martedì 30 ottobre 2018
Reperibilità e malattia, attenzione agli errori
In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.
Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.
Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.
Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.
Malattia e reperibilità, quanti dubbi. Ma anche errori. A seguito di notizie diffuse on line circa le modalità di esonero dalle visite mediche di controllo domiciliari, ad esempio, "molti lavoratori stanno chiedendo ai propri medici curanti di apporre il codice 'E' nei certificati al fine di ottenere l'esenzione dal controllo" fa sapere l'Inps sul suo sito.
L'istituto precisa così, "in primo luogo, che le norme non prevedono l'esonero dal controllo ma solo dalla reperibilità: questo significa che il controllo concordato è sempre possibile, come ben esplicitato nella circolare Inps 7 giugno 2016, n. 95"
ESCLUSIONE - In secondo luogo, si legge, "il medico curante certificatore può applicare solo ed esclusivamente le 'agevolazioni' previste dai vigenti decreti quali uniche situazioni che escludono dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità".
E queste situazioni sono contenute in due provvedimenti: nel decreto del ministero del Lavoro 11 gennaio 2016, per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati (e riguardano patologie gravi che richiedono terapie salvavita; o stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%); nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri 17 ottobre 2017 n. 206 per i dipendenti pubblici (e includono patologie gravi che richiedono terapie salvavita; causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della 'Tabella A' allegata al decreto del presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834 o a patologie rientranti nella 'Tabella E' dello stesso decreto; e ancora, stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%)".
SEGNALAZIONE - In questi unici e circoscritti casi, precisa l'Inps, "la segnalazione da parte del curante deve essere apposta al momento della redazione del certificato e non può essere aggiunta ex post, proprio perché l'esonero è dalla reperibilità e non dal controllo".
CODICE E - Per quanto riguarda il 'Codice E' indicato nel messaggio 13 luglio 2015, n. 4752, è riservato "a esclusivo uso interno riservato ai medici Inps durante la disamina dei certificati pervenuti per esprimere le opportune decisionalità tecnico-professionali, secondo precise disposizioni centralmente impartite in merito alle malattie gravissime" fa sapere l'istituto di previdenza.
NESSUN ESONERO - Che precisa come "qualsiasi eventuale annotazione nelle note di diagnosi della dizione 'Codice E' non può evidentemente produrre alcun effetto di esonero né dal controllo né dalla reperibilità, rimanendo possibile la predisposizione di visite mediche di controllo domiciliare sia a cura dei datori di lavoro che d'ufficio".
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lunedì 22 ottobre 2018
Utilizzando Whatsapp in modo in proprio si può perdere il posto di lavoro
Attenzione agli sfoghi su Whatsapp: possono costarti il posto di lavoro. Magari si parla male del capo, proprio durante l’orario di lavoro, pensando che niente e nessuno potrà venirne a conoscenza. Invece, sempre di più sono i giudici che sentenziano contro le conversazioni tra privati. Che possono sfociare in licenziamenti o comunque in sanzioni disciplinari. Ricordate che tutto ciò che si fa con le nuove tecnologie non è privato. I giudici stanno infatti allargando le maglie dell’utilizzo in giudizio delle conversazioni fra privati. E ad entrare sempre più nei processi sono proprio gli scambi di messaggi su Whatsapp, tra gruppi o con singoli destinatari: tutti possono dar luogo a licenziamenti o sanzioni disciplinari.
Ma i messaggi possono essere utilizzati anche dal lavoratore per dimostrare l’esistenza di un’attività di tipo subordinato o la comunicazione dell’assenza per malattia.
I messaggi Whatsapp sono prove documentali che possono essere prodotte anche quando il datore di lavoro non è tra i destinatari della chat. Ha quindi valore giudiziario la registrazione di una chat Whatsapp inviata da un dirigente alla moglie dell’amministratore unico che denota un atteggiamento ostile verso l’azienda e giustifica il licenziamento. (Tribunale di Fermo, decreto 1973 del 2017). Ed è legittima anche la produzione delle chat inviate da un medico del pronto soccorso ai colleghi. Se qualcuno fa la “spia” e recapita i contenuti al dirigente, questi possono essere utilizzati per legittimare la sanzione disciplinare (Tribunale di Vicenza, sentenza del 14 dicembre 2017 n. 778).
I giudici hanno inoltre ritenuto legittima l’esclusione da parte di una cooperativa e, di conseguenza, il licenziamento disciplinare di un socio lavoratore che, in una chat su Whatsapp, aveva tentato di boicottare l’attività produttiva, fomentando forme di protesta anche da parte degli altri soci (Tribunale di Bergamo sentenza del 7 giugno 2018 n. 424).
Ma il Tribunale di Roma (sentenza n. 3478 del 4 maggio scorso) ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato alla lavoratrice colpevole di aver usato un tono di sfida nel file vocale inviato nella chat di gruppo su Whatsapp della quale faceva parte anche il proprio superiore. Per il giudice contano le parole usate e non le intenzioni, ed è proprio la trascrizione del file vocale a salvare la lavoratrice, acquisita in giudizio come prova documentale.
Nel bene e nel male le chat assumono quindi un valore dirimente e, in genere, il diritto di difesa prevale sulla riservatezza altrui. Così i messaggi Whatsapp possono fornire la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro, ma per ottenere le differenze retributive occorre che dal tenore degli stessi emergano elementi precisi e concordanti (Tribunale di Milano, sentenza del 27 aprile 2018 n.1148). I messaggi Whatsapp inchiodano il datore anche ai vincoli della subordinazione quando siano comprovati «gli ordini e le direttive anche sull'orario di lavoro» (Tribunale di Vercelli, sentenza n. 110 del 31 luglio 2017).
La questione della producibilità in giudizio delle conversazioni private è molto delicata. Da un lato va valutato il diritto di difesa della parte che pretende di far entrare quella prova nel processo, dall’altra il diritto alla riservatezza degli utenti. L’articolo 616 del Codice penale protegge l’inviolabilità della corrispondenza e ne punisce la rivelazione senza giusta causa. Ma la regola della segretezza può essere derogata dal legittimo interesse invocato anche dal nuovo Regolamento Ue in materia di privacy che permette il trattamento dei dati personali anche senza il consenso dell’interessato.
Le ultime sentenze hanno decisamente allargato le maglie della producibilità in giudizio delle conversazioni tra privati, dando vita a una visione moderna del diritto che non esclude di prendere in considerazione tutti gli elementi di prova a disposizione delle parti in causa, partendo dal presupposto che la vita online delle parti in causa può rilevare elementi utili su quella off line.
Per i magistrati, quindi, se vi è un interesse di causa e la corrispondenza è rilevante ai fini del giudizio potrà essere utilizzata senza invocare la privacy del diretto interessato.
I giudici hanno detto sì pure al licenziamento da una cooperativa di un socio lavoratore che, su Whatsapp, aveva tentato di boicottare l’attività di produzione, fomentando forme di protesta da parte degli altri soci (Tribunale di Bergamo, sentenza 7 giugno 2018, numero 424). Illegittimo, invece, per il Tribunale di Roma il licenziamento di una lavoratrice, colpevole di aver utilizzato un tono di sfida in un vocale inviato al gruppo di Whatsapp di cui faceva parte anche il superiore (sentenza 3478 del 4 maggio 2018). Secondo il giudice, infatti, contano soltanto le parole usate, non le intenzioni. La trascrizione del vocale è stata la salvezza della lavoratrice, comunque un po’ incauta.
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giovedì 11 ottobre 2018
Lavoro: il contratto a tempo determinato
Il contratto a tempo determinato, o più semplicemente contratto a termine, è diventato negli ultimi anni sempre più frequente fino a costituire la modalità più utilizzata dai datori di lavoro. Offre infatti il vantaggio della flessibilità, necessaria ai datori di lavoro che si confrontano con una difficile congiuntura economica, anche se è sottoposto a un costo maggiore.
La normativa è cambiata più volte negli ultimi anni, prima con il Jobs act (D.lgs. 81/2015) che togliendo le causali intendeva favorire l'occupazione negli anni di più profonda crisi. Ora il Decreto Dignità (L. 96 2018) ne ha ristretto nuovamente l'utilizzo, ed è intervenuto sia limitandone la durata che reintroducendo l'obbligo di causale dopo i primi 12 mesi . Inoltre lo ha reso ancora meno conveniente innalzando il contributo aggiuntivo di uno 0,50% ad ogni rinnovo, per tentare di spingere le aziende verso forme contrattuali più stabili. E' stato anche concesso più tempo al lavoratore che intenda impugnare il contratto in caso di irregolarità portando il termine da 120 a 180 giorni.
Le novità del nuovo decreto relative alla durata sono applicabili:
ai contratti stipulati dalla data di entrata in vigore del decreto: 14 luglio 2018,
per rinnovi e proroghe di contratti che fossero già attivi a quella data: dal 1 novembre 2018.
La normativa del d.lgs n. 81 2015 resta comunque in vigore su molti aspetti della materia come sulla disciplina degli intervalli fra contatti sulla comunicazioni obbligatorie, il diritto di precedenza, l'obbligo di parità di trattamento normativo ed economico e di formazione dei lavoratori.
Il contratto a termine deve avere forma scritta tranne nel caso di rapporti di durata inferiore ai 13 giorni. Il datore di lavoro deve consegnarne al lavoratore una copia, entro 5 giorni lavorativi dall'inizio della prestazione.
Il contratto a tempo determinato è tale perché nella lettera di assunzione viene indicata una data di cessazione del rapporto di lavoro. Il termine può essere stabilito con una data precisa oppure con riferimento ad un evento futuro e certo ma del quale è incerta la data esatta – ad esempio nelle sostituzioni per maternità può essere usata la dicitura "…fino al rientro in servizio della lavoratrice ".
Il datore di lavoro è tenuto a effettuare le comunicazioni obbligatorie di assunzione, trasformazione e di cessazione (se anticipata rispetto al termine fissato) al servizio regionale al servizio telematico della propria Regione o provincia autonoma. (Per le comunicazioni obbligatorie è necessario rivolgersi ad Anpal. Tutti i contatti sono disponibili al seguente link: www.anpal.gov.it/Aziende/Servizi/Pagine/Contatti)
La durata massima complessiva di utilizzo dei contratti a termine passa con il Decreto dignità da 36 a 24 mesi. In particolare il primo contratto può essere senza causale ma deve avere come termine massimo 12 mesi.
Un rinnovo di contratto o una proroga con lo stesso lavoratore e per le stesse mansioni può essere stipulato solo con l'apposizione di una tra le CAUSALI seguenti:
esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività;
esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.
Sono esenti dall'obbligo di causale le attività stagionali. Inoltre sull'obbligo della causale non sono previste deroghe per la contrattazione collettiva nazionale ma solo per la contrattazione aziendale o di prossimità.
Il numero di proroghe o rinnovi possibili scende da 5 a 4, sempre all'interno della durata massima di 24 mesi. E' sempre richiesto l'assenso del lavoratore.
È consentita la riassunzione del lavoratore a termine con le stesse mansioni nella stessa azienda solo nel rispetto dei seguenti intervalli tra un contratto e l’altro:
INTERVALLO MINIMO FRA DUE CONTRATTI A TERMINE SUCCESSIVI
contratti di durata pari o inferiore a 6 mesi 10 giorni
contratti di durata superiore a 6 mesi 20 giorni
Il mancato rispetto dei predetti intervalli comporta la trasformazione del secondo contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.
Sono esclusi da queste limitazioni: i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro; le ipotesi individuate dai contratti collettivi; i contratti a termine stipulati dalle agenzie di somministrazione.
E' previsto un termine massimo per prosecuzioni di fatto (senza proroga o rinnovo del contratto) del rapporto pari a:
30 giorni, se il contratto a termine aveva una durata inferiore a 6 mesi, e 50 giorni negli altri casi.
Per queste prosecuzioni il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione dello stipendio.
Se il rapporto di lavoro prosegue oltre, il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato dal momento della scadenza dei termini.
Non si può utilizzare il contratto a tempo determinato nei casi seguenti:
la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto, salvo che per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità , o con durata iniziale non superiore a 3 mesi;
presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni
da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi secondo la normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La violazione comporta la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato.
Salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva i contratti a tempo determinato non possono superare il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Nel caso di inizio dell'attività nel corso dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell'assunzione.
NOVITÀ 2018 nel caso di utilizzo anche di contratti in somministrazione il limite complessivo è fissato al 30 % della forza aziendale.
ECCEZIONI: imprese start-up innovative; attività stagionali; per specifici spettacoli e programmi radiofonici o televisivi; per sostituzione di lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore a 50 anni; università, istituti pubblici di ricerca, istituti di cultura.
Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo, anche in materia di formazione, in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili (c.d. principio di non discriminazione), in proporzione al periodo lavorativo prestato.
La violazione, da parte del datore di lavoro, del divieto di discriminazione, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa.
E' previsto un contributo a carico dei datori di lavoro per le assunzioni a termine pari al 1,4% della retribuzione imponibile del lavoratore, riservato al finanziamento dell’indennità di disoccupazione Naspi. In caso di rinnovo viene aumentato did uno 0,5% passando dunque all'1,9%, e con il secondo rinnovo al 2,4% e cosi via.
Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate in azienda entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate. Per le lavoratrici, il congedo di maternità durante un contratto a tempo determinato può essere conteggiato per conseguire il diritto di precedenza.
Inoltre il lavoratore assunto per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato per le medesime attività.
Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nel contratto e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro (3 mesi nel caso di attività stagionali). E si estingue dopo un anno dalla cessazione del rapporto.
Il Decreto dignità ha ricompreso nelle nuove regole su durata e obbligo di causale anche i contratti stipulati in regime di somministrazione, facendo salve però le previsioni dei contratti collettivi del settore.
Inoltre la legge di conversione ha specificato che tali nuovi limiti si intendono riferiti al rapporto tra azienda utilizzatrice e lavoratore; l'agenzia per il lavoro può quindi utilizzare il lavoratore in missioni diverse senza limiti temporali, se non quelli riferiti ad una specifica azienda.
La normativa attuale non ha modificato la possibilità al termine del periodo di utilizzo massimo del contratto a termine (24 mesi) di stipula del cosiddetto Contratto Assistito, stipulato davanti all’Ispettorato territoriale del lavoro, sempre con durata massima di 12 mesi. Anche questo contratto è sottoposto all'obbligo di causale e di contribuzione maggiorata dello 0,5%.
Ricordiamo che la disciplina è pienamente in vigore dal 1 novembre tra le specificazioni fornite dal documento di prassi segnaliamo in particolare:
In tema di “causale” obbligatoria quando la durata del contratto supera il periodo di 12 mesi, si sottolinea che va inserita anche quando il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.
La causale è obbligatoria anche nelle ipotesi in cui non è richiesto dal decreto-legge n. 87, se il datore di usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi decreto legislativo n. 151 del 2001, per la sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo
Nel conteggio dei mesi si deve tener conto della DURATA complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende prorogare.
In tema di applicabilità della CONTRATTAZIONE COLLETTIVA viene chiarito che le previsioni contenute nei CCNL stipulati prima del 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto, su una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.
AUMENTO ADDIZIONALE: Come noto il decreto dignità ha anche previsto l'aumento della contribuzione addizionale già fissata per i contratti a tempo determinato al 1,4 % della retribuzione imponibile. Si precisa che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare.
Altra specificazione importante è che la maggiorazione non si applica in caso di proroga ma solo nei casi di rinnovo
SOMMINISTRAZIONE: La circolare fornisce una indicazione importante sul tema del limite temporale di utilizzo del contratto a termine che somma la durata sia dei r contratti diretti che i contratti di somministrazione tra l'azienda e il lavoratore, utilizzato con la stessa qualifica e mansione. Si specifica che il limite massimo di 24 mesi va conteggiato tenendo conto di tutti i rapporti di lavoro intercorsi , anche prima dell'entrata in vigore del Decreto Dignità.
Infine si conferma anche per la somministrazione:
la "facoltà per la contrattazione collettiva di individuare percentuali diverse, per tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi" per cui i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza del contratto collettivo.
Il limite percentuale del 30% trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018. Pertanto, qualora presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente al 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza e non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.
Continuano a rimanere esclusi dall'applicazione dei predetti limiti i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie: i disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati.
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sabato 6 ottobre 2018
Bonus asili nido: le istruzioni
Il bonus ASILO NIDO /SUPPORTO DOMICILIARE è stato istituito dalla legge di stabilità 2017 .
Si tratta di un contributo di 1000 euro annui, cui ha diritto ogni bambino nato dal 1 gennaio 2016, per tre anni, senza limitazioni di reddito familiare, per la frequenza dell'asilo nido o per un supporto in famiglia in caso di bambini con particolari patologie.
Non va confuso :
né con il voucher baby sitting - anche detto bonus infanzia - istituito nel 2013 e prorogato fino a fine 2018, né con Bonus bebe, il supporto di 80 euro mensili per le famiglie con un certo ISEE
Come detto il Bonus asilo nido puo essere erogato dall'INPS in due forme:
come contributo mensile per pagare la retta dell'asilo nido , oppure
per il supporto presso la propria abitazione per i bambini che soffrono di particolari patologie che impediscono la frequenza al nido.
Nel primo caso gli assegni vengono erogati mensilmente alla famiglia, in 11 rate da 90,91 euro. Il genitore deve presentare copia delle ricevuta di pagamento delle rette dell'asilo. Il contributo mensile erogato dall’Istituto non può eccedere la spesa sostenuta per il pagamento della singola retta.
Nel secondo caso invece il contributo arriverà in una unica soluzione, a seguito di presentazione di un’attestazione rilasciata dal pediatra che dichiari, “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica” per l’intero anno di riferimento.
CHI HA DIRITTO AL BONUS
I requisiti generali del soggetto richiedente sono:
residenza in Italia;
cittadinanza italiana o comunitaria oppure in caso di cittadino di Stato extracomunitario, permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
Per il supporto presso la propria abitazione è necessario che il genitore richiedente sia convivente con il bambino:
non è necessario presentare l'ISEE perché non ci sono limiti di reddito;
figlio nato o adottato dal 1.1.2016 al 31.12.2018
Per il 2018 le risorse disponibili sono 250 milioni di euro e vengono accantonate secondo l’ordine di presentazione della domanda online.
Nel caso in cui, a seguito del numero delle domande presentate, venga raggiunto il limite di spesa, l’INPS non prenderà in considerazione ulteriori domande.
COME SI RICHIEDE
Il bonus è in vigore anche per il 2018 e le domande vanno presentate dal 29 gennaio al 31 dicembre 2018 con una delle seguenti modalità:
WEB – Servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino sul sito www.inps.it (cliccando sul banner Accedi al Servizio) (il cittadino potrà utilizzare, per l’autenticazione, anche il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).
Contact Center Integrato - numero verde 803.164 (numero gratuito da rete fissa) o numero 06 164.164 (numero da rete mobile con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);
attraverso gli enti di Patronato
Nel momento in cui viene presentata l’istanza bisogna specificare quale forma di agevolazione si richiede e per quale anno e mese scolastico, nel caso degli asili nido.
DOMANDA PER BONUS ASILO
Nel caso in cui il richiedente intenda accedere al bonus asilo nido dovrà specificare:
se l’asilo nido frequentato dal minore sia pubblico o privato autorizzato e indicare denominazione, codice fiscale della struttura, estremi del provvedimento autorizzativo;
le mensilità relative ai periodi di frequenza scolastica compresi tra gennaio e dicembre 2018, per le quali intende ottenere il beneficio.
Alla presentazione della domanda dovrà essere allegata la documentazione che dimostra il pagamento almeno della retta relativa al primo mese di frequenza oppure la documentazione da cui risulti l’iscrizione o comunque l’avvenuto inserimento in graduatoria del bambino.
Le ricevute di pagamento delle rette successive dovranno essere allegate entro la fine di ciascun mese di riferimento e, comunque, non oltre il 31 gennaio 2019. Per i soli frequentanti asili nido pubblici che emettano i bollettini di pagamento dell’ultimo trimestre oltre tale data, la documentazione di spesa potrà essere allegata improrogabilmente entro il 1° aprile dell’anno successivo.
La documentazione di avvenuto pagamento (ricevuta, fattura o attestazione del datore di lavoro per i nidi aziendali) dovrà sempre indicare:
la denominazione e la partita IVA dell’asilo nido;
il codice fiscale del minore;
il mese di riferimento;
gli estremi del pagamento o la quietanza di pagamento;
il nominativo del genitore che sostiene l’onere della retta.
Nel caso in cui una delle suddette ricevute sia relativa al pagamento di più mesi di frequenza, il documento, anche cumulativo, dovrà essere allegato rispetto ogni mese a cui si riferisce.
In ogni caso il rimborso avverrà solo dopo aver inviato la ricevuta di pagamento.
DOMANDA PER SUPPORTO DOMICILIARE
In caso di richiesta del bonus per il supporto a bambini fino a tre anni che non possono frequestare l'asilo, come detto, va allegata alla domanda una dichiarazione del pediatra di base che attesta tale impossibilità per tutto l'anno di riferimento.
EROGAZIONE DEL CONTRIBUTO
L’INPS provvede alla corresponsione del bonus nelle modalità di pagamento indicate dal richiedente nella domanda (bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN).
Vengono erogati anche eventuali arretrati tra il momento della richiesta e quello dell'erogazione ma sempre nel limite di 3 annualità totali.
L’utente che opta per l’accredito su un conto con IBAN è tenuto a presentare anche il modello SR163, a meno che tale modello non sia stato già presentato all’INPS in occasione di altre domande.
CUMULABILITA' DEL BONUS
Il bonus asilo nido non è cumulabile:
con la detrazione prevista dall'art. 2, comma 6, legge 22 dicembre 2008 (detrazioni fiscali frequenza asili nido), a prescindere dal numero di mensilità percepite.
con il cd "voucher baby sitting o bonus infanzia" ma solo per le mensilità coincidenti . Significa che il nuovo bonus asilo nido è richiedibile per mesi non coperti dal bonus Infanzia
E' sempre cumulabile, invece, con il bonus Mamma Domani (800 euro in un unica soluzione alla mamma al compimento del 7 mese di gravidanza o al momento della nascita o adozione).
DECADENZA DAL DIRITTO AL BONUS ASILO NIDO E CAMBIO INTESTATARIO
L’erogazione del bonus decade in caso di perdita di uno dei requisiti di legge o di provvedimento negativo del giudice che determina il venir meno dell’affidamento preadottivo. In particolare se si si verifica uno dei seguenti eventi:
perdita della cittadinanza;
decesso del genitore richiedente;
decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale;
affidamento esclusivo del minore al genitore che non ha presentato la domanda (affidamento del minore a terzi).
L’INPS interrompe l’erogazione dell’assegno a partire dal mese successivo all'effettiva conoscenza.
E' pero possibile il subentro nel beneficio da parte di un soggetto diverso, come l'altro genitore, se in possesso dei requisiti.
Il cambio di intestatario va richiesto entro 90 giorni dal verificarsi di una delle cause di decadenza
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martedì 2 ottobre 2018
Selezione del personale: colloquio di lavoro con la video intervista
La video intervista, conosciuta anche come video colloquio, è uno strumento di selezione del personale sempre più diffuso tra i recruiter. Tra i vantaggi di questo strumento sono da evidenziare la riduzione dei tempi di assunzione e la facilitazione delle selezioni di carattere internazionale.
L’intervista video può migliorare l’iter selettivo perché il selezionatore ha la possibilità d’incontrare virtualmente più candidati, paragonarli e identificare i migliori basandosi non solo sui loro cv, ma anche valutando lo standing. La video intervista non andrà a sostituire il tradizionale colloquio faccia a faccia, ma è chiaro che anche il mondo del recruiting sta seguendo i principali trend evolutivi, in primis quello tecnologico, in un’ottica di miglioramento del lavoro dei recruiter.
Nel video-recruiting vi è un collegamento in diretta con il recruiter, che può avvenire con una semplice video call su Skype o Google Hangout, o un sistema specifico dell’azienda che può anche registrare l’intervista stessa.
Nelle forme così organizzate di video-recruiting, il candidato riceve un invito ad auto-presentarsi via video attraverso un link al quale si può collegare con qualunque device. Il selezionatore indica le domande a cui vorrebbe che il candidato rispondesse, scelte ovviamente in base alle caratteristiche ritenute strategiche per l’azienda a caccia di talenti. La video-presentazione con le risposte dura in media 5 minuti e può essere inserita dall’HR in vari momenti della selezione: per aziende o agenzie interinali che ricevono grandi moli di CV può essere utile per fare una prima scrematura, ma in altri casi si può scegliere di visionare prima tutti i CV e invitare successivamente una rosa di candidati a presentarsi con il video.
I video colloqui sono una pratica sempre più diffusa all’interno del processo di pre-selezione dei candidati. Durante questa prima fase, al candidato viene richiesto di rispondere ad alcune domande predefinite dal selezionatore e di registrare un video tramite webcam o smartphone.Per i recruiter questo sistema è un modo per rendere più efficiente, veloce e meno dispendioso il processo di pre-selezione. Il video colloquio è anche un'occasione unica per i candidati in quanto dà loro la possibilità di esprimersi al di là del proprio cv e mostrare la propria personalità. Il video consente, infatti, di far emergere le 'soft skills', oggi importanti quanto le 'hard skills', ma impossibili da individuare sulla base di un semplice curriculum.
Per prepararsi ad affrontare al meglio ecco qualche consiglio:
Chiedere quanto tempo si avrà a disposizione per organizzare al meglio la presentazione;
Preparasi a eventuali domande su carriera professionale, percorso di studi, competenze, attitudini e obiettivi professionali per essere il più esplicito e conciso possibile e utilizzare frasi brevi, motivando le proprie affermazioni durante l’intervista. Il tempo mediamente concesso per rispondere a ciascuna domanda varia tra i trenta secondi e i due minuti. È meglio parlare di tre elementi in dettaglio, piuttosto che di una dozzina senza avere modo di svilupparli.
Sceglier un ambiente adatto, che ben si presti a un colloquio: meglio se illuminato, senza rumori e distrazioni che potrebbero compromettere il confronto con il recruiter;
Verificare le impostazioni di audio, video e connessione è una buona regola usare le cuffie per ottimizzare la comunicazione;
Fare delle prove, registrandosi o facendo una video call con un amico per avere un feedback sulla tua performance;
Prestare attenzione alla postura, al tono della voce e alle espressioni del volto. Non gesticolare eccessivamente;
Assicurasi di aver fissato il dispositivo su una superfice stabile e di avere testa e spalle al centro della telecamera;
Per quanto riguarda i vestiti bisogna essere ordinati e sobri, evitando colori sgargianti o fantasie, il colore migliore da usare è il blu.
Bisogna essere sorridenti (ma non ridere troppo) e rilassati: è importante presentarsi in modo preciso ma sintetico, elencando le tappe fondamentali del percorso di studi e le esperienze salienti, dando spazio agli obiettivi raggiunti e alle competenze acquisite.
Preparsi una lista scritta di cose che reputi importanti da dire o chiedere e non vuoi dimenticare: ricorda che la video-intervista non è solo il momento in cui l’azienda valuta te, ma anche l’occasione in cui tu valuti il posto di lavoro e l’azienda.
E' importante mantenere il contatto visivo con l’intervistatore: non bisogna fissarlo ma nemmeno vagare ovunque con lo sguardo, è fastidioso, ti fa sembrare sfuggente, non da una sensazione di tranquillità e sicurezza all’interlocutore.
La scelta del luogo in cui registrare il video è molto importante: l'ambiente deve essere confortevole e tranquillo in modo da permettere una registrazione ottimale di suoni e immagini. È consigliabile impostare il telefono in modalità silenziosa, spegnere il televisore e limitare tutti quei rumori di sottofondo che potrebbero creare interruzioni o interferire con la registrazione. E' preferibile evitare ambienti bui o eccessivamente illuminati e bisogna avere tanta attenzione anche a non posizionarsi controluce. Non bisogna scordarsi di verificare che microfono, webcam e connessione Internet funzionino correttamente.
Altra raccomandazione è di impostare correttamente tutti i dispositivi per far sì che siano "attivi e funzionanti". "Informazioni sui requisiti tecnici - browser, velocità di connessione Internet, gestione delle impostazioni sono solitamente fornite dal selezionatore o direttamente dal tool di video colloquio. Ovvio che bisogna essere ben preparati e avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità comunicative è la chiave per un colloquio di successo. La maggior parte delle piattaforme di video colloquio permette ai partecipanti di testare in anticipo il tool.
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