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sabato 3 giugno 2017

Tirocini, linee guida per il 2017



La conferenza Stato Regioni permette l'utilizzo tirocini extracurricolari in misura maggiore, in caso di assunzioni dei partecipanti precedenti.

Si conferma il divieto di attivazione per i datori di lavoro che abbiano fatto licenziamenti nei 12 mesi precedenti

E possibile  attivare tirocini in presenza di contratti di solidarietà espansivi, ossia per le imprese che riducono l’orario di lavoro o la retribuzione per riorganizzazioni finalizzate allo sviluppo dell’azienda.

Restano invariati i limiti precedenti:
un tirocinio per datori di lavoro fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato,

2 tirocinanti per quelli tra 6 e 20 dipendenti e

del 10% per quelli con più di 20 dipendenti, sempre a tempo indeterminato,

Tirocini nelle imprese che applicano i contratti di solidarietà espansivi, incentivi per l’assunzione al termine del percorso, durata minima due mesi: sono alcune novità emerse dalle linee guida approvate dalla Conferenza Stato Regioni per i tirocini extra-curriculari (non i periodi di lavoro formativi, di competenza di scuole e centri di formazione) e l’accesso alle professioni ordinistiche, ai sensi dell’articolo 1, commi 34-36, della legge 28 giugno 2012, n. 92.

Confermato il minimo di 300 euro lordi al mese per l’indennità, che le Regioni possono aumentare. Viene riconosciuta a fronte di una partecipazione minima pari almeno al 70%.

Il tirocinio dura al massimo 12 mesi, è stato però introdotto il limite minimo di 2 mesi, che si riduce a un mese nel caso di lavori stagionali. Comunque sia, la durata del tirocinio è indicata nel piano formativo individuale e deve essere congrua rispetto agli obiettivi di formazione. Il tirocinante ha diritto alla sospensione dello stage in caso di maternità, infortunio, malattia di lunga durata, periodi di chiusura aziendale oltre i 15 giorni.

Niente tirocini se ci sono in corso procedure di cassa integrazione nelle medesime unità produttive e niente stage per i datori di lavoro che abbiano effettuato licenziamenti nei 12 mesi precedenti all’attivazione o per svolgere le stesse mansioni del personale che ha lasciato l’azienda

nel caso di licenziamenti collettivi,

per giustificato motivo oggettivo,

per superamento del periodo di comporto,

per mancato superamento del periodo di prova,

per fine appalto

nel caso di risoluzione del rapporto di apprendistato per volontà del datore di lavoro, al termine del periodo formativo.

E’ invece esplicitamente previsto che si possano attivare tirocini nelle imprese che applicano contratti di solidarietà espansivi finalizzati all’incremento dell’occupazione.

Il numero massimo di tirocinanti cambia a seconda delle dimensioni aziendali:

imprese fino a cinque dipendenti: massimo un tirocinante;

imprese fra 6 e 20 dipendenti: due tirocinanti;

sopra i 20 dipendenti: il tetto è rappresentato dal 10% dei dipendenti.

Nelle imprese sopra i 20 dipendenti, le stabilizzazioni dei tirocinanti consentono di incrementare il numero degli stage attivabili, nelle seguenti misure:

un tirocinio se hanno assunto almeno il 20% dei tirocinanti dei 24 mesi precedenti;

due tirocini se hanno assunto il 50% (la metà dei tirocinanti);

tre tirocini se hanno assunto almeno il 75% dei tirocinanti;

quattro tirocini se hanno assunto tutti i tirocinanti dei 24 mesi precedenti.

Restano valide le fondamentali regole sul tirocinio, che viene svolto sulla base di apposite convenzioni, prevede un piano formativo, la presenza di un tutor e al termine un’attestazione dell’attività svolta.

Tra le novità, anche un chiarimento anti-sfruttamento: niente tirocini che coinvolgano professionisti abilitati o qualificati all’esercizio di professioni.

Come noto il tirocinio extracurriculare  richiede per l'attivazione una convenzione tra ente promotore e azienda ospitante,   cui va  allegato il piano formativo individuale del tirocinante. L’attività di quest’ultimo si deve svolgere sotto la supervisione e l’accompagnamento di due tutor: uno del promotore e l’altro dell’ospitante. Ogni tutor può seguire fino a 20 tirocinanti, ma  il limite può essere superato in caso di più tirocinanti presso la stessa azienda.

Per i tirocini in una Regione diversa da quella del promotore oppure in imprese  con molte sedi ,  la misura dell’indennità da considerare  è quella della Regione o della Provincia autonoma in cui ha la sede operativa o legale del  soggetto ospitante.

Infine, in materia di sanzioni sono confermate quelle già previste per l’omissione delle comunicazioni obbligatorie e per la mancato pagamento dell’indennità di partecipazione,  ma si  aggiunge in casi gravi  l’interdizione dall’attivazione di tirocini fino a un anno.




venerdì 16 settembre 2016

INPS: Fondo integrazione salariale, istruzioni e chiarimenti



Arrivano i chiarimenti dell'Inps sul Fondo di integrazione salariale, che ha sostituito  il Fondo di solidarietà residuale, strumento introdotto al posto del Fondo di solidarietà residuale dal decreto di riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali e destinato a tutelare il reddito dei lavoratori dipendenti delle imprese non soggette alla disciplina della cassa integrazione ordinaria e straordinaria.

In particolare, sono inclusi:

a i lavoranti a domicilio, dirigenti e gli apprendisti di qualunque tipologia;

i lavoratori part-time sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno;

i lavoratori intermittenti sono conteggiati in proporzione all'orario effettivamente.

i lavoratori ripartiti sono computati nell'organico aziendale come parti di un’unica unità lavorativa;

Rimane escluso il lavoratore assente ancorché non retribuito nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto un altro lavoratore;

In caso di oscillazione del numero delle unità occupate in più o fino a cinque, l'obbligo sussiste unicamente nel periodo di paga successivo al semestre nel quale sono stati occupati, in media, più di cinque dipendenti.

Con la circolare n. 176 del 9 settembre l’INPS illustra la disciplina del Fondo di integrazione salariale che, a decorrere da quest’anno, assicura una tutela in costanza di rapporto di lavoro ai dipendenti di datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali  non rientranti nell'ambito di applicazione della cassa integrazioni guadagni ordinaria e straordinaria e che non hanno costituito Fondi di solidarietà bilaterali a norma dell’art. 26 o fondi di solidarietà bilaterali alternativi a norma dell’art. 27 del citato D.L.vo n. 148/2015.

L’Inps ricorda che possono accedere alle prestazioni garantite dal Fondo:

dal 1 gennaio 2016 le imprese che risultavano già iscritte al Fondo residuale;

dal 14 aprile 2016 i datori di lavoro con più di quindici dipendenti non iscritti al Fondo residuale in quanto non organizzati in forma di impresa;

dal 1 luglio 2016 i datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque e sino a quindici dipendenti.

Va ricordato che sono destinatari delle prestazioni del Fondo di integrazione salariale i lavoratori con contratto di lavoro subordinato, ricompresi gli apprendisti con contratto di lavoro professionalizzante, con esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. Restano invece esclusi i lavoratori con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e i lavoratori con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca.

E’ importante segnalare inoltre che il decreto prevede un "tetto aziendale" , ossia un limite specifico di accesso per ciascun datore di lavoro alle risorse del Fondo. Le prestazioni sono infatti determinate, per ciascun datore di lavoro, in misura non superiore a quattro volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti . Questo tetto però sarà introdotto gradualmente  andando a regime nel 2022, come di seguito:

nessun tetto aziendale per gli eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa decorrenti nell'anno 2016;

tetto aziendale pari a dieci volte l’ammontare della contribuzione ordinaria dovuta, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo, per gli eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa decorrenti nell'anno 2017;

otto volte per gli eventi di sospensione o riduzione nell'anno 2018;

sette volte per gli eventi decorrenti nell'anno 2019;

sei volte per gli eventi decorrenti nell'anno 2020;

cinque volte  per gli eventi decorrenti nell'anno 2021.

L’assegno di solidarietà è una prestazione a sostegno del reddito garantita ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro che, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di licenziamento collettivo o al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo, stipulano con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione di orario.

La durata massima della prestazione è pari a 12 mesi in un biennio mobile. Ai fini del calcolo di detto periodo va verificato che, durante le 103 settimane a ritroso dalla fine della prima settimana di riduzione di orario, non siano state già usufruite 52 settimane di riduzione.

In ogni caso la riduzione media oraria non può essere superiore al 60 per cento dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati. Per ciascun lavoratore la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70 per cento nell’arco dell’intero periodo per il quale l’accordo di solidarietà è stipulato.

L’istanza deve essere presentata alla sede INPS competente entro sette giorni dalla data dell’accordo sindacale, allegando:

l’accordo collettivo aziendale che stabilisce la riduzione dell’orario di lavoro con l’elenco dei lavoratori interessati alla riduzione di orario sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e dal datore di lavoro;

l’elenco dei lavoratori in forza all'unità produttiva, integrato con le informazioni inerenti alla qualifica, all'orario contrattuale e alle altre informazioni presenti nel file in formato .csv.

La riduzione dell’attività lavorativa deve avere inizio entro il trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.

L’assegno ordinario spetta ai dipendenti di datori di lavoro che occupano mediamente più di quindici dipendenti, compresi gli apprendisti, nel semestre precedente la data di inizio delle sospensioni o riduzioni dell’orario di lavoro, posti in sospensione o riduzione di attività a seguito di:

situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti, escluse le intemperie stagionali;

situazioni temporanee di mercato;

riorganizzazione aziendale;

crisi aziendale, ad esclusione dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa.

Il periodo massimo di fruizione è fissato in 26 settimane in un biennio mobile.

La domanda di accesso all'assegno ordinario deve essere presentata alla Struttura INPS territorialmente competente non prima di 30 giorni e non oltre il termine di 15 giorni dall'inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.


domenica 8 maggio 2016

Stop al sussidio Naspi se si rifiuta il lavoro


Potrà ottenere il buono (voucher) per il ricollocamento solo chi ha fruito della Naspi e risulta disoccupato da oltre 4 mesi. Il beneficiario potrà rivolgersi anche a soggetti privati accreditati.

L'Anpal, l'agenzia per il lavoro prevista dal Jobs Act per favorire l'occupazione, sarà ''operativa a giugno''. Ad assicurarlo è il presidente dell'Agenzia, Maurizio Del Conte che spiega come opererà: dall'assegno di ricollocazione ai controlli sui sussidi.

"L'Anpal può controllare in tempo reale se la persona che non si presenta al corso di formazione (o non accetta un lavoro) prende la Naspi – ha spiegato Del Conte. Avvertiremo in questo caso l'Inps che dovrebbe togliere almeno una parte dell'aiuto".

 "Al momento per l'operatività piena dell'Anpal - afferma il presidente, Maurizio Del Conte - manca il decreto di trasferimento delle risorse e delle dotazioni organiche, ancora alla Corte dei Conti. Mi auguro che per giugno sia operativa". L'Anpal dovrebbe gestire il personale dell'Isfol e di Italia Lavoro (ne avrà le quote). I centri per l'impiego invece sono in capo alle Regioni e fino a che non si vota sul referendum costituzionale e non è possibile nessun cambiamento. Prima di allora l'Anpal non potrà fare azioni sul territorio.

"Possiamo verificare - dice Del Conte - i livelli essenziali ovvero che i servizi che vengono resi ai disoccupati rispettino gli standard. Abbiamo il potere di monitoraggio e valutazione. La nostra missione più importante comunque è quella sull'assegno di ricollocazione, una vera e propria presa in carico del disoccupato. Il nostro obiettivo è fare sì che le persone si rivolgano ai centri per l'impiego perché sono utili.

Deve esserci un sistema che accolga il disoccupato e lo accompagni. Una delle prime cose da fare è mettere in funzione un sistema informativo per far incontrare domanda e offerta". Si punta per il trattamento di disoccupazione "a un sistema di condizionalità rafforzato. Adesso chi eroga il sussidio di disoccupazione e chi dovrebbe ricollocare il lavoratore (i centri per l'impiego) fino ad ora non si sono sostanzialmente parlati mentre in Germania ad esempio sono i centri per l'impiego che fanno sia l'una che l'altra cosa (politiche attive e passive del lavoro). Il problema - spiega Del Conte - "si potrà risolvere quando saranno a disposizione in tempo reale i dati Inps sui percettori della Naspi (la nuova indennità di disoccupazione). L'Anpal può controllare in tempo reale se la persona che non si presenta al corso di formazione (o non accetta un lavoro) prende la Naspi. Avvertiremo in questo caso l'Inps che dovrebbe togliere almeno una parte del sussidio.

L'assegno di ricollocazione consiste in una somma di denaro, graduata in funzione del profilo personale del disoccupato, proponibile presso i centri per l'impiego o presso i servizi accreditati. In sostanza, il centro per l'impiego definirà il livello di occupabilità del disoccupato: minori sono le possibilità di impiego, più elevato sarà l'importo del voucher o la dote a disposizione del lavoratore (in media sui 1.500 euro, aumentabile anche a 3-4mila nei casi più complicati).

A questo punto, il disoccupato sceglierà, tra le strutture private e pubbliche accreditate dalla regione, l'agenzia per il lavoro dalla quale farsi assistere nella ricerca di una nuova occupazione: è prevista l'assegnazione al lavoratore anche di un tutor o job advisor, che lo seguirà nel percorso verso un nuovo impiego e un eventuale percorso di riqualificazione professionale. Ma l'agenzia sarà remunerata (dallo Stato o dalla regione con la dote attribuita al lavoratore) solo a occupazione trovata.

Il voucher, in altri termini, sarà pagabile solo a seguito dell'effettivo ricollocamento del lavoratore, cioè solo a risultato ottenuto e non per l'attività comunque svolta genericamente a sostegno del soggetto. Da segnalare, comunque, che l'assegno di ricollocazione sarà rilasciato nei limiti delle disponibilità assegnate a tale finalità per la regione o per la provincia autonoma di residenza.

L'assegno, il cui importo non costituirà reddito imponibile, se richiesto (la misura è infatti facoltativa) dovrà essere "speso" dal disoccupato entro due mesi dalla data di rilascio dell'assegno a pena di decadenza dallo stato di disoccupazione e dalla prestazione a sostegno del reddito. L'assegno avrà una durata di sei mesi, prorogabile per altri sei nel caso non sia stato consumato l'intero ammontare dell'assegno.

giovedì 7 aprile 2016

Call center: chiarimenti sugli ammortizzatori sociali previsti



Arrivano con la Circolare n. 15/2016 del Ministero del Lavoro i chiarimenti in merito agli aspetti applicativi relativi alla durata del trattamento di sostegno al reddito in favore dei lavoratori del settore Call Center, con particolare riferimento agli aspetti applicativi relativi alla durata del trattamento di sostegno al reddito previsto per il settore.

Si tratta della norma che prevede concessione di misure per il sostegno al reddito, il trattamento può essere concesso, sulla base di specifici accordi, siglati in ambito ministeriale, nel limite massimo di 5.286.187 euro per l’anno 2015, e di 5.510.658 euro per il 2016, per periodi non superiori a 12 mesi.

L’art. 3 del decreto 22763 contempla la possibilità di concedere il trattamento sulla base di specifici accordi, siglati in ambito ministeriale, per periodi non superiori a 12 mesi.

Il Ministero ha chiarito che, in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016, con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario nel corso dello stesso anno, è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31 dicembre 2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga. In considerazione della specialità della normativa, la circolare chiarisce inoltre che, in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016 – con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario sempre nel 2016, e fermo restando il limite di finanziamento – è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31.12.2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga.

Con decreto n. 22763 del 12 novembre 2015, emanato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro delle Finanze è stata riconosciuta un’indennità, pari al trattamento massimo di integrazione salariale straordinaria, ai lavoratori delle aziende del settore dei call center non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale. In considerazione della specialità della normativa, la circolare ha chiarito che «in presenza di un accordo siglato nell’anno 2016, con domanda ed inizio della sospensione o riduzione di orario sempre nel 2016, e fermo restando il limite di finanziamento, è possibile concedere il trattamento della durata di 12 mesi, superando il limite temporale del 31.12.2016 attualmente previsto per gli ammortizzatori sociali in deroga».

venerdì 9 ottobre 2015

Naspi: calcolo, durata e importo



Tutti gli eventi di disoccupazione involontaria che si verificano a partire dal 1° maggio 2015 in via del tutto sperimentale e dal 2017sarà erogata la Naspi, prevista dal Dlgs 4 marzo 2015.

Ne possono beneficiare tutti i lavoratori dipendenti, con la sola esclusione degli assunti a tempo indeterminato dalle pubbliche amministrazioni (Dlgs 165/01) e degli operai agricoli sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. La Naspi è inoltre concessa in caso di dimissioni per giusta causa nei casi di risoluzione consensuale sottoscritta presso la Dtl in seno al tentativo obbligatorio di conciliazione introdotto dalla riforma Fornero.

Si ha diritto alla Naspi per un numero di settimane pari alla metà di quelle di contribuzione negli ultimi quattro anni di lavoro. Si ricorda, a tal proposito, che tale tipologia di assegno di disoccupazione non potrà essere percepita per più di 78 settimane, e fino a quando, comunque, permane lo status di disoccupazione. Nel caso in cui il lavoratore con diritto alla Naspi stipuli un nuovo contratto di lavoro della durata inferiore ai sei mesi, può interromperlo per un periodo massimo di sei mesi; se si instaura un nuovo rapporto di lavoro con retribuzione annuale inferiore al minimo consentito per fare la dichiarazione dei redditi, è possibile continuare a percepire l'assegno Naspi in percentuale ridotta. Nel caso di avvio di un’attività autonoma, il lavoratore è tenuto a informare l'Inps entro trenta giorni, dichiarare il reddito annuo previsto, e si avrà ancora diritto a percepire l'assegno Naspi per un importo pari all’80% di tale somma prevista.

Il nuovo sostegno contro la disoccupazione viene erogato a chi è disoccupato e vanta contributi per almeno 13 settimane nei 4 anni che precedono la perdita del lavoro, nonché 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Tutte le condizioni devono essere presenti contemporaneamente.

L’ammontare della Naspi si ottiene sommando gli imponibili previdenziali degli ultimi 4 anni, dividendo il risultato per le settimane di contribuzione e moltiplicando il tutto per 4,33. Se l’importo che si ottiene è pari o inferiore a 1.195 euro, l’indennità sarà il 75% di questo importo; se è superiore si aggiunge anche il 25% della differenza. Si applica un massimale di 1.300 euro e di importo differente in relazione alla differenti tipologie di contratto di lavoro, se co.co.co, co.co.pro, a progetto.

La Naspi diminuisce del 3% al mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione; Il beneficiario riceverà la Naspi per un numero di settimane pari alla metà di quelle coperte da contribuzione negli ultimi 4 anni.

Chi fruirà della Naspi dovrà, a pena di decadenza, partecipare alle iniziative di orientamento e riqualificazione, proposte dai centri per l’impiego. ( Ad esempio se si aveva una retribuzione di 1.000 euro, si avrà un assegno mensile Naspi di 750 euro; se si aveva uno stipendio di 1.500 euro, si dovrà calcolare il 75% di quella somma e l'ulteriore 25% della differenza dal tetto massimo per ricevere l'assegno mensile di sostegno al reddito, pari a 1.195 euro).

La durata del nuovo ammortizzatore sociale sarà rapportata alla contribuzione del lavoratore e si protrarrà per un massimo di 24 mesi, per coloro che hanno lavorato negli ultimi quattro anni. Il minimo è invece stato fissato a 18 mesi alla data 1 gennaio 2017. Per ricevere la Naspi è necessario inoltrare istanza telematica all’Inps entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

giovedì 8 ottobre 2015

INPS: bonus e assegno di maternità


Secondo le indicazioni dell’Inps, l’assegno famigliare viene corrisposto a nuclei composti da cittadini italiani e dell’Unione europea residenti, oppure di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, o, ancora, a immigrati titolari di permesso di soggiorno permanente, con tre o più figli di età inferiore a 18 anni, che rispecchino i limiti di reddito preposti dalle normative Isee per nuclei di almeno cinque componenti.

Possono accedere al beneficio:
• le lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche o di privati datori di lavoro;
• le lavoratrici iscritte alla gestione separata (ivi comprese le libere professioniste, che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate, pertanto tenute al versamento della contribuzione in misura piena) che si trovino al momento di presentazione della domanda ancora negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità, e non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale.

Le lavoratrici madri possono accedere al beneficio anche per più figli, presentando una domanda per ogni figlio purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati.

La dipendente perde il diritto al bonus (voucher) di maternità a partire dal giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro: lo chiarisce l‘INPS, che con il Messaggio 5805/2015 fornisce precisazioni sull’assegno destinato a servizi per l’infanzia, fruibile al posto del congedo parentale. Si tratta di un sussidio di 600 euro al mese per baby sitting o asilo.

Il voucher è legato al rapporto di lavoro attivo: viene riconosciuto dal giorno di presentazione della domanda e fino al giorno della cessazione del rapporto di lavoro.

Esempio: presentazione domanda 12 gennaio 2015, cessazione rapporto 12 marzo 2015 – alla madre lavoratrice saranno riconosciuti due mesi di beneficio, dal 13 gennaio al 12 marzo.

Se il rapporto di lavoro subisce modifiche, ad esempio con passaggio da tempo pieno a parziale, il voucher per i giorni successivi alla trasformazione saranno riconosciuti in modo proporzionale al nuovo orario di lavoro. Il mese è interamente riconosciuto per le frazioni inferiori a 15 giorni, se superiori ricade nel calcolo del part-time.

Esempio: madre lavoratrice con sei mesi di assegno, domanda 12 gennaio 2015 e modifica del rapporto di lavoro a part-time dal 28 aprile 2015: l’assegno pieno copre i giorni dal 13 gennaio al 28 aprile, ossia 3 mesi e 16 giorni, arrotondati a 4 mesi di beneficio intero più 2 mesi di assegno riproporzionato in ragione della percentuale di part-time. Se invece una lavoratrice a cui siano stati riconosciuti cinque mesi di beneficio, presenta domanda il 12 gennaio 2015 e la modifica da part-time a full-time è il 27 aprile, passano tre mesi e 15 giorni, e in questo caso sono solo due i mesi di beneficio intero, e tre quelli proporzionato al part-time.

Il beneficio consiste nelle seguenti forme di contributo, alternative tra loro:
1. contributo per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati;
2. voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting.

L’importo del contributo è di 600,00 euro mensili ed è erogato per un periodo massimo di sei mesi (tre mesi per le lavoratrici iscritte alla gestione separata), divisibile solo per frazioni mensili intere, in alternativa alla fruizione del congedo parentale, comportando conseguentemente la rinuncia dello stesso da parte della lavoratrice.

Le lavoratrici part-time potranno fruire del contributo in misura riproporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, come da tabella allegata alle "Istruzioni per l'assegnazione dei contributi per l'acquisto dei servizi per l'infanzia".
Per ottenere l’assegno è necessario presentare domanda all’INPS, esclusivamente in via telematica, entro 90 giorni dalla nascita/adozione/affidamento preadottivo.

Poiché l’incentivo è divenuto operativo il 27 aprile 2015, per tutti i figli nati o adottati tra il 1° gennaio e il 27 aprile, il termine per la presentazione della domanda scade il 27 luglio 2015.

Se la domanda è stata presentata nei termini (entro i 90 giorni), il primo pagamento comprende l’importo delle mensilità sino a quel momento maturate. Se la domanda è tardiva l’assegno spetta a decorrere dalla data di presentazione della domanda.

L’erogazione dell’assegno viene interrotta se si verifica uno dei seguenti eventi (che va comunicato all’INPS entro 30 giorni):
• decesso del figlio;
• revoca dell’adozione;
• decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale;
• affidamento esclusivo del minore al genitore che non ha presentato la domanda;
• affidamento del minore a terzi.


domenica 14 giugno 2015

Congedo parentale: come cambia con il Jobs act



I genitori possono chiedere il congedo parentale nei primi 12 anni di vita del figlio, non più solo nei primi otto, e il congedo a ore può essere utilizzato anche se non è previsto dal contratto collettivo di riferimento.

Tra le novità più importanti l'allungamento del tempo per fruire del congedo parentale. Quello facoltativo viene infatti portato da 3 a 6 anni e da 8 a 12 anni di età del bambino rispettivamente per quello retribuito al 30% e per quello non retribuito, la cui durata resta comunque di 6 mesi. Si riduce da quindici a cinque giorni il periodo di preavviso al datore di lavoro. Prevista anche la possibilità di 'trasformare' il congedo parentale in part-time al 50%.

Per quanto riguarda la conciliazione vita-lavoro, grosse novità sul congedo parentale che sarà più ampio per entrambi i genitori: si avrà il 30 per cento dello stipendio fino ai 6 anni del bambino , non più tre, e permessi non retribuiti fino a 12 anni invece che 8. Prevista inoltre la possibilità di trasformare il congedo in contratto part time.

Ricordiamo che il congedo parentale prevede la retribuzione al 30% dello stipendio, può arrivare complessivamente a dieci mesi cumulando i periodi presi dai due genitori (elevabile a 11 se il padre prende almeno tre mesi), con un tetto di sei mesi per la madre e di sette per il padre (se c’è un solo genitore, può prendersi tutti i dieci mesi).

La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadri settimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Da sottolineare, tuttavia, che non si può cumulare il congedo a ore con permessi o riposi. Prima, la fruizione su base orario del congedo parentale era demandata alla contrattazione collettiva (comma 1- bis dell’articolo 32), quindi in pratica questo diritto non era esercitabile in mancanza di riferimenti nel contratto.

Il genitore deve comunicare all’azienda l’intenzione di andare in congedo parentale con l’anticipo previsto dal contratto, e comunque con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l’inizio e la fine del periodo di congedo: anche questa è una novità, prima il preavviso minimo era di 15 giorni. Se il congedo parentale è su base oraria, il preavviso minimo è invece di due giorni.

Per quanto riguarda il trattamento economico, la retribuzione al 30% che prima era assicurata solo in caso di godimento nei primi tre anni di vita del bambino viene ora portata a sei anni. Decade la norma in base alla quale, dopo questo periodo (i primi sei anni del figlio) il diritto successivi in caso di reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione.

Entrambi i genitori possono chiedere al posto del congedo parentale la trasformazione temporanea del contratto di lavoro in part-time, ossia a tempo parziale.

Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale, per un periodo di tempo corrispondente e una riduzione di orario non superiore al 50%. Il congedo parentale può durare per i due genitori al massimo 10 mesi, con un tetto di 6 mesi per ciascuno di essi. Se ne deduce che i limiti temporali di questa alternativa: 10 mesi complessivi da dividere fra i due genitori, con limite di 6 ciascuno.

C’è poi un’altra disposizione in base alla quale il lavoratore o lavoratrice con un figlio convivente di età superiore a 13 anni, o portatore di handicap hanno la priorità nella trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time. Anche questo, dunque è una nuova possibilità di utilizzo del part-time per andare incontro a particolari esigenze legate alla genitorialità.

La nuova legge sul lavoro prevede il diritto di chiedere prioritariamente il part-time per una serie di esigenze di carattere familiare legate non solo alla presenza di figli: lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti che riducano la capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita, patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, necessità di assistenza di una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%.



domenica 15 febbraio 2015

Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro aspetti da conoscere e norme



Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è il contratto che viene stipulato a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni rappresentanti i datori di lavoro, le quali predeterminano in maniera congiunta la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e parte dei rapporti reciproci.

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è un accordo collettivo siglato dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni dei datori di lavoro che disciplina i trattamenti economici e normativi dei rapporti di lavoro nei diversi settori produttivi.

Il CCNL disciplina i trattamenti economici e normativi minimi comuni per tutti i lavoratori impiegati in un specifico settore. Esso inoltre definisce modalità e ambito di applicazione della contrattazione di secondo livello e regola il sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale ed aziendale. Si tratta di un contratto atipico e come tale è disciplinato dalle norme del codice civile sui contratti in generale.

Il contratto collettivo ha forza di legge tra le parti (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) e produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti collettive direttamente stipulanti, nonché dei soggetti individuali appartenenti alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (o di un singolo datore di lavoro) che lo hanno stipulato.

Può accadere però che alla delegazione dei lavoratori siano rimaste estranee una o più organizzazioni non ritenute rappresentative.

Il CCNL è costituito essenzialmente da una parte normativa ed una obbligatoria.

La parte normativa contiene disposizioni volte a disciplinare ogni singolo rapporto di lavoro in merito al trattamento economico e normativo (minimi retributivi, trattamenti di anzianità, maggiorazioni, durata del periodo di prova, di preavviso o di comporto; disciplina del lavoro straordinario, festivo o notturno; trattamenti di malattia, maternità e infortunio; particolari tipologie di contratti come l'apprendistato, il contratto a termine, la somministrazione di lavoro, ecc.

La parte obbligatoria contiene invece disposizioni volte a disciplinare i rapporti tra le parti collettive, sindacati e organizzazioni degli imprenditori o i singoli imprenditori.

Adesione

Il datore di lavoro può scegliere liberamente l'organizzazione sindacale a cui iscriversi, ed una volta iscritto deve obbligatoriamente applicare il CCNL relativo all'organizzazione a cui ha aderito.

In tal caso il CCNL si applica a tutti i dipendenti, a prescindere dalla mansione concretamente svolta dai medesimi.

In assenza di iscrizione ad una organizzazione sindacale, il datore di lavoro non ha l'obbligo di applicare un CCNL. Pertanto si possono verificare due ipotesi:

il datore di lavoro può decidere di applicare un determinato CCNL, aderendovi esplicitamente, ad esempio indicandone gli estremi nel contratto individuale o nella lettera di assunzione

l'adesione può anche essere implicita, quando il datore di lavoro applica spontaneamente e costantemente un determinato CCNL o almeno le sue clausole più rilevanti e significative

Forma

La legge lascia alle parti libertà di forma, tuttavia, nella prassi, per consentire la certezza del diritto, è utilizzata la forma scritta.

Durata

Il CCNL ha una durata triennale. Alla scadenza, il contratto cessa di produrre i suoi effetti e non è più vincolante per le parti.

Le clausole concernenti il trattamento economico conservano, però, la loro efficacia, anche scaduto il contratto.

Rinnovo

Ciascun CCNL deve definire i tempi e le procedure per la presentazione della piattaforma contrattuale e i tempi per l'apertura e lo svolgimento dei negoziati.

In ogni caso le proposte per il rinnovo del contratto devono essere presentate in tempo utile per consentire l'apertura della trattativa sei mesi prima della scadenza.
Le trattative sfociano in un accordo sulle modifiche da apportare al testo contrattuale (la c.d. ipotesi di accordo), che è condizionato, nelle aziende, all'approvazione dei lavoratori mediante assemblea o referendum.

Ciascun CCNL stabilisce inoltre un meccanismo che, alla data di scadenza del contratto precedente, riconosca ai lavoratori in forza una copertura economica per il periodo di vacanza contrattuale.

Recesso

Il recesso del datore di lavoro dal CCNL prima della sua scadenza integra un inadempimento contrattuale, oltre che una condotta antisindacale.

Il datore di lavoro può recedere unilateralmente da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, per applicare uno di altra categoria più vicina alla propria, purché sia sempre rispettato il principio dell'irriducibilità della retribuzione.

Gli scopi del CCNL sono sostanzialmente i seguenti:

determinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro nei vari settori, sia per ciò che concerne l’aspetto economico, sia per quel che riguarda l’aspetto normativo;
 
disciplinare i rapporti tra i soggetti collettivi.



martedì 10 febbraio 2015

Contratti a termine e durata a trentasei mesi



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente  o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.

Il vantaggio che offre un contratto di lavoro a tempo determinato è sicuramente, che tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. Inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro e con la percezione di un reddito adeguato, il lavoratore può così pianificare la propria vita.

Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.

Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.

Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto:

per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi)
per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi),

il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?

Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento.
Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi
intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.
Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali, per i datori che alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014 occupino lavoratori a termine oltre al tetto legale del 20%, l’obbligo di adeguamento a tale soglia scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva, anche aziendale, non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli. L'Interpello n.30/2014 ha chiarito che anche la contrattazione di prossimità può prevedere una rimodulazione di tali limiti ma non una loro abolizione.

Va peraltro ricordato che, come evidenziato dal Ministero del lavoro, “che il periodo massimo di 36 mesi, peraltro derogabile dalla contrattazione collettiva, rappresenta un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne consegue che raggiunto tale limite il datore di lavoro potrà comunque ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore anche successivamente al raggiungimento dei 36 mesi”. Tale conversione è però soggetta alle seguenti limitazioni:

i contratti a termine devono aver riguardato lo svolgimento di mansioni “equivalenti”, concetto questo potenzialmente oggetto di infinite controversie: ne consegue che il datore di lavoro dovrà tenere accurata documentazione - anche per quanto riguarda le mansioni svolte (lettere di assunzione, di modifica delle mansioni eccetera) - circa i contratti stipulati in anni tra loro distanti;

si contano tutti i periodi di lavoro prestato tra le medesime parti, cumulando la durata originaria dei singoli contratti con i relativi rinnovi e proroghe: poiché non è stato previsto un arco temporale massimo, il conteggio dovrà comprendere tutti i rapporti intercorsi, in corso tra le parti;

non si contano, invece, i periodi di interruzione tra un contratto e il successivo. Vanno quindi escluse dal computo le cosiddette “pause non lavorate” tra un contratto a tempo determinato e l'altro.

Dal computo dei 36 mesi vanno esclusi il contratto di inserimento e le assunzioni a termine delle liste di mobilità .




domenica 28 dicembre 2014

Cassa integrazione a chi si applica, importo e durata



La legge prevede due tipi di cassa integrazione, quella ordinaria e quella straordinaria.

La prima riguarda i lavoratori dell'industria (esclusi i dirigenti) e può essere disposta nel caso di contrazione o sospensione dell’attività produttiva, derivante o da eventi aziendali transitori, non imputabili al datore di lavoro né ai lavoratori, o da situazioni temporanee di mercato. In presenza di un caso come quelli indicati, il datore di lavoro può decidere di sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, rivolgendo un'istanza all'INPS al fine di ottenere l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria.

Quest’ultima può essere concessa per un periodo massimo di 3 mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino a un limite massimo complessivo di 1 anno. In ogni caso, la sospensione, anche se non consecutiva, non può superare i 12 mesi in un biennio.

La cassa integrazione salariale straordinaria viene invece concessa nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale; di crisi aziendale di grande rilevanza sociale; di fallimento o altre procedure concorsuali, purché non continui l’attività. Come si vede, in questo caso – e a differenza della cassa ordinaria – il provvedimento può essere adottato a fronte di situazioni di crisi di presumibile durata anche lunga, ma anche nel caso in cui la contrazione dell’attività dipenda dalla semplice decisione del datore di lavoro di riorganizzare o ristrutturare la propria attività, a prescindere dal fatto che ciò sia imposto da una crisi.

Qualora ricorra un’ipotesi come quelle sopra descritte, dunque, il datore di lavoro può sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, previa autorizzazione del ministro del lavoro.

La sospensione straordinaria può essere disposta entro limiti temporali diversi a seconda della causa che l’ha determinata: 2 anni, prorogabili per altri 2, per le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali; 12 mesi in caso di crisi aziendale; 12 mesi, prorogabili per altri 6, quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività, in caso di procedure concorsuali. La Cassa integrazione guadagni non può comunque protrarsi complessivamente per più di 36 mesi nel quinquennio.

La cassa integrazione straordinaria si applica ai lavoratori (esclusi i dirigenti) che abbiano maturato un'anzianità aziendale di almeno 90 giorni.

Secondo la definizione dei tecnici dell’Inps «la Cigs è una prestazione economica erogata per fare fronte a gravi situazioni di eccedenza occupazionale che potrebbero portare a licenziamenti di massa». Il suo terreno di applicazione, al contrario della cassa integrazione ordinaria (a cui si ricorre per problemi temporanei, come un calo inaspettato della domanda o l’inutilizzabilità di un macchinario), è rappresentato dalle situazioni straordinarie, che possono dipendere da problemi della singola azienda, come pure del suo settore merceologico o di un’intera economia, come sta accadendo di fatto per la gran parte delle richieste dal 2008 a oggi.

A chi si applica?
Per accedere alla cassa integrazione straordinaria sono necessari requisiti precisi che riguardano tanto i lavoratori quanto le aziende. Ne hanno diritto: operai, quadri, dipendenti o soci di cooperative di produzione e lavoro, poligrafici e giornalisti con un rapporto di lavoro subordinato da almeno 90 giorni, le cui imprese abbiano occupato in media nei sei mesi precedenti più di 15 dipendenti. Ne sono espressamente esclusi i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio.

Sono ammesse al trattamento le seguenti tipologie di aziende: industriali, edili, cooperative agricole, artigiane (il cui fatturato nel biennio precedente sia dipeso per almeno il 50 per cento da un solo committente destinatario di Cigs),aziende appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione le cui imprese committenti siano interessate da Cigs, imprese editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa a diffusione nazionale (per cui non vale il limite minimo dei 15 dipendenti), nonché le imprese commerciali con più di 200 dipendenti.

Quanto incassa il lavoratore?
L’indennità è pari all’80 per cento della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito lavorando, fino a un massimo di 40 ore settimanali, e comunque al di sotto di un tetto di retribuzione mensile stabilito di anno in anno. L’importo è inoltre decurtato del 5,84 per cento (pari all’aliquota contributiva prevista a carico degli apprendisti).

Quanto dura?
La durata cambia a seconda della motivazione con cui si chiede la cassa integrazione straordinaria. Ne esistono tre tipologie diverse: 1) nei casi in cui la Cigs è richiesta per «riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale» può durare 24 mesi, prorogabili di 12 mesi per due volte con due provvedimenti distinti; 2) se la motivazione è «crisi aziendale» la durata massima è 12 mesi, prorogabili per un altro anno; 3) per «procedure esecutive concorsuali» l’assegno viene erogato per 12 mesi con una sola proroga possibile di sei mesi.

Chi la paga?
Gli assegni sono pagati dallo Stato, che li eroga attraverso l’Inps; a sua volta l’Inps riceve i versamenti delle imprese(tutte quelle che hanno le caratteristiche per usufruire della cassa straordinaria) nella misura dello 0,90 per cento delle retribuzioni mensili (lo 0,30 per cento a carico dei lavoratori e lo 0,60 per cento a carico dei datori di lavoro). In anni normali il saldo è in genere positivo, senza oneri per le casse pubbliche, ma le cose cambiano durante le crisi economiche.

Nel corso del 2010 la cassa integrazione guadagni straordinaria (comprensiva della cassa integrazione in deroga che il governo ha aggiunto nel 2009 per imprese e lavoratori che non ne avrebbero avuto diritto secondo la norma) è costata all’Inps 2,8 miliardi di euro, che sommati al saldo negativo dell’anno precedente e a quello (al momento solo stimato) del 2011 produce un onere totale di oltre 6 miliardi di euro.



martedì 2 dicembre 2014

Naspi: indennità disoccupazione per il 2015-2016. Requisiti, importi e durata



La riforma degli ammortizzatori sociali 2015 inserita nel Jobs Act consiste nel mettere a punto il cosi detto sussidio universale destinato ai lavoratori in disoccupazione involontaria che non hanno i requisiti per accedere all'Aspi o alla mini ASpI. Quindi La nuova indennità di disoccupazione, Naspi, potrà essere estesa anche ai precari.

Si chiama Naspi e sarà il nuovo sussidio di disoccupazione per i precari. O meglio, dovrebbe essere, perché dovrebbe essere contenuto nel Jobs Act. Requisiti: almeno 3 mesi di contributi nell’ultimo anno. Valore: 1100-1200 euro al mese (per poi scendere progressivamente a 700).

La novità assoluta sarà nei requisiti della Naspi, meno stringenti dell’Aspi (contributi da almeno due anni e aver lavorato negli ultimi 12 mesi) e della mini Aspi (13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno). Basteranno tre mesi di contributi. Per tutti.

Una volta a regime poi, Naspi sostituirà tutti gli ammortizzatori sociali, esclusa la cassa integrazione (quella in deroga sparirà nel 2016), mentre il 2017, come previsto dalla legge Fornero, sarà l’ultimo anno dell’indennità di mobilità. Ciò consentirà di far entrare nelle casse circa 4 miliardi e mezzo, che andrebbero sempre a vantaggio del Naspi, su cui il nodo delle coperture resta ancora stretto.

Come funziona Naspi? e chi potrà beneficiare della nuova indennità di disoccupazione?

Tutti coloro che perdono il lavoro, inclusi i precari e i collaboratori a progetto, sinora esclusi dall’indennità (circa 400.000 persone), dopo aver svolto l’attività per non meno di 3 mesi.

Le differenze con Aspi e Mini Aspi? In termini contributivi sono riassunte nello schema seguente.

Aspi Richiede 2 anni di contributi e aver lavorato nell’ultimo anno

Mini Aspi Richiede 13 settimane di contributi nell’ultimo anno

Naspi Richiede 3 mesi di contributi nell’ultimo anno

L’importo di Naspi sarà pari a circa 1.100-1.200 euro, che andranno progressivamente a ridursi fino a circa 700 euro.

Quanto dura la Naspi?
massimo due anni per i lavoratori dipendenti;
sei mesi per i lavoratori atipici.

Secondo quanto previsto dalla Legge Delega per la riforma degli ammortizzatori sociali con il Jobs Act dal 2015 in caso di disoccupazione involontaria, i precari e i co.co.co. che attualmente non hanno i requisiti per accedere ai benefici dell'ASpI e mini ASpI, avranno diritto alla nuova NASPI.

La NASpI è infatti il sussidio di disoccupazione universale che sostituisce dal 2015 l'assegno unico di disoccupazione introdotto dalla Riforma Fornero, ovviamente, per l'entrata in vigore si dovranno attendere i decreti attuativi e le disposizioni circa le modalità di fruizione da parte del Ministero del Lavoro di concerto con l'INPS a cui spetta l'erogazione dell'indennità agli aventi diritto.

Una volta a regime poi, la disoccupazione Naspi sostituirà via via tutti gli ammortizzatori sociali, fatta eccezione della cassa integrazione ordinaria che sarà ammessa solo in presenza di determinate condizioni, mentre la CIG in deroga sparirà nel 2016 e la mobilità come previsto dalla precedente riforma degli ammortizzatori sociali non ci sarà più a partire dal 2017 determinando così un risparmio per le casse dello Stato di circa 4 miliardi e mezzo, che andranno a sostenere la Naspi.

Il nuovo sussidio universale NASPI è un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque perderà il lavoro, avrà diritto ad un assegno di disoccupazione se avrà lavorato almeno 3 mesi. Per cui basta con i ferrei limiti dell'ASPI, contributi da almeno due anni e aver lavorato negli ultimi 12 mesi, e della mini Aspi 13 settimane di contribuzione nell'ultimo anno e avanti con la nuova Naspi anche per i precari e co.co.co. per i lavoratori che avranno versato almeno tre mesi di contributi.

La disoccupazione Naspi 2015, assegno universale per i disoccupati previsto dalla legge delega con l'attuazione del Jobs Act, è un'indennità, che verrà gestita dalla nuova Agenzia unica del lavoro attraverso i centri per l’impiego a cui il lavoratore licenziato si dovrà rivolgere per sottoscrivere la DID, dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e attivare così le procedure di politica attiva del lavoro, e dall'INPS che avrà il compito di recepire, lavorare le domande telematiche di disoccupazione ed erogare l'indennità spettante.

Cosa cambia con l'introduzione della NASPI? A cambiare è la platea di lavoratori a cui spetterà dal 2015 l'assegno di disoccupazione involontaria, in quanto il diritto nuovo sussidio universale sarà esteso a chiunque perda il lavoro, quindi anche a precari e collaboratori a progetto, sempre se hanno versato e lavorato almeno 3 mesi prima della perdita del lavoro.



domenica 23 novembre 2014

Indennità ASPI: in caso di nuova occupazione



In caso di nuova occupazione del disoccupato come lavoratore subordinato, l’indennità Aspi viene sospesa d’ufficio fino ad un massimo di 6 mesi. La sospensione interviene in seguito alla comunicazioni obbligatorie a cui è tenuto il datore di lavoro, che entro 5 giorni, deve segnalare l’assunzione agli uffici competenti.

Al termine del periodo di rioccupazione, se compreso nei 6 mesi, l’indennità riprende a decorre dal momento della sospensione. I sei mesi di contribuzione del nuovo lavoro possono essere fatti valere ai fine di acquisire il diritto ad un nuovo trattamento di Aspi o mini-Aspi.

Oltre alla sospensione di sei mesi, è prevista anche la decadenza definitiva del diritto all'indennità di disoccupazione Aspi, che interviene in caso di:

inizio di attività autonoma senza aver provveduto alla comunicazione entro i 30 giorni:

raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata;

diritto alla pensione di inabilità;

diritto all’assegno ordinario di invalidità, con possibilità di opzione tra i due trattamenti;

condanna per reati di terrorismo, associazione mafiosa, strage;

richiesta di anticipazione prevista in via sperimentale per il 2014 e 2015;

rifiuto a partecipare alle iniziative di politiche attive;

rifiuto di un lavoro congruo con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità spettante periodo per periodo.

Nel caso di nuova occupazione del soggetto assicurato con contratto di lavoro subordinato, l’erogazione della prestazione ASPI è sospesa d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie, per un periodo massimo di sei mesi; al termine della sospensione l’indennità riprende  ad essere corrisposta per il periodo residuo spettante al momento in cui l’indennità stessa era stata sospesa.

Il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI può svolgere attività lavorativa di natura meramente occasionale (lavoro accessorio), purchè la stessa non dia luogo a compensi superiori a 3.000 euro (al netto dei contributi previdenziali) nel corso dell’anno solare.

In caso di svolgimento di lavoro autonomo o parasubordinato, dal quale derivi un reddito inferiore al limite utile alla conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI deve, a pena di decadenza, informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando altresì il reddito annuo che prevede di trarre dall'attività.

Nel caso in cui il reddito rientri nel limite di cui sopra, l’indennità di disoccupazione è ridotta di un importo pari all’80% dei proventi preventivati. Qualora il soggetto intende modificare il reddito dichiarato, può farlo attraverso nuova dichiarazione “a montante”, cioè comprensiva del reddito in precedenza dichiarato e delle variazioni a maggiorazione  o a diminuzione. In tal caso l’indennità verrà rideterminata.

Il beneficiario decade dall'indennità nei seguenti casi:

perdita dello stato di disoccupazione;

rioccupazione con contratto di lavoro subordinato superiore a 6 mesi;

inizio attività autonoma senza comunicazione all’INPS;

pensionamento di vecchiaia o anticipato;

assegno ordinario di invalidità, se non si opta per l’indennità;

rifiuto di partecipare, senza giustificato motivo, ad una iniziativa di politica attiva (attività di formazione, tirocini ecc.) o non regolare partecipazione;

mancata accettazione di un’offerta di lavoro il cui livello retributivo sia superiore almeno del 20% dell’importo lordo dell’indennità.



Indennità di disoccupazione ASPI per l’anno 2015



Cerchiamo di dare una guida per rispondere alle domande principali sul sussidio di disoccupazione dell'Inps, l'Aspi.

Innanzitutto l’Aspi è una prestazione economica istituita per gli eventi di disoccupazione che si verificano a partire dal 1° gennaio 2013 e che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola requisiti normali. E’ una prestazione a domanda erogata a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente l’occupazione. Il sussidio di disoccupazione Aspi è una prestazione erogata dall'Inps ai lavoratori dipendenti che hanno perso involontariamente l'occupazione.

Spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente l’occupazione, compresi:

gli apprendisti;
i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
i dipendenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni;

Sono esclusi dall'Aspi e non possono percepire il sussidio di disoccupazione i dipendenti delle PA con contratto a tempo indeterminato, gli operai agricoli, gli extracomunitari con permesso di soggiorno che hanno fatto un lavoro stagionale.

I requisiti sono i seguenti:
Stato di disoccupazione non volontario (viene escluso chi si è dimesso o ha risolto il contratto in modo consensuale, tranne in casi specifici);

aver comunicato al Centro per l'impiego del proprio territorio la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro;

devono essere passati almeno 24 mesi dal versamento del primo contributo;

nei due anni precedenti alla domanda, devono essere stati versati almeno 12 mesi di contributi utili.

Spetta in presenza del requisito di stato di disoccupazione involontario, l’interessato deve rendere, presso il Centro per l’impiego nel cui ambito territoriale si trovi il proprio domicilio, una dichiarazione che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

L’indennità quindi non spetta nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale.

Il lavoratore ha diritto all’indennità nelle ipotesi di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità ovvero di dimissioni per giusta causa.

Inoltre, la risoluzione consensuale non impedisce il riconoscimento della prestazione se intervenuta:

nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro, secondo le modalità previste all’art. 7 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 1, comma 40 della legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 28 giugno 2012 n.92);

a seguito di trasferimento del dipendente ad altra sede distante più di 50 Km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici.

Devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione; il biennio di riferimento si calcola procedendo a ritroso a decorrere dal primo giorno in cui il lavoratore risulta disoccupato.

Almeno uno anno di contribuzione contro la disoccupazione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione. Per contribuzione utile si intende anche quella dovuta ma non versata. Ai fini del diritto sono valide tutte le settimane retribuite purché risulti erogata o dovuta per ciascuna settimana una retribuzione non inferiore ai minimi settimanali. La disposizione relativa alla retribuzione di riferimento non si applica ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, agli operai agricoli e agli apprendisti per i quali continuano a permanere le regole vigenti.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, si considerano utili:

i contributi previdenziali comprensivi di quota DS e ASpI versati durante il rapporto di lavoro subordinato;

i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio dell’astensione risulta già versata contribuzione ed i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;

i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione (non sono utili i periodi di lavoro all’estero in Stati con i quali l’Italia non ha stipulato convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale);

l’astensione dal lavoro per periodi di malattia dei figli fino agli 8 anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare.

Qualora il lavoratore abbia periodi di lavoro nel settore agricolo e periodi di lavoro in settori non agricoli, i periodi sono cumulabili ai fini del conseguimento dell’indennità di disoccupazione agricola o dell’indennità di disoccupazione ASpI, sulla base del criterio della prevalenza. Per verificare l’entità delle diverse contribuzioni restano fermi i parametri di equivalenza che prevedono 6 contributi giornalieri agricoli per il riconoscimento di una settimana contributiva.

Non sono invece considerati utili, pur se coperti da contribuzione figurativa, i periodi di:

malattia e infortunio sul lavoro solo nel caso non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro, nel rispetto del minimale retributivo;

cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore;

assenze per permessi e congedi fruiti dal coniuge convivente, dal genitore, dal figlio convivente, dai fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità.

Ai fini della determinazione del biennio per la verifica del requisito contributivo, i suddetti periodi - non considerati utili – devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento.

Come fare domanda

La domanda per il sussidio di disoccupazione va presentata all'INPS, esclusivamente per via telematica, utilizzando questi canali:

Sito dell'INPS, attraverso servizi telematici accessibili e codice PIN;

Contact Center multicanale (numero telefonico 803164 da rete fissa o 06164164 da rete mobile);

Patronati, CAF o intermediari.

La domanda va presentata entro 2 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro:
a) ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro;

b) data di definizione della vertenza sindacale o data di notifica della sentenza giudiziaria;

c) data di riacquisto della capacità lavorativa nel caso di un evento patologico (malattia comune, infortunio) iniziato entro gli otto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;

d) ottavo giorno dalla fine del periodo di maternità in corso al momento della cessazione del rapporto di lavoro;

e) ottavo giorno dalla data di fine del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso ragguagliato a giornate;
f) trentottesimo giorno successivo alla data di cessazione per licenziamento per giusta causa.

Per il 2015 spetta un'indennità mensile della durata di 10 mesi (persone di età inferiore a 50 anni), 12 mesi (persone di età tra 50 e 55 anni), 16 mesi (persone di età superiore a 55 anni).

L'assegno dell'INPS corrisponde al 75% della retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni, e non può eccedere ilo limite massimo stabilito ogni anno. Se la retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni è maggiore di 1.192,98 euro, per la parte eccedente si calcola il 25% (cifre stabilite per l'anno in corso). Dopo 6 mesi viene applicata la prima riduzione del 15%, e dopo 12 mesi la seconda.

La misura della prestazione è pari:

al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, se questa è pari o inferiore ad un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98). L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

al 75% dell’importo stabilito (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98) sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile ed € 1.192,98 (per l’anno 2014), se la retribuzione media mensile imponibile è superiore al suddetto importo stabilito.

L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

All’indennità mensile si applica una riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione ed un’ulteriore riduzione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

Il pagamento avviene mensilmente ed è comprensivo degli Assegni al Nucleo Famigliare se spettanti.

L’indennità può essere riscossa nelle seguenti modalità:

mediante accredito su conto corrente bancario o postale o su libretto postale;

mediante bonifico domiciliato presso Poste Italiane allo sportello di un ufficio postale rientrante nel CAP di residenza o domicilio del richiedente. Secondo le vigenti disposizioni di legge, le Pubbliche Amministrazioni non possono effettuare pagamenti in contanti  per prestazioni il cui importo netto superi i 1.000 euro.



lunedì 19 agosto 2013

Lavorare in Franchising come iniziare l'attività nel 2013



Il Franchising è il contratto concluso tra due imprenditori con il quale una parte, il franchisor, cioè l’affiliante, attribuisce all’altra, franchisee, cioè l’affiliato, il diritto di produrre o commercializzare beni o servizi con i propri segni distintivi o brevetti, esperienze e tecniche contro un corrispettivo di denaro, e fa parte della categoria dei contratti atipici.

Il lavoro franchising è una delle più solide opportunità per lo sviluppo di un proprio punto vendita e della crescita economica di un proprio settore. Da un negozio di abbigliamento ad una agenzia viaggi, da un alimentari di prodotti tipici ad uno store di telefonia, molti sono i vantaggi garantiti dai marchi presente sul mercato che offrono contratti di franchising.

Per Contratto di Franchising si deve intendere un accordo con la quale un Franchisor (Impresa Affiliante) concede ad un Franchisee (Impresa affiliata), dietro un corrispettivo finanziario che può essere diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising con la possibilità di poter commercializzare beni e/o servizi.

Il contratto di franchising è un accordo tra produttore (che concede la commercializzazione dei propri prodotti a terze persone, nonché l’utilizzo del marchio e dell’insegna) e rivenditore, ossia l’affiliato. Il primo, franchisor, si impegna nella fornitura di prodotti secondo la quantità richiesta (in molti casi contrattualizzata in misura minima o massima). Il franchisee si obbliga a promuovere ed eseguire le vendita nella zona assegnata; prestare assistenza (anche post-vendita) ai clienti; sottostare alle clausole dettate dal franchisor, da intendersi quali regole interne di organizzazione su modalità e prezzo di vendita dei prodotti.  Nella concessione di vendita è molto frequente la clausola “concessionario di vendita in esclusiva” a favore del venditore all’interno di un’area specificata.

Lavorare in franchising presenta un vantaggio, da una parte si avvantaggia l'Impresa Affiliante che riesce grazie alle reciproche prestazioni di servizi dell’affiliato di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato, dall’altra si avvantaggia l'Impresa affiliata che si avvale della posizione di affidabilità, Conoscenza e di prestigio acquisita dal franchisor, permettendogli di inserirsi nel mercato sfruttando il Nome e la conoscenza da parte dei consumatori finali del nome dell’impresa Affiliante.

Da preventivare prima di siglare un’affiliazione in franchising sono i costi di inizio attività (start-up). Primo fra tutti per l’affitto di locale idoneo: solitamente, infatti, i franchisor richiedono locali costosi, ubicati in centro città o luoghi ad alta frequentazione come centri commerciali e aeroporti. Le spese per le attrezzatura IT(dotazione informatica e software), per la gestione commerciale e ovviamente per il personale. A queste si aggiungono solitamente anche costi fissi da riconoscere al franchisor quali diritti d’ingresso o fee periodici, ossia una cifra fissa che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale. Per royalties si intende poi la percentuale che l’affiliante deve riconoscere al franchisor commisurata al giro d’affare oppure in quota fissa.

Nella stipula di contratti di franchising è necessario prestare attenzione ai seguenti elementi che possono rivelarsi fondamentali per la buona riuscita dell'attività.
Definizione dell’ambito e estensione della clausola di esclusiva. Questa clausola di esclusiva nei Contratti di franchising è solitamente reciproca, in quanto vincola sia l'Impresa affiliata a non vendere beni prestare servizi in concorrenza con quelli dell’affiliato o dell'Impresa Affiliante, obbligando  l'Impresa affiliata nel Contratto di franchising  non venderli e prestare servizi al di fuori del territorio assegnato.

Durata del contratto in franchising. E’ bene precisare che non è prevista una durata massima del contratto di franchising, infatti può essere stipulato sia tempo indeterminato (in questo caso le parti indicheranno nel contratto la modalità e il potere di recesso da parte sia del Franchisor che del franchisee) sia tempo determinato ( in questo caso le parti dovranno disciplinare la facoltà di rinnovo del contratto di franchising. In ogni caso ed è bene precisare questo punto , la durata del contratto in franchising deve in ogni caso essere tale da consentire al franchisee l’ammortamento degli investimenti effettuati.

Definizione dell’oggetto del contratto di franchising. Occorre che venga definito e descritto con particolare minuzia e attenzione tutto il know how, cioè l’insieme di formule, conoscenze, segni distintivi che permettono di individuare i prodotti e servizi del franchisor.
E’ necessario infine definire sempre nell’ambito dell’oggetto del contratto di franchising nei dettagli anche la tipologia di consulenza commerciale, promozionale e di marketing che il franchisor si impegna a trasmettere ai propri affiliati.
Definire con attenzione gli obblighi per il franchisee al rispetto delle direttive indicate dal franchisor, anche eventualmente modificate in corso d’opera.
Definire con attenzione l’ambito dell’obbligo di riservatezza sul know how trasferito.
Definire il rispetto di determinati standard di qualità e le modalità di verifica dei suddetti standard.
Definire eventuali penali per il non rispetto degli obblighi contrattuali nel contratto in franchising.

Vediamo alcuni siti online da consigliare:

Aprireinfranchising.it
Lavorofranchising.it
Franchising.it

venerdì 18 gennaio 2013

Aspi 2013 la durata e i requisiti

Da gennaio 2013 debutta l'Aspi, la nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), che sostituirà l'indennità contro la disoccupazione involontaria e andrà a regime dal 2017 che succederà anche all'indennità di mobilità.

Quindi dal 2013 sarà operativa l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, ASPI, che prevederà l’erogazione di una indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperativa di lavoro, che si trovano in stato di disoccupazione.

Vediamo gli importi che sono previsti. L’ammontare consiste nel 75% di euro 1.180,00 (euro 885,00) aumentati di una quota del 25% della differenza tra retribuzione percepita ed il limite di euro 1.180,00 nel caso in cui la retribuzione del lavoratore superi quest’ultimo limite.

I requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, sono 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.

Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.

Questo tipo di assicurazione ha una durata di 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 anni di età e di 18 per quelli con almeno 55 anni di età. Inoltre i periodi di lavoro inferiori a 6 mesi sospendono il trattamento, con ripresa alla fine del periodo di lavoro mentre quelli superiori a 6 mesi, in presenza dei requisiti contributivi, fanno ripartire il trattamento.

Dal 2013 con la mini-ASPI viene del tutto modificato l’impianto dell’attuale indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. L’indennità non viene pagata l’anno successivo ma durante il periodo di disoccupazione e viene calcolata in maniera del tutto analoga a quella prevista per l’ASPI.

Il requisito di accesso è la presenza di almeno 13 settimane mobili di contribuzione negli ultimi 12 mesi.

La durata massima è pari alla metà delle settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti nel periodo. Inoltre è prevista la sospensione dell’erogazione del beneficio per periodi di lavoro inferiori a 5 giorni.

Al finanziamento della nuova indennità saranno oggetto i seguenti interventi dal 1° gennaio 2013:

Contributo integrativo pari al 1,31% che sostituirà, a regime, l’attuale contributo DS;

Contributo addizionale pari al 1,4% (carico datore) per ogni rapporto di lavoro a tempo determinato;

Contributo a carico del datore di lavoro in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per cause diverse dalle dimissioni intervenute dal 1 gennaio 2013.

Il contributo di licenziamento si applica anche nei casi di licenziamento per giusta causa o in caso di cessazione attività ed è pari al 50% del trattamento iniziale di ASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

Ciò significa che se viene licenziato un lavoratore con anzianità di almeno tre anni, il contributo di licenziamento è pari ad € 1.327,50 (885,00*1,5).

L’aliquota aggiuntiva non si applicherà ai lavoratori assunti in sostituzione di altri, ai lavoratori stagionali e agli apprendisti. Nel caso in cui il contratto divenga a tempo indeterminato, si avrà una restituzione pari all’aliquota aggiuntiva versata, con un massimo di 6 mensilità. Si ricorda che qualora fosse previsto, la restituzione avverrà al superamento del periodo di prova. A partire dal 2016, i datori e i lavoratori non tutelati dalla cassa integrazione dovranno finanziare lo strumento che consentirà loro, in caso di necessità, di usufruire di un sostegno al reddito.

sabato 1 settembre 2012

Lavoro e stage aziendali


Gli stage aziendali sono il primo percorso verso il mondo del lavoro. Sono definiti i tirocini formativi e di orientamento.

Lo scopo degli stage aziendali o tirocini è quello di avvicinare domanda e offerta di lavoro mediante l’inserimento dei giovani nel panorama lavorativo al fine di acquisire una conoscenza diretta dello stesso.

Gli stage lavorativi si rivolgono ai giovani che hanno assolto l’obbligo scolastico e a datori di lavoro sia pubblici che privati.

Quando si parla di stage aziendali, si tratta di un periodo che lo stagista trascorre presso un'azienda, dove ha modo di verificare ed applicare le conoscenze acquisite durante il percorso scolastico, sviluppa ed accresce le proprie competenze ed abilità, basandosi sull’esperienza diretta ed attiva, nell’ambito di un concreto ambiente operativo. Lo strumento formativo agevolato deve rispondere all’obiettivo di orientare i tirocinanti sul mercato del lavoro, attraverso il contatto diretto con le aziende, e di conoscere e valutare le capacità, le attitudini e le propensioni lavorative degli utenti, anche per un’eventuale assunzione futura.

I datori di lavoro privati possono prevedere l’inserimento dei giovani attraverso stage lavorativi entro certi limiti:
 un tirocinante nel caso di aziende con non più di cinque dipendenti a tempo indeterminato;
 non più di due tirocinanti contemporaneamente in aziende con un numero di dipendenti a tempo indeterminato compreso tra sei e diciannove unità;
 non più del 10% di tirocinanti in aziende con più di venti dipendenti a tempo indeterminato.

SOGGETTI PROMOTORI
Gli stage aziendali possono essere promossi da parte dei seguenti soggetti.

Agenzie per l'impiego;
Università;
Provveditorati agli studi;
Scuole statali e no statali che rilasciano titoli di studio con valore legale;
Centri di formazione convenzionati (Regione o Provincia);
Comunità terapeutiche e cooperative sociali;
Servizi di inserimento lavorativo per disabili.

I soggetti promotori  hanno l'onere di assicurare i giovani che si accingono ad intraprendere la strada degli stage lavorativi contro gli infortuni sul lavoro  e malattie professionali presso l'Inail, ed attivare apposita polizza presso una compagnia assicuratrice, oltre che per la responsabilità civile verso i terzi, e su di loro ricade la responsabilità di elaborare il progetto formativo e di orientamento contenente le modalità di attuazione stage aziendali.

I datori di lavoro che ospitano i laureandi, i quali sono in numero maggiore, devono invece favorire l'esperienza dello stagista nell'ambiente di lavoro. Dovrebbero anche garantire la presenza di un tutore come responsabile didattico-organizzativo delle attività. Per le aziende che impiegano giovani provenienti da regioni meridionali è possibile ottenere il rimborso totale o parziale degli oneri finanziari sostenuti per coprire le spese di vitto e alloggio del tirocinante.

Gli stage aziendali non costituiscono un rapporto di lavoro e come tale non dà diritto ad alcuna  retribuzione; a chi partecipa agli stage lavorativi, comunque, può essere riconosciuta una borsa di studio - compenso od altri incentivi. Le somme possono essere riconosciute dall’azienda ospitante, a sua discrezione, oppure, se si tratta di stage proposti da Istituti di formazione o Enti pubblici, dagli Istituti stessi o da appositi fondi regionali o europei.

Trattamento previdenziale e fiscale del compenso versato a favore di coloro che collaborano in qualità di stage lavorativi. La borsa di studio o il compenso, eventualmente elargito, possono essere corrisposti con cadenza mensile, oppure al termine dello stage: il pagamento di tali somme può anche essere subordinato al raggiungimento di un periodo minimo prefissato di stage aziendali.
Le somme versate non sono soggette ad alcuna contribuzione previdenziale.

DURATA STAGE LAVORATIVI
La durata massima è collegata alle caratteristiche del giovane, nonché al tipo di studi che lo stesso ha fatto. Il regolamento, a differenza di quanto succede tuttora, prevede anche di prorogare lo stage aziendale.

SPESE PER STAGE AZIENDALI
La normativa sugli stage aziendali prevede la detassazione del reddito per un importo corrispondente alle spese sostenute per stage lavorativi destinati a studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria, ovvero a diplomati o laureati per i quali non sia trascorso più di un anno dal termine del relativo corso di studi.

In ordine all’individuazione dei soggetti beneficiari ed all’ambito temporale di applicazione dell’agevolazione valgono per:
sotto l’aspetto soggettivo, possono fruire della detassazione per spese relative ai predetti stage aziendali tutti i contribuenti titolari di reddito d’impresa;
sotto il profilo temporale, sono agevolabili le spese sostenute, secondo i criteri contenuti nell’articolo 109 del TUIR, nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore del decreto n. 269. Rilevano ai fini dell’agevolazione tutti i costi relativi alla formazione dei soggetti sopra richiamati, effettuata attraverso stage aziendali.

L’agevolazione compete per gli stage lavorativi rivolti alle seguenti categorie:
studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria;
diplomati o laureati per i quali non sia trascorso più di un anno dal termine del relativo corso di studi.

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