La versione definitiva della riforma delle professioni ha recepito le osservazioni del Consiglio di Stato e del Parlamento abolendo le ombre di un eccesso di delega.
E’ stata riscritta la definizione di professione regolamentata, la norma, sempre sull'onda dell'indicazione del Cds, taglia fuori dal suo raggio d'azione qualunque altro soggetto iscritto in albi, registri, o elenchi.
Per professione regolamentata si intende l'attività riservata per disposizioni di legge il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi (nessun riferimento a registri o elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici).
Sparisce il tirocinio obbligatorio: gli ordini che non lo prevedono possono non istituirlo o mantenerlo più breve, visto che il termine massimo dei 18 mesi è "personalizzabile". E’ stata cancellata anche l'incompatibilità per i pubblici dipendenti sia a tempo parziale sia a tempo indeterminato. Lo snodo cruciale, sul tirocinio, non è tanto il taglio dei tempi, con il nuovo tetto a 18 mesi, ma l'esigenza di un passaggio "ordinato" tra vecchie e nuove regole.
Nella formazione, obbligatoria a pena di sanzioni, è confermato il ruolo centrale del consiglio nazionale degli ordini. Vi è l’obbligo - dovere di dotarsi di un'assicurazione per tutelare il cliente da eventuali danni, con un via libera alle polizze collettive ma senza l'obbligo per le compagnie di stipulare la polizza. In compenso i professionisti hanno un anno di tempo per organizzarsi.
Sul fronte dell’etica c'è il paletto imposto a chi vuole far parte dei consigli di disciplina che dovrà rinunciare agli incarichi amministrativi. Le designazioni spettano al presidente del tribunale nel cui circondario hanno sede i consigli: attingerà a un elenco, predisposto dal consiglio dell'ordine, con un numero di candidati doppio rispetto agli aspiranti.
Adesso invece spetterà al presidente del Tribunale, nel cui circondario ha sede il Consiglio di disciplina territoriale, nominarne i membri, sulla base di un elenco fornito dall'Ordine; gli Ordini hanno 90 giorni per stabilire i criteri di scelta dei candidati; dei Consigli di disciplina potranno fare parte anche soggetti esterni alla categoria e non iscritti all'albo.
Del dispositivo di legge risultano dei segni negativi, fatti dal Cds, dalle Commissioni parlamentari e anche dai professionisti stessi, sembrano soddisfatti i diretti interessati.
«Dopo una prima lettura del testo –ha affermato il presidente del Comitato unitario dei professionisti, Marina Calderone – non posso che esprimere la nostra soddisfazione perché le criticità che avevamo evidenziato sono state chiarite. Ho visto che sono stati risolti problemi importanti che potevano creare non poche difficoltà in fase di applicazione della norma se fosse rimasta come era prima di arrivare sul tavolo del Consiglio di Stato. Il testo è radicalmente diverso e tiene conto delle nostre indicazioni. È normale che ci siano delle posizioni che non trovano piena soddisfazione – prosegue Marina Calderone – perché, in qualche caso, in parte sacrificate. Ma al di là delle aspettative dei singoli – ha concluso il presidente – ho ritrovato nel testo lo spirito della riforma. Si tratta di un buon strumento per consentire un'applicazione differenziata nei singoli ordinamenti, tarata sulla base delle esigenze di categoria».
domenica 5 agosto 2012
Ordini professionali: la formazione continua
È stato fissato il principio della separazione tra gli organi disciplinari e gli organi amministrativi nell'autogoverno degli ordini professionali.
La formazione continua era la richiesta più condivisa da tutte le categorie: più qualità e quindi più formazione professionale anche per chi professionista lo è già. La formazione continua è obbligatoria e sarà sotto il controllo degli Ordini, che potranno predisporne i regolamenti e autorizzare anche enti o soggetti esterni.
La formazione continua per i professionisti diventa obbligatoria e si apre al libero mercato. Assume un ruolo centrale il ministero delegato alla vigilanza. Sull'accreditamento di chi svolge attività di formazione vengono esautorati gli ordini territoriali e l'autorizzazione compete ai consigli nazionali.
Sono queste le principali novità in materia di formazione contenute nell'articolo 7 del regolamento sulla riforma degli ordinamenti professionali.
La formazione obbligatoria continua dei professionisti iscritti negli ordini o collegi, assume un ruolo di garanzia per la collettività poiché in una società in evoluzione l'aggiornamento delle proprie competenze professionali è inevitabile.
Il decreto che introduce la riforma è molto forte stabilendo che la violazione all'obbligo della formazione costituisce illecito disciplinare mentre finora i singoli Ordini si limitavano a sanzioni indirette.
I corsi di formazione possono essere organizzati da tre categorie di soggetti:
da ordini e collegi;
dalle associazioni di iscritti agli albi: in questa categoria rientrano sia le associazioni (anche sotto forma di cooperativa) costituite all'interno di ciascun ordine territoriale aventi come oggetto principale proprio la formazione continua e i sindacati dei professionisti;
altri soggetti e imprese che operano sul libero mercato proponendo attività di formazione a tutti i livelli.
Mentre gli ordini e le associazioni fra professionisti iscritti non necessitano di alcuna autorizzazione, i soggetti terzi devono ottenere l'autorizzazione dai rispettivi Consigli nazionali. Quindi le società di formazione dovranno presentare una sola istanza al Consiglio nazionale che, se accolta, avrà effetto su tutto il territorio nazionale. I Consigli nazionali trasmetteranno al ministro vigilante la proposta di delibera per acquisire il parere vincolante. Al riguardo la relazione di accompagnamento ricorda che questa procedura è necessaria anche in caso di diniego per tutelare il diritto della libera concorrenza. I Consigli nazionali devono, quindi, disciplinare l'attività di formazione continua che sarà inevitabilmente svolta da ordini e collegi territoriali.
La norma non parla di esenzioni che finora venivano qualche volta applicate ai professionisti che hanno raggiunto un certo limite di età, ma questo potrebbe essere previsto nell'ambito dei requisiti minimi. La disposizione legislativa prevede che i Consigli nazionali e le Università possano stipulare convenzioni per il riconoscimento reciproco di crediti formativi.
La formazione continua era la richiesta più condivisa da tutte le categorie: più qualità e quindi più formazione professionale anche per chi professionista lo è già. La formazione continua è obbligatoria e sarà sotto il controllo degli Ordini, che potranno predisporne i regolamenti e autorizzare anche enti o soggetti esterni.
La formazione continua per i professionisti diventa obbligatoria e si apre al libero mercato. Assume un ruolo centrale il ministero delegato alla vigilanza. Sull'accreditamento di chi svolge attività di formazione vengono esautorati gli ordini territoriali e l'autorizzazione compete ai consigli nazionali.
Sono queste le principali novità in materia di formazione contenute nell'articolo 7 del regolamento sulla riforma degli ordinamenti professionali.
La formazione obbligatoria continua dei professionisti iscritti negli ordini o collegi, assume un ruolo di garanzia per la collettività poiché in una società in evoluzione l'aggiornamento delle proprie competenze professionali è inevitabile.
Il decreto che introduce la riforma è molto forte stabilendo che la violazione all'obbligo della formazione costituisce illecito disciplinare mentre finora i singoli Ordini si limitavano a sanzioni indirette.
I corsi di formazione possono essere organizzati da tre categorie di soggetti:
da ordini e collegi;
dalle associazioni di iscritti agli albi: in questa categoria rientrano sia le associazioni (anche sotto forma di cooperativa) costituite all'interno di ciascun ordine territoriale aventi come oggetto principale proprio la formazione continua e i sindacati dei professionisti;
altri soggetti e imprese che operano sul libero mercato proponendo attività di formazione a tutti i livelli.
Mentre gli ordini e le associazioni fra professionisti iscritti non necessitano di alcuna autorizzazione, i soggetti terzi devono ottenere l'autorizzazione dai rispettivi Consigli nazionali. Quindi le società di formazione dovranno presentare una sola istanza al Consiglio nazionale che, se accolta, avrà effetto su tutto il territorio nazionale. I Consigli nazionali trasmetteranno al ministro vigilante la proposta di delibera per acquisire il parere vincolante. Al riguardo la relazione di accompagnamento ricorda che questa procedura è necessaria anche in caso di diniego per tutelare il diritto della libera concorrenza. I Consigli nazionali devono, quindi, disciplinare l'attività di formazione continua che sarà inevitabilmente svolta da ordini e collegi territoriali.
La norma non parla di esenzioni che finora venivano qualche volta applicate ai professionisti che hanno raggiunto un certo limite di età, ma questo potrebbe essere previsto nell'ambito dei requisiti minimi. La disposizione legislativa prevede che i Consigli nazionali e le Università possano stipulare convenzioni per il riconoscimento reciproco di crediti formativi.
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martedì 31 luglio 2012
Riforma del lavoro 2012 incentivi assunzioni
Le nuove agevolazioni per le aziende che assumono donne o lavoratori over 50, come previsto dalla riforma del in vigore dal 18 luglio ha introdotto una serie di regole per la corretta applicazione di incentivi e bonus assunzioni. Che probabilmente resta nella teoria.
Il governo e gli incentivi per i giovani: assunti 11mila under 35, ma i disoccupati sono oltre gli 836 mila.
Tra i numerosi interventi di stimolo, o tentato all'economia e al mercato del lavoro, il governo dei tecnici ha introdotto, nel dicembre 2011, aiuti fiscali alle imprese che avrebbero assunto giovani under 35. Sembrava un intervento volto al la deducibilità integrale delle imposte dirette dell’Irap, relativa alla quota imponibile per le spese per il personale. In pratica si voleva cercare di dare una spinta all'occupazione giovanile riducendo in modo consistente, sia le tasse che il costo del lavoro per chi assumeva gli under 35. Passati sette mesi dalla disposizione legislativa, secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro, solo 3.085 aziende hanno richiesto (e ottenuto) il beneficio per un numero totale di assunzioni pari a 11 mila 442. Una goccia nell'oceano se si pensa che i disoccupati dai 25 ai 34 anni, secondo l'Istat, nel primo trimestre 2012 si sono attestati a 836 mila unità.
E per di più nel bel mezzo di una recessione non sono gli incentivi sui contributi o sulle imposte il solo elemento che induce le aziende ad assumere. Certamente, però, la creazione di nuovi posti di lavoro resta una priorità, alla quale la riforma del mercato del lavoro appena entrata in vigore non sembra riservate la
giusta attenzione.
Sul fronte del sostegno alle assunzioni, infatti, sembra che sia stata persa un'occasione: escono di scena il contratto di inserimento e una serie di incentivi legati alla reintroduzione nel mercato del lavoro dei percettori di ammortizzatori sociali.
Quali potrebbero essere i benefici
Una deducibilità che riguarda solo i lavoratori di età inferiore a 35 anni assunti a tempo indeterminato. «Questi sgravi non sono sufficienti – ha commentato Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all'Università Bocconi - e questi dati lo dimostrano. Per sbloccare l'occupazione giovanile ci vuole una manovra decisiva, uno sgravio del costo del lavoro del 22% per arrivare a un'aliquota secca per tutti del 10%. Dal 2008 al 2011 – HA aggiunto il professore - sono spariti dalla dichiarazione dei redditi 200 mila giovani. È necessario un intervento choc per invertire la rotta e rendere veramente vantaggiosa l'assunzione dei giovani. Qualsiasi altro timido intervento non produrrà risultati. Il rischio, oggi, è che si perda una generazione che non troverà chance occupazionali in tutti questi anni».
Il governo e gli incentivi per i giovani: assunti 11mila under 35, ma i disoccupati sono oltre gli 836 mila.
Tra i numerosi interventi di stimolo, o tentato all'economia e al mercato del lavoro, il governo dei tecnici ha introdotto, nel dicembre 2011, aiuti fiscali alle imprese che avrebbero assunto giovani under 35. Sembrava un intervento volto al la deducibilità integrale delle imposte dirette dell’Irap, relativa alla quota imponibile per le spese per il personale. In pratica si voleva cercare di dare una spinta all'occupazione giovanile riducendo in modo consistente, sia le tasse che il costo del lavoro per chi assumeva gli under 35. Passati sette mesi dalla disposizione legislativa, secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro, solo 3.085 aziende hanno richiesto (e ottenuto) il beneficio per un numero totale di assunzioni pari a 11 mila 442. Una goccia nell'oceano se si pensa che i disoccupati dai 25 ai 34 anni, secondo l'Istat, nel primo trimestre 2012 si sono attestati a 836 mila unità.
E per di più nel bel mezzo di una recessione non sono gli incentivi sui contributi o sulle imposte il solo elemento che induce le aziende ad assumere. Certamente, però, la creazione di nuovi posti di lavoro resta una priorità, alla quale la riforma del mercato del lavoro appena entrata in vigore non sembra riservate la
giusta attenzione.
Sul fronte del sostegno alle assunzioni, infatti, sembra che sia stata persa un'occasione: escono di scena il contratto di inserimento e una serie di incentivi legati alla reintroduzione nel mercato del lavoro dei percettori di ammortizzatori sociali.
Quali potrebbero essere i benefici
Una deducibilità che riguarda solo i lavoratori di età inferiore a 35 anni assunti a tempo indeterminato. «Questi sgravi non sono sufficienti – ha commentato Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all'Università Bocconi - e questi dati lo dimostrano. Per sbloccare l'occupazione giovanile ci vuole una manovra decisiva, uno sgravio del costo del lavoro del 22% per arrivare a un'aliquota secca per tutti del 10%. Dal 2008 al 2011 – HA aggiunto il professore - sono spariti dalla dichiarazione dei redditi 200 mila giovani. È necessario un intervento choc per invertire la rotta e rendere veramente vantaggiosa l'assunzione dei giovani. Qualsiasi altro timido intervento non produrrà risultati. Il rischio, oggi, è che si perda una generazione che non troverà chance occupazionali in tutti questi anni».
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