemplerà due sole prove scritte, Italiano e prova d’indirizzo senza più il terzo scritto confezionato dalle stesse commissioni esaminatrici. E viene anche rivoluzionato il punteggio che rimarrà in centesimi: 40 punti alla carriera scolastica e 20 punti a ciascuno dei due scritti e al colloquio che verterà anche sulle attività di Alternanza scuola-lavoro(è una modalità didattica realizzata in collaborazione fra scuole e imprese per offrire ai giovani competenze spendibili nel mercato del lavoro e favorire l’orientamento. Il giovane impara in contesti diversi, sia a scuola sia in azienda. Le competenze acquisite in azienda sono riconosciute come crediti).
Commissioni d’esame
Le commissioni d’esame saranno formate da 3 membri interni, 3 esterni e un presidente esterno. Prima dell’esame, tutti i maturandi dovranno effettuare una prova Invalsi, test il cui risultato però non entrerà nel voto finale dell’esame di Stato.
Scuole Medie ed Elementari
Novità anche per gli esami di terza media: tre soli scritti (oggi sono sei) e prova Invalsi che non farà più media per la valutazione finale. Ma che sarà necessario svolgere per l’ammissione agli esami. In più, le prove Invalsi di quinta elementare e terza media saggeranno le competenze in inglese degli alunni. Salta invece la valutazione con le lettere – da A a D – in luogo dei voti all’elementare e alla media. E sarà possibile promuovere anche con carenze o livelli di competenza ancora da raggiungere.
Scuole dell’infanzia
Per i più piccoli, da zero a 6 anni, è previsto un unico percorso che prevede la creazione di un sistema d’istruzione integrato che parte da subito, fin dai primi mesi di vita del bambino, un sistema in cui viene rafforzata soprattutto la scuola fino a 3 anni (oggi al 12%) con l’assunzione di maestre d’asilo con una laurea triennale obbligatoria e la realizzazione di programmi omogenei e di qualità su tutto il territorio.
Ci sono pronti oltre 200 milioni di euro per l’estensione dei servizi anche a questa prima fascia scolastica. Fondi che il ministero dell’Istruzione darà direttamente ai Comuni, cui resta la responsabilità diretta di nidi e materne.
Insegnanti formati per ogni disabilità
Degli alunni più deboli – disabili, ma non solo – si occupa la delega sull'integrazione: l’idea di fondo contenuta nel testo della delega è che ogni ragazzo con difficoltà possa avere l’insegnante adatto alla propria disabilità, preparato e in grado di sostenerlo nella maniera giusta. Ci saranno insegnanti di sostegno con una formazione specifica per le materne, le elementari, le medie e le superiori. Diversamente da quanto accade ora con insegnanti di sostegno che entrano in ruolo e poi si spostano sull’insegnamento, la riforma prevede un percorso specifico per chi sceglie il sostegno con l’obbligo di restare in quella posizione per almeno 10 anni
Scuole italiane all’estero
Tra le novità anche quella del riordino delle scuole italiane all’estero. In tutto il mondo sono 135 e impiegano 624 insegnanti e sono frequentate da circa 30 mila alunni e studenti. Oggi dipendono dal ministero degli Affari esteri che le gestisce attraverso le singole ambasciate. Ciò comporta una frammentarietà e disomogeneità che vanno superate. Il decreto prevede quindi un maggiore coordinamento tra la Farnesina e il Miur per creare un modello di «Formazione Italia nel mondo» con l’obiettivo di diffondere la lingua e la cultura italiana all’estero.
Per una parte dei giovani studenti l'apprendimento in impresa avverrà tramite un contratto di apprendistato di primo livello, mentre per l'altra parte avverrà attraverso l'introduzione dell'alternanza "rafforzata" di 400 ore annue a partire dal secondo anno del percorso di istruzione e formazione professionale.
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Dipendenti pubblici nuove regole su malattia, congedi e permessi
Nuove regole su malattia, congedi e permessi stanno per arrivare nella pubblica amministrazione. La riapertura della contrattazione segnerà infatti anche una svolta su queste materie. Che l'argomento venga affrontato lo prevede l'intesa del 30 novembre tra sindacati e governo, negoziato che era partito all'Aran nel 2014 ma senza poi giungere a un risultato.
Il lavoro costruito all'Aran aveva conosciuto una fase avanzata, per cui non andrà totalmente disperso. Allora la discussione si concentrò soprattutto sulla possibilità di spacchettare la 'malattia' in ore, in modo che il dipendente pubblico che deve allontanarsi per una visita specialistica o per un esame non salti l'intera giornata di lavoro. Certo quel che si può rivedere nei contratti è quello che i contratti precedenti hanno stabilito, quindi la legge resta fuori, è il caso della legge n. 104, che regola i permessi per le gravi disabilità. In questo campo il contratto può intervenire solo su aspetti, come ad esempio le modalità di fruizione (tra cui rientra il preavviso).
Il governo non lascerà quindi cadere i termini per attuare la delega Madia sul lavoro pubblico. Anche se ci sono ancora delle incognita sulla dirigenza, che rientrerebbe nel calderone ma su cui pende la bocciatura arrivata dalla Consulta a fine novembre. A proposito, il ministero potrebbe presentare i decreti correttivi su furbetti del cartellino (con cambiamenti marginali), partecipate e dirigenza sanitaria già alla conferenza unificata del 19 gennaio, per cercare l'intesa con gli enti territoriali, come richiesto dalla Corte Costituzionale.
Di sicuro per la fine del prossimo mese l'esecutivo vuole incassare l'accordo, anche perché il decreto furbetti ha già colpito (è stato registrato il caso di un primo licenziamento). Quanto al contrasto degli abusi sulla malattia, o meglio sulle assenze, l'esecutivo è determinato a portare avanti il progetto di un polo unico della medicina fiscale, in capo all'Inps (con le Asl messe da parte). L'obiettivo è rendere gli accertamenti più efficienti. La novità rientrerà nel decreto di febbraio. Decreto che dovrebbe essere anticipato da un confronto con i sindacati, sempre nel rispetto dell'accordo del 30 novembre, che sarà anche al centro della riforma. A questo punto è chiaro come il ministero della P.a sia concentrato già su diversi fronti e sembra difficile che riesca a portare a casa secondo i termini stabiliti le deleghe su altri temi rimasti aperti, dalla revisione dei poteri del premier al taglio delle prefetture.
Quindi stretta sulle assenze degli statali, vediamo le novità attese?
Il primo aspetto le assenze per malattia, nel caso specifico in cui il dipendente pubblico abbia la necessità di dover effettuare una visita specialistica o delle analisi. Attualmente ci sono tre modi per potersi assentare per le visite mediche o per gli accertamenti. Il primo è prendere una giornata di malattia. Il secondo è utilizzare un giorno di ferie e il terzo è usare il permesso orario nel limite delle 18 ore annuali, che però non è specificamente destinato a queste esigenze ma copre anche tutte le altre necessità del lavoratore.
La soluzione individuata e che potrebbe essere recepita nel contratto - si legge - prevede un'altra strada, ossia la possibilità di spacchettare in ore l'assenza per malattia. Se si hanno bisogno di due ore per effettuare una visita specialistica, o di un'ora a settimana per effettuare una determinata terapia, non sarà più necessario giustificare l'intera giornata, ma ci si potrà assentare soltanto per le ore necessarie giustificandole con la certificazione dello specialista o del terapista. Questa possibilità, tuttavia, non sarebbe senza limiti. Ci sarebbe comunque un contingentamento, un tetto che rientrerebbe anche nel cosiddetto 'periodo di comporto', il tempo massimo di assenza entro il quale il dipendente pubblico ha diritto allo stipendio e alla conservazione del posto di lavoro". Dal periodo di comporto, poi, "verrebbero esclusi in ogni caso le terapie salvavita, come per i malati di tumore.
Un altro punto che potrebbe essere affrontato, riguarda la legge 104, quella per l'assistenza dei familiari disabili. Non si toccherebbero i principi fondamentali dell'istituto, che è regolato dalla legge, ma solo alcuni aspetti organizzativi ed in pratica sarebbe chiesto ai dipendenti che la utilizzano di comunicare preventivamente al datore di lavoro i periodi di assenza, in modo da permettere una programmazione del lavoro. Sulla malattia degli statali sono attese anche altre novità, da tempo annunciate, ossia la stretta sulle assenze seriali e quelle di massa.
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domenica 15 gennaio 2017
Trasferimento o cessione d’azienda: quando si configura
Si ha il la cessione ramo d'azienda o trasferimento d'azienda quando, in seguito a operazioni quali cessione contrattuale, fusione, affitto, usufrutto, cambia il titolare della azienda stessa.
La Corte di Cassazione ha chiarito con una recente sentenza (24972/2016) che il solo trasferimento del personale da un datore di lavoro all'altro in caso di cambio di appalto non basta a definire un trasferimento d’azienda, che si configura invece se l’assunzione di lavoratori in caso di cambio di soggetto appaltatore viene accompagnata anche da un passaggio di beni di non trascurabile entità, ovvero tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa.
La cessione di azienda comprende cose materiali (mobili ed immobili) e immateriali, compreso l’avviamento, i rapporti di lavoro con il personale, crediti e debiti con la clientela: elementi tutti unificati in senso funzionale dalla volontà del titolare, con riguardo alla loro destinazione al comune fine dell’intrapresa attività imprenditoriale. L’azienda può sussistere anche se, essendo di nuova formazione, non abbia ancora iniziato a funzionare come organismo aziendale o, se essendo già in esercizio, abbia temporaneamente cessato di funzionare. La mancanza dell’esercizio esclude l’esistenza dell’impresa non dell’azienda. L’azienda, infatti, esiste nel momento in cui il complesso dei beni organizzati è idoneo al fine cui è destinato: l’esercizio dell’impresa.
Con il contratto di cessione d’azienda il cedente trasferisce il complesso aziendale ad un acquirente, il cessionario, dietro corrispettivo. L’azienda viene ceduta unitariamente, con debiti e crediti (a meno che non sia contrariamente convenuto), e con subentro nei rapporti contrattuali in essere. Nel contratto può essere disposto il divieto di concorrenza in capo all'alienante affinché chi vende l’azienda (l’alienante) non eserciti una concorrenza sleale nei confronti dell’acquirente. Il divieto in genere è stabilito per un periodo di cinque anni. Formalmente, la cessione dell’azienda richiede l’autenticazione delle firme, secondo quanto dispone la legge n. 310/1993: il contratto è quindi effettuato necessariamente in forma scritta.
Ma quali sono gli elementi che deve contenere il contratto di cessione di azienda? Proviamo a schematizzarli. Nelle premesse del contratto si dovrà indicare che:
il cedente deve dichiararsi titolare del complesso dei beni organizzati in azienda, specificando anche il tipo di attività che svolge l’azienda;
il cedente deve dichiarare di voler cessare l’attività e di avere interesse a reperire chi è disponibile ad acquistare tale azienda;
il cessionario deve, a sua volta, dichiararsi disponibile ad acquistare la predetta azienda.
Fondamentalmente la Corte di Cassazione ha chiarito che un’azienda è sicuramente fatta anche di beni immateriali, ma non può certamente essere ridotta solo ad essi a fronte dell’articolo 2555 del Codice Civile che nella stessa nozione di azienda richiama la necessità anche di beni materiali organizzati tra loro in funzione dell’esercizio dell’impresa, organizzazione di fatto impraticabile in caso di strutture fisiche di trascurabile entità o mancanti del tutto, giacché organizzare significa coordinare tra loro i fattori della produzione (capitale, beni naturali e lavoro) e non uno solo.
Alcune precedenti sentenze della Corte di Cassazione sono arrivate tuttavia a sperimentare la massima dilatazione possibile di nozione di trasferimento d’azienda fino a estenderla alla cessione avente ad oggetto solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui autonoma capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how.
Nel caso specifico analizzato dalla Corte, ad essere trasferito non era stato certamente un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro.
In più, ricordano i giudici supremi ,l’art. 29 co. 3 0 d.lgs. n. 276/03 prevede che:
“L’acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.
Dunque la mera assunzione, da parte del subentrante nell'appalto, non integra di per sé trasferimento d’azienda ove non si accompagni alla cessione dell’azienda o di un suo ramo autonomo intesi nei sensi di cui sopra.
Quando vi è la cessione dell'azienda (o di un ramo di essa) cambia il titolare dell'attività e quindi cambia il datore di lavoro. La legge tutela il lavoratore con alcune disposizioni specifiche e prevede che:
il rapporto di lavoro non si estingue, ma continua con il nuovo titolare dell'azienda; il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; il lavoratore può chiedere al nuovo datore di lavoro il pagamento dei crediti da lavoro che aveva maturato al momento del trasferimento; il nuovo datore di lavoro è pertanto obbligato in solido con il vecchio titolare per la soddisfazione di tali crediti; nel caso di stipulazione di un contratto d'appalto tra azienda d'origine e ramo trasferito, il lavoratore dipendente di questo ultimo può agire in giudizio direttamente nei confronti dell'azienda di origine per obbligarla al pagamento dei debiti che questa ha contratto con il ramo trasferito;
il nuovo titolare deve continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, fino alla sua scadenza;
la cessione o trasferimento d'azienda non costituisce motivo di licenziamento;
se la cessione si verifica in imprese che occupano più di 15 dipendenti, è obbligatorio per il datore di lavoro avvertire con comunicazione scritta, almeno 25 giorni prima dell'atto di cessione, le rappresentanze sindacali che avviano procedure di analisi e verifica necessarie alla tutela dei lavoratori , per evitare che il mancato rispetto della normativa potrebbe eludere altri istituti contrattuali e di legge, come le norme sullo Statuto del lavoratori, il collocamento dei disabili.
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