venerdì 29 aprile 2016

Dichiarazione 730 precompilata 2016: come accedere


Lo scorso anno ha visto il debutto della dichiarazione 730 precompilata previsto dall'art. 1 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014), che l'Agenzia delle Entrate provvede a predisporre e mettere a disposizione dei contribuenti entro il 15 aprile di ogni anno.

Anche quest'anno la dichiarazione precompilata relativa ai redditi 2015 è resa disponibile a partire dal 15 aprile 2016.

Tra le novità del 2016 ci sono:

oltre al 730 precompilato, anche il modello Unico PF precompilato: il contribuente viene guidato dal sistema a scegliere, in base ai propri requisiti, se presentare il 730 già compilato dall’Agenzia o il modello Unico precompilato;

è consentita la possibilità di presentare direttamente la dichiarazione precompilata in forma congiunta, senza la necessità di richiedere l’assistenza di un intermediario, a differenza dello scorso anno;

è maggiore il numero di dati che entrano nel modello predisposto dal Fisco, grazie a nove voci come
le spese sanitarie registrate con il sistema Tessera Sanitaria e le spese universitarie, ma anche i contributi versati alle forme di previdenza complementare, le spese funebri, le spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e interventi volti al risparmio energetico.

L'Agenzia delle Entrate ha reso disponibile l'apposito spazio web https://infoprecompilata.agenziaentrate.it, dedicato all’assistenza sulla precompilata, che è stato aggiornato e implementato rispetto allo scorso anno.

Il contribuente può accedere direttamente alla propria dichiarazione precompilata (ed agli altri dati resi accessibili), mediante le funzionalità disponibili all’interno dell’area autenticata del sito dell'Agenzia delle Entrate, utilizzando quest'anno uno seguenti strumenti di autenticazione:
credenziali Fisconline rilasciate dall’Agenzia delle entrate;

Carta Nazionale dei Servizi (CNS) o identità SPID (Sistema Pubblico per la gestione dell'Identità Digitale) di cui all'art. 64 del Codice dell'Amministrazione Digitale;

credenziali dispositive rilasciate dall’INPS o dalla Guardia di Finanza o dal sistema informativo di gestione e amministrazione del personale della Pubblica Amministrazione (NoiPA), gestito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

credenziali rilasciate da altri soggetti individuati con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Il contribuente, accedendo alla propria area autenticata, può:
visualizzare e stampare la propria dichiarazione 730 precompilata;

accettarla o modificarla, anche integrandola, e trasmetterla all’Agenzia delle Entrate (a partire dal 2 maggio 2016);

consultare le comunicazioni, le ricevute e la dichiarazione presentata;

consultare l’elenco dei soggetti delegati ai quali è stata resa disponibile la dichiarazione 730 precompilata.

Il contribuente potrà, inoltre, ricevere eventuali comunicazioni relative alla propria dichiarazione 730 precompilata, inserendo un indirizzo di posta elettronica valido (e tenendolo aggiornato) nell’apposita sezione della propria area autenticata.

Resta, ovviamente, la possibilità di rivolgersi, per l'invio, al proprio sostituto d'imposta o ad un CAF o professionista abilitato.

Il contribuente che non dispone di un sostituto d'imposta tenuto all’effettuazione del conguaglio fiscale, ad esempio perché ha perso il lavoro nel 2016, tramite l'area autenticata potrà versare le somme eventualmente dovute mediante il modello F24 che verrà proposto già compilato dalle Entrate con i dati relativi al pagamento da eseguire e con la possibilità di addebito sul proprio conto corrente bancario o postale. Potrà, inoltre, indicare le coordinate del conto corrente bancario o postale sul quale ricevere l'accredito dell’eventuale rimborso che sarà erogato direttamente dall’Agenzia delle entrate.

Una novità di quest'anno riguarda la possibilità per i coniugi di presentare direttamente anche la "dichiarazione in forma congiunta", mentre lo scorso anno, in caso di dichiarazione congiunta, occorreva rivolgersi obbligatoriamente al sostituto d'imposta o al CAF o al professionista abilitato.
In particolare, il soggetto che intende presentare la dichiarazione in qualità di “coniuge dichiarante”, dopo aver completato la compilazione della propria dichiarazione, indica nell’area autenticata il codice fiscale del coniuge che presenterà il modello 730 congiunto in qualità di “dichiarante”.

Quest’ultimo esprime il consenso alla presentazione congiunta mediante l’indicazione, nella propria area autenticata, del codice fiscale del coniuge dichiarante. In esito alla manifestazione di volontà da parte di entrambi i coniugi, le informazioni contenute nella dichiarazione precompilata del coniuge dichiarante confluiscono, senza possibilità di modifiche, nel 730 congiunto che viene reso disponibile nell’area autenticata del dichiarante, il quale può procedere all’invio diretto.

Per ottenere la dichiarazione 730 precompilata, il contribuente potrà rivolgersi anche al proprio sostituto d'imposta, ad un CAF o ad un professionista abilitato, al quale dovrà conferire preventivamente apposita delega (cartacea o elettronica) per consentire l’accesso ai dati.

Per l’accesso ai documenti i sostituti d’imposta possono avvalersi anche degli intermediari abilitati alla presentazione telematica delle dichiarazioni dei redditi, designandoli responsabili del trattamento dei dati personali ed informando debitamente il contribuente di ciò.

I CAF ed i professionisti abilitati possono nominare i propri dipendenti come operatori incaricati ad effettuare l’accesso alle dichiarazioni 730 precompilate, mediante apposita funzionalità resa disponibile all’interno dell’area autenticata del sito dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.

L’accesso, da parte di sostituti d’imposta, CAF e intermediari abilitati, al 730 precompilato dei contribuenti da loro assistiti avviene solo a seguito di esplicita richiesta all’Agenzia delle Entrate, che può avvenire in due modi:

come modalità ordinaria, inviando un file mediante i servizi telematici;

per gestire le richieste di assistenza fiscale non programmate, inviando una richiesta via web, utilizzando Entratel, del download immediato per singolo contribuente.

La richiesta tramite file si effettua trasmettendo, attraverso il servizio telematico Entratel, o Fisconline per i sostituti d'imposta con un numero massimo di 20 percipienti, un file, predisposto tramite apposito software dell'Agenzia delle Entrate, contenente l'elenco dei contribuenti per i quali si richiedono i documenti, con relativi dati anagrafici, codici fiscali, reddito complessivo dell'anno precedente e dati della delega.

Se i dati trasmessi non sono corretti, il sistema, entro 5 giorni dall'invio della richiesta, fornisce, nella sezione "Ricevute" dell'area autenticata, un file contenente l'elenco degli eventuali errori. In tal caso, non si procede alla consegna dei documenti richiesti e sarà necessario inviare un nuovo file con i dati corretti.

E' possibile annullare una richiesta non ancora elaborata mediante invio di un file contenente lo stesso protocollo telematico della richiesta che si intende annullare.

Se, invece, i dati sono corretti, i documenti sono consegnati, sempre nell'area autenticata:
entro 5 giorni dalla data della richiesta, per le richieste regolarmente pervenute a partire dal 15 aprile;
entro 5 giorni a partire dal 15 aprile, per le richieste regolarmente pervenute entro il 14 aprile.

La modalità via web è consentita solo a CAF e professionisti abilitati (non anche i sostituti d'imposta) per gestire richieste di assistenza fiscale non programmate e permette di richiedere tramite Entratel il download immediato del modello 730 precompilato e delle relative informazioni per singolo contribuente. In questo caso, i documenti, richiesti via web, sono resi disponibili in tempo reale.

L’accesso tramite sostituti d’imposta, Caf e professionisti è consentito fino al 10 novembre, al fine di permettere l’utilizzo dei dati indicati nelle dichiarazioni 730 precompilate per eventuali dichiarazioni rettificative o integrative.

lunedì 25 aprile 2016

L’Inps lancia l’allarme, per i nati negli anni 80 rischia il pensionamento a 75 anni



Sono in arrivo le buste arancioni contenenti la previsione della pensione futura degli Italiani, tra qui numerosi giovani. Dalle informazioni in essa contenute, reperibili anche tramite l’applicativo “La Mia Pensione INPS” disponibile sul sito dell’Istituto, si evince come siano in molti i giovani per i quali l’uscita dal mondo del lavoro per andare in pensione sia prevista oltre i 75 anni di età.

La disoccupazione giovanile potrebbe avere effetti devastanti sull’età di raggiungimento della pensione per le generazioni più giovani. Secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, chi è nato dopo il 1980 rischia di andare in pensione con i requisiti minimi non a 70 anni, ma «due, tre, forse anche cinque anni dopo». L’Inps ha condotto uno studio apposito sulla classe 1980, «una generazione indicativa» ha detto Boeri prendendo a riferimento «un universo di lavoratori dipendenti, ma anche artigiani», ed è emerso come per un lavoratore tipo «ci sia una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Il vuoto contributivo pesa sul raggiungimento della pensione, che a seconda della sua lunghezza, «può slittare anche fino a 75 anni».

«Non voglio terrorizzare ma solo rendere consapevoli dell’importanza della continuità contributiva» ha aggiunto il presidente dell’Inps, tornando a sollecitare al governo una riforma per rendere più flessibile l’età di uscita dal lavoro. «L’uscita flessibile è un tema che va affrontato non fra cinque anni ma, credo, adesso. Abbiamo studiato il comportamento di due tipi di imprese, con o senza lavoratori bloccati dalla riforma del 2011. Abbiamo visto che le prime hanno assunto meno giovani con una forte penalizzazione di questi ultimi. Dato il livello della disoccupazione giovanile e dato che rischiamo di avere intere generazioni perdute nel Paese, e dato che invece abbiamo bisogno di quel capitale umano, credo sia m0lto importante fare questa operazione in tempi stretti» ha concluso Boeri.

Entro la fine dell’anno sette milioni di italiani riceveranno la busta arancione con le stime Inps sulla previdenza pubblica futura. Un aiuto, che però rischia di fornire numeri troppo ottimisti. I calcoli sono fatti con un Pil che cresce all’1,5% e una vita lavorativa senza buchi contributivi.

La busta arancione dell’Inps, in arrivo entro l’estate nella buca delle lettere, costringerà sette milioni di italiani a misurarsi con i numeri della propria pensione pubblica. Il rischio è che, nonostante la volontà illustrativa della lettera, l’effetto della trasparenza previdenziale sia troppo ottimista. Perché per mettere in piedi una strategia in vista del futuro serve del realismo.

I conti dell’Inps e quelli di un’ipotesi meno positiva, che è possibile simulare sempre attraverso lo strumento web dell’Inps se si hanno tempo e conoscenze, gli scenari possono essere diversi e decisamente meno confortanti qualora il futuro riservi una crescita economica piatta e quindi spegnere uno dei motori di crescita degli assegni pubblici.

Secondo «La Mia pensione Inps» un dipendente trentenne con un reddito attuale di mille euro netti al mese andrà in pensione di vecchiaia nel 2056 con un vitalizio di 1.749 euro lordi, il 75% di una retribuzione finale che, sempre al lordo delle tasse, sarà pari a 2.330 euro al mese. Al netto delle tasse, l’assegno mensile sarà di millequattrocento euro. Se, invece, si assumono ipotesi più realistiche sull’andamento del Pil (Prodotto interno lordo), uno dei parametri fondamentali a cui sono indicizzate le rendite pubbliche e sulla dinamica di carriera, l’assegno sarà pari a 1.217 euro lordi, il 95% di una retribuzione finale decisamente più bassa, 1.284 euro al mese. Al netto delle tasse l’assegno sarà di 1.029 euro, cioè quattrocento in meno rispetto alle proiezioni Inps. Il tasso di sostituzione elevato (94%) non deve trarre in inganno: il trentenne avrà guadagnato meno e avrà una coperta Inps ben più corta.

La pensione dei lavoratori viene ormai calcolata, in tutto o in parte, secondo il metodo contributivo, che fissa l’importo in funzione dei contributi versati, dell’andamento del Pil (Prodotto interno lordo) e della speranza di vita. «Per quanto riguarda i contributi, la stima dell’Inps prevede una crescita della retribuzione pari all’1,5% annuo, oltre l’inflazione, quindi una previsione positiva sulla propria carriera. In linea con le ipotesi assunte dalla Ragioneria Generale dello Stato, viene ipotizzata una crescita annua dell’1,5% (anch’essa in termini reali) del Pil: è un dato decisamente superiore a quello registrato da alcuni anni a questa parte».
Si ipotizza che il lavoratore faccia una discreta carriera e che l’Azienda Italia corra, mentre negli ultimi anni è quasi ferma.

Ottocento euro l’anno per un lavoratore dipendente trentenne con un reddito attuale di mille euro netti al mese, quasi 4.700 per un quarantenne che oggi ha una retribuzione di duemila euro al mese, oltre diecimila per un altro quarantenne che lavora in proprio. Sono le cifre che questi tre lavoratori dovranno versare in una pensione di scorta per compensare il divario che, al momento del pensionamento, avranno rispetto all’attuale reddito. Conti che valgono se si accetta il rischio sottoscrivendo una linea d’investimento con il 30% di azioni. Se invece si cerca il porto sicuro di una garantita, l’impegno aumenta decisamente: millecento euro per il trentenne, 5.640 per il dipendente quarantenne. Se il quarantenne è un lavoratore autonomo, l’assegno previdenziale stimato è pari a 2.472 euro lordi (1.871 euro netti) pari al 50,8% della retribuzione finale stimata (4.866 euro al mese al lordo delle tasse). Con PIL al +1% l’assegno scende a 1.952 euro lordi (1.543 euro netti) pari al 61,8% della retribuzione finale stimata (3.160 euro al mese al lordo delle tasse).

domenica 24 aprile 2016

Pensioni, ecco la nuova flessibilità


Un combinazione tra prestito previdenziale e opzione donna. Con un sistema di “garanzie a catena” per rendere più leggero l'impatto sui conti pubblici nel breve periodo, che prevede il coinvolgimento degli istituti di credito, dell'Inps e, direttamente o indirettamente, anche dei fondi pensione, che in ogni caso, con una distinta operazione, beneficeranno di una riduzione dell'aliquota fiscale sui rendimenti (attualmente al 20%) di almeno 4-5 punti e un incremento della deducibilità dei versamenti.

È questa una delle 2-3 opzioni per rendere più flessibili le uscite verso la pensione. Che si ridurrebbe per ogni anno di anticipo soprattutto per effetto del calcolo con il contributivo per il periodo tra l'uscita e il raggiungimento della soglia di vecchiaia. La penalizzazione (3-4% l'anno) verrebbe attutita con un dispositivo imperniato sul concetto del “prestito”, garantito, almeno in parte, da intermediari finanziari cui verrebbero a loro volta assicurati particolari incentivi. Anche l'Inps avrebbe un ruolo di ulteriore garanzia nei confronti degli istituti di credito.

Tommaso Nannicini, ha annunciato che il ricorso al secondo pilastro (previdenza complementare) sarà rafforzato non solo con interventi sul versante dalla tassazione (il ritorno all'aliquota dell'11,5% da quella attuale del 30% costerebbe circa 800 milioni) ma anche della governance (compreso il ruolo della Covip), della concentrazione dei fondi e «anche del rapporto tra risparmio obbligatorio tra primo e secondo pilastro». Una vera e propria riforma che punterebbe a rendere quasi obbligatoria una parte della “copertura previdenziale” attraverso forme integrative e che in questa chiave potrebbe vedere anche nuove misure sulla destinazione del Tfr (anche obbligatoria).

Una delle altre due opzioni tecniche sul tavolo degli esperti si rifarebbero maggiormente alla proposta del presidente dell'Inps, Tito Boeri: calcolo dell'assegno, a prescindere dall'età di uscita, quasi interamente vincolato agli anni di versamenti effettuati. L'anticipo avrebbe anche l'obiettivo di favorire la “staffetta generazionale”. Un'ulteriore opzione si rifarebbe al potenziamento della previdenza integrativa anche attraverso una spinta più specifica in questa direzione da parte degli accordi aziendali e, più in generale, di una destinazione più vincolante di contributi da parte del lavoratore e del datore di lavoro. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un contributo sempre di natura “generazionale” (quindi all'interno del sistema previdenziale) sugli assegni più elevati e versati con condizioni molto più vantaggiose rispetto a quelle del sistema attuale.

Quindi le aspettative di nuovi interventi sulle regole per andare in pensione sono molto alte. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è sempre detto favorevole alla cosiddetta «flessibilità in uscita», che significa appunto correggere la riforma Fornero per permettere il pensionamento qualche anno prima, ma con un assegno un po’ più basso.

Oggi per andare in pensione di vecchiaia servono 66 anni e 7 mesi, che dal 2019 verranno adeguati ogni due anni alla speranza di vita, arrivando a 70 anni, si prevede, nel 2049. Ma i giovani nati dopo il 1980 e con carriera discontinua rischiano di dover aspettare fino a 75 anni, dice il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Per la pensione anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi, che si stima saliranno a 46 anni e 3 mesi nel 2049.

I sindacati parlano di requisiti insostenibili mentre le aziende, soprattutto le grandi, sono disposte a pagare di tasca propria il pensionamento anticipato pur di mandare a casa i lavoratori anziani. A frenare le aspettative è stato finora, come ovvio, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con lui la Ragioneria generale, allarmati per l’aumento della spesa pubblica e soprattutto per la perdita di credibilità presso la commissione Ue che deriverebbe da un intervento che suonasse come uno smobilizzo della riforma Fornero. Tuttavia nel Piano di riforme appena inviato a Bruxelles c’è scritto che il governo valuterà, «la fattibilità di una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria.
La Camera dei Deputati ha dato la disponibilità a discutere del coinvolgimento di banche e assicurazioni nella «flessibilità in uscita» lo ha fatto rispondendo a una domanda di Maino Marchi (Pd) che alludeva al ruolo che questi soggetti possono giocare nell’ambito dell’ipotesi del «prestito pensionistico». Funzionerebbe così: il lavoratore a 2-3 anni dai requisiti di vecchiaia potrebbe chiedere un mini anticipo sulla pensione, tipo 700 euro al mese, che poi restituirebbe in piccolissime rate trattenute dal momento in cui decorre la pensione piena. Per limitare al massimo i costi, l’Inps potrebbe stipulare convenzioni con il sistema bancario e assicurativo, che fornirebbero l’anticipo sotto forma di prestito. Lo Stato si accollerebbe solo il costo degli interessi.

La proposta classica di flessibilità in uscita è quella Baretta-Boeri, che prevede la possibilità di andare in pensione fino a 4 anni di anticipo rispetto ai requisiti previsti dalla riforma Fornero per la pensione di vecchiaia ma con una penalizzazione pari al 2% per ogni anno, quindi fino a un massimo dell’8%. Stime informali dell’Inps hanno calcolato in 3,6 miliardi la maggior spesa nel 2017 che diventerebbero 7,5 miliardi nel 2026. Una variante calcolata ipotizzando una penalizzazione maggiore (3% per ogni anno di anticipo) e che solo il 70% degli interessati acceda al prepensionamento costerebbe 1,5 miliardi l’anno prossimo che salirebbero a 3,7 nel giro di dieci anni. Ieri il sottosegretario alla presidenza, Tommaso Nannicini, ha detto che le proposte che prevedono flessibilità generalizzata costano troppo, fra i 5 e i 7 miliardi l’anno.

Un’ipotesi che periodicamente ricorre è l’estensione agli uomini dell’«opzione donna»: la possibilità prorogata per quest’anno per le donne di andare in pensione con almeno 57 anni d’età e 35 di contributi ma con l’assegno interamente calcolato col contributivo. Ci si perde in genere almeno il 25-30%. Nonostante ciò la spesa per lo Stato salirebbe nei prossimi anni, per via dei pensionamenti in più, e quindi anche questa proposta ha poche possibilità.

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