giovedì 29 settembre 2016

Jobs Act: obbligo assunzione categorie protette



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio.

A partire dal 1° gennaio 2017, per effetto del Jobs Act che ha di fatto modificato la Legge 68/99 al fine di favorire l'inserimento di persone con disabilità fisica o psichica che rischiano di essere escluse dal mondo del lavoro, è stato disposto per le aziende l'obbligo di assumere una certa quota di lavoratori disabili.

Chiamata nominativa

Un’altra novità riguarda la c.d. chiamata nominativa, ovvero il datore di lavoro che individua ed assume autonomamente la persona disabile non può ricorrere all’assunzione diretta, dovendo accedere sempre dalle apposite liste di collocamento mirato. Anche le aziende che hanno alle proprie dipendenze un numero di lavoratori compreso tra 36 e 50 potranno procedere alle nuove assunzioni mediante chiamata nominativa.

Datori di lavoro esonerati

Sono esonerati dall'obbligo di assumere un lavoratore disabile le aziende con addetti impegnati in lavorazioni che comportino un’esposizione al rischio con tasso di premio INAIL pari o superiore al 60 per mille.

Incentivi

Semplificato invece il procedimento per il riconoscimento degli incentivi previsti per i datori di lavoro che assumono persone con disabilità che consistono nell’erogazione del 70% o del 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, a seconda del grado di riduzione della capacità lavorativa, per un periodo di 36 mesi se l’assunzione è a tempo indeterminato, 60 mesi, in caso di assunzioni di persone con disabilità intellettiva e psichica (sia a tempo indeterminato, sia determinato ma superiore a 12 mesi). L’incentivo, viene corrisposto al datore di lavoro unicamente mediante conguaglio nelle denunce UNIEMENS ed è riconosciuto dall’INPS sulla base delle effettive disponibilità di risorse e secondo l’ordine di presentazione delle domande.

Nello specifico, tutte le aziende che occupano più di 14 dipendenti, sono obbligate a riservare una quota destinata agli invalidi civili con percentuale di invalidità dal 46 al 100%, invalidi del lavoro con percentuale di invalidità superiore al 33%, gli invalidi per servizio, invalidi di guerra e civili di guerra con minorazioni dalla prima all’ottava categoria, i non vedenti e i sordomuti; categorie protette: profughi italiani, orfani e vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio ed equiparati (sono equiparati alle vedove/i e agli orfani i coniugi e i figli di grandi invalidi del lavoro dichiarati incollocabili, dei grandi invalidi per servizio o di guerra con pensione di prima categoria), vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata.

Nel dettaglio i datori di lavoro che impiegano un numero di dipendenti:

dai 15 ai 35, sono obbligati ad assumere un disabile. L'obbligo si applica solo in caso di nuove assunzioni fino al 31 dicembre 2016;

dai 36 ai 50, devono assumere 2 disabili;

oltre i 50, devono riservare il 7% dei posti a favore dei disabili più l’1% a favore dei familiari degli invalidi e dei profughi rimpatriati.

Nella quota disabili rientrano anche i dipendenti che hanno una ridotta capacità lavorativa pari al 60%.

I datori di lavoro presentano la richiesta di assunzione entro sessanta giorni dal momento in cui sono obbligati all’assunzione. I lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se non assunti tramite il collocamento obbligatorio, sono computati nella quota di riserva ma devono avere una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60 per cento oppure superiore al 45 per cento nel caso di disabilità intellettiva e psichica.

La determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere è data dal computo, tra i dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato.

Con l’entrata in vigore delle norme decreto legislativo correttivo del Jobs Act, con riferimento al collocamento obbligatorio, in caso di mancata assunzione di disabili quelle che rischiano le aziende sono delle sanzioni molto salate.

In particolare, il datore di lavoro che non abbia coperto, per cause imputabili all’azienda, le quote di assunzione obbligatorie sarà soggetto ad una sanzione amministrativa pari a cinque volte la misura del contributo esonerativo, equivalente ad euro 153,20 per ogni giorno lavorativo di mancata copertura della quota d’obbligo e per ciascun disabile non assunto.

Il datore di lavoro è tenuto al versamento di tale sanzione amministrativa trascorsi sessanta giorni dalla data in cui insorge l’obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie protette.

In caso di violazione relativa alla mancata copertura della quota d’obbligo, si applica inoltre una procedura di diffida che prevede la presentazione di una richiesta di assunzione o la stipula di un contratto di lavoro con persona avviata dagli uffici competenti. Ottemperando alla diffida il datore di lavoro potrà sanare la propria posizione mediante versamento di una sanzione pari ad euro 38,30.

Le aziende per calcolare il numero di disabili da assumere obbligatoriamente devono fare il computo tra i dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato.

Nel suddetto calcolo non vanno ricompresi: i lavoratori a tempo determinato con durata inferiore a 6 mesi, i disabili, i soci di cooperative di produzione e lavoro, dirigenti, lavoratori con contratto di inserimento e con somministrazione presso l'utilizzatore, fatta eccezione di quanto disposto dall'articolo 34, comma 3 del Decreto Legislativo n.81/2015, lavoratori che svolgono l'attività all'estero, lavoratori socialmente utili, a domicilio, aderenti al programma di emersione, apprendisti, con contratto formazione-lavoro e di reinserimento. Possono invece essere calcolati nella quota di riserva, invece, i lavoratori già disabili prima dell'assunzione ed assunti anche senza collocamento obbligatorio, ma solo se la loro riduzione della capacità lavorativa, è superiore al 60%, oppure, superiore al 45% in caso di disabilità intellettiva e psichica.





mercoledì 28 settembre 2016

Lavoro accessorio e voucher: comunicazione preventiva e sanzioni



Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei buoni lavoro o voucher.

Nuove regole per l’utilizzo dei buoni lavoro voucher Inps. In relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la nuova comunicazione preventiva di avvio della prestazione è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa per la quale non sarà possibile avvalersi dell’istituto della diffida. Non è prevista, invece, alcuna riduzione della sanzione qualora la comunicazione sia stata effettuata tardivamente.

Ricordiamo che le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che  possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore)  nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.

Ma attenzione: il limite di retribuzione tramite voucher che ogni lavoratore può ricevere da un impresa commerciale o da professionista, è di 2mila euro netti.

Il limite di compensi per i soggetti percettori di indennità di mobilità o cassa integrazione nel 2016 è invece pari a 3mila euro.

Ciascun buono lavoro, che viene emesso telematicamente dall'INPS, ha un valore netto in favore del lavoratore di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, al costo di 10 euro per il datore di lavoro (salvo che per il settore agricolo, dove si fa riferimento al contratto specifico).

Con tali buoni lavoro vengono quindi garantiti:

il compenso per il lavoratore,

la copertura previdenziale INPS (pensione)

quella assicurativa presso l'INAIL.

Il voucher per il lavoro accessorio non dà invece diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.).

Comunicazione preventiva

Per contrastare gli abusi, l’intervento del legislatore ha riguardato sia i tempi che i contenuti della comunicazione ed è. stato approvato il sistema di tracciabilità, per evitare l'uso illegale di questo strumento, che spesso veniva attivato per retribuire più ore di quanto dichiarato o  in caso di emergenza .

Si tratta dell’obbligo, per i committenti, imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio, di comunicare all’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione.

I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 7 giorni.

Per quanto concerne i tempi non sarà più possibile procedere effettuare la comunicazione a ridosso dell’avvio della prestazione. E’ infatti necessario che la comunicazione venga effettuata almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione.

Il destinatario è la sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro e potrà avvenire mediante sms o posta elettronica.

L’altra importante novità riguarda l’eliminazione della possibilità di indicare l’arco temporale all'interno della quale collocare la prestazione in quanto dall'entrata in vigore del decreto occorre dare contezza, oltre che del luogo, soprattutto del giorno e dell’ora di inizio e di fine della prestazione.

La previsione della indicazione dell’orario di inizio e fine della prestazione riconduce così nell’alveo della genuinità l’utilizzo del voucher che non potrà pertanto che coprire che un numero limitato di giornate di prestazioni.

Se si considera, infatti, che ogni lavoratore potrà svolgere circa 2.000 euro nette di prestazione lavorativa, il numero di ore di lavoro non potrà evidentemente superare nell’arco dell’anno civile (1 gennaio – 31 dicembre) poco meno di 270 ore.

Le predette modifiche riguardano esclusivamente i committenti imprenditori non agricoli o professionisti.

Regime sanzionatorio

L’altra novità riguarda la previsione di una sanzione nel caso di omessa comunicazione della prestazione del lavoratore.

In relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 per la quale non sarà possibile avvalersi dell’istituto della diffida.

Non sono previste esenzioni o riduzioni per comunicazioni tardive ma, così come gli illeciti amministrativi, entro 60 giorni dalla notifica si può procedere con il pagamento in misura ridotta, pari cioè ad 1/3 della sanzione (800 euro).



martedì 27 settembre 2016

Reintegra nel posto di lavoro per licenziamento illegittimo



La Corte di Cassazione estende oltre i confini tracciati dal Jobs Act l’ambito di applicazione della reintegra in caso di licenziamento in senso favorevole al lavoratore. La condotta tenuta dal lavoratore, seppure debitamente comprovata, non giustifica il licenziamento disciplinare qualora i fatti contestati non siano da ritenere illeciti. Ovvero, la Cassazione di fatto equipara la fattispecie di manifesta insussistenza del fatto all'ipotesi in cui il fatto, seppure compiuto dal lavoratore, risulta essere privo di una intrinseca rilevanza giuridica, poiché non illecito.

La vicenda riguarda un lavoratore licenziato per aver tenuto un comportamento litigioso, offensivo e maleducato con il personale che lui stesso aveva il compito di formare. Secondo la Suprema Corte, tale comportamento può essere punito solo con le sanzioni conservative previste dal CCNL ma non essere considerato causa di licenziamento.

Di assoluta rilevanza la sentenza n. 18418 del 20 settembre 2016, con cui la Cassazione estende le ipotesi di reintegra sul posto di lavoro previste dal Jobs Act a seguito di licenziamento disciplinare, non solo ai casi in cui il fatto contestato sia insussistente, ma anche a quelli in cui esso pur essendo vero non sia da considerare illecito, ossia non suscettibile di alcuna sanzione”. In sostanza, ha proseguito la Corte, l’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all'ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd reale.

In tema di licenziamento disciplinare, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria prevista dall'articolo 18 della legge 300/1970, nel testo modificato dalla legge 92/2012, all’ipotesi del fatto contestato insussistente va equiparata quella del fatto che, benché materialmente prodottosi, è privo di una intrinseca rilevanza giuridica.

In questi termini si è espressa la Cassazione osservando che la reintegrazione sul posto di lavoro non può essere esclusa per il solo fatto che il comportamento oggetto di contestazione si è effettivamente realizzato, in quanto è necessario verificare, a prescindere da un giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta oggetto di addebito disciplinare, che il fatto non sia privo del carattere di illiceità.

Aggiunge la Corte, in questo senso, che la completa irrilevanza giuridica del fatto posto alla base dell’azione disciplinare sfociata nell’irrogazione di un provvedimento espulsivo deve essere posta sullo stesso piano dell’insussistenza materiale della condotta ascritta al lavoratore. In un caso come nell’altro, alla luce di quanto previsto dal nuovo articolo 18, il datore di lavoro è condannato alla reintegrazione in servizio e al versamento al dipendente di una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni ricomprese tra il giorno del licenziamento e quello della effettiva ricostituzione del vincolo (nei limiti di un importo massimo di 12 mensilità).

Nel caso affrontato dalla Suprema corte, il licenziamento è stato intimato sul presupposto che il lavoratore avesse tenuto un comportamento maleducato con il personale che lui stesso aveva il compito di formare e avesse, quindi, rifiutato di rinegoziare il superminimo con l’impresa, contestando a quest’ultima di essere stato esposto a pratiche di demansionamento. Nei due gradi di merito il licenziamento è stato ritenuto illegittimo e il lavoratore reintegrato in servizio. Ciò ha indotto l’impresa a proporre ricorso per Cassazione sul presupposto che, una volta dimostrata l’effettiva sussistenza dei fatti contestati, sarebbe stata riconosciuta al dipendente unicamente una tutela risarcitoria, così come previsto dal riformulato articolo 18 della legge 300/1970.

La Cassazione respinge questa lettura e, dopo aver dato atto che l’ipotesi contemplata dall’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori si riferisce alla «insussistenza del fatto» nella sua dimensione materiale e non include un giudizio di merito sulla portata disciplinare degli addebiti, conclude per l’assimilabilità a detta fattispecie del fatto sussistente ma privo dei connotati di illiceità.

Conclude la Cassazione, alla luce di questa ricostruzione, che non può essere relegato a una valutazione di proporzionalità qualunque comportamento accertato ma privo, in concreto, di una sua consistenza antigiuridica, in quanto tale argomentazione porterebbe ad ammettere che ricade nella sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti che, quantunque esistenti, sono privi di qualsivoglia rilievo disciplinare.

La sentenza, per la specificità del tema affrontato, è destinata ad esprimere effetti anche in relazione al nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti intimati in relazione al contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal Jobs act.



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