domenica 28 dicembre 2014
Cassa integrazione a chi si applica, importo e durata
La legge prevede due tipi di cassa integrazione, quella ordinaria e quella straordinaria.
La prima riguarda i lavoratori dell'industria (esclusi i dirigenti) e può essere disposta nel caso di contrazione o sospensione dell’attività produttiva, derivante o da eventi aziendali transitori, non imputabili al datore di lavoro né ai lavoratori, o da situazioni temporanee di mercato. In presenza di un caso come quelli indicati, il datore di lavoro può decidere di sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, rivolgendo un'istanza all'INPS al fine di ottenere l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria.
Quest’ultima può essere concessa per un periodo massimo di 3 mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino a un limite massimo complessivo di 1 anno. In ogni caso, la sospensione, anche se non consecutiva, non può superare i 12 mesi in un biennio.
La cassa integrazione salariale straordinaria viene invece concessa nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale; di crisi aziendale di grande rilevanza sociale; di fallimento o altre procedure concorsuali, purché non continui l’attività. Come si vede, in questo caso – e a differenza della cassa ordinaria – il provvedimento può essere adottato a fronte di situazioni di crisi di presumibile durata anche lunga, ma anche nel caso in cui la contrazione dell’attività dipenda dalla semplice decisione del datore di lavoro di riorganizzare o ristrutturare la propria attività, a prescindere dal fatto che ciò sia imposto da una crisi.
Qualora ricorra un’ipotesi come quelle sopra descritte, dunque, il datore di lavoro può sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, previa autorizzazione del ministro del lavoro.
La sospensione straordinaria può essere disposta entro limiti temporali diversi a seconda della causa che l’ha determinata: 2 anni, prorogabili per altri 2, per le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali; 12 mesi in caso di crisi aziendale; 12 mesi, prorogabili per altri 6, quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività, in caso di procedure concorsuali. La Cassa integrazione guadagni non può comunque protrarsi complessivamente per più di 36 mesi nel quinquennio.
La cassa integrazione straordinaria si applica ai lavoratori (esclusi i dirigenti) che abbiano maturato un'anzianità aziendale di almeno 90 giorni.
Secondo la definizione dei tecnici dell’Inps «la Cigs è una prestazione economica erogata per fare fronte a gravi situazioni di eccedenza occupazionale che potrebbero portare a licenziamenti di massa». Il suo terreno di applicazione, al contrario della cassa integrazione ordinaria (a cui si ricorre per problemi temporanei, come un calo inaspettato della domanda o l’inutilizzabilità di un macchinario), è rappresentato dalle situazioni straordinarie, che possono dipendere da problemi della singola azienda, come pure del suo settore merceologico o di un’intera economia, come sta accadendo di fatto per la gran parte delle richieste dal 2008 a oggi.
A chi si applica?
Per accedere alla cassa integrazione straordinaria sono necessari requisiti precisi che riguardano tanto i lavoratori quanto le aziende. Ne hanno diritto: operai, quadri, dipendenti o soci di cooperative di produzione e lavoro, poligrafici e giornalisti con un rapporto di lavoro subordinato da almeno 90 giorni, le cui imprese abbiano occupato in media nei sei mesi precedenti più di 15 dipendenti. Ne sono espressamente esclusi i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio.
Sono ammesse al trattamento le seguenti tipologie di aziende: industriali, edili, cooperative agricole, artigiane (il cui fatturato nel biennio precedente sia dipeso per almeno il 50 per cento da un solo committente destinatario di Cigs),aziende appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione le cui imprese committenti siano interessate da Cigs, imprese editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa a diffusione nazionale (per cui non vale il limite minimo dei 15 dipendenti), nonché le imprese commerciali con più di 200 dipendenti.
Quanto incassa il lavoratore?
L’indennità è pari all’80 per cento della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito lavorando, fino a un massimo di 40 ore settimanali, e comunque al di sotto di un tetto di retribuzione mensile stabilito di anno in anno. L’importo è inoltre decurtato del 5,84 per cento (pari all’aliquota contributiva prevista a carico degli apprendisti).
Quanto dura?
La durata cambia a seconda della motivazione con cui si chiede la cassa integrazione straordinaria. Ne esistono tre tipologie diverse: 1) nei casi in cui la Cigs è richiesta per «riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale» può durare 24 mesi, prorogabili di 12 mesi per due volte con due provvedimenti distinti; 2) se la motivazione è «crisi aziendale» la durata massima è 12 mesi, prorogabili per un altro anno; 3) per «procedure esecutive concorsuali» l’assegno viene erogato per 12 mesi con una sola proroga possibile di sei mesi.
Chi la paga?
Gli assegni sono pagati dallo Stato, che li eroga attraverso l’Inps; a sua volta l’Inps riceve i versamenti delle imprese(tutte quelle che hanno le caratteristiche per usufruire della cassa straordinaria) nella misura dello 0,90 per cento delle retribuzioni mensili (lo 0,30 per cento a carico dei lavoratori e lo 0,60 per cento a carico dei datori di lavoro). In anni normali il saldo è in genere positivo, senza oneri per le casse pubbliche, ma le cose cambiano durante le crisi economiche.
Nel corso del 2010 la cassa integrazione guadagni straordinaria (comprensiva della cassa integrazione in deroga che il governo ha aggiunto nel 2009 per imprese e lavoratori che non ne avrebbero avuto diritto secondo la norma) è costata all’Inps 2,8 miliardi di euro, che sommati al saldo negativo dell’anno precedente e a quello (al momento solo stimato) del 2011 produce un onere totale di oltre 6 miliardi di euro.
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Quando può essere disposta la cassa integrazione?
La cassa integrazione guadagni (CIG), istituita è una prestazione economica erogata dall’INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto.
Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.
L’importo che viene corrisposto è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.
La CIG può durare al massimo 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi; in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.
Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).
La Cassa è alimentata dai seguenti contributi:
contributo ordinario a carico delle imprese pari all’1% della retribuzione (0,75% nel caso di imprese con meno di 50 dipendenti);
contributo addizionale per le imprese che usufruiscono della CIG, dell’8% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (4% per le imprese con meno di 50 dipendenti);
contributo a carico dello Stato.
Gli eventi temporanei, previsti per l’applicazione, devono avere le seguenti caratteristiche:
rientrare nell’ambito aziendale;
non essere causati né dall’imprenditore né dal lavoratore;
essere involontari e transitori;
prevedere la ripresa certa del normale ritmo produttivo.
L’integrazione salariale ordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.
Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria
Soggetti interessati:
Operai, impiegati e quadri delle imprese industriali in genere.
Presupposto: Sospensione o riduzione dell’attività produttiva a causa di:
situazioni aziendali dovute ad eventi temporanei e non dovute all’imprenditore o ai lavoratori;
situazioni temporanee di mercato.
Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.
Durata massima: 13 settimane
più eventuali proroghe fino a 12 mesi;
in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.
La cassa integrazione guadagni straordinaria
Non tutte le situazioni problematiche delle aziende sono gestibili mediante l’attivazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e per questo è stata istituita con legge 5 novembre 1968, n. 1115, la cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS). Lo scopo è di far fronte a durevoli eccedenze del personale di tipo strutturale, causate da crisi economiche settoriali o locali o ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali.
A differenza del trattamento ordinario, che interviene in situazioni congiunturali e risolvibili nel breve periodo, la CIGS è uno strumento di politica industriale finalizzato a una graduale eliminazione di personale in esubero, evitando le ripercussioni traumatiche sul piano sociale provocate dai licenziamenti collettivi. L’utilizzo di tale strumento precede, molto spesso, il ricorso alla procedura di messa in mobilità.
Come funziona la CIGS
La CIGS è valida sull’intero territorio nazionale.
L’importo da corrispondere ai lavoratori è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.
Può durare al massimo:
12 mesi in caso di crisi aziendali;
24 mesi in caso di riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.
Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).
Il finanziamento della CIGS proviene da:
contributo ordinario a carico delle imprese, pari allo 0,6% della retribuzione;
contributo ordinario a carico del lavoratore, pari allo 0,3% della retribuzione;
contributo addizionale a carico delle imprese che si avvalgono della CIGS, pari al 4,5% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (3% per le imprese con meno di 50 dipendenti).
L’intervento straordinario di integrazione salariale può essere concesso per le seguenti cause:
ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale;
crisi aziendale;
fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria senza continuazione dell’esercizio di impresa, amministrazione straordinaria con continuazione dell’esercizio di impresa;
contratto di solidarietà.
L’integrazione salariale straordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.
I contratti di solidarietà
L’ art. 1 della legge 19 dicembre 1984, n. 863, ha inoltre istituito una nuova forma di intervento di CIGS applicabile a seguito della stipula di contratti di solidarietà.
Si tratta di contratti collettivi aziendali che realizzano forme di solidarietà tra lavoratori attraverso la riduzione dell’orario di lavoro, il cui onere è parzialmente o totalmente a loro carico.
In questo caso il trattamento di integrazione salariale è pari al 50% della retribuzione persa a causa della riduzione di orario e viene corrisposto al massimo per 24 mesi, termine che può essere ulteriormente prorogato per un massimo di 36 mesi nel Mezzogiorno e di 24 mesi nelle altre aree.
L’applicazione dei contratti di solidarietà non procura danni al lavoratore né sulla maturazione e l’ammontare della pensione, né sul trattamento di fine rapporto (liquidazione).
Presupposto:
Sospensione dal lavoro o riduzione di orario ridotto a causa di:
crisi economiche settoriali o locali;
ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali;
procedure concorsuali che interessino l’azienda.
Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.
Durata massima:
12 mesi per le crisi aziendali;
24 mesi per la riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.
L’indennità di mobilità, un’impresa può avviare le procedure di mobilità se, durante l’attuazione del programma di trattamento straordinario di integrazione salariale, ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative.
Per i primi 12 mesi l’importo erogato corrisponde al 100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento; per i periodi successivi si riduce all’80% dello stesso importo.
In ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.
È possibile usufruire di tale indennità per un periodo massimo che varia nel modo seguente:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; oltre 50);
nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.
Destinatari dell’indennità sono i lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di:
esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;
licenziamento per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;
licenziamento per cessazione dell’attività da parte dell’azienda.
I requisiti richiesti ai lavoratori per poterne usufruire sono i seguenti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;
anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;
6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.
L’azienda, per individuare i lavoratori da collocare in mobilità, deve rispettare i criteri individuati dai contratti collettivi stipulati con i sindacati, se esistono; altrimenti deve seguire i seguenti criteri (non alternativi tra loro):
carichi di famiglia;
anzianità;
esigenze tecnico-produttive e organizzative.
Indennità di mobilità
Soggetti interessati:
lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;
lavoratori licenziati per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;
lavoratori licenziati per cessazione dell’attività dell’azienda.
Requisiti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;
anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;
6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.
Importo:
100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento per i primi 12 mesi;
80% del predetto importo per i periodi successivi;
in ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.
Durata massima:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; superiore a 50);
nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.
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Licenziamenti collettivi cosa cambia dal 2015
Si parla di licenziamento collettivo per indicare l'ipotesi nella quale una impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell'attività, effettua una importante riduzione del personale. I licenziamenti collettivi sono possibili soltanto in casi specifici individuati dalla legge e unicamente dopo la conclusione di un complesso procedimento al quale prendono parte anche le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro non è libero nella scelta dei lavoratori da licenziare dal momento che la legge stabilisce dei criteri ai quali questo deve attenersi nel predisporre la lista dei dipendenti interessati.
Il licenziamento collettivo (o più correttamente la procedura di mobilità) è il fenomeno per il quale una impresa opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge.
La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando:
sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale come la Cassa Integrazione e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non potere utilizzare misure alternative;
l’impresa (che ha più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti) decide di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.
I licenziamenti collettivi sono disciplinati dalla legge 223 del 1991 e scattano quando l’impresa intende effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o più unità produttive nell’ambito della stessa provincia. Attualmente, in base alla 223,esistono due differenze regimi sanzionatori in caso di licenziamento illegittimo. Se si violano i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare l’impresa è punita con la reintegrazione (risarcimento fino a dodici mesi). Per tutti gli altri casi di errori nella procedura è previsto il pagamento di un indennizzo.
Con le nuove regole in via di approvazione in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario. In questo modo ci saranno sanzioni monetarie (e non la reintegra) in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta,quando a essere irregolarmente licenziati, nel quadro di una riduzione del personale, sono dipendenti assunti con il contratto a tutele crescenti.
La novità predominante è che i lavoratori licenziati collettivamente si applicherà il contratto di ricollocazione, e pertanto anche loro avranno diritto ad avere assistenza presso i centri per l’impiego e ottenere il voucher da spendere per trovare un nuovo impiego.
Le modifiche non riguardano invece i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c’è un’eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se “veterani”. Ciò ricordando che l’articolo 18 sinora non è mai stato applicato alle piccole imprese.
La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale” (deve dunque avere concretezza) è dimostrato insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che infatti danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio della Cna sottolineano che «rende i contratti più stabili». Rimane la possibilità di percorre la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse.
Un articolo del decreto è poi riservato appunto ai licenziamenti collettivi: anche per questi scatta l’indennizzo se vengono vìolate le procedure che regolano lo strumento.
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