lunedì 4 giugno 2018

Articolo 18: obblighi dell’azienda in caso di lavoratore ingiustamente licenziato



La Corte Costituzionale salva il nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori. La violazione dell'ordine provvisorio di riassunzione espone l'azienda a risarcire i danni. Con la sentenza n. 86/2018, l'organo di garanzia costituzionale riconosce, la natura risarcitoria, e non retributiva, all'indennità che spetta al lavoratore che non venga immediatamente reintegrato nel posto di lavoro per ordine del giudice. L'indennità va restituita in caso di successiva riforma del provvedimento. Tuttavia, il datore di lavoro che non esegue l’ordine di reintegrazione provvisoriamente esecutivo, perché preferisce puntare sulla sua successiva riforma, può essere messo in mora dal dipendente e andare incontro al risarcimento del danno per la mancata reintegrazione, da quando è stato emesso l’ordine a quando è stato riformato.

La sentenza è tornata ad analizzare l’articolo 18 dello Statuto, come indicato dalla legge 92/2012. La questione interessa perciò i vecchi assunti, non le nuove tutele crescenti introdotte dal Jobs act dal 7 marzo 2015; la riforma del governo Monti, che ha operato una prima limatura alla tutela reale, ha previsto, in caso di recesso datoriale ingiustificato, accanto alla reintegra, il pagamento di un’indennità monetaria (entro il tetto delle 12 mensilità) per favorire il lavoratore nel periodo intercorrente tra la pronuncia e l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa. Ebbene, il Tribunale di Trento ha messo nel mirino la norma, evidenziando come la qualificazione dell’indennità come risarcitoria «sarebbe irragionevole», in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, determinando «un’ingiustificata disparità di trattamento» in relazione alla repetibilità delle somme assegnate al lavoratore, tra la posizione del datore che ottemperi all’ordine di reintegra, e quella dell’imprenditore che non vi dia esecuzione.

Per capire meglio la portata della decisione di cui alla sentenza 86/2018 riportiamo di seguito il comunicato della Corte Costituzionale del 23 aprile 2018.

Nella sentenza si legge che “la concreta attuazione dell’ordine di reintegrazione non può prescindere dalla collaborazione del datore di lavoro poiché ha per oggetto un facere infungibile”. Tuttavia, l’inadempimento del datore di lavoro configura un “illecito istantaneo ad effetti permanenti”, da cui deriva un’obbligazione risarcitoria del danno da parte del datore nei confronti del dipendente non reintegrato. La norma denunciata, quindi, non è irragionevole ma “coerente al contesto della fattispecie disciplinata” perché – spiega la Corte – l’indennità è collegata a una “condotta contra ius del datore di lavoro e non a una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente”.

Di qui la natura risarcitoria (e non retributiva) dell’indennità, e l’obbligo del lavoratore di restituirla qualora l’ordine di reintegrazione venga riformato. La Corte, però, ha aggiunto che “scommettere” sulla riforma dell’ordine di reintegrazione – senza eseguirlo – può essere fonte di risarcimento dei danni da parte dell’azienda. Il lavoratore, infatti, può mettere in mora il datore di lavoro che si rifiuti di adempiere l’ordine di riassunzione provvisoriamente esecutivo. E la messa in mora – nello speciale contesto della disciplina di favore del lavoratore – gli consentirà di chiedere all’azienda, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni subiti per il mancato reintegro, da quando è stato emesso l’ordine provvisoriamente esecutivo a quando è stato riformato.

Per la Corte la questione «è infondata»: l’inadempimento datoriale configura, infatti, un «illecito istantaneo ad effetti permanenti», da cui deriva un’obbligazione risarcitoria del danno. La norma denunciata, pertanto, non è irragionevole ma «coerente al contesto della fattispecie disciplinata» perché, spiega la Corte, l’indennità è collegata a una «condotta contra ius del datore e non a una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente». Di qui la sua natura risarcitoria (e non retributiva).

La Consulta ha poi concluso che “scommettere” sulla riforma della pronuncia di reintegra, senza eseguirla, può essere fonte di risarcimento danni da parte dell’azienda (il lavoratore può mettere in mora l’impresa e chiedere i danni in via riconvenzionale).

«La pronuncia della Corte – ha commentato Sandro Mainardi dell'Università di Bologna) fa chiarezza, esattamente qualificando l’«indennità risarcitoria» dovuta per la mancata ottemperanza all’ordine di reintegrazione quale «risarcimento del danno» per condotta contra ius e non, come nel regime previgente, quale corrispettivo collegato alla mancata prestazione di lavoro da parte del dipendente. La soluzione di ritenere non fondata la questione appare quindi coerente con il quadro normativo introdotto dalla riforma del 2012, ad esempio con riguardo alla deduzione dell’aliunde perceptum; ed anche equilibrata rispetto alle posizioni assunte dalle parti a seguito dell’ordine di reintegrazione».

Non reintegrare un lavoratore nel suo posto di lavoro a seguito di una sentenza esecutiva provvisoria, potrebbe costare caro all'azienda. È questo l'effetto pratico della sentenza della Corte, risarcimento danni. L'argomento è da sempre fonte di polemiche. Il Jobs act ha infatti abolito la tutela della reintegra stabilita dall'articolo 18 in caso di licenziamento ingiusto, prevedendo un indennizzo.



sabato 2 giugno 2018

Srl semplificata, requisiti e costi





Considerate le interessanti opportunità di abbattimento delle barriere all'ingresso, con tutti i vantaggi che la normativa sulle S.r.l. semplificate prevede in termini di diminuzione dei costi e degli oneri notarili e camerali normalmente previsti per altre forme di società di capitali e/o di persone, appare estremamente allettante la possibilità di realizzare una società con questa peculiare forma giuridica.

La SRL semplificata è a tutti gli effetti è una soggetto giuridico al pari di una SRL che per la sua costituzione ci vorrà un capitale minimo da sottoscrivere simbolico e pari ad un euro e al rispetto di alcuni requisiti e comunque con capitale inferiore ai 9.999 euro che dovrà essere interamente sottoscritto e versato. Il capitale sociale dovrà essere formato solo di denaro non potendo prevedere anche conferimento in natura, d’opera o immobili o altro bene o servizio diverso.

La disciplina sulle Srl semplificata(società a responsabilità limitata a 1 euro) è stata perfezionata con il Decreto Lavoro 2013, che ha eliminato alcuni paletti di quella originaria del 2012 lasciando intatte tutte le agevolazioni in materia di minori costi di avvio e di statuto standard – integrabile ma inderogabile rispetto ai suoi tratti distintivi. Vediamo dunque come aprire una srl semplificata e quanto costa.

Requisiti per aprire una Srls
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e contenere i dati anagrafici e requisiti della società, indicati all’articolo 3 del Dl 1/2012convertito con la legge 27/2012, che ha introdotto l’articolo 2463-bis del Codice civile, modificato dal comma 13 dell’articolo 4 del decreto lavoro (Dl 76/2013):

La denominazione sociale contiene l’indicazione di società a responsabilità limitata.
Il capitale sociale è compreso fra uno e 9.999 euro, è sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve essere in denaro e versato all’organo amministrativo.  Vanno indicati gli amministratori (che, rispetto alla regola originaria, non devono più essere soci).

Adempimenti e costi
Non si paga. Per l’atto costitutivo, il notaio controlla i requisiti senza chiedere onorari ed entro 20 giorni deposita l’atto presso l’Ufficio del Registro Imprese tramite software ComUnica, senza spese per i diritti di segreteria e bollo.

Si paga. I costi dovuti sono il diritto annuale alla Camera di Commercio, l’imposta di registro, la denuncia inizio attività.

Un discorso a parte meritano i costi relativa alla tassa di concessione governativa per i libri sociali.

Per le Srls, infatti, c’è l’obbligo di contabilità ordinaria, nonché di deposito del bilancio di esercizio presso il registro imprese e di tenuta dei libri sociali.

E’ possibile modificare lo statuto per passare da Srl semplificata a ordinaria ma serve che l’atto costitutivo (o Statuto) risultante dalle modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione e che siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci. Per quanto riguarda in particolare il passaggio da Srl semplificata alla forma di Srl ordinaria, è necessario il contestuale aumento del capitale sociale ad almeno 10mila euro, con modalità analoghe a quanto avviene in caso di trasformazione di una srl (con capitale inferiore a euro 120.000) in SpA, senza che risulti necessario accertare il valore del patrimonio sociale mediante una relazione di stima. Quindi, non è necessaria la perizia di stima del patrimonio sociale che, invece, è per esempio richiesta nel caso di trasformazione di una società di persone in Srl. Questo perché in sostanza si rimane all’interno della disciplina della stessa tipologia societaria, la Srl.

Infine nel caso opposto, di passaggio da Srl ordinaria a Srls, è necessario ridurre il capitale sociale sotto i 10mila euro. Ne consegue che il passaggio può essere deliberato:

con efficacia immediata (salva l’iscrizione nel registro delle imprese) in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, anche ai sensi dell’art. 2482-ter del codice civile;

con efficacia subordinata al decorso del termine di 90 giorni nel caso in cui la riduzione del capitale sociale avvenga in base all‘art 2482 del codice civile (rimborso ai soci).

Oltre alla stipula dell’atto costitutiva e all'apertura della partita Iva dovrete effettuare anche l’iscrizione nel Registro delle imprese che nei casi di una SRL ordinaria saranno soggetti al pagamento di imposte di bollo e diritti di segreterie mentre in questi casi saranno esenti e non so se l’ho scritto prima ma anche gli onorari del Notaio dovranno essere pari a zero se non limitatamente al versamento dell’imposta di registro.



venerdì 18 maggio 2018

Assegni familiari, nuovi importi e limiti di reddito



Dal primo luglio 2018 cambiano i livelli di reddito ai fini della corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare e l'Inps ha pubblicato le nuove tabelle contenenti i nuovi livelli di reddito, nonché i corrispondenti importi mensili della prestazione, da applicare per il periodo intercorrente tra il 1° luglio 2018 ed il 30 giugno 2019.

Con la Circolare Inps n. 68/2018, l'ente di previdenza ha adeguato i redditi per il conseguimento degli ANF all'incremento dell’inflazione. Si tratta di un adeguamento che viene effettuato annualmente, come disposto per legge (la n. 153/88), la quale stabilisce che i livelli di reddito familiare ai fini della corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare vengano rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT, intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente.

Stabilite le nuove soglie di reddito per richiedere l'assegno familiare, il contributo economico destinato alle famiglie di alcune categorie di lavoratori aventi un reddito complessivo al di sotto dei limiti stabiliti annualmente dalla legge. "Dal 1° gennaio 2018 - spiega l'Inps in una nota - sono stati rivalutati sia i limiti di reddito familiare ai fini della cessazione o riduzione della corresponsione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione di pensione, sia i limiti di reddito mensili per l'accertamento del carico ai fini dei diritto agli assegni stessi".

Per quanto riguarda i limiti di reddito mensili, gli importi da considerare ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari risultano così fissati per tutto l'anno 2018: 714,62 euro per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio od equiparato; 1250,58 euro per due genitori ed equiparati. "I nuovi limiti di reddito - ricorda l'Istituto - valgono anche in caso di richiesta di assegni familiari per fratelli, sorelle e nipoti". Entrando nel concreto, nel 2018 il limite reddituale minimo nei nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, sale a 14.541,59 euro, per 137,5 euro mensili in presenza di un figlio minore. L’importo come è noto aumenta al crescere della numerosità del nucleo familiare o in presenza di un soggetto inabile.

In merito ai limiti di reddito familiare, invece, l'Inps invita a consultare le nuove tabelle pubblicate sul sito e calcolate in base al tasso d'inflazione programmato per il 2017, pari allo 0,9%. Le nuove disposizioni vengono applicate ai soggetti esclusi dalla normativa sull'assegno per il nucleo familiare, ovvero: i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e piccoli coltivatori diretti e i pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi.

Ammonta a 141,30 euro nel 2017 l'importo dell'assegno al nucleo familiare (ANF) riconosciuto dall'Inps alle famiglie dei lavoratori dipendenti o dei pensionati da lavoro dipendente. Si tratta di un sostegno economico che viene corrisposto a nuclei familiari composti da più persone e con un reddito complessivo inferiore a quello determinato ogni anno dalla legge. Per le domande relative a quest'anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.555,99 euro.

L'assegno al nucleo familiare spetta a: lavoratori dipendenti; lavoratori dipendenti agricoli; lavoratori domestici; lavoratori iscritti alla gestione separata; titolari di pensione a carico del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, dei fondi speciali ed ex ENPALS; titolari di prestazioni previdenziali; lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.

Gli ANF spettano per nucleo familiare che può essere composto da: il richiedente lavoratore o il titolare della pensione; il coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, anche se non convivente, o che non abbia abbandonato la famiglia. Gli stranieri residenti in Italia, poligami nel loro paese, possono includere nel proprio nucleo familiare solo la prima moglie, se residente in Italia; i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno; i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati, previa autorizzazione.

Il nucleo familiare può inoltre essere composto da: i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di 'nuclei numerosi', cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni, previa autorizzazione; i fratelli, le sorelle del richiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell'ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo se sono orfani di entrambi i genitori, non hanno conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non sono coniugati, previa autorizzazione; i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni e viventi a carico dell'ascendente, previa autorizzazione.

Se il richiedente svolge attività lavorativa dipendente, la domanda va presentata al proprio datore di lavoro utilizzando il modello ANF/DIP (SR16). In tal caso, il datore di lavoro deve corrispondere l'assegno per il periodo di lavoro prestato alle proprie dipendenze, anche se la richiesta è stata inoltrata dopo la risoluzione del rapporto, nel termine di prescrizione di cinque anni.

Nei casi di inclusione di componenti nel nucleo familiare (es. genitori separati, componenti maggiorenni inabili, etc.) o ai fini dell'aumento dei limiti reddituali (es. componente minorenne inabile) è necessario allegare al Mod. ANF/DIP l’Autorizzazione ANF precedentemente richiesta all'INPS.

Se il richiedente è addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata o ha diritto agli assegni come beneficiario di altre prestazioni previdenziali, la domanda va presentata online all'INPS attraverso il servizio dedicato.

In alternativa, si può fare la domanda tramite: Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile; enti di patronato e intermediari dell'Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

La domanda va presentata per ogni anno a cui si ha diritto. Qualsiasi variazione intervenuta nel reddito e/o nella composizione del nucleo familiare, durante il periodo di richiesta dell'ANF, deve essere comunicata entro 30 giorni.

Il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga o di pagamento della prestazione previdenziale, nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (ad esempio celebrazione del matrimonio, nascita di figli). La cessazione avviene alla fine del periodo in corso o alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare; ad esempio, nel caso di separazione legale dal coniuge decade per l'ex coniuge, mentre, resta valido per i figli affidati; o nel caso di raggiungimento della maggiore età del figlio non inabile a proficuo lavoro.


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