sabato 7 dicembre 2013

Come e dove verificare i propri contributi



Accedendo alla scheda informativa si possono verificare i contributi versati sulla propria posizione assicurativa Inps, scoprendo cos'è l'estratto conto contributivo, a cosa serve, cosa contiene.

Si ricorda che verificare i contributi versati nella propria posizione assicurativa è importante anche in relazione all’introduzione del sistema di calcolo della pensione con il metodo contributivo.

Tramite il link sul sito Inps  al servizio di Estratto conto contributivo. Dopo aver inserito il codice PIN, si può visualizzare in sicurezza l'elenco dei contributi versati sulla posizione assicurativa. Se si hanno contributi versati in diverse gestioni, l’estratto conto si presenta suddiviso in sezioni selezionabili singolarmente mediante il menu che espone in alto le diverse schede consultabili.

Il servizio è disponibile per i dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi, per gli iscritti alla gestione separata, per gli iscritti al fondo clero. Per gli iscritti alla Gestione separata è consultabile anche l’importo del montante contributivo cliccando sul tasto in basso a sinistra “montante parasubordinati”. Il servizio non è ancora disponibile per tutti gli iscritti alla Gestione dipendenti pubblici, in quanto è attualmente in sperimentazione su un campione di 1 milione di assicurati.

Omessi versamenti di contributi INPS
L’omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) è il reato previsto da legge speciale che punisce il datore di lavoro che non abbia adempiuto l’obbligo di pagamento all’Inps dei contributi dovuti con riferimento alla retribuzione dei propri dipendenti.

Chi sia stato informato dell’apertura di procedimento penale a proprio carico con riferimento al reato di omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) dovrà in primo luogo visionare il fascicolo del procedimento - direttamente, oppure attraverso Legale incaricato - al fine di raccogliere l’intera documentazione relativa alle contestazioni e verificare attraverso la propria contabilità d’impresa (libro matricola e registro delle presenza vidimati dall'Inail, certificati della Camera di Commercio attestanti il numero dei dipendenti, buste paga del periodo, prospetti riepilogativi mensili di sgravio fiscale, stampe di estratti dalle banche dati Inps etc.) l’effettiva cedenza di tali importi.

Sarà utile controllare, altresì, che non vi siano ricorsi o contestazioni pendenti in sede amministrativa con riferimento a tali contributi.

Sarà anche importante controllare l’esistenza di una pregressa notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale, contenente il termine per il pagamento degli omessi contributi – pena la comunicazione all’Autorità Giudiziaria. In assenza di tale notificazione, sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento.

Diversamente, occorrerà valutare la miglior scelta processuale, attraverso consulto con un professionista.

Il reato consegue ad una sanzione amministrativa e ad una cartella di pagamento inviati al datore di lavoro da parte dell’Ente previdenziale.

Oltre alla sanzione comminata dall’Ente per more e spese di recupero del credito, dunque, il datore di lavoro dovrà affrontare un procedimento penale. Constatato il mancato pagamento dei contributi dovuti, a fronte del mancato riscontro al sollecito, l’Ente Previdenziale, infatti, provvede a comunicare la notizia di reato alla Procura della Repubblica attraverso vera e propria denuncia.

Sarà utile pertanto, affidarsi a due professionisti distinti: da un lato ad un Commercialista che possa valutare la correttezza delle richieste di pagamento ed eventualmente verificare la sussistenza di presupposti per sollevare contestazioni relative all’avviso dell’Ente Previdenziale.

Dall’altro lato, a fronte dell’apertura del procedimento penale, il datore di lavoro dovrà ricorrere ad un Avvocato penalista per valutare le strade più opportune da seguire.

Nella generalità dei casi non si avrà molto tempo a disposizione in quanto le Procure - essendo la prova del mancato pagamento ricavabile già dalla denuncia presentata dall’Ente Previdenziale – notificano all’imputato direttamente un decreto Penale di condanna, avverso il quale dovrà valutarsi con l’Avvocato penalista eventuale opposizione a decreto penale di condanna.

Poniamo delle domande.

Il pagamento parziale dei contributi o la mancata prova della spontaneità non comporterà una riduzione della condanna?

Potranno comunque essere valutate dal Giudice minori riduzioni attraverso la concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis Codice Penale.

Che accertamenti effettua il Pubblico Ministero prima di procedere alla contestazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Non è previsto un particolare onere probatorio, potendo il Pubblico Ministero semplicemente motivare l’imputazione attraverso il riferimento alla relazione redatta dagli agenti accertatori Inps ed alla denuncia inoltrata alla Procura delle Repubblica a firma del funzionario Inps. Incomberà poi al datore di lavoro dimostrare il contrario.

Che condanna prevede il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
L’articolo 2, comma 1-bis della Legge 11 Novembre 1983, n. 638’ prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino ad € 1032,91.

Che termine avrò per pagare i contributi senza che si apra il procedimento penale per i reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Il pagamento entro tre mesi dalla notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale (contenente la contestazione o l’avviso dell'avvenuto accertamento della violazione) estingue il reato. Pertanto l’Ente Previdenziale non inoltrerà la denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E se dimostro di non aver mai ricevuto notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale?
Sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento, sino a tre mesi dalla comunicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.  Secondo un orientamento ancor più garantista, invece, l’avviso è “presupposto” del reato, pertanto, non potrà essere sostituito dalla notificazione inerente il procedimento penale. Conseguentemente, in assenza della notificazione dell’avviso, il procedimento penale potrebbe essere chiuso per mancanza della condizione di procedibilità per il reato in questione.

E se le difficoltà economiche neppure hanno consentito di pagare lo stipendio ai dipendenti?
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, supportato da pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione Penale (sentenza 28/05-26/06/2003 Presidente Marvulli), il reato di omesso versamento di contributi previdenziali non sarebbe sussistente nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione al lavoratore e ciò alla luce di una interpretazione letterale della norma che parla di “ritenute” “operate” sulle somme dovute a titolo di stipendio. Conseguentemente, se lo stipendio non è stato ancora corrisposto, le “ritenute” non sarebbero ancora state “operate”.

E’ applicabile l’indulto al reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Sì, per i reati commessi prima del 2 Maggio 2006, potrà essere richiesta l’applicazione Indulto di cui alla legge n. 241/2006.

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali può essere attribuito a chi sia stato delegato a tale pagamento da parte del datore di lavoro (ad esempio il Commercialista)?
No, la responsabilità penale è riferita al datore di lavoro, ossia al titolare del rapporto di lavoro con i lavoratori, e, dunque, nelle società, al rappresentante legale (salvo che, in imprese di complessa organizzazione, egli fornisca la prova di aver delegato la gestione amministrativa di tale rapporto nelle forme e con i requisiti previsti per le deleghe di responsabilità).

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali sussiste in assenza di volontarietà dell’omissione?

Per la punibilità è sufficiente la coscienza e la volontà della omissione contributiva o della tardività del versamento (Dolo generico), che non viene esclusa per il solo fatto di aver demandato a terzi, anche professionisti in materia, l'incarico di provvedere, perché obbligato al versamento è il “titolare del rapporto di lavoro” e, come tale, deve vigilare affinché il terzo adempia alla obbligazione, di cui egli è l'esclusivo destinatario.

Le difficoltà economiche possono escludere il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
No, le difficoltà economiche non costituiscono causa di giustificazione del mancato versamento delle dovute ritenute previdenziali ed assistenziali INPS.

L’avviso di pagamento da parte dell’Ente Previdenziale contiene anche importi a titolo di mora e spese di recupero del credito; si estingue il reato di omesso versamento di contributi previdenziali pagando esclusivamente gli importi relativi i contributi.

No. Occorrerà provare il pagamento integrale, comprensivo di interessi moratori, spese di recupero del credito e sanzioni civili.

Può essere convertita la pena in multa?

Sì, nella maggioranza dei casi il procedimento penale viene definito attraverso la notifica di un decreto penale di condanna al datore di lavoro, comminante già la sanzione pecuniaria sostitutiva (che consegue, in ogni caso, all’accertamento della responsabilità penale).

Se effettuo il pagamento prima del giudizio, ma oltre i termini dei tre mesi concessi, potrà essere applicata l’attenuante del risarcimento del danno?

Solo se il pagamento è integrale (ossia rappresenta l'ammontare dei contributi, gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall'istituto per il recupero del credito) può essere valutato dal Giudice quale integrale risarcimento del danno. Tuttavia spesso viene chiesta l’ulteriore prova della “spontaneità” del pagamento – spontaneità esclusa dalla Giurisprudenza se la necessità di pagare è sorta al solo fine di affrontare il giudizio penale.

Se pago la multa del procedimento penale, non dovrò più corrispondere i contributi previdenziali?

No, dovrò pagarli ugualmente all’Ente Previdenziale. Trattandosi di procedimenti distinti (da un lato penale e dall’altro amministrativo) le due sanzioni pecuniarie coesistono, essendo di natura differente.



domenica 1 dicembre 2013

Programma Erasmus fondi per il periodo 2014-2020



Sono passati più di venticinque anni da quando un primo manipolo di circa tremila studenti europei andava a studiare in un altro Paese della Comunità con il Programma Erasmus.

Stanziati fondi per 14 miliardi fino al 2020. La meta più gettonata resta la Spagna. Oltre 23 mila italiani si sono spostati nell’ultimo anno. Dal 2014 al 2020 sono stati stanziati ben 14 miliardi di euro per finanziare gli studenti che intendono approfondire all’estero i propri studi, si tratta del 40% di fondi in più rispetto al precedente al 2007/2013.

Il programma Erasmus non solo riceve più fondi ma si semplifica e guarda con più attenzione all’occupazione giovanile. E nel momento in cui 5,6 milioni di under 25enni del Vecchio continente non hanno un lavoro.

Erasmus, si cambia nella dotazione finanziaria. Negli obiettivi. A deciderlo, in seduta plenaria, sono stati gli europarlamentari. Per il periodo 2014-2020 il pacchetto che permetterà a cinque milioni di giovani dai 13 ai 30 anni di studiare all’estero si chiamerà Erasmus+. Un «marchio» - come lo chiama l’europarlamentare tedesca Doris Pack - che unifica le diverse facce del programma: il più famoso «Erasmus» (rivolto agli studenti universitari), poi «Erasmus Mundus» (per i ragazzi dei Paesi terzi), «Comenius» (per gli alunni delle scuole superiori), «Leonardo da Vinci» (per chi vuole fare gli stage), «Groundtvig» (per gli adulti) e le diverse iniziative per l’interscambio.

Al suo interno è previsto anche l’avvio di un sistema di prestiti agevolati da 12 a 18 mila euro per chi vuole fare un master (di uno o due anni) all’interno dell’Unione europea. E ancora: borse di studio per giovani, insegnanti e apprendisti, fondi per la formazione nel settore sportivo e per il sostegno di associazioni e Ong.

La maggior parte del budget sarà destinato ai settori «Istruzione» e «Formazione» (77,5 per cento), un decimo alla voce «Gioventù», il 3,5 per cento alla novità dei prestiti d’onore per i laureati in mobilità (il «Loan guarantee facility») e l’1,8 per cento, pari a 265 milioni di euro, allo sport. Il tutto su una realtà che quest’anno ha superato i tre milioni di studenti che hanno preso parte dal suo avvio, nel 1987, quando i «pionieri» erano soltanto 3.244. Nel 2011-2012, l’ultimo dato disponibile, in 253 mila hanno trascorso un periodo di studi (l’81 per cento circa) in uno degli atenei europei o hanno effettuato un tirocinio. In media, calcola la Commissione europea, ogni ragazzo in Erasmus ha ricevuto un sussidio mensile di 252 euro.

Nell’ultimo anno accademico disponibile sono stati 23.377 gli italiani che sono andati all’estero, il 6,1 per cento in più rispetto al 2010-2011. Nulla in confronto al +61,8 per cento dei giovani croati o al +19,8 per cento dei danesi. In Europa siamo quarti, per numero, dopo Spagna (quasi 40 mila), Germania e Francia (oltre 33 mila). Nessuna traccia dell’Italia nemmeno nel podio dei Paesi più «gettonati». Stravince la Spagna con quasi 40 mila studenti accolti, seguita da Francia (quasi 29 mila) e Germania (poco meno di 28 mila). Nelle nostre università hanno studiato poco più di ventimila europei. Il primo ateneo che spezza l’egemonia degli iberici è quello di Bologna, quinto, con 1.693 ragazzi. Ai primi quattro posti si piazzano le Università di Granada, Siviglia, Madrid e Valencia. «Abbiamo migliorato il vecchio programma», esulta Doris Pack. L’eurodeputata , dopo aver precisato che Erasmus+ «non rappresenta una soluzione al problema della disoccupazione», sottolinea che «parlare più lingue, avere un’istruzione e capacità varie - soprattutto nel settore tecnologico - significa aumentare le possibilità di trovare un lavoro, anche al di fuori del proprio Paese».

I cambiamenti, però, non riguarderanno soltanto il mondo delle Università, Erasmus+ cercherà di convogliare tutti i «precedenti meccanismi europei incentrati sull'educazione, la formazione, la gioventù e lo sport» in un unico grande progetto, inglobando, tra gli altri, tutti i progetti attivi all’interno del Lifelong Learning Program (Erasmus, Leonardo, Comenius, Grundtwig,Trasversale, Jean Monnet), i progetti attivi nell’ Youth in Action e cinque piani di cooperazione internazionale.

Tra le maggiori novità che saranno introdotte è previsto il finanziamento di stage a sostegno anche degli under 30 non iscritti all’Università, i quali potranno oltretutto usufruire di un microcredito riservato alla concessione di prestiti tra i 12 e 18 mila euro, disponibili, nel caso in cui intendessero partecipare a master fuori dai confini nazionali.

Contestualmente, sarà allargato, a 30 Paesi, il campo delle possibili destinazioni di studio, con l’aggiunta di mete come Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Turchia, Croazia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia.

Un anno dopo aver corso il rischio di una possibile estinzione, Erasmus, dunque, si rilancia, investe ed estende i propri confini anche fuori dall’Unione Europa.



Apprendistato con formazione sia interna che esterna




L’apprendistato secondo la riforma del mercato del lavoro è visto come principale strumento per lo sviluppo professionale del lavoratore, individuando tale istituto come la «modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro».

L’apprendistato è, senz’altro, una risorsa strategica per i giovani e per gli imprenditori. Questo tipo di formazione professionalizzante prevede la possibilità di erogazione di particolari moduli di formazione all’interno dell’azienda o al suo esterno, presso società o enti di formazione accreditati.

Le regole per la formazione degli apprendisti sono un tema ancora poco compreso dal mercato del lavoro. Per i tanti interventi normativi degli ultimi anni, è molto diffuso il convincimento che questa parte del rapporto sia molto complessa. In realtà la complessità è minore di quanto si creda. Un apprendista assunto con il contratto professionalizzante deve oggi seguire la formazione secondo le regole previste dal contratto collettivo, che individua durata, contenuti e modalità del percorso.

Le Regioni hanno un ruolo solo di sostegno: se riescono, possono organizzare una formazione di base, aggiuntiva rispetto a quella aziendale. Ci sono quindi due canali, uno certo (la formazione aziendale, regolata dal Ccnl) e uno eventuale (la formazione pubblica, erogata dalle Regioni). Questa formazione è stata disciplinata dalle linee guida definite il 17 ottobre scorso dalla Conferenza Stato Regioni, e in attesa di approvazione definitiva (la prossima seduta della Conferenza è fissata al 5 dicembre), per tutti gli apprendisti assunti con contratto professionalizzante.

Secondo le linee guida, l'offerta formativa pubblica è obbligatoria solo se è disciplinata come tale nell'ambito della regolamentazione regionale, anche attraverso specifici accordi, ed è realmente disponibile per l'impresa e per l'apprendista. Se manca questo requisito, la formazione trasversale è comunque obbligatoria, se viene definita come tale dalla disciplina collettiva applicabile al rapporto.

 La formazione pubblica ha una durata variabile in funzione del titolo di studio dell'apprendista al momento dell'assunzione. Le linee guida regionali prevedono un totale di 120 ore di formazione nel triennio, per gli apprendisti senza un titolo di studio, o in possesso di licenza elementare o della sola licenza di scuola media. Il periodo scende a 80 ore, sempre nel triennio, per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola superiore o di qualifica o diploma di istruzione e formazione professionale, e scende ancora a 40 ore totali nel triennio , per gli apprendisti che hanno una laurea o un titolo equivalente.

La durata può essere ulteriormente ridotta per gli apprendisti che hanno già completato, in precedenti rapporti di apprendistato, uno o più moduli formativi; la riduzione oraria del percorso coincide con la durata dei moduli già completati. Le linee guida definiscono anche i contenuti del percorso di formazione pubblica, che deve avere, indicativamente, come oggetto una o più competenze predefinite, che vanno dalla sicurezza sul lavoro alle nozioni sulla legislazione del lavoro. Le semplificazioni già in vigore L'intesa conferma poi le innovazioni previste dal Dl 76/2013, e già entrate in vigore. Il piano formativo individuale è obbligatorio soltanto per la formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.

In secondo luogo, l'impresa è tenuta a registrare sul libretto formativo del cittadino la formazione effettuata e la qualifica professionale eventualmente acquisita dall'apprendista ai fini contrattuali, e in mancanza viene usato il modello approvato con il decreto del ministro del Lavoro del 10 ottobre 2005 (ma viene fatta salva la possibilità di utilizzare la modulistica adottata dal contratto collettivo applicato). Infine, le imprese che hanno sedi in più Regioni, per l'offerta formativa pubblica possono adottare la disciplina della Regione dove si trova la sede legale.

Il contratto di apprendistato consente ai giovani di fare il primo passo nella mercato del lavoro sotto la guida e la supervisione di occhi esperti. Si tratta di una formula rivolta ai giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, che delega all’azienda responsabile dell’assunzione il compito di monitorare e migliorare la formazione dell’apprendista attraverso un insegnamento di tipo pratico, tecnico-professionale.

I giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni possono essere assunti in tutti i settori di attività, siano essi pubblici o privati, con un contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, con la finalità di conseguire una qualifica pienamente spendibile sul mercato del lavoro.

La formazione interna ed esterna prevista dal contratto di apprendistato è definita dalla regolamentazione regionale ed è finalizzata all’acquisizione delle competenze base e trasversali. Si affianca alla formazione sul campo, le cui specifiche sono definite dalla contrattazione collettiva ed è utile all’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.

Nell’ambito della formazione per le competenze base e trasversali:

La formazione interna in apprendistato – è la formazione definita dalle Regioni, ma che viene gestita all’interno dell’azienda nella quale lavora l’apprendista. Il soggetto responsabile della formazione è il datore di lavoro. Questo tipo di formazione non è finanziata con risorse pubbliche.

La formazione esterna in apprendistato – è la formazione definita dalle Regioni e finanziata con fondi pubblici (nei limiti delle risorse disponibili). Questo tipo di formazione è a carico degli enti di formazione accreditati.




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