Ha rilevato la Corte di Cassazione che da un lato ha ritenuto il datore di lavoro responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore per avere omesso di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare l’evento; dall’altro ha affermato, sulla scorta della prova testimoniale, che gli occhiali protettivi si trovavano nel luogo di lavoro; che il loro uso era obbligatorio per disposizione dell’imprenditore; che il capo officina aveva addestrato il lavoratore per l’esecuzione del lavoro cui era stato addetto, consistente nel piegare tondini di ferro lunghi 10-12 cm. con un martello, dopo averli bloccati con una morsa; che tale lavoro era di facile esecuzione e non comportava rischi.
Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio sul lavoro, sia quando evita di adottare idonee misure protettive, sia quando non vigila affinché il dipendente le utilizzi. Il suo dovere di sicurezza e la sua responsabilità divengono ancora più intensi se il lavoratore è giovanissimo o inesperto e, ancor di più, se è apprendista, a favore del quale vigono precisi obblighi di formazione e addestramento. Sono questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza 536 depositata il 10 gennaio 2013.
Il caso ha riguardato un apprendista, al lavoro da 20 giorni, che, nel piegare un tondino, viene colpito a un occhio da una scheggia. Dagli accertamenti è risultato che il datore di lavoro avesse messo a disposizione occhiali protettivi e che il lavoratore non li avesse indossati.
In sede di giudizio, la Corte di appello ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro e lo condanna al pagamento, a favore dell'Inail, della somma equivalente dell'indennizzo pagato dall'Istituto. La società ricorre in Cassazione, contestando la sentenza di merito perché i giudici – sostiene la società – non hanno considerato che il datore aveva dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento.
Ha provato infatti che gli occhiali erano nel luogo di lavoro, che la loro obbligatorietà era imposta dall'azienda, che il capo officina aveva addestrato il lavoratore per la mansione specifica e che il lavoro era di facile esecuzione.
La difesa critica la Corte d'appello anche per non avere giudicato anomalo e imprevedibile il comportamento dell'apprendista, poiché egli, piegando il ferro con l'incudine e non (come avrebbe dovuto) con la morsa, aveva svolto un lavoro cui non era stato adibito.
La Cassazione, nel decidere, conferma in primo luogo che le norme per la prevenzione degli infortuni sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti da sua imperizia, negligenza e imprudenza. Il datore, pertanto, è responsabile dell'infortunio al lavoratore sia se omette di adottare le idonee misure protettive sia se non accerta e non vigila che il dipendente ne faccia uso.
Inoltre, i giudici esprimono un principio più convincente: il dovere di sicurezza, a carico del datore di lavoro, diviene particolarmente deciso se i lavoratori sono di giovane età o professionalmente inesperti e si accresce se sono apprendisti, soggetti verso i quali si devono manifestare precisi obblighi di formazione e di addestramento. Un'eventuale imprudente iniziativa di collaborazione da parte di uno di questi lavoratori, dunque, non esonera e non attenua la responsabilità del datore, su cui grava un obbligo di particolare vigilanza, diretta o attraverso collaboratori.
I giudici di merito, secondo la Cassazione, hanno applicato questi principi e il ricorso va, quindi, rigettato. Il messaggio è molto evidente: i lavoratori giovani e inesperti vanno adeguatamente formati e vigilati. Solo in questo modo il datore di lavoro può efficacemente prevenire incidenti ed evitare il sorgere, a proprio carico, di responsabilità.
La corte ha rigettato il ricorso e condannato la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 40,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
mercoledì 27 marzo 2013
Corte di Cassazione sentenza 10 gennaio 2013, n.536. Infortunio sul lavoro, più verifiche ai giovani lavoratori
Etichette:
apprendista,
Corte di Cassazione,
datore di lavoro,
dell'infortunio sul lavoro,
INAIL,
inesperto,
lavoratore giovane,
responsabilità,
rimborso
Licenziamento del lavoratore possibilità al trasferimento o al tempo parziale
Rispetto rigoroso della tempistica, esatta individuazione dei requisiti dimensionali dell'azienda, definizione del perimetro del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Sono i tre binari su cui si articola la circolare n. 3/2013 del ministero del Lavoro sulla conciliazione obbligatoria preventiva. Senza dimenticare l'obbligo di pagamento del ticket sui licenziamenti scattato il 1 gennaio 2013, che va versato a prescindere dall'esito della conciliazione.
A parte i passaggi previsti dalla conciliazione obbligatoria, bisogna considerare con attenzione anche i diversi effetti che questa produce sul rapporto di lavoro, a seconda dell'esito finale.
Il datore di lavoro può avanzare la procedura del licenziamento del lavoratore se il tentativo di conciliazione viene meno perché le parti non hanno trovato un accordo, perché si è verificato l'abbandono o l'assenza di una di esse, oppure se la convocazione da parte della Direzione Territoriale del lavoro (Dtl ) non è arrivata nei termini previsti: in queste ipotesi, la cessazione del rapporto ha effetto dal giorno della comunicazione alla Dtl con cui il procedimento è stato avviato (individuata nella data di ricezione della comunicazione da parte dell'ufficio), fatti salvi il diritto al periodo di preavviso – se il lavoratore non ha continuato a lavorare, durante la procedura – oppure, in alternativa, all'indennità sostitutiva in favore del lavoratore.
In alcuni casi, come quello di un periodo contrattuale di preavviso breve, si pone il problema di computare a questo titolo soltanto una parte dei giorni lavorati.
Per evitare eccessi, la riforma del lavoro ha previsto che eventuali malattie insorte dopo la comunicazione di avvio non producano alcuna sospensione del licenziamento, mentre restano validi gli effetti sospensivi previsti dalle norme a tutela della maternità e della paternità e in caso di impedimento derivante da un infortunio sul lavoro.
Viceversa, nell'ipotesi di esito positivo della conciliazione, le soluzioni alternative al licenziamento possono essere diverse: si pensi, ad esempio al trasferimento del lavoratore, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno tempo parziale.
I contenuti dell'accordo sono verbalizzati dalla commissione di conciliazione, e acquistano un valore incontestabile.
Nel caso di risoluzione consensuale del rapporto, invece, la Dtl ne dà sempre atto con un verbale e resta escluso l'obbligo di convalida – previsto dall'articolo 4, comma 17, della legge 92/2012 – davanti a uno degli organismi abilitati. Inoltre, in deroga alla disciplina ordinaria, il lavoratore può accedere all'Aspi ed essere affidato a un'agenzia del lavoro per la ricollocazione.
Sugli adempimenti operativi che riguardano la comunicazione obbligatoria del licenziamento ai servizi per l'impiego, che in via ordinaria deve essere effettuata nei cinque giorni successivi al recesso, il ministero del Lavoro (con la nota 18273 del 12 ottobre 2012) ha già chiarito che il termine di riferimento decorre dalla conclusione della procedura di conciliazione: vale a dire dalla data di effettiva risoluzione del rapporto, e non dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento, che la legge 92/2012 individua come «data legale» e dalla quale si producono gli effetti del licenziamento.
Ricordaiamo che, in caso di omissione della comunicazione obbligatoria, è prevista una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, con un importo che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 500 euro.
A parte i passaggi previsti dalla conciliazione obbligatoria, bisogna considerare con attenzione anche i diversi effetti che questa produce sul rapporto di lavoro, a seconda dell'esito finale.
Il datore di lavoro può avanzare la procedura del licenziamento del lavoratore se il tentativo di conciliazione viene meno perché le parti non hanno trovato un accordo, perché si è verificato l'abbandono o l'assenza di una di esse, oppure se la convocazione da parte della Direzione Territoriale del lavoro (Dtl ) non è arrivata nei termini previsti: in queste ipotesi, la cessazione del rapporto ha effetto dal giorno della comunicazione alla Dtl con cui il procedimento è stato avviato (individuata nella data di ricezione della comunicazione da parte dell'ufficio), fatti salvi il diritto al periodo di preavviso – se il lavoratore non ha continuato a lavorare, durante la procedura – oppure, in alternativa, all'indennità sostitutiva in favore del lavoratore.
In alcuni casi, come quello di un periodo contrattuale di preavviso breve, si pone il problema di computare a questo titolo soltanto una parte dei giorni lavorati.
Per evitare eccessi, la riforma del lavoro ha previsto che eventuali malattie insorte dopo la comunicazione di avvio non producano alcuna sospensione del licenziamento, mentre restano validi gli effetti sospensivi previsti dalle norme a tutela della maternità e della paternità e in caso di impedimento derivante da un infortunio sul lavoro.
Viceversa, nell'ipotesi di esito positivo della conciliazione, le soluzioni alternative al licenziamento possono essere diverse: si pensi, ad esempio al trasferimento del lavoratore, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno tempo parziale.
I contenuti dell'accordo sono verbalizzati dalla commissione di conciliazione, e acquistano un valore incontestabile.
Nel caso di risoluzione consensuale del rapporto, invece, la Dtl ne dà sempre atto con un verbale e resta escluso l'obbligo di convalida – previsto dall'articolo 4, comma 17, della legge 92/2012 – davanti a uno degli organismi abilitati. Inoltre, in deroga alla disciplina ordinaria, il lavoratore può accedere all'Aspi ed essere affidato a un'agenzia del lavoro per la ricollocazione.
Sugli adempimenti operativi che riguardano la comunicazione obbligatoria del licenziamento ai servizi per l'impiego, che in via ordinaria deve essere effettuata nei cinque giorni successivi al recesso, il ministero del Lavoro (con la nota 18273 del 12 ottobre 2012) ha già chiarito che il termine di riferimento decorre dalla conclusione della procedura di conciliazione: vale a dire dalla data di effettiva risoluzione del rapporto, e non dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento, che la legge 92/2012 individua come «data legale» e dalla quale si producono gli effetti del licenziamento.
Ricordaiamo che, in caso di omissione della comunicazione obbligatoria, è prevista una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, con un importo che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 500 euro.
domenica 24 marzo 2013
Contribuzione dovuta sulle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato
L'INPS, con la circolare n. 44 del 22 marzo 2013, ha fornito alcuni chiarimenti sui criteri impositivi e sulla misura del nuovo contributo sulle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato previsto dalla legge di Riforma del mercato del lavoro.
La legge introduce un nesso tra il contributo e il teorico diritto all’Aspi da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto; conseguentemente, i datori di lavoro saranno tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa.
Restano escluse dall’obbligo contributivo le cessazioni del rapporto di lavoro a seguito di:
dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità);
risoluzioni consensuali, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione presso la D.T.L., nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici;
decesso del lavoratore.
Il contributo non è dovuto, per il periodo 2013 – 2015, nei seguenti casi:
licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL;
interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
Ne consegue che, per le interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nel 2013, a decorrere dal 1 gennaio, per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, la contribuzione da versare sarà pari a € 483,80 (€1.180X41%).
Per i soggetti che possono vantare 36 mesi di anzianità aziendale, l’importo massimo da versare nel 2013 sarà, quindi, € 1.451,00 (€483,80 X 3).
L'Inps ha precisato che:
1. il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time);
2. per i rapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario. Per un rapporto di 10 mesi, ad esempio, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16;
3. nell’anzianità aziendale si devono includere tutti i periodi di lavoro a tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato si computano se il rapporto è stato trasformato senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo dell’1,40%.
4. nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo di cui all’articolo 42, c. 5 del D.lgs, 151/2001;
5. la contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata.
6. il contributo è dovuto anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione.
Etichette:
ASPI,
circolare n. 44,
contribuzione,
dimissioni,
interruzioni,
lavoro a tempo indeterminato,
mercato del lavoro,
rapporti di lavoro,
risoluzioni consensuali
Iscriviti a:
Post (Atom)