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venerdì 9 ottobre 2015

Integrazione salariale: rimborso alle aziende entro sei mesi


Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito le prime indicazioni e chiarimenti operativi in merito alle nuove disposizioni in tema di riordino della materia degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, con particolare riferimento durata e procedimento di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale.

La cassa integrazione riformata comporta novità anche per le imprese, con la nuova decadenza per la richiesta di rimborso all’INPS. Il trattamento viene infatti anticipato dall’azienda alla fine di ogni periodo di paga, con importo rimborsato dall’INPS o conguagliato in base alle norme sui contributi dovuti e prestazioni corrisposte.

Per i trattamenti richiesti dal 24 settembre (entrata in vigore del Dlgs 148/2015) o in data anteriore ma non ancora conclusi al 24 settembre, è introdotto il termine di 6 mesi dalla fine del periodo di paga. In via esemplificativa, se il periodo autorizzato scatta il giorno 1° ottobre, l’azienda potrà richiedere il rimborso all’INPS o effettuare il conguaglio entro 6 mesi decorrenti dal 30 ottobre, quindi entro il 30 aprile, a pena di decadenza.

Se il provvedimento di concessione è successivo al termine del trattamento di integrazione salariale autorizzato, i 6 mesi decorrono dalla concessione. In via esemplificativa, nell’ipotesi in cui il trattamento sia autorizzato per il periodo dal 1° dicembre 2015 al 30 novembre 2016, con decreto direttoriale emesso e datato 1° gennaio 2017, i sei mesi decorrono dalla data del provvedimento, ovvero dal 1° gennaio 2017.

Nel caso in cui non sia ancora stato chiesto il rimborso INPS per trattamenti conclusi prima del 24 settembre, i 6 mesi decorrono dall’entrata in vigore del decreto (quindi, bisogna chiedere il rimborso entro il 24 marzo, a pena di decadenza) oppure, se successiva, dalla data del provvedimento di autorizzazione. Esempio: trattamento di integrazione salariale dal primo dicembre 2013 al 30 novembre 2014, i sei mesi si calcolano dal 24 settembre 2015 (entrata in vigore del decreto di riforma ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro). Se però il decreto di concessione è stato emesso il 30 settembre 2015, i 6 mesi decorrono da tale data.

Resta possibile, per la cassa integrazione straordinaria, il pagamento diretto da parte dell’INPS, che deve essere disposto dal ministero del Lavoro contestualmente al provvedimento di concessione.

L’impresa deve farne richiesta, sulla base di documentate difficoltà finanziarie. Il pagamento diretto INPS può essere revocato nel caso in cui il servizio ispettivo accetti l’assenza di difficoltà finanziarie dell’azienda.

Cambia il sistema di calcolo dei contributi da parte delle imprese beneficiarie della cassa integrazione. C’è un collegamento diretto tra costo del trattamento e la sua durata. Le aziende devono un contributo ordinario e, nei casi di utilizzo delle integrazioni salariali, un contributo aggiuntivo.

Il contributo ordinario per la cassa integrazione ordinaria. A carico delle imprese potenziali beneficiarie della cassa integrazione ordinaria è stabilito un contributo ordinario, nella misura di:

a) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali
che occupano fino a 50 dipendenti;

b) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali che occupano oltre 50 dipendenti;

c) 4,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato edile;

d) 3,30 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato lapidei;

e) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano fino a 50 dipendenti;

f) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano oltre 50 dipendenti.

Il contributo ordinario per la cassa integrazione straordinaria. L’articolo 23 del Decreto conferma l’aliquota di contribuzione ordinaria già prevista dalla normativa precedente: “E' stabilito un contributo ordinario nella misura dello 0,90 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori per i quali trova applicazione la disciplina delle integrazioni salariali straordinarie, di cui 0,60 % a carico dell'impresa o del partito politico e 0,30 % a carico del lavoratore.

Poi c’è un contributo dovuto sia per la cassa integrazione ordinaria che straordinaria in caso di presentazione della domanda di integrazione salariale. L’art. 5 del Decreto Legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 stabilisce la contribuzione addizionale che devono versare le imprese: “A carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale è stabilito un contributo addizionale, in misura pari a:

9 % della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all'interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile; b) 12 % oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile; c) 15 % oltre il limite di cui alla lettera b), in un quinquennio mobile.

Si passa quindi dalle vecchie aliquote del 4% per la CIG ordinaria (che diventava 8% nelle aziende con oltre 50 addetti) e del 3% per la CIGS (che diventava 4,5% nelle imprese con più di 50 dipendenti) alla percentuale identica per entrambi i trattamenti del 9% che poi diventa il 12% e il 15%, come chiarito sopra. Per la cassa integrazione straordinaria le aliquote raddoppiano come minimo. Ovviamente in caso di utilizzo dei trattamenti di integrazione salariale.

Dall’altro lato calano invece i contributi ordinari dovuti da tutte le imprese potenziali beneficiarie per la cassa integrazione ordinaria, mentre quelli per la cassa integrazione straordinaria rimangono identici. La percentuale per la CIGO infatti è ora dell’1,70% per le aziende fino a 50 dipendenti, mentre nel passato era dell’1,90%. Per le aziende con oltre 50 dipendenti la percentuale è del 2% rispetto al 2,2% della precedente normativa.

sabato 27 giugno 2015

INPS: iniziano i rimborsi per la pensione da agosto 2015



796 euro questo è l’ammontare del rimborso che arriverà nelle tasche dei pensionati con un assegno da 1500 euro. E' l'effetto della sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava illegittimo il blocco della perequazione deciso dal Salva Italia.

L’INPS ha comunicato le modalità di rimborso degli arretrati delle pensioni che saranno erogati a partire da agosto 2015. Nella circolare INPS n. 125 sono state pubblicate le modalità di pagamento dei rimborsi delle pensioni a seguito della sentenza, che aveva definito incostituzionale il blocco degli scatti di adeguamento all'inflazione deciso dal Governo Monti nel 2011. I rimborsi scattano automaticamente e diventano esecutivi dal 1 agosto con una prima tranche di 796 euro. Restano esclusi gli assegni superiori a 3mila euro.

I calcoli saranno effettuati dall'istituto di previdenza e l’importo arriverà automaticamente. Ma sarà tassato. Gli eredi invece devono fare domanda.

Le pensioni interessate al rimborso, sono quelle che vanno da 3 volte il minimo Inps (circa 1500 euro lordi mensili) fino a 6 volte il minimo (circa 3000 euro lordi mensili) secondo un meccanismo di gradualità. Il bonus,  arretrati saranno corrisposti il 1° agosto 2015 all'interno dei consueti assegni previdenziali che spettano al pensionato.

Il meccanismo di ricalcolo dell’assegno, per il 2012 e 2013 è riconosciuta una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione per gli assegni fino a tre volte il minimo Inps; si scende al 40% per gli assegni fino a quattro volte, quindi ancora al 20% per gli assegni fino a cinque volte, per scendere al 10% per gli assegni fino a sei volte superiori al minimo. Oltre questa soglia non c’è alcuna rivalutazione e nessun rimborso. L’incremento per il primo biennio costituisce poi la base di calcolo per gli anni successivi, a partire dal 2014. Per il 2014 e il 2015 invece la rivalutazione sarà dunque riconosciuta a partire dalle pensioni superiori a 3 volte il minimo e fino a 6 volte, e sarà pari al 20% della percentuale assegnata per ogni fascia di reddito per gli anni 2012-2013. L’Istituto procederà, poi, spiega ancora la nota, in occasione del rinnovo delle pensioni per il 2016, a ricalcolare le pensioni a partire dal 2012, attribuendo le percentuali di perequazione sopra indicate ai coefficienti di perequazione, rispettivamente del 2,7 e del 3 per cento, relativi agli anni 2012 e 2013 e i criteri di perequazione stabiliti dalla legge n. 147 del 2013 per gli anni 2014, 2015 e 2016. E poi, dal 2017 entreranno in vigore ancora nuove norme.

Si tratta di una somma erogata una tantum per il periodo che va da gennaio 2012 ad agosto 2015, quindi non si tratta di una prima rata di rimborso che ne prevede delle successive, almeno per il momento. Per i pensionati con importi di pensione più alti i rimborsi vanno a scalare, per esempio 450 fino a 2.000 euro di pensione o 276 per importi ancora superiori. Per questi pensionati inoltre scatterà il meccanismo della perequazione, sarà quindi riallineata ai tassi di inflazione, che poi è esattamente quello che è stato bloccato dal decreto del Governo Monti. Quindi oltre al rimborso la pensione avrà una base di 1.525 euro già dal primo agosto per poi salire a 1.541 da gennaio 2016.

Per il pensionato da 1.500 euro di pensione, la tabella di calcolo ha previsto per il 2012 euro 210,60 di rimborso, 447,20 per il 2013, 89,96 per il 2014 e 48,51 per il 2015. Il calcolo è stato fatto in base alla rivalutazione per il riallineamento della pensione alla perequazione.

L’unico esempio fornito dalla circolare Inps. Le pensioni superiori a 3 volte il minimo e pari o inferiori a 4 volte il minimo (fino dunque a 1500 euro lordi) verranno complessivamente rivalutate, calcolando gli arretrati 2012, 2013, 2014 e 2015, di 796,27 euro. In particolare, saranno restituiti 210,60 euro per il 2012 e 447,20 per il 2013. Per il 2014 e 2015, invece, la restituzione sarà pari rispettivamente a 89,96 euro e 48,51 euro.

La base di calcolo della pensione 1500 diventa a partire dall'agosto di quest’anno di 1.525 euro mensili lordi,. E poi a partire dal gennaio del 2016 ammonterà a 1.541 euro, sempre mensili e sempre lordi.

Al rimborso hanno diritto anche coloro che nel frattempo sono deceduti? Sì, la sentenza della Consulta e il decreto del governo interessa anche i titolari del trattamento pensionistico che nel periodo interessato sono deceduti. Lo spiega (indirettamente) la circolare dell’Inps, quando afferma che «il calcolo delle differenze spettanti verrà effettuato anche per le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate».

E dunque del bonus beneficeranno gli eredi?  Esattamente. Ma dovranno presentare una domanda all'Istituto previdenziale, che ovviamente per ora non ha predisposto alcun modulo, ma che certamente inserirà delle informazioni nel suo sito http://www.inps.gov.it/. E il pagamento delle spettanze agli aventi titolo (si presume tutti gli eredi presenti nell'asse ereditario, la circolare non lo chiarisce) sarà effettuato a domanda «nei limiti della prescrizione».

Almeno il bonus che arriva il prima agosto sarà «netto», ed esente da tasse?  No, ci si dovranno pagare le tasse. Il decreto e la circolare chiariscono che il bonus di rimborso sarà sottoposto al regime della tassazione separata (al 23%) per quanto riguarda tutti gli arretrati fino al 2014; per le somme maturate dal 2015 invece ci si applicheranno le aliquote fiscali della tassazione ordinaria.

Esaminando e in ultima analisi si sintetizza quanto segue. I rimborsi sulle pensioni superiori a tre volte il minimo saranno tra il 10% e il 40% di quanto perso per gli anni 2012-2013 e pari ad appena il 20% di quanto erogato per gli anni precedenti per il 2014. Per le pensioni tra le tre e le quattro volte il minimo (circa tra 1.500 e 2.000 euro) la rivalutazione per il 2012-13 sarà del 40% dell'inflazione (2,7% per il 2012, 3% per il 2013); per le pensioni tra quattro e cinque volte il minimo (tra 2.000 e 2.500 euro lordi al mese) sarà del 20 dell'inflazione%; per le pensioni tra i 2.500 e i 3.000 euro la rivalutazione sarà solo pari al 10% di quanto perso. Le pensioni di importo superiore a sei volte il minimo non avranno nessun rimborso.

Non è necessaria la domanda. La ricostituzione dei trattamenti avviene ''d'ufficio'', non è necessaria la domanda. Diversa la procedura nel caso degli eredi: per le pensioni, si legge nella circolare, che “al momento della lavorazione risulteranno eliminate, il pagamento delle spettanze agli aventi titolo sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione".



sabato 27 aprile 2013

Crediti Iva 2013 le strade per il recupero


E' il 30 aprile l'ultima data utile per inoltrare la richiesta di rimborso. Il modello, da inviare telematicamente, è disponibile sui siti dell'Agenzia delle Entrate e del Ministero dello sviluppo economico.

Ancora pochi giorni per chiedere a rimborso o in compensazione il credito Iva del primo trimestre 2013. Entro martedì 30 aprile i contribuenti che, a seguito della prima liquidazione periodica dell'anno, dispongono di un'eccedenza di imposta detraibile di importo superiore a 2.582,28 euro e che sono in possesso di determinati requisiti, possono presentare il modello "IVA TR".

I contribuenti rientranti in determinate categorie, individuati con decreto del ministro dell'Economia e delle finanze, sono ammessi all'erogazione prioritaria del rimborso entro tre mesi dalla richiesta. Si tratta dei:

contribuenti che hanno effettuato nel trimestre prevalentemente prestazioni di subappalto in edilizia (codice "1" nel frontespizio della richiesta) e hanno emesso fatture senza addebito di imposta (articolo 17, comma 6, lettera a), Dpr 633/1972)

contribuenti che svolgono le attività individuate dal codice ATECOFIN 2004 37.10.1, cioè quelle di recupero e preparazione per il riciclaggio di cascami e rottami metallici (codice "2" nel frontespizio della richiesta)

contribuenti che svolgono le attività individuate dal codice ATECOFIN 2004 27.43.0, cioè che producono piombo, zinco, stagno e semilavorati (codice "3" nel frontespizio della richiesta)

contribuenti che svolgono le attività individuate dal codice ATECOFIN 2004 27.42.0, cioè che producono alluminio e semilavorati (codice "4" nel frontespizio della richiesta).

Dal 1° gennaio 2013, l'aumento del volume d'affari con le operazioni effettuate nei confronti di soggetti passivi, debitori dell'Iva in un altro Stato Ue, riduce la possibilità di rispettare le condizioni per chiedere a rimborso l'Iva trimestrale (o annuale) a credito. La novità va considerata da chi sta predisponendo la richiesta di rimborso del credito Iva del primo trimestre 2013, tramite l'invio dell'istanza (modello Iva TR), entro il prossimo 30 aprile. Dal 1° gennaio 2013, i soggetti passivi stabiliti in Italia devono fatturare le "cessioni di beni e prestazioni di servizi" (diverse dalle operazioni bancarie, finanziarie e assicurative dell'articolo 10, nn. da 1 a 4 e 9), "effettuate nei confronti di un soggetto passivo che è debitore dell'imposta in un altro Stato" Ue (anche se non sono soggette ad Iva in Italia, ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies).

Deve essere indicato al posto dell'Iva l'annotazione «inversione contabile» e l'eventuale specificazione della relativa norma comunitaria o nazionale. Sempre da quest'anno, queste operazioni concorrono a formare il volume d'affari del contribuente, a differenza di quanto avveniva in passato.

Anche nel 2012 l'emissione della fattura era obbligatoria per le prestazioni di servizi "generiche", rese a soggetti passivi Iva stabiliti in altri Paesi Ue, anche se queste operazioni non sono soggette a Iva, ai sensi dell'articolo 7-ter, Dpr n. 633/1972. L'imposta è dovuta nell'altro Paese Ue ad opera del committente, attraverso l'inversione contabile. Fino allo scorso anno, però, era previsto che queste operazioni fossero escluse dal calcolo dal volume d'affari, ai sensi dell'articolo 20, comma 1, Dpr n. 633/1972. L'aumento delle operazioni che concorrono a formare il volume d'affari riduce le possibilità di richiedere a rimborso l'Iva a credito trimestrale (o annuale), usufruendo della disposizione contenuta nell'articolo 30, comma 3, lettera b, Dpr 633/1972 (articolo 38-bis, comma 2, Dpr 633/1972, per il rimborso trimestrale).

Si tratta dei soggetti che richiedono la restituzione dell'eccedenza a credito nel caso in cui siano effettuate cessioni all'esportazione e operazioni assimilate (operazioni non imponibili di cui agli articolo 8, 8-bis e 9, dpr 633/1972) per un ammontare superiore al 25% "dell'ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate" (articolo 30, comma 3, lettera b, dpr 633/1972). L'importo su cui calcolare il 25% dovrebbe coincidere con il volume d'affari, anche se l'Agenzia delle Entrate potrebbe limitare la penalizzazione descritta, in via interpretativa, considerando che l'"ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate" corrisponda soltanto a quelle operazioni che soddisfano il presupposto territoriale, escludendo le cessioni e le prestazioni di cui all'articolo 21, comma 6-bis, Dpr n. 633/1972, cioè quelle extraterritoriali. In particolare, per il rimborso Iva trimestrale, viene compilato il rigo TD2 e il rimborso compete se il rapporto percentuale tra l'ammontare delle operazioni non imponibili (numeratore) e quello complessivo delle operazioni effettuate (denominatore) risulta superiore al 25 per cento.

mercoledì 27 marzo 2013

Corte di Cassazione sentenza 10 gennaio 2013, n.536. Infortunio sul lavoro, più verifiche ai giovani lavoratori

Ha rilevato la Corte di Cassazione che da un lato ha ritenuto il datore di lavoro responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore per avere omesso di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare l’evento; dall’altro ha affermato, sulla scorta della prova testimoniale, che gli occhiali protettivi si trovavano nel luogo di lavoro; che il loro uso era obbligatorio per disposizione dell’imprenditore; che il capo officina aveva addestrato il lavoratore per l’esecuzione del lavoro cui era stato addetto, consistente nel piegare tondini di ferro lunghi 10-12 cm. con un martello, dopo averli bloccati con una morsa; che tale lavoro era di facile esecuzione e non comportava rischi.

Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio sul lavoro, sia quando evita di adottare idonee misure protettive, sia quando non vigila affinché il dipendente le utilizzi. Il suo dovere di sicurezza e la sua responsabilità divengono ancora più intensi se il lavoratore è giovanissimo o inesperto e, ancor di più, se è apprendista, a favore del quale vigono precisi obblighi di formazione e addestramento. Sono questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza 536 depositata il 10 gennaio 2013.

Il caso ha riguardato un apprendista, al lavoro da 20 giorni, che, nel piegare un tondino, viene colpito a un occhio da una scheggia. Dagli accertamenti è risultato che il datore di lavoro avesse messo a disposizione occhiali protettivi e che il lavoratore non li avesse indossati.

In sede di giudizio, la Corte di appello ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro e lo condanna al pagamento, a favore dell'Inail, della somma equivalente dell'indennizzo pagato dall'Istituto. La società ricorre in Cassazione, contestando la sentenza di merito perché i giudici – sostiene la società – non hanno considerato che il datore aveva dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento.

Ha provato infatti che gli occhiali erano nel luogo di lavoro, che la loro obbligatorietà era imposta dall'azienda, che il capo officina aveva addestrato il lavoratore per la mansione specifica e che il lavoro era di facile esecuzione.

La difesa critica la Corte d'appello anche per non avere giudicato anomalo e imprevedibile il comportamento dell'apprendista, poiché egli, piegando il ferro con l'incudine e non (come avrebbe dovuto) con la morsa, aveva svolto un lavoro cui non era stato adibito.

La Cassazione, nel decidere, conferma in primo luogo che le norme per la prevenzione degli infortuni sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti da sua imperizia, negligenza e imprudenza. Il datore, pertanto, è responsabile dell'infortunio al lavoratore sia se omette di adottare le idonee misure protettive sia se non accerta e non vigila che il dipendente ne faccia uso.

Inoltre, i giudici esprimono un principio più convincente: il dovere di sicurezza, a carico del datore di lavoro, diviene particolarmente deciso se i lavoratori sono di giovane età o professionalmente inesperti e si accresce se sono apprendisti, soggetti verso i quali si devono manifestare precisi obblighi di formazione e di addestramento. Un'eventuale imprudente iniziativa di collaborazione da parte di uno di questi lavoratori, dunque, non esonera e non attenua la responsabilità del datore, su cui grava un obbligo di particolare vigilanza, diretta o attraverso collaboratori.

I giudici di merito, secondo la Cassazione, hanno applicato questi principi e il ricorso va, quindi, rigettato. Il messaggio è molto evidente: i lavoratori giovani e inesperti vanno adeguatamente formati e vigilati. Solo in questo modo il datore di lavoro può efficacemente prevenire incidenti ed evitare il sorgere, a proprio carico, di responsabilità.

La corte ha rigettato il ricorso e condannato la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 40,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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