domenica 14 agosto 2016
Lavoro: l’importanza delle lingue straniere nel mondo del lavoro
Il mercato del lavoro cambia: l’internazionalizzazione sta producendo la necessità di una sempre maggior qualificazione per accedere ad opportunità lavorative per le quali la concorrenza è forte. È ormai chiaro che un requisito determinante è quello della conoscenza delle lingue straniere : non è più pensabile candidarsi a posti di lavoro in aziende che operino sia su scala nazionale che internazionale senza un’adeguata padronanza almeno dell’inglese.
Conoscere una lingua straniera e l’inglese in particolare, sia uno dei requisiti fondamentali per entrare nel mondo del lavoro, è notizia nota , ma cosa penseresti se ti dicessimo che al giorno d’oggi essere bilingue non è più sufficiente?
In un mondo che muta velocemente, dove tutti sanno che imparare l’inglese non è più un optional ma un obbligo, è necessario aggiungere al curriculum sempre più requisiti che ci consentano di emergere dalla moltitudine di candidati che competono per un posto di lavoro.
Stabilito che oltre a perfezionare l’inglese è necessario imparare una terza lingua, il passaggio successivo è quello di scegliere quale. Visto che imparare una lingua può richiedere tempo e sacrifici sarebbe a questo punto necessario chiedersi “Quali sono le lingue più richieste nel mondo del lavoro (dopo l’inglese)?”
Solitamente per la scelta della lingua da studiare si prende in considerazione soprattutto il grado di diffusione di quest’ultima nel mondo, tuttavia l’ideale è concentrarsi sulle lingue parlate nei mercati in via di sviluppo.
INGLESE
Diventare fluenti nella lingua e magari specializzarsi anche in un inglese più commerciale è il primo passo da seguire. Un ulteriore consiglio è quello di munirsi di certificazioni, specialmente se si vuole lavorare all'estero.
CINESE
Bisogna guardarsi intorno per capire come il commercio con la Cina si stia sviluppando di giorno in giorno. Non a caso questo paese è il terzo in Italia in quanto a importazione di prodotti nel campo del Fashion e Luxury nonché Sales e Retail. Il cinese dunque non è solo la lingua più parlata al mondo ma sarà anche quella più richiesta da aziende di diverso settore, prima tra tutte quelle di moda.
PORTOGHESE
Nella classifica delle lingue più parlate al mondo il portoghese si piazza al sesto posto. Ma è una delle prime lingue da prendere in considerazione tenendo presente che il Brasile,e non solo, è uno dei mercati che si sta sviluppando più rapidamente. I settori maggiormente interessati a questa lingua sono quelli dell’ingegneria e del commercio.
ARABO
I settori che richiedono maggiormente questa lingua sono il giornalismo, interpretariato e traduzioni, il turismo, nonché l’ingegneria. Ad oggi l’arabo è la quarta lingua più diffusa nel mondo e può aprire diversi sbocchi professionali.
SPAGNOLO
Parlato in 44 Paesi diversi, la lingua spagnola è molto richiesta nel settore del commercio internazionale e nell'ingegneria. Considerando poi che l’America Latina sta crescendo notevolmente dal punto di vista economico, imparare lo spagnolo potrà rivelarsi sicuramente un ottimo investimento per il futuro.
TEDESCO
Tra le lingue Europee il tedesco è probabilmente quella più utile al momento per trovare lavoro in quanto è oramai il partner commerciale più importante per l’Italia. Il settore bancario, dell’auto e finanziario, sono quelli più interessati alla lingua tedesca.
Quanto sia accresciuta l'importanza delle lingue straniere lo dimostra un rapporto curato della Commissione Europea, denominato “Languages for Jobs” , risultato di uno studio al quale hanno partecipato oltre 30 studiosi ed esperti dei vari paesi dell’UE (tra cui anche un paio di Italiani): si trattava di sottoporre un questionario mirato ad oltre 500 aziende, delle più varie tipologie e dimensioni: quel che è emerso con forza è che le conoscenze linguistiche vanno di pari passo con la competitività sui mercati del mondo globalizzato.
Le aziende più dinamiche (spesso quelle di dimensioni minori) e che stanno rispondendo alla crisi con più efficacia o addirittura non risentendone, sono risultate quelle la cui percentuale di addetti o dipendenti con una buona conoscenza delle lingue è maggiore, rispetto ad imprese meno attente al problema.
Il punto è proprio questo: la padronanza delle lingue o la mancanza di essa può costituire rispettivamente un’opportunità di crescita (chi le sa può trovare nuovi lavori, nuovi mercati) oppure un freno al proprio sviluppo (chi non le sa trova porte chiuse ovunque).
Si stima da fonti ufficiali dell’UE che nella sola Europa siano in qualche modo presenti 175 “nazionalità”: saper comunicare è a questo punto un pre-requisito.
Uno studio UE d afferma inoltre che le competenze comunicative sono al terzo posto tra le caratteristiche maggiormente richieste dai datori di lavoro ai possibili neo-assunti: che cos'altro è una lingua se non il primo è più potente veicolo di comunicazione?
Naturalmente l’importanza della conoscenza di una lingua straniera sta tanto nella sua utilità e spendibilità immediata, quanto nel suo valore maggiormente “culturale”: saper tradurre con precisione una scheda tecnica di un prodotto può essere rilevante quanto la conoscenza della cultura di un paese con il quale si sta intraprendendo una trattativa commerciale.
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sabato 13 agosto 2016
Riforma pensioni: requisiti per l'anticipo e sistema contributivo puro
L’anticipo pensionistico - APE, prevede la possibilità di pensione di vecchiaia anticipata al massimo di tre anni . Nel caso il primo anno di applicazione fosse effettivamente il 2017, essa interesserà
i nati dal 1.6.1951 al 31.5.1952 a cui mancano a 1 anno e un mese a 2 anni per la pensione .
i nati dal 1.6 1952 al 31.12. 1953 a cui mancano da 2 anni e 5 mesi a 3 anni per la pensione di vecchiaia.
Per questi soggetti le indiscrezioni parlavano di una penalizzazione pari al 2 o 3% , per ogni anno di anticipo, da applicare sugli assegni di pensione fino al triplo della pensione minima mentre su quelli più alti (cioè oltre 1500 euro ) si ipotizzava ad una aliquota del 7-8%.
Queste aliquote vanno applicate alla quota retributiva maturata:
fino al 31.12.1995 (per chi a quella data aveva meno di 18 anni di contributi) oppure
fino al 2011 (per chi a fine 1995 aveva più di 18 anni di contributi).
Il punto di partenza di questa proposta era il disegno di legge del 2013 dell’on. C. Damiano (ddl 857 d) ex Ministro del lavoro, che prevedeva la possibilità di concordare l'età di uscita dal mondo del lavoro (pensione flessibile) ed anche di abbassare a 41 anni i requisiti contributivi necessari per uscire , indipendentemente dall'età anagrafica .
Il costo di tali modifiche per il sistema previdenziale sarebbe però pari a 8,5 miliardi di euro.
Il disegno di legge n. 2233/2/11 affronta lo spinoso problema della riforma previdenziale dando atto della situazione in cui si verranno a trovare molti lavoratori, soprattutto quelli iscritti alla gestione separata, a cui si applicherà quando andranno in pensione il sistema contributivo puro.
Gli interventi che il Governo si appresta ad emanare tendono a:
a) assicurare la piena portabilità del credito pensionistico in altre gestioni;
b) operare una revisione delle modalità di rivalutazione del montante pensionistico, in modo da renderlo effettivamente premiante;
c) prevedere la possibilità di riscattare gli anni lavorati quando non esisteva un obbligo contributivo e gli anni di laurea;
d) prevedere concrete misure di incentivazione alla previdenza complementare.
Con la legge 335/1995 che ha introdotto il sistema contributo la previdenza ha cambiato volto, riducendo drasticamente le prospettive pensionistiche dei lavoratori.
Gli iscritti alla gestione separata , lavoratori autonomi e parasubordinati, sono stati i primi ad essere interessati a questo passaggio al sistema contributivo puro.
Tuttavia oggi pur parlando spesso di pensioni viene sempre posta l’attenzione sui pensionati e sui pensionandi con sistema retributivo evitando accuratamente di parlare della povertà e delle penalizzazioni che produrrà il sistema contributivo puro quando sarà a regime.
Il governo ritiene che “ È invece urgente intervenire subito per evitare l'esplosione di una bomba sociale, quando arriveranno le prime consistenti coorti di pensionati contributivi puri” intervenendo nel sistema per superare alcune gravi carenze del sistema contributivo, e in particolare:
La garanzia per tutti i lavoratori con 15-20 anni di versamenti in qualunque gestione previdenziale di una pensione minima
Intervenire con meccanismi solidaristici a favore di chi ha sperimentato percorsi lavorativi non continuativi, a causa di difficoltà occupazionali o personali
incentivare l'investimento pensionistico, attualmente molto poco conveniente;
incentivare il secondo pilastro previdenziale, che sarà necessario per compensare la caduta del reddito che si presenterà al momento di andare in pensione.
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Riforma pensioni: i requisiti per la pensione anticipata
Torna, a partire dal 2018, la penalizzazione sull'assegno previdenziale per i lavoratori che escono in anticipo dal mondo del lavoro, ovvero con meno di 62 anni di età. Per i lavoratori che maturino i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, invece, non sono previste penalizzazioni anche se la prestazione previdenziale ha decorrenza successiva a tale data.
Il meccanismo di cui si discute prevede un anticipo pensionistico, APE, per ritirarsi fino a tre anni prima della pensione di vecchiaia (quindi, a 63 anni e sette mesi): il lavoratore percepisce un trattamento che restituirà poi con la pensione. L’anticipo pensionistico è finanziato dalle banche, che vengono coperte dal rischio (ad esempio, di decesso del pensionato prima della fine della restituzione del prestito, che tendenzialmente avviene in 20 anni), attraverso un’assicurazione (non si prevede intervento pubblico). Si discute in particolare sulla decurtazione della pensione, intorno al 2% per ogni anno di anticipo. Si pensa anche a un meccanismo che consenta di diminuire l’importo del prestito pensionistico riscattando periodi versati alla previdenza complementare. Sono poi previste regole diverse per i disoccupati (anch’essi beneficiari di un trattamento che li accompagni alla pensione, ma a carico dello stato).
La legge 214 2011 (Monti - Fornero) ha aumentato gradualmente l’età pensionabile agganciandola alla speranza di vita e prevedendo di arrivare a 70 anni nel 2050 con un minimo di 20 anni di contributi; di conseguenza ha modificato il requisito contributivo per la pensione di vecchiaia anticipata:
Nel 2016 ,con il sistema di calcolo misto retributivo-contributivo è pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini , e 41 anni e 10 mesi per le donne. Esso continuerà ad aumentare arrivando nel 2050 a 46 anni e tre mesi per gli uomini e 45 e 3 mesi per le donne.
Per chi applica il sistema contributivo (ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1.1.1996 ) si può optare per la pensione , con gli stessi requisiti oppure con età non inferiore a 63 anni e 7 mesi e un assegno pensionistico non inferiore a 2,8 volte la pensione minima (oggi circa 1250 euro).
Per far fronte agli inevitabili maggiori costi sulla finanza pubblica al Ministero del lavoro è stata messa a punto una soluzione che coinvolge gli istituti bancari e le assicurazioni chiamata prestito pensionistico, anch'essa figlia di una proposta di parlamentari democratici . In origine il progetto consisteva in un sostegno economico esclusivamente per i lavoratori disoccupati in condizioni di bisogno e di età prossima alla pensione che non possono più contare sulle indennità di disoccupazione attualmente in vigore.
Nell'incontro con i sindacati del 14 giugno 2016 il Ministro Poletti ha confermato che è proprio questa la via che il Governo intenderebbe percorrere per garantire la flessibilità in uscita limitando al massimo i costi per lo Stato . Si tratta dell' anticipo pensionistico affiancato dal prestito previdenziale ventennale; in pratica il lavoratore che esce in anticipo percepisce si la pensione dall'INPS ma deve contemporaneamente restituire la rata di mutuo stipulato dall'INPS con gli istituti di credito, per cui l'assegno sarà comunque decurtato.
Si parla di un incidenza che potrebbe arrivare al 15% per gli assegni più alti, o forse , per i lavoratori che scelgono volontariamente l'uscita dal mondo del lavoro. Questo sistema consente di limitare i costi per le casse dello Stato a 500-600 milioni di euro.
Sono allo studio però i sistemi per limitare al massimo l'incidenza dei costi finanziari , grazie ad agevolazioni e interventi statali, riservati a:
i lavoratori in difficoltà come i disoccupati di lungo periodo e prossimi alla pensione;
le donne e
i soggetti che svolgono lavoro usurante.
Chi non rientra in queste categorie ma, avendo i requisiti anagrafici e contributivi visti sopra, sceglie di uscire prima volontariamente, potrebbe essere maggiormente penalizzato dal costo del prestito .
Il Ministero del lavoro ha annunciato per l'ultima settimana di giugno 2016, due ulteriori incontri con i sindacati per individuare appunto le fasce di lavoratori e i requisiti per le agevolazioni finanziarie che rendano accettabile il meccanismo dell'APE ad un pubblico più ampio .
Va ricordato comunque che la misura allo studio , è sperimentale.
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