Gli interventi previsti dalla legge di riforma mirano a ripristinare la coerenza tra flessibilità e coperture assicurative, ad ampliare e rendere più eque le tutele fornite dal sistema, a limitare le distorsioni e spazi per usi non proprio leciti insiti in alcuni degli strumenti esistenti. A questo scopo si riordinano e migliorano le tutele in caso di perdita involontaria dell'occupazione; si estendono le tutele in costanza di rapporto di lavoro ai settori non coperti dalla Cassa integrazione e straordinaria; si prevedono strumenti che agevolino la gestione delle crisi aziendali per i lavoratori vicini alla pensione.
Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.
Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.
Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.
L'indennità spetta ai lavoratori con qualifica di operaio, impiegato o quadro:
licenziati, collocati in mobilità e iscritti nelle relative liste; in possesso di un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno sei di effettivo lavoro;
che erano stati assunti a tempo indeterminato da:
imprese industriali che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;
imprese commerciali che hanno impiegato mediamente più di 200 dipendenti nell'ultimo semestre;
cooperative che rientrano nell'ambito della disciplina della mobilità, che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;
imprese artigiane dell'indotto, nel solo caso in cui anche l'azienda committente ha fatto ricorso alla mobilità;
aziende in regime transitorio:
aziende commerciali che hanno impiegato mediamente tra 50 e 200 dipendenti nell'ultimo semestre;
agenzie di viaggio e turismo che hanno impiegato mediamente più di 50 dipendenti nell'ultimo semestre;
imprese di vigilanza che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre.
Restano coperti dalla nuova assicurazione tutti i lavoratori dipendenti del settore privato ed i lavoratori delle Amministrazioni pubbliche (art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2011) con contratto di lavoro dipendente non a tempo indeterminato (es. tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, etc.).
Con riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi, pur esclusi dall’ambito di applicazione dell’ASpI, si rafforzerà e porterà a regime il meccanismo una tantum oggi previsto.
Requisiti di accesso analoghi a quelli che oggi consentono l’accesso all’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria: 2 anni di anzianità assicurativa ed almeno 52 settimane nell’ultimo biennio
Il requisito di accesso è la presenza di almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi (mobili).
Sarà inoltre previsto un contributo di licenziamento da versare all’Inps all’atto del licenziamento (solo per rapporti a tempo indeterminato), pari a 0,5 mensilità di indennità per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (compresi i periodi di lavoro a termine); si applica anche agli apprendisti nei casi diversi da dimissioni (si applica anche nel caso di recesso alla fine del periodo di apprendistato).
La indennità di mobilità spetta in caso di licenziamento per:
esaurimento della cassa integrazione straordinaria; riduzione di personale; trasformazione dell'attività aziendale; ristrutturazione dell'azienda; cessazione di attività aziendale.
La domanda di indennità di mobilità ordinaria può essere inoltrata, a pena di decadenza, entro il 68° giorno dal licenziamento:
tramite WEB – servizi telematici accessibili direttamente tramite PIN dispositivo attraverso il portale dell’Inps; Contact Center integrato – n. 803164 gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico; Patronati/Intermediari dell’Istituto – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.
L'indennità decorre: dall' 8° giorno se la domanda viene presentata entro i primi 7 giorni dal licenziamento o dalla scadenza dell'indennità per mancato preavviso; dal 5° dalla data di presentazione della domanda, se la stessa viene presentata dopo il 7° giorno.
L’indennità viene pagata direttamente dall'Inps, con una delle seguenti modalità:
tramite bonifico bancario o postale. Devono essere indicati anche gli estremi dell'IBAN (27 caratteri:stato, CIN, ABI, CAB e numero di c/c.);
allo sportello di un qualsiasi Ufficio Postale del territorio nazionale o localizzato per CAP previo accertamento dell'identità del percettore, presentando: un documento di riconoscimento; il codice fiscale;
consegnando l'originale della lettera di avviso della disponibilità del pagamento trasmessa a chi ne deve usuifruire Postel in Posta Prioritaria.
Spetta nella misura dell'80% della retribuzione teorica lorda spettante, che comprende le sole voci fisse che compongono la busta paga.
Per i primi dodici mesi, è pari al 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale, detratta una aliquota contributiva del 5.84%. Mentre dal 13° mese è pari all'80% dell'importo lordo corrisposto nel primo anno.
L'indennità comunque che non può superare i massimali stabiliti annualmente.
L'importo dell'indennità non può mai essere superiore all'importo della retribuzione percepita durante il rapporto di lavoro. Su questa prestazione compete l'assegno al nucleo familiare.
L'indennità di mobilità varia in relazione all'età del lavoratore al momento del licenziamento e all'area geografica in cui è ubicata l'azienda.
venerdì 25 gennaio 2013
Aspi: liste mobilità 2013 garanzie requisiti e tutele
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Unioncamere e l’anno nero del lavoro
Nel 2012 chiuse mille imprese al giorno. Era già successo nel 2008 e nel 2007, tuttavia in quegli anni le nuove iscrizioni avevano abbondantemente superato le 400mila unità e pertanto il saldo finale positivo era molto più consistente. Squinzi: Cgil non ostacolo alle riforme, ma remare uniti.
Nel 2012 hanno chiuso i battenti mille imprese al giorno. Lo ha calcolato Unioncamere, secondo cui nell'anno che si è appena concluso si sono registrate 364.972 chiusure (+24mila sul 2011) a fronte di 383.883 aperture (il valore più basso degli ultimi otto anni e 7.427 in meno rispetto al 2011). Il saldo tra entrate e uscite è dunque positivo per 18.911 unità, ma si tratta del secondo peggior risultato dal 2005 e vicino, dopo due anni di recupero, al 2009, l'anno peggiore della crisi.
Considerando anche le cancellazioni delle imprese ormai non operative da più di tre anni, al 31/12/ 2012 lo stock complessivo delle imprese esistenti ammontava a 6.093.158. Lo rileva Unioncamere. Si restringe ulteriormente (-6.515 imprese), spiega Unioncamere, il tessuto imprenditoriale dell'industria manifatturiera - trascinato dalla forte contrazione dell'artigianato, che chiude l'anno con 20.319 imprese in meno - quello delle costruzioni (-7.427) e dell'agricoltura (-16.791).
Il conto più salato del 2012 lo paga il Nord che - Lombardia esclusa - perde complessivamente circa 6.600 imprese, i tre quarti delle quali (poco meno di 5mila unità) nel solo Nord-Est. Giovani under 35, immigrati e donne, attività del turismo, del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone sono le tipologie di imprenditori e i settori di attività che, nel 2012, hanno consentito a mantenere in lieve attivo il bilancio anagrafico delle imprese italiane (+0,3% contro il +0,5 del 2011). I dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese risultante dal Registro delle imprese sono stati elaborati da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane.
"In questi anni - ha detto il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - le imprese italiane hanno fatto letteralmente dei miracoli per restare sul mercato. In tante, anche in assenza di vere politiche di sostegno, sono addirittura riuscite a migliorare le proprie posizioni e a rafforzarsi. Ma molte di più non ce l'hanno fatta e, con loro, si sono persi migliaia di posti di lavoro, per non parlare di competenze e tradizioni importanti".
Vediamo, la ricetta di Confindustria per una terapia d'urto.
Più crescita - "Il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il pil aumenterà di 156 miliardi, più 2.617 euro ad abitante", indica il documento rivolto alle forze politiche in campo per il voto di febbraio.
Più lavoro - attuando il piano d'azione proposto dagli industriali "l'occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% dal 56,4% del 2013 e il tasso di disoccupazione scenderà all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014".
Più industria, più investimenti- "Il peso dell'industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell'intera economia dal 16,7% attuale, gli investimenti balzeranno del 55,8% cumulato (+66,4% quelli in macchinari e mezzi di trasporto, +44,7% quelli in costruzioni), l'export si innalzerà del 39,1%".
Più redditi famiglie, più produttività - "Il reddito delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali". L'inflazione "rimarrà attorno all'1,5%"; la produttività "aumenterà di quasi l'1% medio all'anno".
Conti pubblici in equilibrio, meno pressione del fisco - "Il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del pil, ben sotto il 111,6% richiesto dai patti europei (129,2% nel 2013, compresi 48 miliardi di debiti commerciali della p.a. alle imprese), la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%".
Nel 2012 hanno chiuso i battenti mille imprese al giorno. Lo ha calcolato Unioncamere, secondo cui nell'anno che si è appena concluso si sono registrate 364.972 chiusure (+24mila sul 2011) a fronte di 383.883 aperture (il valore più basso degli ultimi otto anni e 7.427 in meno rispetto al 2011). Il saldo tra entrate e uscite è dunque positivo per 18.911 unità, ma si tratta del secondo peggior risultato dal 2005 e vicino, dopo due anni di recupero, al 2009, l'anno peggiore della crisi.
Considerando anche le cancellazioni delle imprese ormai non operative da più di tre anni, al 31/12/ 2012 lo stock complessivo delle imprese esistenti ammontava a 6.093.158. Lo rileva Unioncamere. Si restringe ulteriormente (-6.515 imprese), spiega Unioncamere, il tessuto imprenditoriale dell'industria manifatturiera - trascinato dalla forte contrazione dell'artigianato, che chiude l'anno con 20.319 imprese in meno - quello delle costruzioni (-7.427) e dell'agricoltura (-16.791).
Il conto più salato del 2012 lo paga il Nord che - Lombardia esclusa - perde complessivamente circa 6.600 imprese, i tre quarti delle quali (poco meno di 5mila unità) nel solo Nord-Est. Giovani under 35, immigrati e donne, attività del turismo, del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone sono le tipologie di imprenditori e i settori di attività che, nel 2012, hanno consentito a mantenere in lieve attivo il bilancio anagrafico delle imprese italiane (+0,3% contro il +0,5 del 2011). I dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese risultante dal Registro delle imprese sono stati elaborati da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane.
"In questi anni - ha detto il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - le imprese italiane hanno fatto letteralmente dei miracoli per restare sul mercato. In tante, anche in assenza di vere politiche di sostegno, sono addirittura riuscite a migliorare le proprie posizioni e a rafforzarsi. Ma molte di più non ce l'hanno fatta e, con loro, si sono persi migliaia di posti di lavoro, per non parlare di competenze e tradizioni importanti".
Vediamo, la ricetta di Confindustria per una terapia d'urto.
Più crescita - "Il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il pil aumenterà di 156 miliardi, più 2.617 euro ad abitante", indica il documento rivolto alle forze politiche in campo per il voto di febbraio.
Più lavoro - attuando il piano d'azione proposto dagli industriali "l'occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% dal 56,4% del 2013 e il tasso di disoccupazione scenderà all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014".
Più industria, più investimenti- "Il peso dell'industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell'intera economia dal 16,7% attuale, gli investimenti balzeranno del 55,8% cumulato (+66,4% quelli in macchinari e mezzi di trasporto, +44,7% quelli in costruzioni), l'export si innalzerà del 39,1%".
Più redditi famiglie, più produttività - "Il reddito delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali". L'inflazione "rimarrà attorno all'1,5%"; la produttività "aumenterà di quasi l'1% medio all'anno".
Conti pubblici in equilibrio, meno pressione del fisco - "Il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del pil, ben sotto il 111,6% richiesto dai patti europei (129,2% nel 2013, compresi 48 miliardi di debiti commerciali della p.a. alle imprese), la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%".
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Allarme di Confindustria sulla riforma del lavoro Monti-Fornero
«La crisi sta lasciando profonde ferite». «È emergenza economica e sociale», avverte Confindustria in un documento di proposte presentato alla politica in vista del voto. «Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo più dello 0,5% l'anno», «l'alternativa è il declino». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, presentando "Il Progetto Confindustria per l'Italia: crescere si può, si deve".
Confindustria, ha spiegato Squinzi, in vista delle elezioni ha individuato «tre obiettivi fondamentali per ritrovare la crescita. Il primo è di una crescita superiore al 2% annuo, il secondo è di rimettere il manifatturiero al centro dell'attenzione del Paese, riportandone l'incidenza sul Pil oltre il 20% (oggi siamo al 16,7%), e il terzo è un rapporto tra debito pubblico e il Pil nell'ordine del 100%».
Le proposte di Confindustria «innalzeranno il tasso di crescita al 3%, portando a un aumento del Pil di 156 miliardi di euro in cinque anni», ha sottolineato Squinzi. Il numero uno di Confindustria ha poi spiegato che l'occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità e il tasso di disoccupazione scenderebbe, sempre in cinque anni, all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014.
Occorre dare ossigeno alle imprese pagando immediatamente i 48 miliardi di debiti commerciali accumulati dallo Stato e dagli enti locali, che rappresentano un debito pubblico occulto. Poi è necessario cancellare l'Irap in tutti i settori e tagliare dell'8 il costo del lavoro nel manifatturiero. Indispensabile poi raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, ridurre l'Irpef sui redditi di lavoro bassi, sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie, abbassare il costo dell'energia.
Le proposte del documento programmatico di Confindustria, «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018», si articolano in una «terapia d'urto» ed un «processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo». «In vista dell'imminente tornata elettorale - spiega il documento - proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l'Italia e sottrarla alla stagnazione». Un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese».
«Riteniamo che la riforma del lavoro non sia stata sufficiente ad una vera liberalizzazione del mercato del lavoro e ad una sua vera flessibilizzazione» ha aggiunto Squinzi. «Riteniamo che il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei» chiede il leader degli industriali."Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, rimettere al centro le imprese" e ridare fiducia agli italiani, per restituire i nostri giovani un futuro di progresso e di crescita". L'articolo 18, ha spiegato «tocca in modo particolare la sensibilità di alcuni settori produttivi, complessivamente credo che dobbiamo avvicinarci agli standard europei». Parametri Ue anche per l'armonizzazione delle aliquote più basse dell'Iva, «recependo le indicazioni europee» per recuperare fondi da destinare alla riduzione dell'Irpef.
Confindustria, ha spiegato Squinzi, in vista delle elezioni ha individuato «tre obiettivi fondamentali per ritrovare la crescita. Il primo è di una crescita superiore al 2% annuo, il secondo è di rimettere il manifatturiero al centro dell'attenzione del Paese, riportandone l'incidenza sul Pil oltre il 20% (oggi siamo al 16,7%), e il terzo è un rapporto tra debito pubblico e il Pil nell'ordine del 100%».
Le proposte di Confindustria «innalzeranno il tasso di crescita al 3%, portando a un aumento del Pil di 156 miliardi di euro in cinque anni», ha sottolineato Squinzi. Il numero uno di Confindustria ha poi spiegato che l'occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità e il tasso di disoccupazione scenderebbe, sempre in cinque anni, all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014.
Occorre dare ossigeno alle imprese pagando immediatamente i 48 miliardi di debiti commerciali accumulati dallo Stato e dagli enti locali, che rappresentano un debito pubblico occulto. Poi è necessario cancellare l'Irap in tutti i settori e tagliare dell'8 il costo del lavoro nel manifatturiero. Indispensabile poi raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, ridurre l'Irpef sui redditi di lavoro bassi, sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie, abbassare il costo dell'energia.
Le proposte del documento programmatico di Confindustria, «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018», si articolano in una «terapia d'urto» ed un «processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo». «In vista dell'imminente tornata elettorale - spiega il documento - proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l'Italia e sottrarla alla stagnazione». Un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese».
«Riteniamo che la riforma del lavoro non sia stata sufficiente ad una vera liberalizzazione del mercato del lavoro e ad una sua vera flessibilizzazione» ha aggiunto Squinzi. «Riteniamo che il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei» chiede il leader degli industriali."Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, rimettere al centro le imprese" e ridare fiducia agli italiani, per restituire i nostri giovani un futuro di progresso e di crescita". L'articolo 18, ha spiegato «tocca in modo particolare la sensibilità di alcuni settori produttivi, complessivamente credo che dobbiamo avvicinarci agli standard europei». Parametri Ue anche per l'armonizzazione delle aliquote più basse dell'Iva, «recependo le indicazioni europee» per recuperare fondi da destinare alla riduzione dell'Irpef.
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