venerdì 20 ottobre 2017

APe sociale e volontaria domande e requisiti



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS ai lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L’APe volontaria è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni di età, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Per quanto riguarda l’APe sociale, sono 25mila 895 le domande rigettate (il 64,89%) e 13mila 601 quelle accolte.

Per quanto riguarda la pensione precoci le domande respinte sono state 18mila 411 domande, ossia ben il 70,13% delle 26mila 251 presentate.

Dunque, anche se venissero riammesse tutte le domande su cui è ripresa l’istruttoria, continuerebbero a essere ampiamente maggioritarie le richieste da parte di lavoratori ai quali in realtà non è stato certificato il requisito.

Questo significa due cose:

tutti coloro che hanno presentato domanda entro il 15 luglio e hanno avuto al certificazione dei requisiti accedono all’APe sociale nel 2017, non si pone il problema dell’esaurimento delle risorse disponibili che avrebbe provocato uno slittamento al 2018;

l’INPS prenderà in considerazione anche le domande presentate dopo il 15 luglio 2017, perché la norma prevede la possibilità di esaminare queste richieste nel caso in cui quelle arrivate nei tempi previsti non esauriscano le risorse. Attenzione: la scadenza non è lontanissima, è il 30 novembre.
Mentre il requisito dei tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia, necessario per avere diritto all’APe Volontaria, si riferisce al solo momento in cui viene presentata la domanda: gli eventuali adeguamenti alle aspettative di vita su scelta iniziale del lavoratore possono estendere la durata del prestito con ricalcolo del trattamento e relativa rata di ammortamento.

I requisiti fondamentali per ottenere l’APe volontaria sono 63 anni di età, 20 anni di contributi, una assegno maturato nel momento in cui si richiede l’anticipo pensionistico pari ad almeno 1,4 volte il minimo, e al massimo tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia. La legge ha chiarito che il requisito anagrafico che consente la maturazione del  diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi dalla data di domanda di APE tiene conto dell’adeguamento agli incrementi della speranza di vita dei requisiti di accesso al sistema pensionistico.

Significa che nel momento in cui si chiede l’accesso all’APe non possono mancare più di tre anni e sette mesi all’età per la pensione e si tiene conto degli adeguamenti alle aspettative di vita scattati fino al momento in cui si chiede l’APe, ma (par di capire) non di quelli che eventualmente sono previsti in periodi successivi. Esempio: richiesta di APe volontaria nel novembre 2017. I tre anni e sette mesi si calcolano in base al requisito per la pensione di vecchiaia relativo al 2017, quindi:

65 anni e sette mesi per le lavoratrici dipendenti;

66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome;

66 anni e sette mesi per i lavoratori dipendenti e autonomi.

In pratica, tutti coloro che hanno 63 anni soddisfano il requisito. Nei prossimi anni, però scatteranno innalzamenti dell’età pensionabile e adeguamenti alle aspettative di vita.

Il lavoratore che chiede l’APe volontaria può scegliere, nel momento in cui presenta la domanda, come comportarsi in relazione ai futuri scatti di adeguamento alle aspettative di vita. Se decide di rideterminare il beneficio, aggiungendo quindi i mesi in più che sono scattati, l’INPS farà i relativi calcoli, basandosi sugli accordi quadro con banche e assicurazioni che regolamentano la concessione del finanziamento e dell’assicurazione sul prestito. Si tratta degli accordi che vanno siglati entro 30 giorni dal decreto attuativo appena entrato in vigore: quello con le banche determina le regole di concessione del prestito, l’APe viene versato al lavoratore dall’INPS, ma è finanziato dalle banche.

Attenzione: il finanziamento supplementare è già incluso nelle valutazioni svolte dalla banca dopo la domanda di APe ai fini dell’accertamento delle cause di mancata accettazione della proposta di finanziamento e di conseguenza è previsto originariamente nel contratto di finanziamento, senza alcuna successiva verifica da parte dell’istituto finanziatore al momento dell’adeguamento.

Per quanto riguarda il lavoratore, la regola comporta che nel momento in cui scatta l’innalzamento delle aspettative di vita, si allunga il periodo di APe volontaria, e si ricalcola di conseguenza l’importo del beneficio, e quello delle rate ventennali di restituzione (che come è noto saranno applicate sulla pensione vera e propria).

Nell’ipotesi in cui invece il lavoratore, nel momento in cui chiede l’APE, dichiara di non voler il finanziamento supplementare in caso di innalzamento delle aspettative di vita, non è ancora chiaro cosa accadrà.

Ricordiamo che l’APe volontaria non è ancora operativa, perché mancano i provvedimenti di prassi e gli accordi quadro con banche e assicurazioni, previsti entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.


Riscatto della laurea ai fini pensionistici



Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto,  cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all'Università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi.

Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all'operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.

Il riscatto della laurea ai fini pensionistici può essere chiesto da tutti i lavoratori iscritti alle gestioni INPS che abbiano già conseguito il titolo di studio e non siano già coperti da contribuzione nel periodo di frequentazione dell’università. Si possono riscattare solo gli anni previsti dalla durata ordinaria del corso di laurea, se lo studente è andato fuori corso non potrà riscattare gli anni in più che ci ha impiegato per laurearsi. La frequentazione dell’università deve essere successiva al 31 marzo 1996. Il riscatto della laurea può essere chiesto anche da chi è già titolare di pensione. Naturalmente, se lo si chiede per anticipare la pensione di vecchiaia, l’operazione andrà fatta prima dell’età pensionabile perché gli anni siano poi conteggiabili ai fini della maturazione della pensione. Possono chiedere il riscatto dalla laurea anche i soggetti inoccupati.

Una regola fondamentale consiste nel fatto che i periodi di cui si chiede il riscatto non devono già essere coperti da contribuzione. Nel caso in cui, durante il corso di studi, ci sia stato un periodo limitato di lavoro durante il corso, ad esempio un impiego part-time, potrà essere chiesto il riscatto della laurea al netto dei periodi già coperti da contribuzione. Sono ammessi al riscatto tutti i titoli di laurea (vecchio ordinamento, laurea triennale, laurea magistrale, diplomi di specializzazione post-laurea, Accademia delle Arti e Conservatorio, dottorati di ricerca. Non sono inclusi, invece, i master universitari.

Il riscatto della laurea è un’operazione onerosa, il cui costo dipende da diversi fattori: collocazione cronologica del periodo di studio (prima o dopo il 1995, e prima e dopo il 2011), e sistema di calcolo della pensione (contributivo o retributivo).

Se il periodo di riscatto è valutato con metodo retributivo, il calcolo si effettua in base al principio della riserva matematica. In sintesi, si calcolano due diverse pensioni: quella senza riscatto, e quella che conteggia anche gli anni del corso di studi. La nuova pensione tiene conto di un beneficio corrispondente all’aumento delle settimane in quota A (media rivalutata degli ultimi 5 anni di contribuzione prima del pensionamento).

Il beneficio pensionistico va a questo punto moltiplicato per un coefficiente attuariale legato a età, sesso e stato lavorativo del richiedente. Esempio: beneficio (calcolato in base allo schema sopra indicato) pari a 15mila 600 lordi annui. Coefficiente di un lavoratore di 63 anni pensionato pari a 16,68. Onere spettante: 260mila 200 euro.

Se invece il periodo di riscatto è valutato con il contributivo, il calcolo si effettua con il sistema a percentuale, che consiste nell’applicazione dell’aliquota contributiva in vigore al momento della domanda sull’imponibile previdenziale dello ultime 52 settimane. In pratica, si calcolano gli ultimi 12 mesi di contribuzione obbligatoria precedenti alla domanda di riscatto, si applica l’aliquota vigente (ad esempio, il 33% per l’Assicurazione generale obbligatoria), si calcola l’adeguamento per il periodo oggetto di riscatto.

Esempio: retribuzione imponibile ultimi 12 mesi 40mila euro. Costo onere annuale 13mila 200 euro, per quattro anni di studi 52mila 800 euro.

Esiste infine uno specifico metodo di calcolo per gli inoccupati, che è analogo a quello che si effettua per chi ha la pensione contributiva (quindi, su base percentuale) prendendo come riferimento il minimale reddituale della Gestione Commercianti per l’anno della domanda di riscatto. Per esempio, il minimale 2017 è pari a 15.548, quindi l’onere di riscatto è di 5mila 130,84 euro per ogni anno.

Altro esempio, un laureato di 32 anni, impiegato, che guadagna circa 25.000 euro l’anno (non è un miraggio, si può fare). Quanto dovrebbe pagare ogni anno per riscattare la laurea per la pensione? Circa 8.300 euro l’anno. Moltiplicato per 5 anni (triennale più magistrale) arriviamo ai 41.200 euro in totale. Ci vorrebbe un mutuo. Ma sarebbe peggio se aspettasse ad avere quasi l’età pensionabile: il costo raddoppierebbe. Gli converrebbe lavorare 5 anni in più e dimenticarsi del riscatto. Come si vede, il riscatto della laurea è un’operazione piuttosto costosa. per cui è sempre opportuno fare bene tutti i calcoli sulla convenienza (in relazione al fatto che poi aumenta la pensione, piuttosto che si aggancia prima l’età pensionabile).

Possono essere riscattati solo i periodi corrispondenti alla durata legale del corso di laurea (o una sua parte), compresi i dottorati di ricerca, i diplomi di specializzazione post laurea ed i titoli di studio equiparati a seguito dei quali sia stata conseguita la laurea o i diplomi previsti dall’articolo 1, della legge 341/1990. Possono essere riscattati anche i titoli conseguiti all’estero, se hanno valore legale in Italia.

Non possono invece essere riscattati:

i periodi di iscrizione fuori corso;

i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto;

le borse di studio concesse dalle Università per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;

gli assegni concessi da alcune scuole di specializzazione



lunedì 2 ottobre 2017

Sgravio contributivo cooperative: solo ai nuovi soci



Per potere la società cooperativa di lavoro fruire dello sgravio contributivo previsto dalla legge 448 1998, il lavoratore neoassunto deve essere anche un nuovo socio. Questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20739 del 4 settembre 2017.

La cooperativa in questione aveva  fruito degli sgravi contributivi totali , ex art. 3, comma 5, I. n. 448/1998, per l'assunzione di 3 lavoratrici    con contratto di lavoro subordinato a far data dal 2001, Tali lavoratrici però  figuravano quali socie della cooperativa fin dal giugno 1998. La corte di appello ha giudicato insussistente il diritto della cooperativa a fruire  dell'agevolazione  in quanto la norma  prevede , testualmente che si applichi  "alle società cooperative di lavoro, relativamente ai nuovi soci lavoratori con i quali venga instaurato un rapporto di lavoro assimilabile a quello di lavoratori dipendenti».

L’azienda ha presentato ricorso per Cassazione ma anche i giudici di legittimità  hanno rigettato il ricorso, affermando che l'art. 3, comma 5, della L. n. 448 del 1998, deve interpretarsi nel senso che, per potere la società cooperativa di lavoro fruire dello sgravio in questione, il lavoratore neoassunto deve essere anche un nuovo socio, essendo l'aggettivo «nuovi» riferito tanto ai soci quanto ai lavoratori e non potendo attribuirsi alla disposizione altro senso che quello «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse».

Le Cooperative sociali per l'inserimento di persone svantaggiate svolgono attività finalizzate all'inserimento lavorativo di:

invalidi fisici, psichici e sensoriali

ex degenti di istituti psichiatrici (anche giudiziari)

soggetti in trattamento psichiatrico

tossicodipendenti

alcoolisti

minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare

persone detenute o internate negli istituti penitenziari

condannati e internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno

Le persone svantaggiate devono costituire almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa.

Per le cooperative rispondenti ai requisiti sopra esposti è prevista una serie di agevolazioni contributive: le retribuzioni corrisposte alle persone svantaggiate godono della totale esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali.

Le citate agevolazioni contributive non valgono per:

le persone detenute o internate negli istituti penitenziari

gli ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari

per le persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno

Le aliquote contributive da applicare nei confronti di tali soggetti, infatti, sono ridotte nella misura percentuale individuata ogni due anni con DM. Gli sgravi contributivi spettano anche per i 6 mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione;

La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla PA, fatto salvo il diritto alla riservatezza.

La percentuale del 30% deve essere calcolata in relazione al numero complessivo dei lavoratori, sia soci che dipendenti della cooperativa, con esclusione dei soci volontari. Le persone svantaggiate non concorrono alla determinazione del numero complessivo dei lavoratori cui si deve fare riferimento per la determinazione dell'aliquota.

Per la valutazione del rispetto della percentuale del 30% può essere preso a riferimento un "arco temporale»" non superiore a 12 mesi nel caso in cui, a fronte di determinati eventi di carattere produttivo, la percentuale stessa non sia stata mantenuta costantemente.

I lavoratori svantaggiati possono essere assunti con contratto di lavoro part-time al fine di consentire la fruizione di cure e terapie riabilitative.


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