Le differenze permangono anche a parità di caratteristiche e aumentano col crescere dell'anzianità lavorativa, poiché al precario non si applicano gli scatti di anzianità. "La differenza è di 85 euro per chi una carriera lavorativa di 20 anni e oltre, non necessariamente tutta da atipico" ha precisato l'Istat nel suo rapporto annuale.
Nel 2012 la retribuzione mensile di un dipendente a termine è 1.070 euro, 355 euro in meno rispetto a chi ha il posto fisso.
Il lavoro del precario vale meno: in media chi non ha un posto fisso prende uno stipendio più basso del 25% rispetto agli altri lavoratori. A certificarlo è l'Istat nel Rapporto annuale. Nel 2012 la retribuzione media mensile netta di un dipendente a termine che lavora a tempo pieno si ferma a 1.070 euro, 355 euro in meno rispetto a un dipendente assunto a tempo indeterminato.
L'ISTAT parla di lavoratore "atipico", comprendendo in questa categoria chi vive di contratti a termine e collaborazioni. E spiega nel Rapporto come «un indicatore importante dello svantaggio del lavoro atipico è dato dal differenziale retributivo con l'occupazione standard», ovvero stabile e senza riduzioni d'orario. Guardando solo a chi è full time, tra un dipendente a tempo determinato e uno a tempo indeterminato il divario, pari in media a un quarto, è dovuto a più ragioni, anche se ormai può essere considerato una costante.
«Il differenziale è in parte spiegato da effetti di composizione, quali l'età, il settore di attività, la professione. Ma – ha sottolineato l'Istituto - le differenze permangono anche a parità di caratteristiche e aumentano al crescere dell'anzianità lavorativa, poiché al tempo determinato non si applicano gli scatti di anzianità». Ecco che, evidenzia, «la differenza è di 85 euro per chi lavora da appena due anni e cresce a 392 euro per chi ha una carriera lavorativa di 20 anni e oltre, non necessariamente tutta da atipico».
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domenica 26 maggio 2013
Rapporto annuale dell'ISTAT: lo stipendio medio è mille euro
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domenica 30 settembre 2012
Lavoro: stipendio precari sotto i 1.000 euro
I lavoratori a tempo determinato, nel 2011, hanno percepito una retribuzione inferiore del 28% rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Il divario è in crescita: nel 2010 era del 27,2%. E' quanto emerge dai dati dell'Isfol. La direttrice generale dell'Isfol, Bulgarelli, ha spiegato che lo stipendio medio dei lavoratori a tempo determinato, indipendentemente dall'età, non supera 1.000 euro; quello dei permanenti va da poco più di 900 euro, nella fascia d'età 14-24, a quasi 1.500 euro, nella fascia 55-64 anni. Il divario cresce con l'età.
Ovviamente un posto di lavoro da precario viaggio in parallelo con una busta più leggera, in media del 28% rispetto al posto fisso: la conferma emerge dai dati dell'Isfol. Infatti in media un dipendente a tempo determinato, con riferimento al 2011, non riesce a superare i mille euro al mese di reddito netto da lavoro, indipendentemente dalla fascia d'età. Per i dipendenti a tempo, infatti, il salario medio nel 2011 è di 945 euro, a fronte dei 1.313 euro degli occupati a tempo indeterminato. Basti pensare che nel 2011 l'aumento per i dipendenti precari è stato in media solo di un euro. Ovviamente, precisa l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, aggiornando dati già contenuti nel Rapporto 2012, i contratti a tempo prevalgono soprattutto tra le nuove generazioni, anche se in valori assoluti i dipendenti precari sono numerosi pure tra i più adulti, con oltre un milione di occupati a termine tra gli chi ha almeno 35 anni. I dipendenti senza posto fisso, ha spiegato già l'Isfol "sono i più colpiti dalla crisi economica" e, aggiunge, "si tratta di un patrimonio di conoscenze e competenze che non sembra essere valorizzato, costituendo di fatto uno spreco per gli individui e per l'intero sistema economico".
Ovviamente un posto di lavoro da precario viaggio in parallelo con una busta più leggera, in media del 28% rispetto al posto fisso: la conferma emerge dai dati dell'Isfol. Infatti in media un dipendente a tempo determinato, con riferimento al 2011, non riesce a superare i mille euro al mese di reddito netto da lavoro, indipendentemente dalla fascia d'età. Per i dipendenti a tempo, infatti, il salario medio nel 2011 è di 945 euro, a fronte dei 1.313 euro degli occupati a tempo indeterminato. Basti pensare che nel 2011 l'aumento per i dipendenti precari è stato in media solo di un euro. Ovviamente, precisa l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, aggiornando dati già contenuti nel Rapporto 2012, i contratti a tempo prevalgono soprattutto tra le nuove generazioni, anche se in valori assoluti i dipendenti precari sono numerosi pure tra i più adulti, con oltre un milione di occupati a termine tra gli chi ha almeno 35 anni. I dipendenti senza posto fisso, ha spiegato già l'Isfol "sono i più colpiti dalla crisi economica" e, aggiunge, "si tratta di un patrimonio di conoscenze e competenze che non sembra essere valorizzato, costituendo di fatto uno spreco per gli individui e per l'intero sistema economico".
domenica 22 luglio 2012
Lavoro: il posto fisso resta un miraggio
Meno di due assunzioni su dieci sono a tempo indeterminato. In Italia la crisi si vede anche da questo: i contratti senza la data di scadenza diventano sempre più rari. A dirlo è un'indagine di Unioncamere e ministero del Lavoro sul terzo trimestre di quest'anno. E nel periodo luglio-settembre le assunzioni stabili previste sono appena il 19,8% su un totale di quasi 159 mila. Nello stesso periodo dello scorso anno la percentuale di assunzioni previste era tra il 27 e il 34%.
Nello specifico, si avranno 42 contratti atipici ogni 100 contratti di assunzione diretti (25,8 nel 2° trimestre) e 25 contratti di lavoro «non dipendente» ogni 100 contratti di lavoro dipendente (diretti o interinali), quasi il doppio rispetto ai 13 del trimestre precedente.
Le stime del terzo trimestre confermano in qualche misura il dato dei tre mesi precedenti, mentre nei quattro trimestri precedenti la quota era compresa fra il 27% e il 34%. Il calo dei posti fissi messi a disposizione dalle imprese è stato forte e più brusco. Basti pensare che nello stesso periodo dello scorso anno le assunzioni previste a tempo indeterminato rappresentavano il 28,3%. Il trend in discesa viene confermato anche tenendo conto della stagionalità. Nel bollettino sui programmi occupazionali delle imprese viene evidenziato che, escludendo le assunzioni stagionali, i contratti stabili si attestano al 35,8%, mentre nei precedenti cinque trimestri la loro quota oscillava fra il 41% e il 43% circa. Inoltre, sottolinea l'indagine, se si rapportano "i contratti a tempo indeterminato a tutti i contratti di lavoro o di collaborazione che le imprese prevedono di stipulare nel periodo (inclusi quindi quelli 'atipici'), si scende dal 16 al 14% circa".
Un terzo dei nuovi assunti per il terzo trimestre dell'anno saranno giovani: queste le previsioni di Unioncamere, in particolare contenute nel sistema informativo Excelsior in collaborazione con il Ministero del Lavoro. «Per il terzo trimestre - si legge in uno studio - le imprese assegnano ai giovani fino a 29 anni, tra il personale da assumere, una quota del 32,7% del totale, un punto percentuale in più rispetto al trimestre scorso. Questo incremento, in termini relativi, delle opportunità per i giovani si avrà però solo nel settore dei servizi, dove nel corso del trimestre il ricambio, sia pure parziale, della popolazione lavorativa, si accompagnerà anche a un maggiore 'ringiovanimentò dei lavoratori in ingresso
Secondo l’elaborazione sui dati della relazione annuale di Bankitalia. Dall'inizio del nuovo millennio la busta paga dei dipendenti è praticamente ferma. Dal 2000 al 2010 le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Palazzo Koch ha spiegato che, proprio a causa dell'espansione del lavoro a tempo parziale, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del mezzogiorno.
Nello specifico, si avranno 42 contratti atipici ogni 100 contratti di assunzione diretti (25,8 nel 2° trimestre) e 25 contratti di lavoro «non dipendente» ogni 100 contratti di lavoro dipendente (diretti o interinali), quasi il doppio rispetto ai 13 del trimestre precedente.
Le stime del terzo trimestre confermano in qualche misura il dato dei tre mesi precedenti, mentre nei quattro trimestri precedenti la quota era compresa fra il 27% e il 34%. Il calo dei posti fissi messi a disposizione dalle imprese è stato forte e più brusco. Basti pensare che nello stesso periodo dello scorso anno le assunzioni previste a tempo indeterminato rappresentavano il 28,3%. Il trend in discesa viene confermato anche tenendo conto della stagionalità. Nel bollettino sui programmi occupazionali delle imprese viene evidenziato che, escludendo le assunzioni stagionali, i contratti stabili si attestano al 35,8%, mentre nei precedenti cinque trimestri la loro quota oscillava fra il 41% e il 43% circa. Inoltre, sottolinea l'indagine, se si rapportano "i contratti a tempo indeterminato a tutti i contratti di lavoro o di collaborazione che le imprese prevedono di stipulare nel periodo (inclusi quindi quelli 'atipici'), si scende dal 16 al 14% circa".
Un terzo dei nuovi assunti per il terzo trimestre dell'anno saranno giovani: queste le previsioni di Unioncamere, in particolare contenute nel sistema informativo Excelsior in collaborazione con il Ministero del Lavoro. «Per il terzo trimestre - si legge in uno studio - le imprese assegnano ai giovani fino a 29 anni, tra il personale da assumere, una quota del 32,7% del totale, un punto percentuale in più rispetto al trimestre scorso. Questo incremento, in termini relativi, delle opportunità per i giovani si avrà però solo nel settore dei servizi, dove nel corso del trimestre il ricambio, sia pure parziale, della popolazione lavorativa, si accompagnerà anche a un maggiore 'ringiovanimentò dei lavoratori in ingresso
Secondo l’elaborazione sui dati della relazione annuale di Bankitalia. Dall'inizio del nuovo millennio la busta paga dei dipendenti è praticamente ferma. Dal 2000 al 2010 le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Palazzo Koch ha spiegato che, proprio a causa dell'espansione del lavoro a tempo parziale, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del mezzogiorno.
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sabato 25 febbraio 2012
Ocse consiglia meno tutele sul posto fisso
Lo scenario meno vantaggioso della crisi è stata evitato ma anche stando la situazione in questo modo così ''la disoccupazione resterà alta nel corso del 2013'' mentre ''non si attende un recupero della produzione persa e i bilanci pubblici dovrebbero rimanere sugli stessi livelli insostenibili in molti paesi''. E’ quanto ha affermato l'Ocse nel suo rapporto sulla crescita mondiale.
Vediamo i consigli che sono stati emanati per l’Italia.
L'Italia deve ridurre la proprietà dello Stato ''specialmente nei settori dei media televisivi, dei trasporti, dell'energia e dei servizi locali''. E' quanto torna a chiedere l'Ocse nel rapporto sulla crescita. Nel suo rapporto l'Ocse, mette in evidenza che l'Italia si ricorda come il referendum sull'acqua nel 2011 abbia "rovesciato i piani per privatizzare i servizi del settore". Più in generale il nostro paese, pur avendo progressi su diversi temi come l'educazione terziaria, la decentralizzazione dei salari e la corporate governance, abbia "realizzato poco nella riduzione delle società e servizi a controllo pubblico". L’Ocse ha lanciato un monito sul mercato del lavoro in Italia, che deve ammorbidire le tutele del posto fisso ed ammansire la protezione del lavoro sui contratti di lavoro cosiddetti standard''. L'Italia ''non ha ancora intrapreso azioni significative'' ma sta ''considerando una riforma del mercato del lavoro, mirata ad ammorbidire le tutele sui contratti standard'' con ''una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati''.
Quindi più concorrenza su prodotti, professioni e servizi pubblici locali, migliore accesso all'istruzione, più flessibilità “buona “”sul lavoro, dove va ridotto il forte dualismo tra posto fisso e precariato, a fronte di meno presenza pubblica nelle imprese e meno tasse sul lavoro, che vanno invece spostate su consumi e proprietà. In sintesi è questa la ricetta dell'Ocse sulle riforme strutturali da effettuare in Italia per dare impulso al mercato del lavoro che si trova in un momento difficile, contenuta nel rapporto annuale "Going for Growth".
Sul sistema della istruzione l'Ocse ha raccomandato di «legare la carriera degli insegnati alle loro performance» mentre bisogna «decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università». Sul fisco l'Ocse chiede di «ridurre il cuneo fiscale» che pesa sul lavoro e contemporaneamente di «spostare» maggiormente la tassazione su «consumi e proprietà». Sul sistema di istruzione l'Ocse ha raccomandato di "legare la carriera degli insegnati alle loro performance" mentre bisogna "decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università".
L'attuazione delle riforme strutturali può mitigare l'impatto della crisi, evitando che la disoccupazione resti ''su livelli strutturali'' e contribuire a rilanciare in modo più veloce il mercato del lavoro. E' quanto scrive l'Osce nel suo rapporto per la crescita secondo cui ''un'ampia e ambiziosa agenda di riforme potrebbe portare per i paesi Ocse a una crescita annua del Pil fino all'1%, in media, nei prossimi 10 anni''. Le riforme possono rendere la ripresa ''più sostenibile e più equa''.
Vediamo i consigli che sono stati emanati per l’Italia.
L'Italia deve ridurre la proprietà dello Stato ''specialmente nei settori dei media televisivi, dei trasporti, dell'energia e dei servizi locali''. E' quanto torna a chiedere l'Ocse nel rapporto sulla crescita. Nel suo rapporto l'Ocse, mette in evidenza che l'Italia si ricorda come il referendum sull'acqua nel 2011 abbia "rovesciato i piani per privatizzare i servizi del settore". Più in generale il nostro paese, pur avendo progressi su diversi temi come l'educazione terziaria, la decentralizzazione dei salari e la corporate governance, abbia "realizzato poco nella riduzione delle società e servizi a controllo pubblico". L’Ocse ha lanciato un monito sul mercato del lavoro in Italia, che deve ammorbidire le tutele del posto fisso ed ammansire la protezione del lavoro sui contratti di lavoro cosiddetti standard''. L'Italia ''non ha ancora intrapreso azioni significative'' ma sta ''considerando una riforma del mercato del lavoro, mirata ad ammorbidire le tutele sui contratti standard'' con ''una riforma welfare per migliorare la rete di sicurezza per i disoccupati''.
Quindi più concorrenza su prodotti, professioni e servizi pubblici locali, migliore accesso all'istruzione, più flessibilità “buona “”sul lavoro, dove va ridotto il forte dualismo tra posto fisso e precariato, a fronte di meno presenza pubblica nelle imprese e meno tasse sul lavoro, che vanno invece spostate su consumi e proprietà. In sintesi è questa la ricetta dell'Ocse sulle riforme strutturali da effettuare in Italia per dare impulso al mercato del lavoro che si trova in un momento difficile, contenuta nel rapporto annuale "Going for Growth".
Sul sistema della istruzione l'Ocse ha raccomandato di «legare la carriera degli insegnati alle loro performance» mentre bisogna «decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università». Sul fisco l'Ocse chiede di «ridurre il cuneo fiscale» che pesa sul lavoro e contemporaneamente di «spostare» maggiormente la tassazione su «consumi e proprietà». Sul sistema di istruzione l'Ocse ha raccomandato di "legare la carriera degli insegnati alle loro performance" mentre bisogna "decentralizzare i sistemi di gestione e finanziamento delle università".
L'attuazione delle riforme strutturali può mitigare l'impatto della crisi, evitando che la disoccupazione resti ''su livelli strutturali'' e contribuire a rilanciare in modo più veloce il mercato del lavoro. E' quanto scrive l'Osce nel suo rapporto per la crescita secondo cui ''un'ampia e ambiziosa agenda di riforme potrebbe portare per i paesi Ocse a una crescita annua del Pil fino all'1%, in media, nei prossimi 10 anni''. Le riforme possono rendere la ripresa ''più sostenibile e più equa''.
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