mercoledì 19 aprile 2017

Lavoro: licenziarsi da un contratto a tempo indeterminato


Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro.

Con il D. lgs 151/2015, entrato in vigore in attuazione del Jobs Act, è stata rivista la disciplina delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale. Il Jobs Act, a rafforzamento del contrasto alle dimissioni in bianco, ha introdotto una ulteriore novità, ovvero la compilazione in via telematica delle dimissioni.

Le dimissioni volontarie sono le classiche  date dal lavoratore per ragioni personali (famiglia, cambio lavoro, salute ecc.), in questo caso il lavoratore di sua spontanea volontà rassegna le dimissioni dal proprio lavoro a tempo indeterminato in quanto per ragioni personali non può più proseguire con il lavoro.

Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni volontarie dando un margine di preavviso al datore di lavoro per consentirgli di trovare un altro lavoratore per sostituirlo nelle sue mansioni ordinarie. Il preavviso è stabilito dai CCNL i quali distinguono il periodo di preavviso in base alle mansioni del lavoratore (es. impiegato o operaio) e l’anzianità di servizio (un operaio con più anni di esperienza sarà più difficile da sostituire).

Proprio per la sua peculiarità il preavviso è sempre obbligatorio, nel caso in cui lavoratore dia le proprie dimissioni in tronco, quindi smettendo di lavorare da un giorno all’altro o comunque prima della scadenza del preavviso il datore di lavoro può richiedere un risarcimento al lavoratore, pari di solito alle giornate di mancato preavviso.

Caso diverso sono le dimissioni per giusta causa. In questo caso infatti le dimissioni vengono presentate dal lavoratore non per ragioni personali, ma perché per qualche ragione il rapporto di lavoro si è incrinato irrimediabilmente e il lavoratore non ritiene più di poter proseguire il lavoro neanche temporaneamente

In questo modo potreste avere diritto ad un risarcimento per un danno da voi subito a torto, stimato in una condizione di parità relativa all'ammontare delle retribuzioni che avreste percepito per la durata intera del contratto.  Ovviamente, prima di effettuare tutti gli incartamenti valutate sempre bene la situazione, senza fare cose affrettate.  Analizzando il motivo del recesso del contratto.  Per poi, informarvi con delle persone esperte nel campo.

Il contratto a tempo indeterminato è un accordo redatto per iscritto tra il datore di lavoro ed un dipendente, regolato dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL). Esso non riporta la scadenza del rapporto lavorativo e deve contenere: i dati del principale e del lavoratore; la mansione data a quest'ultimo; l'importo dello stipendio mensile; l'orario di attività; i giorni di ferie; le eventuali ore di permesso; le informazioni riguardanti il licenziamento e le dimissioni.

L'articolo 2118 c. C. Prevede che tale obbligazione può essere sospesa soltanto dando un opportuno preavviso, per consentire all'imprenditore di trovare un subentrante, senza creare disguidi alla società. In questi casi, non occorre che il dirigente esprima la sua accettazione, perché la scelta di licenziarsi è una dichiarazione volontaria unilaterale ed inoppugnabile. Tuttavia, prima che il datore di lavoro ne venga a conoscenza, è possibile decidere per la sua revoca.

Il periodo di preannuncio è differente secondo la tipologia dell'accordo stipulato, il tipo di assunzione, l'anzianità raggiunta, ecc. Comunque, se non vengono indicate specifiche disposizioni, si applicano le regole basilari oppure quelle di equità. Le dimissioni assumono validità quando il datore di lavoro la riceve e, dunque, ne viene a conoscenza.

Se vi dimettete senza dare il preannuncio, dovrete sborsare un'indennità di mancato preavvertimento al datore di lavoro.  L'importo da rimunerare corrisponderà all'ammontare della retribuzione che avreste dovuto incassare durante i giorni di preavviso non rispettato.

Comunque, il responsabile può anche rifiutare quest'ultimo.  In questo caso, purché voi siate d'accordo, vi dovrà erogare l'indennità sostitutiva, corrispondente sempre allo stipendio relativo al suddetto intervallo.

Il licenziamento dovrà essere presentata al sovraintendente, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, per poter documentare la data di spedizione. Se lo desiderate, potrete anche presentarla mediante posta elettronica certificata e, comunque, entro un lasso massimo di un mese, a partire dalla data del vostro licenziamento volontario. Il datore di lavoro vi dovrà inviare una comunicazione, per richiedervi di firmare la vostra rescissione dal contratto.

Nella lettera delle dimissioni da trasmettere direttamente all'Ufficio del personale della vostra azienda, dovrete: specificare che si tratta di una comunicazione di licenziamento; indicare i vostri dati anagrafici, la data dell'assunzione, la tipologia della funzione, il livello, il giorno a partire dal quale sarà effettivo l'esonero dal lavoro; puntualizzare, nella parte conclusiva della missiva, la scadenza del periodo di preavviso; firmarla e datarla; farne una copia e conservarla insieme alla ricevuta dell'invio.

Il datore di lavoro deve provvedere al pagamento del T.F.R. attraverso la busta paga con la quale eroga l’ultima retribuzione, che, ovviamente, deve essere corrisposto al termine effettivo del rapporto di lavoro e, quindi, con le stesse modalità seguite fino ad oggi, a meno che le parti non si mettano d’accordo diversamente, ma sempre consegnando la busta paga al lavoratore.

Solitamente, nel giro di due o tre mesi, il datore di lavoro provvede a regolarizzare la posizione del dipendente dimesso, quindi, trascorso tale periodo, le consiglio di metterlo ufficialmente in mora a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.






Lavoro: licenziarsi da un contratto a tempo determinato



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel contratto a tempo determinato non è previsto l'istituto del preavviso ne' il recesso anticipato: il rapporto può cessare prima della scadenza del termine esclusivamente per comune volontà delle parti oppure per recesso per giusta causa (articolo 2119 codice civile).

Questo implica che le dimissioni da parte del lavoratore sono consentite solo se anche il datore di lavoro è d'accordo ovvero quando vi sono condizioni che impediscono di proseguire l'attività di lavoro (dimissioni per giusta causa).

Non è quindi ammesso il licenziamento con preavviso, sia per giustificato motivo che recedere da parte del datore di lavoro, nè le dimissioni da parte del lavoratore a prescindere dalla sussistenza della giusta causa.

In caso di dimissioni per giusta causa il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno che è pari all'ammontare delle retribuzioni che avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista.

In caso di dimissioni prima del termine senza giusta causa non è previsto esplicitamente il risarcimento del danno, ma la giurisprudenza, ravvisando un palese inadempimento contrattuale, ha previsto un risarcimento integrale del danno provocato al datore di lavoro.

Quando si ottiene un contratto a tempo determinato occorre esaminarlo bene. Per poi poter, in eseguito muoversi in base a quello che viene concordato e poi firmato. Il contratto a tempo determinato prevede sempre una scadenza di fine lavoro. Ma può succedere di volersi licenziare prima per motivi di vario genere. Per questo bisogna seguire delle regole e agire in modo corretto.

La prima cosa che va fatta è quella di rispettare i termini in materia di preavviso. Pertanto questi dipendono dai tempi relativi all'assunzione del contratto a tempo determinato. Di solito questi prevedono quindici giorni. Mentre, se ancora siete nel periodo di prova, non è necessario avvisare. Invece, il problema sorge se lavorate già da tempo nell'azienda. Quindi, dovrete procedere diversamente e cioè avvisare il datore preventivamente. A questo punto è necessario che parlate direttamente con il vostro datore di lavoro, portandogli la lettera di dimissioni. Oppure spedendo tutto tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.

A questo punto se vi trovate sotto il periodo di prova o meno, dovrete sottoscrivere una lettera di dimissioni. Questa la dovete consegnare direttamente al vostro datore o all'ufficio del personale competente, in caso di grande azienda. Inoltre, potrete redarla sia a mano che in via telematica. Scrivendola e indicando luogo e data e sottoscrivendo in prima persona la vostra decisione di licenziarvi. È bene farsi consigliare anche da un esperto legale quale può essere un consulente del lavoro. Fate attenzione a non fare errori nella lettera di licenziamento che andate a presentare.

Una volta effettuata la consegna della lettera di licenziamento sarete liberi di non presentarvi più sul posto di lavoro. Il vostro contratto a tempo determinato verrà considerato decaduto e potrete quindi dedicarvi a cercare altro.

Il contratto di lavoro a tempo determinato si estingue normalmente e automaticamente alla data prevista dalle parti stipulanti nel contratto di assunzione. Tale data - lo ricordiamo ancora una volta - può essere stabilita in termini assoluti con il riferimento a un giorno, mese e anno precisi oppure può essere fissata mediante il riferimento al verificarsi di un determinato fatto previsto dalle parti (la chiusura di una fiera; il rientro in servizio del lavoratore sostituito eccetera). In questo caso non si può certo parlare di licenziamento; d'altro canto, pur se il datore non è tenuto ad alcuna formale comunicazione scritta, non pare inopportuno - soprattutto nel caso in cui la durata non sia stata stabilita con riferimento a una data certa ma in relazione a un fatto che potrebbe anche non essere a conoscenza del sostituto (come, appunto, il rientro del lavoratore sostituito, magari assegnato a un diverso reparto aziendale) - consegnare al lavoratore una lettera in cui lo si informa che, per l'avvenuto verificarsi della causale estintiva prevista, a decorrere dal tale giorno, il rapporto si intenderà risolto, con l'obbligo del dipendente di riconsegnare il pass aziendale (e quant'altro in suo possesso, tipo buoni mensa eccetera) e il suo diritto a ricevere le spettanze di fine rapporto.







mercoledì 12 aprile 2017

TFR: quando l’Inps paga al posto del datore di lavoro





L’INPS paga il TFR al lavoratore al posto dell’azienda se quest’ultima, pur non avendo avviato procedure fallimentari, sia comunque insolvente: lo stabilisce una nuova sentenza della Corte di Cassazione (numero 7924/2017). Il caso riguarda la liquidazione da un’impresa chiusa, con amministratori irreperibili (esecuzione forzata infruttuosa). Per accedere al Fondo di garanzia presso l'INPS, ex lege 297/1982, se il datore è assoggettabile a fallimento sono necessari tre requisiti: la cessazione del rapporto di lavoro, l'inadempimento integrale del datore e la sua insolvenza.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7924/2017 pronunciatasi sulla vicenda di alcune lavoratrici che avevano chiesto condannarsi il Fondo di garanzia dell'Inps a corrispondere loro il trattamento di fine rapporto, dovuto in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro con una società.

In, generale, i lavoratori hanno diritto al trattamento di fine rapporto dal Fondo di garanzia INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro. La legge (297/1982), tuttavia, prevede due casi:

impresa sottoposta a procedure concorsuali

inadempimento del datore di lavoro (anche in misura parziale).

In caso di fallimento devono sussistere altre condizioni:

avvenuta cessazione del rapporto di lavoro;

mancato pagamento del TFR (o pagamento parziale);

insolvenza del datore di lavoro.

Se l’insolvenza è accertata anche in sede diversa da quella fallimentare, secondo la nuova sentenza di Cassazione, il lavoratore accede alle prestazione del Fondo di Garanzia, quindi riceve il TFR dall’INPS: «secondo una ragionevole interpretazione», il diritto spetta anche nel caso in cui «l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa».

L'azienda era rimasta inadempiente, il tentativo di esperimento di esecuzione forzata era rimasto infruttuoso per irreperibilità della società e dei suoi amministratori e il Tribunale a cui era stata avanzata istanza di fallimento si era dichiarato incompetente.

Tribunale e Corte d'Appello accolgono la richiesta delle lavoratrici, ritenendo sussistenti i presupposti per l'applicazione dell'art. 2 della L. 29 maggio 1982, n. 297, sul rilievo che la società aveva cessato l'attività quanto meno dal 2003, che non risultavano sue sedi o domicili o dei suoi amministratori realmente reperibili, che pertanto era improbabile sia una procedura concorsuale sia una effettiva e fruttuosa esecuzione, attesa la materiale irreperibilità di questi soggetti.

Le legge distingue distingue a seconda che il datore di lavoro sia stato sottoposto a una procedura concorsuale ovvero che il medesimo non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale.

Nel primo caso, relativo a datore di lavoro che sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, il pagamento da parte del Fondo è subordinato a tre requisiti: l'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro; l'inadempimento del datore di lavoro per l'intero credito inerente al trattamento di fine rapporto o per una sua parte; l'insolvenza del medesimo datore di lavoro.

Per la giurisprudenza, l'ingresso a un'azione nei confronti del Fondo è consentita anche quando l'imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento,  vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo, e l'esecuzione forzata si riveli infruttuosa.

Ove pertanto l'accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell'attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia.

Pertanto, secondo il meccanismo configurato dalla legge, la dichiarazione di insolvenza e la verifica sulla esistenza e misura del credito in sede fallimentare fungono da presupposti del diritto verso il Fondo di garanzia.

Solo nel caso in cui l'imprenditore non sia assoggettabile alla procedura concorsuale, è possibile l'intervento del fondo di garanzia a patto che il lavoratore dimostri, attraverso l'esperimento di "un'azione esecutiva, che deve conformarsi all'ordinaria diligenza e che sia esercitata in modo serio ed adeguato", l'insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente, coerentemente con il disposto dell'art. 2740 c.c.

Nel caso di specie, alla data di presentazione della domanda all'Inps da parte delle lavoratrici, la società risultava ancora iscritta al registro delle imprese, ed era pertanto assoggettabile al fallimento, giacché ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento di un'impresa svolta in forma societaria, occorre far riferimento solo alla data di cancellazione dal registro delle imprese.

Non può dirsi esclusa l'assoggettabilità a fallimento per il sol fatto che la società era sconosciuta alla sede risultante dai pubblici registri, ben avendo potuto la procedura fallimentare avviarsi, attraverso la notifica della convocazione del fallendo con il rito degli irreperibili, ex art. 143 c.p.c., ovvero attraverso la notifica sussidiaria al legale rappresentante presso la residenza anagrafica.

Parimenti insufficiente, secondo la Corte, ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza e, quindi, dell'intervento del Fondo di garanzia, è la sentenza declinatoria della competenza pronunciata dal Tribunale, contro la quale i lavoratori avrebbero potuto proporre impugnazione oppure riassumere in giudizio dinanzi al tribunale indicato come competente e qui ottenere la sentenza dichiarativa di fallimento o la sua chiusura per assoluta insufficienza dell'attivo.

Il lavoratore ha diritto al TFR dall’INPS anche con azienda non assoggettabile a fallimento, purché un’azione esecutiva dimostri l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente ( nel caso in esame, infatti, la società era stata erroneamente – secondo la Cassazione – ritenuta non assoggettabile al fallimento, per irreperibilità degli imprenditori e mancanza di un domicilio fiscale dell’impresa).

La Corte stabilisce che comunque sarebbe stato possibile avviare le procedure concorsuali (attraverso specifica procedura prevista per gli irreperibili, oppure notifica sussidiaria al legale rappresentante). Mentre era chiaramente insolvente, era cessato il rapporto di lavoro e non era stato pagato il TFR. Di conseguenza, le lavoratrici hanno diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto da parte dell’istituto di previdenza.


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