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lunedì 16 giugno 2014

Bonus 80 euro: il panorama degli esclusi:: pensionati e non solo



Per chiarire chi sono gli esclusi dal beneficio. Oltre ai pensionati, restano fuori dall’agevolazione, i cosiddetti incapienti, ossia i contribuenti che hanno IRPEF pari a zero per effetto delle detrazioni; più esattamente, la norma dispone che il credito viene riconosciuto quando l’imposta lorda calcolata sui redditi che danno diritto al bonus supera la detrazione per lavoro dipendente, cioè la “no tax area”. Fortunatamente, non rilevano le eventuali detrazioni per carichi di famiglia e quelle per oneri (ad esempio, le spese mediche, gli interessi passivi sul mutuo,ecc.). Perciò, se non si paga IRPEF, ciò non vuol dire necessariamente che il bonus non spetta: se infatti l’imposta è azzerata non dalla detrazione per lavoro dipendente ma da altre detrazioni (per esempio, quella per il coniuge a carico), il credito spetta ugualmente.

Dal "bonus 80 euro" sono esclusi i pensionati, mentre i redditi determinati da forme di previdenza complementare rientrano tra quelli che danno diritto all'agevolazione. L'incongruenza, contenuta nel decreto legge 66/2014 che ha introdotto il bonus Irpef, viene evidenziata dalla circolare della Fondazione studi dei consulenti del lavoro dedicata al bonus. «Lascia perplessi – si legge nel documento – la circostanza che sono destinatari del credito anche coloro che siano titolari di una prestazione pensionistica di cui al Dlgs 124/1993 – anche senza necessariamente svolgere o aver svolto nel corso del 2014 un'attività di lavoro – atteso che per espressa volontà legislativa e politica sono stati esclusi dal credito i titolari di reddito da pensione in genere».

Dubbi anche in merito alla possibilità di poter richiedere il bonus se nel 2014 si ha un reddito da lavoro dipendente ma non si lavora, perché il decreto legge prevede che il reddito sia rapportato al periodo di impiego nell'anno. L'ipotesi riguarda, per esempio, chi ha perso il lavoro a dicembre 2013 e nel 2014 incassa l'indennità di disoccupazione (quindi ha un reddito ma non lavora). Ma si può trovare in questa situazione anche chi incassa un risarcimento stabilito dal giudice nell'ambito di una controversia in materia di lavoro, ma quest'anno non ha impiego.

Secondo i consulenti del lavoro il dubbio a questo riguardo potrebbe essere risolto tenendo conto proprio dell'anomalia relativa ai pensionati.
Cioè se il bonus spetta al titolare di una prestazione di previdenza complementare che quindi non lavora, allora il «periodo di lavoro» a cui fa riferimento la norma non va inteso come periodo di svolgimento dell'attività ma di maturazione del reddito che dà diritto all'agevolazione.

Maggiore chiarezza, invece, si ha in merito alle voci che rientrano nella definizione di reddito complessivo, che non deve essere superiore a 26mila euro. Si considera l'importo determinato dalla somma di tutte le categorie di reddito indicate all'articolo 6 del Tuir, esclusi quelle soggette a tassazione separata, al netto dei contributi previdenziali obbligatori. Sono esclusi il reddito dell'abitazione principale e gli importi legati all'incremento di produttività.
Per quanto riguarda l'importo del bonus, secondo la circolare i sostituti d'imposta devono calcolarlo su base giornaliera. Quindi per chi ha diritto all'importo massimo di 640 euro da suddividere negli stipendi da maggio a dicembre, l'agevolazione oscillerà tra i 78,77 euro per i mesi con 30 giorni e gli 80,98 euro per i mesi con 31 giorni. Per un contratto a termine con scadenza il 31 ottobre, invece, il bonus complessivo è di 533,04 euro (640:365 moltiplicato per 304 giorni), che sarà suddiviso nei mesi da maggio a ottobre.

Gli importi sono anticipati, per conto dell'amministrazione, dal sostituto d'imposta che poi li recupera compensando con le ritenute e, nel caso, i contributi previdenziali.
Secondo i consulenti del lavoro, poiché il Dl fa riferimento alle ritenute disponibili in ciascun periodo di paga, si devono utilizzare solo le ritenute di lavoro dipendente e assimilato correnti determinate nello stesso mese in cui viene calcolato il bonus, comprese quelle operate su redditi arretrati e corrisposti nello stesso periodo di paga.

A fronte di incapienza delle ritenute, si possono utilizzare i contributi previdenziali previsti per il medesimo periodo di paga. A questo riguardo viene evidenziato che a fronte della differente determinazione degli importi tra fisco e previdenza, i bonus di maggio potranno essere compensati con i contributi da versare entro il 16 giugno e così via nei mesi successivi.

È bene tener presente che i sostituti d’imposta sono tenuti a riconoscere il bonus in via automatica sulla base delle informazioni in loro possesso. Chi non ha i presupposti per il riconoscimento del beneficio, ad esempio perché titolare di un reddito complessivo superiore a 26.000 euro derivante da ulteriori redditi, deve darne comunicazione al sostituto d’imposta e quest’ultimo recupererà le somme eventualmente già erogate (e non spettanti) dagli emolumenti corrisposti nei periodi di paga successivi a quello nel quale ha ricevuto la comunicazione da parte del lavoratore e, comunque, entro i termini delle operazioni di conguaglio di fine anno o di fine rapporto.

Se per qualche motivo ciò non dovesse accadere, l’interessato dovrà restituire il bonus in sede di dichiarazione dei redditi.




domenica 27 aprile 2014

I dettagli del bonus Irpef: a partire da maggio 2014




Il decreto Irpef taglia il traguardo: permetterà ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 24mila euro di percepire un bonus di 80 euro al mese fino a dicembre, ma non solo. Il decreto istituisce anche un fondo per rendere strutturale la riduzione del cuneo fiscale, con una dotazione di 2,7 miliardi nel 2015 e di 4,7 miliardi nel 2016. Il provvedimento non riguarda però solo l'Irpef, ma anche le rendite finanziarie, che da luglio saranno soggette a una tassazione più pesante, i debiti della Pa, l'edilizia scolastica, il contrasto all'evasione, e la razionalizzazione della spesa pubblica.

Nel testo è stato confermato il bonus di 80 euro al mese per gli stipendi fino a 24mila euro lordi l’anno, fino a dicembre 2014, per un totale di 640 euro. Restano esclusi gli incapienti, ossia coloro che non pagano l’Irpef perché l’imposta lorda determinata sui redditi è di importo inferiore a quello della detrazione spettante con reddito lordo annuo sotto gli 8mila euro così come restano fuori le Partite IVA, per i quali ci si impegna ad un decreto successivo. Bonus decrescenti, fino a zero previsti per i redditi da 24mila euro a 26mila euro.

Viene quindi riconosciuto un credito, che non concorre alla formazione del reddito, di importo pari a:
•    640 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;
•    640 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, in questo caso il credito spetta  per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro.

Vediamo come funziona il bonus 2014, il cosiddetto bonus monetario che i lavoratori dipendenti si ritroveranno nelle buste paga a partire da maggio. Il Governo lo definisce impropriamente credito d’imposta (perché operativamente sarà un importo detratto dalle ritenute future operate dai sostituti d’imposta o, se insufficienti, dai contributi dai contributi previdenziali dovuti) e, altrettanto impropriamente, per attuarlo normativamente, interviene sulla disciplina dell’Irpef. Ma in realtà il “bonus” non modifica la struttura dell’Irpef, ed è collegato all’imposta personale unicamente perché il suo ammontare è legato al reddito complessivo a fini Irpef. La soluzione prescelta non è stata dunque quella inizialmente ipotizzata di agire attraverso un rafforzamento della detrazione Irpef da lavoro dipendente. E neppure quella di operare sui contributi sociali introducendo un’aliquota ridotta fino a una certa soglia di reddito e fiscalizzando lo sconto a fini previdenziali.

Il secondo elemento qualificante è la delimitazione della platea dei beneficiari del “bonus”. Sono i lavoratori dipendenti e gli assimilati (come i co.co.pro), ma tra questi sono esclusi i contribuenti con l’imposta lorda Irpef minore o uguale alla sola detrazione da lavoro (cioè quelli che hanno redditi inferiori a 8.145 euro se percepiti per l’intero anno, circa 3 milioni di soggetti. Restano fuori anche i pensionati.

Infine, la scalettatura del beneficio è variabile a seconda del reddito complessivo Irpef del lavoratore dipendente. In particolare, il “bonus” per il 2014 è pari a zero se il reddito complessivo, percepito per l’intero anno, è inferiore a 8.145 euro (la fascia dell’incapienza, come sopra specificato), a 640 euro costanti per i redditi compresi tra 8.145 e 24mila euro (circa 10 milioni di contribuenti); superata tale soglia, il “bonus” decresce in modo lineare e assai repentino fino ad azzerarsi a 26mila euro (circa 1,3 milioni di contribuenti).

Il beneficio massimo in termini di aumento di reddito netto, pertanto, è pari a 640 euro all’anno: sono circa 53 euro mensili, che diventano esattamente 80 se si considera il fatto che il beneficio per il 2014 non vale per tutto il periodo d’imposta, ma solo per i mesi che vanno da maggio a dicembre. Il costo della misura è pari a circa 7 miliardi, non poco se si considera il gettito complessivo Irpef.

Se il “bonus” dovesse essere confermato anche per il 2015, l’andamento del credito per l’anno intero dovrebbe avere l’andamento della linea rossa del grafico 1 con un beneficio annuo massimo pari 960 euro annui (sempre 80 euro mensili). In questo caso, il costo sarebbe un po’ superiore ai 10 miliardi di euro, che salirebbero a circa 13 se il “bonus” dovesse essere esteso nella medesima misura anche ai contribuenti incapienti.

Pregevole è innanzitutto che agli annunci del presidente del Consiglio siano seguiti in tempi brevi i fatti: gli 80 euro in più (su base mensile) sono ora realtà per ben 10 milioni di dipendenti: rispetto alla dispersione in micro-interventi del Governo Letta questa è un cambio di passo riconoscibile. Certo, la promessa è stata mantenuta solo in parte: l’annuncio originario di metà marzo lasciava intendere che i mille euro in più sarebbero stati recapitati a tutti i dipendenti con redditi minori di 25 mila euro, incapienti compresi. Ma la coperta finanziaria era evidentemente troppo stretta per includere anche i redditi più bassi, e si è preferito concentrare le risorse disponibili su un insieme comunque ampio di lavoratori (8-24mila euro).

Positiva è tutto sommato la scelta tecnica di aver veicolato la nuova misura attraverso un“bonus”, e non mediante un intervento sulle detrazioni Irpef. Data l’urgenza dell’intervento e l’indisponibilità di risorse finanziarie per affrontare in modo adeguato la questione degli incapienti, quella di evitare di intaccare in modo frettoloso gli elementi costitutivi dell’Irpef è stata una decisione prudenziale. Peraltro, il provvedimento dichiara apertamente che si tratta di una soluzione temporanea, preannunciando un intervento strutturale da realizzare con la Legge di stabilità per il 2015, quando anche il quadro delle coperture finanziarie sarà, si spera, più solido.

La scelta del “bonus” in luogo del rafforzamento della detrazione per redditi da lavoro, inizialmente ipotizzata, permette poi di includere tra i beneficiari anche alcuni lavoratori incapienti. Potranno infatti ricevere il bonus, anche se incapienti, i lavoratori con redditi superiori a 8.145 euro che non sono incapienti per la sola detrazione da lavoro, ma che lo diventano considerando anche altre tipologie di detrazioni, come quelle per carichi familiari (circa 1,1 milioni di soggetti).

Dall’altra parte, l’introduzione del “bonus” denuncia tutta una serie di criticità, legate soprattutto alla sua natura emergenziale, di misura da adottare a tamburo battente per dare un segno tangibile di cambiamento, che comporteranno la necessità di ritornarci sopra a breve in modo più strutturale.

Per ragioni di compatibilità finanziaria e, non da ultimo, di complessità operative, si è scelto, come detto, di rinviare al futuro l’attribuzione del beneficio anche ai redditi più bassi che per ora restano fuori dal perimetro dei beneficiari. Quello degli incapienti è un problema a lungo dibattuto, la cui mancata soluzione comporta problemi di iniquità fiscale e di indebolimento degli effetti macroeconomici di rilancio della domanda interna, nella misura in cui sono i lavoratori più poveri quelli ad avere la maggiore propensione al consumo.

È poi lo stesso disegno del bonus che desta qualche perplessità; anche se è svincolato dalla struttura dell’Irpef, la variazione di reddito disponibile (cioè tenendo conto sia del bonus sia del prelievo Irpef) al variare del reddito complessivo produce un effetto indesiderato: nella fascia 24-26mila euro: in soli 2mila euro l’ammontare del “bonus” crolla dal suo livello massimo a zero, comportando aliquote marginali effettive (Irpef + “bonus”) pari al 63,5 per cento su base annua con il bonus erogato per otto mesi come sarà effettivamente nel 2014 (ma che sfiorano l’80 per cento su base annua con il bonus erogato per dodici mesi “a regime”), contro un’aliquota Irpef che in questa fascia di reddito è attualmente pari al 31,5 per cento In questa ristretta fascia di reddito, in cui ricadono circa 1,3 milioni di contribuenti, un’ora di straordinario sarà dunque drammaticamente disincentivata. Per contro, in tutte le altre fasce di reddito le aliquote marginali effettive non cambiano.

Infine, c’è da osservare che il bonus è applicato indistintamente, a parità di reddito, a tutti i contribuenti interessati. Per esempio, lo stesso bonus verrà riconosciuto sia a un dipendente single sia, se con eguale reddito, a lavoratore con moglie e figli a carico. Si tratta insomma di una serie di distorsioni che rendono difficile immaginare che il bonus in questa forma avrà lunga vita, e che invece richiedono, superate le urgenze di questa fase, un intervento più strutturale nell’ambito dell’Irpef.


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