venerdì 21 marzo 2014

Contratti a termine e apprendistato, prevale il consenso fra gli addetti



«Se le regole non creano lavoro è vero che avere una buona regolamentazione del mercato del lavoro aiuta, è una buona cosa»: è il messaggio lanciato dal Forum della Confcommercio in corso a Cernobbio nel giorno dell'entrata in vigore del Decreto legge sul rilancio dell'occupazione (il dl n.34) dal ministro del Lavoro.

Giuliano Poletti, che in vista dell'avvio dell'esame da parte della Camera che inizierà la prossima settimana, aggiunge: «Il Governo monitorerà il passaggio parlamentare del decreto lavoro ma è pronto ad apportare modifiche se verrà dimostrato che le misure non funzioneranno». Lo scenario economico continua a destare preoccupazione, «nel 2014 avremo ancora problemi acutissimi di disoccupazione, la crisi non ha ancora scaricato tutti i suoi effetti», secondo il ministro «siamo in una sorta di terra di mezzo», ci vorrà ancora tempo per vedere gli effetti.

Poletti invita ad avere un approccio pragmatico, non ideologico, sul provvedimento, sottolineando che «il punto di partenza è il dato che negli ultimi tre mesi del 2013 gli avviamenti al lavoro sono stati al 68% con contratti a termine», per concludere: «noi rispondiamo dal 68% in su, le valutazioni di merito bisogna farle partendo da questi dati di realtà». Le critiche per il ministro «sono fisiologiche, è normale avere opinioni diverse, io ascolto, verifico, discuto e metto in campo le mie ragioni ma sono pronto a cambiare se i fatti dimostreranno che quello che ho fatto non va bene».

Il 44% dei direttori del personale si dichiara «del tutto d'accordo» con l'efficacia dell'estensione da 12 a 36 mesi della durata del contratto a tempo determinato "acausale", che cancella l'obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo dell'assunzione. Il 43% si dice «d'accordo in parte».

Lo rivela un sondaggio del centro studi e ricerche Bachelor, pubblicato nello stesso giorno in cui entrano in vigore le novità del decreto legge numero 34 con le disposizioni per favorire il rilancio dell'occupazione e la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Prevalgono dunque i giudizi positivi sulle misure sui contratti a termine che complessivamente raggiungono l'87% del campione di direttori del personale interpellato, mentre il 9% si dice «non molto d'accordo» sull'efficacia della norma, il 3% «per niente» e l'1% «non sa». Anche tra i giovani laureati i favorevoli sono più numerosi dei contrari, anche se ad essere «pienamente d'accordo» è solo l'8%, i«parzialmente d'accordo» raggiungono il 51%, a dirsi «non molto» d'accordo il 26%, il 12%«per niente» e il 3% non sa.

Incassa la maggioranza dei consensi anche la semplificazione dell'apprendistato, oggetto del sondaggio svolto dal centro Bachelor tra il campione composto da 100 direttori di imprese di medie-grandi dimensioni del settore privato e da 500 laureati da meno di 3 anni, su tutto il territorio nazionale. Alla domanda se si ritiene efficace il provvedimento che «prevede meno vicoli per le imprese, compreso l'obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne nuovi» il 47% dei direttori del personale si dice «del tutto d'accordo», il 41% «in parte d'accordo», il 9% «non molto» e il 3% «non sa». Prevalgono i giudizi favorevoli anche tra i giovani laureati: il 44% è «in parte d'accordo», il 21% del tutto, il 20% non molto, il 15 per niente.

Il sondaggio riguarda anche la fiducia sulle politiche d'occupazione giovanile del governo Renzi, con il 67% dei direttori del personale che dichiara di avere «abbastanza fiducia» e il 16% si dice «molto fiducioso». Analoga la percentuale di chi «non ha molta fiducia» (16%), mentre solo l'1% non ripone alcuna speranza. Tra i giovani laureati il 50% degli intervistati è «abbastanza fiducioso», il 9% ha «molta fiducia», il 32% «non ha molta fiducia», il 9% non ne ha «per niente». Infine una domanda sull'annunciata riduzione del cuneo fiscale, i 10 miliardi che dovrebbero andare a beneficio dei lavoratori con stipendi netti fino a 1.500 euro al mese che a partire dalla busta paga di maggio dovrebbero avere un incremento di mille euro su base annua. Questa proposta piace molto al 38% dei direttori del personale e al 34% dei giovani laureati, abbastanza al 47% dei primi e al 53% dei secondi.

mercoledì 19 marzo 2014

Jobs Act e il mercato del lavoro cosa c’è da sapere



Fondi per favorire l’occupazione dei giovani, riforma della cassa integrazione, correzione dei meccanismi che regolano i contratti a tempo determinato e dell’apprendistato. Tutto per sbloccare l’asfittico mercato del lavoro. Il menu è ricco, e risponde al principio di concentrare le risorse su tutto quello che può essere di stimolo alla crescita e ridurre all’osso l’assistenza pura. 

Contratti a termine per tre anni senza l’obbligo di inserire la causale e apprendistato più semplice subito con un decreto legge. E poi, con un disegno di legge delega, un «codice» semplificato del lavoro e un assegno universale di disoccupazione, l’addio alla cassa integrazione in deroga insieme alla riduzione dei contributi ordinari per tutti ma l’aumento per chi li utilizza di più la cig. Ecco, in sintesi, le misure contenute nel Jobs Act di Renzi.

Contratti a termine 

Per il contratto a termine viene elevata da 12 a 36 mesi la durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della cosiddetta causalità (il motivo dell’assunzione), fissando il limite massimo del 20% per l’utilizzo.

Proroghe più semplici 

Inoltre c’è la possibilità di prorogare i contratti a termine più volte, mettendo così fine alla «tortura», come l’ha definita Poletti, delle interruzioni

Apprendistato 

Più semplificazione anche per l’apprendistato, prevedendo meno vincoli. Dunque senza l’obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne di nuovi. 

Retribuzione 

La retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, è pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento.

Garanzia universale 
Il sussidio è inserito nel secondo braccio, cioè nel ddl delega. Ci vorranno almeno sei mesi. Assorbirà Aspi e mini Aspi e sarà «graduato in ragione del tempo in cui la persona ha lavorato». La cig in deroga andrà verso l’esaurimento.

Cassa integrazione 
Nel ddl delega si mantengono la cig ordinaria e straordinaria, introducendo però un «meccanismo premiante»: si abbassa il contributo di tutti ma si alza usa di più la cassa.

Meno forme contrattuali 
Il documento del governo prevede un riordino delle forme contrattuali: al momento sono 40, l’obiettivo è snellirle di molto

Tutele crescenti 
Questo snellimento potrà passare, tra l’altro, attraverso l’introduzione «eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti»

Smaterializzazione del Durc 
Sul fronte della semplificazione è prevista la smaterializzazione del Durc. Un intervento importante in considerazione del fatto che nel 2013 i Durc presentati sono stati circa 5 milioni

Garanzia giovani 
Parte dal primo maggio e riguarderà una platea potenziale di 900 mila persone con risorse per 1,5 miliardi.

In prima fila, naturalmente, ci sono i giovani che non hanno ancora avuto accesso al mercato del lavoro: per loro arriva la prima applicazione pratica della garanzia giovani europea, con uno stanziamento robusto: 1,7 miliardi che serviranno per offrire a tutti i giovani tra i 18 e i 29 anni un’occasione di lavoro o la possibilità di continuare gli studi. I servizi saranno disponibil grazie a un portale internet Garanzia giovani. Ha spiegato il ministro Giuliano Poletti «nessun italiano deve restare a casa ad aspettare, tutti devono avere un’occasione o un’occupazione. Essere inutili è una condanna ingiusta».

I benefici dovrebbero andare a tutto l’universo del lavoro precario, di quello in difficoltà e di quello che ancora non si trova. Così un decreto legge cambia le regole dei contratti a termine, che potranno durare tre anni senza l’obbligo di indicare una causale (il motivo dell’assunzione, fonte di complicazioni burocratiche) e l’apprendistato semplice. Accanto al decreto, un disegno di legge delega porterà alla scrittura di un codice semplificato del lavoro, introdurre un assegno di disoccupazione universale e dare l’addio alla cassa integrazione in deroga. Insieme con una riduzione dei contributi ordinari per tutti bilanciata da aumenti per chi invece usa di più la cassa. È il Jobs Act: dovrebbe favorire il rilancio dell’occupazione e di riformare gli ammortizzatori sociali.

Parola d’ordine, semplificazione. La possibilità di rinnovare più volte i contratti a termine dovrebbe mettere fine alla «tortura» - così l’ha definita Poletti - delle interruzioni. È «un buon modo per chi vuole assumere». Anche nell’apprendistato, ci saranno meno vincoli: niente obbligo, per assumere nuovi apprendisti, di confermare i precedenti. Per i disoccupati arriverà invece un trattamento universale, in cui confluiranno Aspi e mini Aspi: un assegno che sarà proporzionale alla durata dell’impiego che lo ha preceduto. 

Infine i servizi e le politiche attive per il lavoro, da rafforzare, e gli adempimenti, da ridurre. E il riordino delle forme contrattuali, che oggi sono circa 40. L’operazione di sfrondamento potrà passare, anche attraverso l’introduzione «eventualmente, in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti» e, anche questo «eventualmente in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali».

Nuovo contratto unico: indeterminato ma in prova per tre anni



La riforma del lavoro che il nuovo governo si appresterebbe a varare ha al centro un nuovo contratto unico di inserimento. Ancora da precisare in molti dettagli decisivi, ma con alcuni caratteri già definiti. Il primo: essere limitato a una certa fascia di età, probabilmente al di sotto dei 34 anni, per favorire l’impiego dei giovani. Il secondo: la tipologia a tempo indeterminato, con la possibilità però per le aziende di interrompere il rapporto nei primi tre anni a fronte di un indennizzo economico proporzionato al lavoro svolto. In pratica, verrebbe temporaneamente sospesa l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegra nel posto di lavoro per i licenziamenti privi di giustificazione.

L’ipotesi è quella prevista dal Jobs Act: contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, ossia senza la protezione dell’articolo 18 (reintegro) per il primo periodo di assunzione. In pratica, è come se l’attuale periodo di prova, in genere di pochi mesi, fosse esteso a qualche anno, per dare al datore di lavoro il tempo di valutare il rapporto costi/benefici dell’assunzione garantendo però alla fine un contratto stabile al dipendente. Al momento si parla di tre anni.

E le altre forme contrattuali oggi utilizzate? Si parla di contratto unico a tempo indeterminato ma a conti fatti sembra più una riforma di quello attuale, visto che non soltanto rimarrà anche il contratto a tempo determinato – si ipotizza per i contratti a termine una estensione a 36 mesi del periodo di assunzione senza causale (attualmente un anno) – ma rimarrà anche quello da co.co.pro. A confermarlo è la riforma degli ammortizzatori sociali allo studio, che per l’appunto medita di estendere il sussidio di disoccupazione anche a queste figure.

Si pensa di garantire un trattamento massimo di due anni anche ai collaboratori a progetto. Per questo scopo servono 9,5 miliardi che teoricamente ci sarebbero: l’ipotesi è di sommare ai 7,1 mld già erogati per ASPI e Mini ASPI i 2,4 mld per gli ammortizzatori in deroga visto che, nonostante la Legge Fornero li preveda fino al 2018, sarebbero sostituiti dal nuovo sussidio. In pratica resterebbe la cassa integrazione ordinaria (destinata a sostenere le aziende in difficoltà con un piano per uscire dalla crisi), mentre verrebbe ridotta la cig in deroga (magari attraverso un meccanismo graduale). Su questo punto si servirà un confronto con le parti sociali, sindacati in primis. Ricordiamo che all‘attuale ASPI hanno diritto i dipendenti anche a tempo determinato per 12-18 mensilità a seconda dell’anzianità lavorativa. I co.co.pro non vi accedono ma percepiscono indennità in base a contributi versati e ai minimali annui (massimo 6mila euro per sei mesi di lavoro).

La scelta di orientarsi verso un contratto unico – nelle diverse declinazioni messe a punto da Pietro Ichino e da Tito Boeri e Pietro Garibaldi  intende rispondere da un lato al dramma di una disoccupazione giovanile oltre il 40% e dall’altro al fenomeno del precariato, cercando di indirizzare le assunzioni verso un unico canale a tempo indeterminato. Secondo l’ultimo monitoraggio dei flussi occupazionali, infatti, i contratti “standard” sono calati ad appena il 15,4% delle assunzioni, il 5,9% sono le collaborazioni a progetto, mentre la gran parte delle assunzioni, il 69,3%, avviene con contratti a termine (in realtà, in un anno si ripetono molte più assunzioni a tempo anche sulla stessa persona e dunque il loro peso nei flussi è percentualmente assai più rilevante di quanto non siano in realtà i lavoratori temporanei sul totale degli occupati, circa il 15%).



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