Lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all'indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile per legge (Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26027).
La Corte di Cassazione ha riconosciuto l’indennità di disoccupazione al lavoratore in somministrazione che perde uno dei 2 contratti che lo legano al datore somministratore, dovendosi ritenere che lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all'indennità di disoccupazione non equivalga alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile per legge.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 17 ottobre 2018, n. 26027, ha riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione per un lavoratore in somministrazione che aveva perso uno dei 2 contratti stipulati tramite agenzia, mantenendone uno. Infatti, respingendo il ricorso dell'INPS , i Supremi giudici affermano che lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all’indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto al fatto di percepire un reddito inferiore alla soglia minima imponibile per legge.
Il caso aveva ad oggetto la stipula di più contratti di somministrazione a tempo determinato, da parte di una lavoratrice rimasta poi disoccupata che aveva inoltrato richiesta di corresponsione di indennità di disoccupazione.
In primo grado, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, aveva condannato l’Inps a corrispondere alla lavoratrice l’indennità di disoccupazione
L’istituto previdenziale era ricorso davanti alla Corte di appello di Torino che aveva ribadito, in linea con la decisione del giudice del lavoro, che non poteva esservi dubbio sul fatto che l’indennità di disoccupazione spettasse al lavoratore occupato contemporaneamente presso due diversi datori di lavoro che, a partire da una certa data in avanti, avesse perduto uno dei due contratti, ricadendo quindi sotto la soglia reddituale; di conseguenza aveva rigettato il ricorso prodotto dall’Inps.
A questo punto, l’Inps aveva ricorso in Cassazione rilevando che tale decisione avrebbe male interpretato la disciplina prevista dall’ordinamento previdenziale secondo la quale l’indennità di disoccupazione è riconosciuta solo a favore di coloro che involontariamente non siano più titolari di un rapporto di lavoro, anche se non stabile e continuativo nel corso dell’anno. In altri termini, a detta del ricorrente, la scriminante per l’erogazione di suddetto istituto previdenziale era determinata dalla mancanza di lavoro, tout court, ed a tale proposito il riferimento normativo a sostegno di tale tesi era contenuto nel R.D.L. n. 1827 del 1935, precisamente l’art. 45, terzo comma, secondo cui “L’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro”.
Ad avviso della Corte di Cassazione il ricorso dell’Inps è da ritenersi infondato in quanto non è giuridicamente legittimo introdurre, e, quindi, fare valere, una discriminazione tra la specie di un unico datore di lavoro somministratore rispetto a più rapporti di lavoro part time a tempo determinato del lavoratore somministrato, a quella di un lavoratore titolare di più rapporti di lavoro a tempo parziale con distinti datori di lavoro. Quanto affermato, soprattutto in considerazione del fatto che la parte debole del rapporto di lavoro (id est, il lavoratore) in ambedue i casi si vedrebbe privato della propria fonte reddituale di sostentamento.
I Giudici di legittimità hanno, pertanto, riconosciuto pregio giuridico alla decisione della Corte di Appello di Torino la quale aveva stabilito che lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all’indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile dalla legge.
La Corte di Cassazione, inoltre, ha richiamato una propria precedente pronuncia (Cass. Sez, lav. n. 705/2016) dove, in un caso di collocamento in mobilità per uno dei due rapporti a tempo parziale cui era interessato un lavoratore, ha stabilito che “Il lavoratore titolare, contemporaneamente, di due rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale cd orizzontale, collocato in mobilità per uno dei due con prosecuzione dell’altro, ha diritto alla relativa indennità stante la facoltà, prevista per l’iscritto alle liste di mobilità della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 6, di svolgere lavoro a tempo parziale pur mantenendo l’iscrizione;