mercoledì 20 giugno 2018

Pensione: percorso e calcolo



Il criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo). I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31/12/1995.
Dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di  almeno 18 anni al 31/12/1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota  di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.

IL SISTEMA CONTRIBUTIVO
La pensione è calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo.

Per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 e possano far valere, al momento dell'opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui 5 successivi al 1995.
Tale facoltà non può essere esercitata da chi ha maturato un'anzianità contributiva  pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995.

Ai fini del calcolo occorre:

individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;

calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell'aliquota di computo (33% per i dipendenti; 20% per gli autonomi; vigente anno per anno per gli iscritti alla gestione separata);

determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (prodotto interno lordo) determinata dall'Istat;

applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione, così come riportato nella tabella:

IL SISTEMA RETRIBUTIVO
Si applica alle anzianità contributive maturate fino al 31/12/2011 dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

Secondo tale sistema, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi.

Si basa su tre elementi:

l'anzianità contributiva, è data dal totale dei contributi fino ad un massimo di 40 anni che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;

la retribuzione/reddito pensionabile, è data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;

l'aliquota di rendimento, è pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro il limite (per le pensioni con decorrenza nel 2012 di 44.161 euro annui) per poi decrescere per fasce di importo superiore. Ciò vuol dire che se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all'80%.

L'importo della pensione con il sistema retributivo si compone di due quote:
Quota A determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni  degli ultimi 5 anni, o meglio, delle 260 settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane di contribuzione) immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi

Quota B determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle retribuzioni/redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni per gli autonomi.

IL SISTEMA MISTO

Si applica ai lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e a decorrere dal 1° gennaio 2012 anche ai lavoratori  con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995  la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 2011 secondo le modalità descritte  nel paragrafo relativo al sistema retributivo, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 2012.

Dovrebbe essere ampiamente noto che la pensione è frutto:
a) della contribuzione che il lavoratore versa autonomamente o tramite il suo datore di lavoro, al proprio ente previdenziale e
b) della cura prestata a raccogliere i contributi di primo pilastro integrandoli con quelli di secondo pilastro, scegliendo la tipologia del fondo pensione, i comparti più indicati in base alla propria fase professionale e, infine, la tipologia di rendita. Il primo punto risente del rischio di non avere un'occupazione stabile nel corso del proprio percorso professionale; il che rappresenta un problema solo in parte, purtroppo, rimediabile dal singolo lavoratore. Il secondo punto è nell'80% dei casi in capo al singolo lavoratore, che ha la responsabilità di costruire la propria rendita pensionistica attraverso una serie di decisioni. Innanzitutto scegliere di aderire e poi di farlo nella maniera più coerente con le proprie esigenze. La pensione “si costruisce”, non è qualcosa che “spetta”, che, cioè, ci cade in mano al raggiungimento dei requisiti.

Che, peraltro, negli ultimi anni sono quanto mai in movimento. Un bricolage previdenziale che si arricchisce, a partire dal 2018, di due elementi importati: l'anticipo pensionistico e la rendita integrativa temporanea anticipata. Ape e Rita, questi gli acronomi, sono di fatto due ammortizzatori sociali di natura privata, che i lavoratori devono imparare a conoscere, per poterli utilizzare al meglio: evitando distorsioni, forzature ed errori. Per fare questo occorre quella che si potrebbe chiamare un'«alfabetizzazione previdenziale», che renda comprensibile la materia. Questo fascicolo conta di fare la sua parte, per accompagnare per mano i singoli in questo articolato processo decisionale.

C’è uno nuovo strumento INPS online per calcolare la quota della pensione in base al proprio regime contributivo, che consente anche di effettuare simulazioni relative ad altri eventuali sistemi di calcolo (retributivo, misto): si tratta del servizio “Calcolo Quote di pensione“, per utilizzare il quale l’istituto di previdenza fornisce anche un apposito Manuale.

Il servizio Calcolo Quote di Pensione è accessibile dall’area riservata Servizi Online del sito INPS, che richiede autenticazione (ci vuole il PIN). Una volta effettuata la procedura di autenticazione, bisogna cliccare sul pulsante “Applicazioni” sotto la voce “Calcolo Quote pensione“. Bisogna inserire codice fiscale e data di decorrenza della pensione, quindi si sceglie “Attiva funzione“. A questo punto, si sceglie il regime pensionistico (contributivo, retributivo, misto, misto pro-rata), e compare un riepilogo della propria posizione.






martedì 19 giugno 2018

Lo stipendio può essere pignorato?



Se un lavoratore ha dei debiti e non ha intenzione di saldarli, ogni creditore potrà chiedere il pignoramento dello stipendio per soddisfare i propri crediti. La normativa, infatti, consente al creditore di aggredire anche quei beni che pur appartenendo al debitore non sono ancora nelle sue disponibilità, quale appunto lo stipendio, ma anche la pensione o il TFR. Con il pignoramento presso terzi, infatti, il creditore - su disposizione del giudice incaricato - si rivolge direttamente al datore di lavoro del debitore, il quale avrà il dovere di corrispondergli una parte di retribuzione del dipendente ai fini del soddisfacimento del credito.

Non tutto lo stipendio può essere pignorato, però, poiché al lavoratore va comunque garantito un minimo vitale. Nel dettaglio il pignoramento dello stipendio può riguardare solamente 1/5 dell'importo mensile netto. Quindi tutti gli stipendi sono pignorabili, ma l'importo varia a seconda della retribuzione percepita. Ad esempio, per uno stipendio mensile di 2.000 euro netti il pignoramento è consentito nel limite di 400 euro, mentre per uno stipendio di 500 euro si scende a 100 euro.

Discorso differente per il pignoramento dello stipendio già accreditato in banca. In questo caso, infatti, la procedura per il pignoramento è la stessa ma a cambiare sono i limiti. Dal momento che non è possibile calcolare nel dettaglio quali redditi presenti su conto corrente derivano dalla retribuzione percepita, il legislatore ha stabilito che sono pignorabili le somme depositate sul conto pari a tre volte l'assegno sociale. Quindi, considerando che questo ha un importo pari a 453 euro, il pignoramento può riguardare solamente gli importi che eccedono i 1359 euro. Sotto questa soglia, il patrimonio del debitore è al sicuro da qualsiasi aggressione.

Il calcolo del TFR è l'importo che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore al termine del rapporto di lavoro e a richiesta dopo un periodo (anticipazione del TFR), di solito 8 anni di servizio nella stessa azienda in determinati casi stabiliti dalla legge come, ad esempio, la necessità di affrontare importanti spese medico-sanitarie. L'anticipazione è limitata al 70% dell'importo liquidato in caso di risoluzione del contratto di lavoro.

La cessione del quinto è una tipologia di prestito rivolta ai lavoratori dipendenti (pubblici, statali, di enti parastatali, di aziende private) e da qualche anno a questa parte ai lavoratori in pensione definita cessione del quinto pensionati, ovvero ai soggetti che possono contare su una busta paga o una pensione su cui può essere addebitata la rata del finanziamento.

Nella miriade di offerte che ci sono nella galassia dei prestiti personali un italiano su quattro si affida alla cessione del quinto dello stipendio. Sono questi i risultati di un'indagine svolta dai portali Facile.it e Prestiti.it, secondo cui a richiedere questa forma di prestito sono soprattutto dipendenti e pensionati.

La cessione del quinto della pensione deve essere un prestito personale a tasso fisso e rata costante, da estinguersi mediante cessione pro solvendo di una quota della pensione fino al quinto della stessa, valutato al netto delle ritenute fiscali e fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo, per periodi non superiori a dieci anni.



lunedì 4 giugno 2018

Pensioni quota 100 cosa c'è da sapere




Pensioni quota 100, in pratica è la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell'età anagrafica e quella degli anni di contributi versati dal lavoratore è almeno pari a 100 (ad esempio: si potrà uscire dal lavoro con 36 anni di contributi e 64 anni d'età). L'espressione si riferisce alla somma di età anagrafica e contributiva che potrebbe essere necessaria per andare in pensione“. Le pensioni a quota 100 (uscita con un mix di età anagrafica, partendo da almeno 64 anni, e contributiva) e quota 41 anni (a prescindere dall'anzianità contributiva) da estendere a tutti i lavoratori a differenza di quanto previsto attualmente con la possibilità di uscita anticipata per il soli “precoci”.

Questo sistema conviene soprattutto a chi ha accumulato molti anni di contributi, perché gli consentirà di andare in pensione prima rispetto a quanto ora previsto con la legge Fornero.

Ma in cosa consiste quota 100 e come funziona? Si tratta della possibilità per i lavoratori di andare in pensione quando la somma dell'età anagrafica e degli anni di contributi versati è pari almeno a 100. Possono poi essere previsti dei paletti riguardo all'età minima di uscita e a un minimo di anni di contribuzione.
Nel contratto pentaleghista c'è l'impegno a "provvedere all’abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. 'Fornero', stanziando 5 miliardi per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse".
"Daremo fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro - si legge nel testo - quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti".
Nel contratto si parla anche della necessità di "riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza". "Prorogheremo - scrivono 5S e Lega - la misura sperimentale 'opzione donna' che permette alle lavoratrici con 57-58 anni e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito, optando in toto per il regime contributivo".
Sui costi della riforma pensionistica lanciata da 5 Stelle e Lega è intervenuto nelle scorse settimane il presidente dell'InpsTito Boeri. Permettere di andare in pensione con quota 100 tra età e contributi, come previsto dal contratto di governo, avrebbe un costo, secondo la stima di Boeri, di 15 miliardi per il primo anno e di un massimo di 20 miliardi all'anno per i successivi.

“L’idea è di mandare in pensione chi ha almeno 64 anni con 36 di contributi, oppure 41 anni e mezzo di contributi”. Alberto Brambilla, esperto di previdenza e già sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005, ha scritto la parte del contratto di governo Lega-M5s sul “superamento della legge Fornero”. In breve, la «quota 100» si raggiunge con la somma di 36 anni di contributi e almeno 64 anni di anzianità. Se invece si hanno 41 anni di contributi versati, la soglia minima di età per andare in pensi ne non viene considerata. Tutto questo, come da contratto, verrebbe portato avanti «tenuto conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti». Il riferimento è all’Ape sociale, che permette di andare in pensione a 63 o addirittura a 62 anni, e che quindi non dovrebbe essere toccata.

I canali di uscita saranno due. Il primo, la cosiddetta quota 100, richiederà che l'interessato abbia maturato contemporaneamente un requisito di età e uno di contribuzione, il cui totale in anni deve appunto dare 100. Ma proprio per limitare le uscite è previsto un requisito minimo di età a 64 anni. Quindi 64 più 36 di contributi, ma non 63+37: eventualmente potrebbe essere prevista anche la possibilità di lasciare con 65+35, considerando che 35 anni di contribuzione è il limite minimo sempre richiesto anche per la pensione di anzianità prima della Fornero.



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