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martedì 21 maggio 2013

Governo e la politica del lavoro 2013: esodati, pensione anticipata e staffetta generazionale


Come già scritto su queste pagine con la riforma del lavoro dal 2013 si potrà andare in pensione di vecchiaia con almeno 62 anni e tre mesi se donne (63 anni e 9 mesi se lavoratrici autonome) e con 66 anni e tre mesi se uomini. Si potrà andare in pensione anticipata solo se si sono maturati almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini e 41 anni e 5 mesi se donne.

In vista nuove tutele per gli esodati (salvaguardati) e le possibili modificazioni alla riforma delle pensioni che privilegino le staffetta generazionale e sconfortino la pensione anticipata: vediamo i piani del Governo per il 2013.

Per tutelare gli esodati il Governo ragiona su nuove misure per limitare il numero dei salvaguardati si pone come obiettivo di scoraggiare la pensione anticipata, introducendo nella Riforma Fornero elementi di flessibilità sull’età pensionabile e meccanismi del tipo staffetta generazionale.

Queste sono le linee guida illustrate a più riprese dal ministero del Lavoro, Enrico Giovannini.

Il problema riguarda in modo particolare chi è vicino all’età pensionabile (ma che per effetto della Riforma Fornero, non l’ha raggiunta) e chi rischia di trovarsi in analoga situazione nei prossimi anni. Innanzitutto bisogna «migliorare il sistema informativo»: davanti a stime più esatte attese dall’INPS, il governo prenderà le sue disposizioni.

Il punto, ha spiegato Giovannini, non è soltanto «la tutela degli esodati, ma la transizione a un sistema pensionistico che, a causa della riforma, ha subito un brusco cambiamento». Su 130mila lavoratori tutelati, ad oggi sono solo 7mila gli esodati che hanno ottenuto la pensione. Giovannini ha quindi fornito indicazioni sul completamento delle salvaguardie previste.

Per il primo decreto, a fronte dei 65mila soggetti che dovevano essere salvaguardati, ne sono stati salvaguardati 62mila». Ma «non significa che le risorse relative a questi ulteriori 3mila soggetti verranno perdute, perché i decreti successivi indicano chiaramente che le eventuali economie possono essere impiegate in essi».

Per il secondo decreto, «le imprese avrebbero dovuto comunicare entro il 31 marzo le liste dei soggetti che si prevede verranno licenziati (quindi perderanno il posto di lavoro) entro il 31 dicembre, ma in realtà non l’hanno fatto. Perché? Perché non c’è incertezza, anche dal punto di vista delle imprese, se questi soggetti effettivamente verranno espulsi dal sistema produttivo entro quest’anno, o se invece si andrà all’anno prossimo».

Il governo sta considerando di rendere più flessibili le misure che consentono la pensione anticipata, continuando a consentirla ma sempre con decurtazione dell’assegno, e magari incentivare chi invece rimane al lavoro più a lungo.

La legge attualmente prevede per le donne con 35 anni di contributi e 57 anni di età la possibilità di ritirarsi ma calcolando la pensione con metodo contributivo (significa un assegno più basso di almeno il 30% rispetto al retributivo o misto). La riforma Fornero prevede anche un ritiro anticipato per uomini e donne prima dei 62 anni, ma con un prelievo dell’1-2% per ogni anno in meno rispetto all’età pensionabile. Per la pensione anticipata senza decurtazioni bisogna avere 42 anni e 5 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e cinque mesi per le donne).

Infatti, la staffetta generazionale che il ministro del Lavoro sta portando avanti conferma che questo provvedimento sia un punto centrale nel suo progetto. C’è da mettere in evidenza che ci sono diversi modi per realizzare il graduale passaggio di consegne tra i lavoratori anziani e quelli giovani. Un a prima l’idea è quella di un part-time per i lavoratori vicini all’età pensionabile, che manterrebbero la contribuzione piena (a carico dell’ente previdenziale) mantenendo i requisiti pensionistici. Le aziende risparmierebbero ma dovrebbero in cambio assumere un giovane per ogni part-time di un lavoratore anziano, per esempio in apprendistato o a tempo indeterminato.

La seconda idea prevede che il lavoratore anziano non vada in part time ma in pensione prima della scadenza naturale. E in questo caso bisogna intervenire sull'altra riforma Fornero, proprio quella che ha alzato l'età pensionabile.

venerdì 25 gennaio 2013

Aspi: liste mobilità 2013 garanzie requisiti e tutele

Gli interventi previsti dalla legge di riforma mirano a ripristinare la coerenza tra flessibilità e coperture assicurative, ad ampliare e rendere più eque le tutele fornite dal sistema, a limitare le distorsioni e spazi per usi non proprio leciti insiti in alcuni degli strumenti esistenti. A questo scopo si riordinano e migliorano le tutele in caso di perdita involontaria dell'occupazione; si estendono le tutele in costanza di rapporto di lavoro ai settori non coperti dalla Cassa integrazione e straordinaria; si prevedono strumenti che agevolino la gestione delle crisi aziendali per i lavoratori vicini alla pensione.

Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.

Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.

Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.

L'indennità spetta ai lavoratori con qualifica di operaio, impiegato o quadro:
licenziati, collocati in mobilità e iscritti nelle relative liste; in possesso di un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno sei di effettivo lavoro;

che erano stati assunti a tempo indeterminato da:

imprese industriali che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;

imprese commerciali che hanno impiegato mediamente più di 200 dipendenti nell'ultimo semestre;

cooperative che rientrano nell'ambito della disciplina della mobilità, che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;

imprese artigiane dell'indotto, nel solo caso in cui anche l'azienda committente ha fatto ricorso alla mobilità;

aziende in regime transitorio:

aziende commerciali che hanno impiegato mediamente tra 50 e 200 dipendenti nell'ultimo semestre;

agenzie di viaggio e turismo che hanno impiegato mediamente più di 50 dipendenti nell'ultimo semestre;

imprese di vigilanza che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre. 

Restano coperti dalla nuova assicurazione tutti i lavoratori dipendenti del settore privato ed i lavoratori delle Amministrazioni pubbliche (art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2011) con contratto di lavoro dipendente non a tempo indeterminato (es. tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, etc.).

Con riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi, pur esclusi dall’ambito di applicazione dell’ASpI, si rafforzerà e porterà a regime il meccanismo una tantum oggi previsto.

Requisiti di accesso analoghi a quelli che oggi consentono l’accesso all’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria: 2 anni di anzianità assicurativa ed almeno 52 settimane nell’ultimo biennio

Il requisito di accesso è la presenza di almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi (mobili).

Sarà inoltre previsto un contributo di licenziamento da versare all’Inps all’atto del licenziamento (solo per rapporti a tempo indeterminato), pari a 0,5 mensilità di indennità per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (compresi i periodi di lavoro a termine); si applica anche agli apprendisti nei casi diversi da dimissioni (si applica anche nel caso di recesso alla fine del periodo di apprendistato).

La indennità di mobilità spetta in caso di licenziamento per:

esaurimento della cassa integrazione straordinaria; riduzione di personale; trasformazione dell'attività aziendale;  ristrutturazione dell'azienda; cessazione di attività aziendale.

La domanda di indennità di mobilità ordinaria può essere inoltrata, a pena di decadenza, entro il 68° giorno dal licenziamento:
tramite WEB – servizi telematici accessibili direttamente tramite PIN dispositivo attraverso il portale dell’Inps; Contact Center integrato – n. 803164 gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico; Patronati/Intermediari dell’Istituto – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

L'indennità decorre: dall' 8° giorno se la domanda viene presentata entro i primi 7 giorni dal licenziamento o dalla scadenza dell'indennità per mancato preavviso;  dal 5° dalla data di presentazione della domanda, se la stessa viene presentata dopo il 7° giorno.

L’indennità viene pagata direttamente dall'Inps, con una delle seguenti modalità:
tramite bonifico bancario o postale. Devono essere indicati anche gli estremi dell'IBAN (27 caratteri:stato, CIN, ABI, CAB e numero di c/c.);

allo sportello di un qualsiasi Ufficio Postale del territorio nazionale o localizzato per CAP previo accertamento dell'identità del percettore, presentando: un documento di riconoscimento; il codice fiscale;
consegnando l'originale della lettera di avviso della disponibilità del pagamento trasmessa a chi ne deve usuifruire Postel in Posta Prioritaria.

Spetta nella misura dell'80% della retribuzione teorica lorda spettante, che comprende le sole voci fisse che compongono la busta paga.

Per i primi dodici mesi, è pari al 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale, detratta una aliquota contributiva del 5.84%.  Mentre dal 13° mese è pari all'80% dell'importo lordo corrisposto nel primo anno.

L'indennità comunque che non può superare i massimali stabiliti annualmente.

L'importo dell'indennità non può mai essere superiore all'importo della retribuzione percepita durante il rapporto di lavoro.  Su questa prestazione compete l'assegno al nucleo familiare.

L'indennità di mobilità varia in relazione all'età del lavoratore al momento del licenziamento e all'area geografica in cui è ubicata l'azienda.

venerdì 18 gennaio 2013

Aspi 2013 la durata e i requisiti

Da gennaio 2013 debutta l'Aspi, la nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), che sostituirà l'indennità contro la disoccupazione involontaria e andrà a regime dal 2017 che succederà anche all'indennità di mobilità.

Quindi dal 2013 sarà operativa l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, ASPI, che prevederà l’erogazione di una indennità mensile ai lavoratori dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti e i soci di cooperativa di lavoro, che si trovano in stato di disoccupazione.

Vediamo gli importi che sono previsti. L’ammontare consiste nel 75% di euro 1.180,00 (euro 885,00) aumentati di una quota del 25% della differenza tra retribuzione percepita ed il limite di euro 1.180,00 nel caso in cui la retribuzione del lavoratore superi quest’ultimo limite.

I requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, sono 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.

Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.

Questo tipo di assicurazione ha una durata di 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 anni di età e di 18 per quelli con almeno 55 anni di età. Inoltre i periodi di lavoro inferiori a 6 mesi sospendono il trattamento, con ripresa alla fine del periodo di lavoro mentre quelli superiori a 6 mesi, in presenza dei requisiti contributivi, fanno ripartire il trattamento.

Dal 2013 con la mini-ASPI viene del tutto modificato l’impianto dell’attuale indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. L’indennità non viene pagata l’anno successivo ma durante il periodo di disoccupazione e viene calcolata in maniera del tutto analoga a quella prevista per l’ASPI.

Il requisito di accesso è la presenza di almeno 13 settimane mobili di contribuzione negli ultimi 12 mesi.

La durata massima è pari alla metà delle settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti nel periodo. Inoltre è prevista la sospensione dell’erogazione del beneficio per periodi di lavoro inferiori a 5 giorni.

Al finanziamento della nuova indennità saranno oggetto i seguenti interventi dal 1° gennaio 2013:

Contributo integrativo pari al 1,31% che sostituirà, a regime, l’attuale contributo DS;

Contributo addizionale pari al 1,4% (carico datore) per ogni rapporto di lavoro a tempo determinato;

Contributo a carico del datore di lavoro in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per cause diverse dalle dimissioni intervenute dal 1 gennaio 2013.

Il contributo di licenziamento si applica anche nei casi di licenziamento per giusta causa o in caso di cessazione attività ed è pari al 50% del trattamento iniziale di ASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

Ciò significa che se viene licenziato un lavoratore con anzianità di almeno tre anni, il contributo di licenziamento è pari ad € 1.327,50 (885,00*1,5).

L’aliquota aggiuntiva non si applicherà ai lavoratori assunti in sostituzione di altri, ai lavoratori stagionali e agli apprendisti. Nel caso in cui il contratto divenga a tempo indeterminato, si avrà una restituzione pari all’aliquota aggiuntiva versata, con un massimo di 6 mensilità. Si ricorda che qualora fosse previsto, la restituzione avverrà al superamento del periodo di prova. A partire dal 2016, i datori e i lavoratori non tutelati dalla cassa integrazione dovranno finanziare lo strumento che consentirà loro, in caso di necessità, di usufruire di un sostegno al reddito.

mercoledì 2 gennaio 2013

Aspi da gennaio 2013: il ministro del Lavoro Fornero calcola le indennità e le tutele

Il ministro Elsa Fornero ha spiegato l'Aspi  e i nuovi ammortizzatori in vigore da gennaio 2013 in base alla Riforma del Lavoro: tutela estesa e assegno più alto rispetto alla disoccupazione.

L'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali (Assicurazione Sociale per l'Impiego) "potrà contribuire a ridurre l'ansia e il disagio di molte famiglie". E' quanto ha scritto il ministro Fornero, in una lettera al Corriere della Sera ricordando il "quadro di forte difficoltà sociale"

La Riforma degli ammortizzatori sociali, con Aspi e mini Aspi dal 2013, «potrà contribuire a ridurre l’ansia e il disagio di molte famiglie» in un periodo di «forte difficoltà sociale», anche perché la «nuova copertura assicurativa viene estesa a categorie finora prive di tutela» con assegni più alti di quelli previsti in precedenza: parola del ministro Fornero, che ha presentato i nuovi sussidi della Riforma del Lavoro al Corriere della Sera.

L’assicurazione per l’impiego Aspi sostituisce da gennaio 2013 l’indennità di disoccupazione e la mini Aspi va a tutelare i precari rimasti senza lavoro.

Dal 2017 l’Aspi subentrerà all’attuale indennità di mobilità, mentre la cassa integrazione resterà invariata.

A regolamentare i nuovi ammortizzatori è l‘articolo 2 della Riforma del Lavoro (legge 92/2012).
Vediamo le principali caratteristiche dell’Aspi:

si applica ai lavoratori dipendenti con anzianità contributiva di due anni;

è estesa ad apprendisti e soci lavoratori di cooperative;

nel 2013 dura 8 mesi per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50 con scatti graduali fino al 2016 quando di stabilizzerà a 12 mesi per gli under 54 e a 18 mesi per gli altri;

l’indennità dipende dalla retribuzione dell’ultimo biennio (intorno all’80%);

è finanziata dalle aziende che pagano un contributo dell’1,61%;

prevede un contributo aggiuntivo dell’1,4% per i contratti a termine (quindi 3,01% totali);

implica una sorta di incentivo a trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato: all’azienda vengono restituite fino a sei mensilità del contributo addizionale.

La Mini Aspi è invece riconosciuta a chi ha almeno 13 settimane di lavoro negli ultimi 12 mesi. E’ corrisposta per un numero di settimane pari alla metà di quelle lavorate nell’ultimo anno (quindi per un massimo di sei mesi) e la sua indennità è calcolata come l’Aspi.

Il ministro del Lavoro ha fornito cifre: «un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità avrebbe percepito 877 euro di mobilità o 845 euro di disoccupazione« mentre «con l’Aspi ne prenderà 927» quindi «rispettivamente il 6% e il 10% in più» rispetto al vecchio sistema.

Altro esempio: un lavoratore che guadagnava 1.800 euro, avrebbe preso 877 euro di mobilità e 931 di disoccupazione, mentre con l’Aspi prenderà 1062 euro, rispettivamente il 21% e il 14% in più».
«Anche la durata è stata aumentata» sottolinea il ministro: nel 2013 sarà uguale a quella della disoccupazione (8 mesi per i lavoratori sotto i 50 anni), e poi inizierà a crescere arrivando a coprire, nel 2016, 12 mesi per gli under 54 e 18 mesi per chi ha superato questa età.

Sui nuovi ammortizzatori resta critica la posizione dei sindacati, in particolare su un punto: il fatto che l’Aspi dal 2017 sostituirà la mobilità. E’ infatti vero, come sottolineato dal ministro Fornero, che l’indennità copre un periodo più lungo rispetto all’attuale disoccupazione, ma la stessa considerazione non vale per la mobilità, che invece può durare (con le proroghe) fino a quattro anni.

La riforma si fonda su due pilastri: Aspi e fondi di solidarietà bilaterali per i quali "il Governo si è impegnato con la legge di stabilità a garantire risorse". L'Aspi, ha aggiungto il ministro, rappresenta "la tutela universale per tutti i lavoratori dipendenti" e sarà "più generosa" della vecchia disoccupazione e mobilità. "Un lavoratore che percepisca 1.300 euro al mese per 13 mensilità - sottolinea - ora avrà tra il 6 e il 10% in più rispetto al vecchio sistema. Chi prendeva 1.800 euro avrà tra il 14% e il 21% in più".

martedì 1 gennaio 2013

Lavoro: dal 2013 arriva il nuovo sussidio di disoccupazione l’Aspi

Dal mese di gennaio 2013 debutta l'Aspi, la nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), che sostituirà l'indennità contro la disoccupazione involontaria e a regime dal 2017 anche l'indennità di mobilità.

Quindi ogni tipo di tutela della disoccupazione confluirà nell'Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi), con il graduale superamento dell'indennizzato di mobilità. La nuova assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Questa Assicurazione prevede l'ampliamento della platea dei soggetti tutelati (tutti i dipendenti del settore privato, compresi gli apprendisti), l'aumento della misura e della durata delle indennità erogabili e un sistema di finanziamento alimentato da un contributo ordinario nonché da maggiorazioni contributive.

L’Inps, con il messaggio n. 20830 del 18 dicembre 2012, ha chiarito che i lavoratori che firmano una risoluzione consensuale durante un tentativo obbligatorio di conciliazione, a causa di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno diritto all’Aspi o alla Mini-Aspi, ovvero all’ex indennità di disoccupazione con requisiti ordinari e ridotti.

Quindi dal 1° gennaio 2013, entreranno in vigore due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente il lavoro. È su questo punto che è intervenuto il messaggio dell’INPS, a chiarire quando la risoluzione consensuale dà diritto al lavoratore di richiedere l’Aspi o la Mini-Aspi. La Riforma del Lavoro, riscrivendo l’art. 7 della legge n. 604 del 1966, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per le “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento”. Ma si precisa che questa procedura deve essere seguita solo dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti, che hanno il requisito dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Vediamo come si sviluppa l’ASPI. Il datore di lavoro e il lavoratore, in caso di licenziamento comunicato dal datore di lavoro, avviano il tentativo obbligatorio di conciliazione, cercando di raggiungere un accordo per risolvere il rapporto consensualmente. In questo caso, per legge il lavoratore acquisisce il diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), a certe condizioni.

Se in possesso dei requisiti previsti dalla normativa dell’Aspi, ovvero 52 settimane di contributi versati negli ultimi due anni e 2 anni di contributi assicurativi presso l’Inps, il lavoratore ha un incentivo in più per aderire alla risoluzione consensuale, perché percepisce dagli 8 ai 12 mesi di indennità mensile pari al 75% della retribuzione mensile per i primi 6 mesi.

Se, invece, il lavoratore non è in possesso di 52 settimane di contributi ma è in possesso delle 78 giornate lavorate nel 2012, ha diritto alla Mini-Aspi 2012, che viene erogata nella stessa percentuale e per la metà delle settimane lavorate nell’ultimo anno.

Se si raggiunge un accordo, si arriva alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in base alla quale per il lavoratore scatta l’applicazione delle normative dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) e il lavoratore, di conseguenza, percepisce la nuova indennità di disoccupazione prevista a partire dal 2013.

L'Aspi spetta dall'ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell'ultimo rapporto di lavoro, o dal giorno successivo a quello in cui sia stata presentata la relativa domanda, a condizione che permanga la condizione di disoccupazione. La liquidazione dell'indennità avviene, a pena di decadenza, dietro presentazione, da parte dei lavoratori aventi diritto di un'apposita domanda, da inviare all'Inps esclusivamente in via telematica, entro due mesi dalla data di spettanza del trattamento. La fruizione dell'indennità è comunque condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione.

Vediamo in sintesi cosa cambia con l'arrivo della nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.

Aspetto retributivo: per le retribuzioni mensili fino a 1.180 euro mensili (valore 2013) l'Aspi sarà pari al 75% (dal 60% attuale per l'indennità di disoccupazione). Per le retribuzioni superiori a questa soglia si avrà diritto al 25% della parte eccedente con un tetto massimo per l'Aspi pari per il 2013 a 1.119,32 euro.

Per poter beneficiare dell'Aspi è necessaria un'anzianità assicurativa pari a due anni, e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente il licenziamento. Possono chiederla i lavoratori dipendenti del settore privato compresi gli apprendisti ad esclusione del clero e dei giornalisti.

La durata della prestazione a regime potrà essere per 12 mesi se si hanno meno di 55 anni e per 18 mesi per gli over 55. Dopo i primi sei mesi nè prevista una riduzione del 15% dell'importo e di un altro 15%, qualora ancora dovuto, dopo il primo anno. Per il 2013 la transizione prevede ancora 8 mesi di assegno per gli under 50 e 12 mesi per gli over 50.

L’Aspi sarà finanziata da una contribuzione fissa, a carico del datore di lavoro, pari al 1,31% (lo stesso versato oggi per la disoccupazione nei rapporti di lavoro dipendente) ma è prevista una contribuzione aggiuntiva dei datori di lavoro per i contratti a termine dell'1,4%. Per il datore di lavoro che trasformasse il contratto a termine in uno a tempo indeterminato è possibile il recupero del contributo aggiuntivo per un massimo di sei mensilità.

Sarà possibile trasformare l'indennità Aspi in liquidazione per poter così avere un capitale e avviare un'impresa. Il lavoratore che però rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perde il sussidio.

Fino al 2014 la mobilità resisterà ancora: fino alla fine del 2014 la transizione verso l'Aspi prevede ancora che il sussidio duri 12 mesi per gli under 40 anni (24 al Sud), 24 mesi per chi ha tra 40 e 49 anni (36 al Sud), 36 mesi per gli over 50 (48 al Sud) per poi diminuire gradualmente negli anni successivi fino ad arrivare nel 2017 a 12 mesi per gli under 55 e 18 mesi per i più anziani.

sabato 22 dicembre 2012

Pensioni 2013 i piani previdenziali per i lavoratori

In questo periodo di preoccupazioni per le pensioni gli italiani si dimostrano sempre più propensi a sottoscrivere dei fondi pensione, che attualmente sembra essere una forma di previdenza complementare davvero vantaggiosa per i lavoratori.

Si tratta di una pensione integrativa, composta da contributi versati volontariamente dai lavoratori che andranno ad aggiungersi a quelli versati e poi, una volta maturati i requisiti richiesti, erogati dagli Enti pensionistici obbligatori.

Dal primo gennaio 2013 scende la rivalutazione pensionistica del 3% e sarà necessario mettere mano ad un piano pensionistico. Di quanto? Per chi si avvia ad andare in pensione a 65anni il nuovo balzello impone un incremento del risparmio previdenziale di circa 320 euro, in modo da colmare la differenza che scatta a gennaio del 2013. Ma se giustamente ci si pone l'obiettivo di costruire una pensione dignitosa – ottenendo una rendita pari a quella che percepiva chi smetteva di lavorare nel 1995 – bisognerà innalzare la contribuzione previdenziale a 1.588 euro l'anno.

Diverse sono le possibilità di pensioni integrative, che sono: i fondi, negoziali o aperti; i Piani Previdenziali Individuali.

I fondi negoziali, vengono definiti anche chiusi perché riservati a specifiche categorie di lavoratori sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali dei settori di riferimento.

I fondi aperti vengono invece creati e gestiti da banche, assicurazioni, per poi essere collocati presso il pubblico.

Dal 2013 l'età per raggiungere la pensione sarà calcolata in base alle aspettative di vita, secondo quanto previsto dalla riforma Monti-Fornero. Non solo: anche l'ammontare viene adeguato alla speranza di vita attesa. Ciò comporta una periodica revisione dei coefficienti di trasformazione. Quest’ultimi sono i valori con cui si convertono in rendita i contributi accumulati e rivalutati nel tempo. Se si riducono, calano le stime delle rendite future. Esempi per incidere in misura differente a seconda dell'età del pensionamento: per chi andrà in pensione a 65 anni il coefficiente passa dal 5,62% al 5,44%, il che si traduce in una prestazione ridotta del 3,2%; ma che sale per chi lascerà il lavoro a 70 anni del 4,41%.

Vediamo il caso di un impiegato che accumuli una quota di 250mila euro, frutto di 40 anni di contributi (33% di prelievo su un reddito medio di 20mila euro). Per chi andrà in pensione a 65 anni l'assegno cala di 450 ero da 14.050 a 13.600; per chi si ritira a 70 anni cala di 750 da 17mila a 16.250 euro. Ma la differenza è decisamente maggiore se si considera la differenza con le prestazioni calcolate in occasione della riforma Dini, nel 1995: il taglio è di 1.740 euro l'anno, pari all'11,34% per chi va in pensione a 65 anni.

Comunque i Piani Previdenziali Individuali rappresentano una vera e propria polizza assicurativa che porta all’erogazione di prestazioni pensionistiche integrative. La peculiarità è di essere a carattere individuale, offrendo al lavoratore maggiore flessibilità di versamenti. Questi possono infatti essere interrotti e poi ripresi senza interruzioni del contratto e senza penalizzazioni.  E sembra che investire nella previdenza complementare sia davvero conveniente: i fondi chiusi nei primi 9 mesi del 2012 hanno offerto rendimenti pari al 6,1%. Cometa, il fondo dei metalmeccanici, ha avuto un rendimento del 12,2%, la bilanciata-azionaria di Alifond (industria alimentare) del 10,8%, e la bilanciata di Cooperlavoro (coop produzione e lavoro) del 10,3%.

domenica 2 dicembre 2012

Riforma delle pensioni: vediamo cosa cambia da gennaio 2013


Da gennaio 2013 la riforma delle pensioni, chiesta dall’Ue all’Italia nella primavera del 2011, sarà in vigore operativa. Una riforma che secondo la Ragioneria dello Stato, in grado di far risparmiare alle casse pubbliche 22 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 7 anni. Merito di due elementi: l’allungamento dell’età pensionabile e il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.

Se alla fine del 2012 sono usciti dal lavoro i dipendenti che hanno maturato i requisiti a fine 2011 (e poi hanno dovuto attendere i 12 mesi previsti dalla finestra mobile), dal 2013 i lavoratori dipendenti potranno lasciare il lavoro solo con le regole previste dalla riforma (continueranno ad andare ancora fino a giugno con le vecchie regole gli autonomi che hanno dovuto attendere 18 mesi per la finestra mobile).

Per chiarire dal 2013 si potrà andare in pensione di vecchiaia con almeno 62 anni e tre mesi se donne (63 anni e 9 mesi se lavoratrici autonome) e con 66 anni e tre mesi se uomini. Si potrà andare in pensione anticipata solo se si sono maturati almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini e 41 anni e 5 mesi se donne.

Comunque per avere la pensione si dovrà lavorare almeno tre mesi in più. Ecco le novità che scatteranno il primo gennaio 2013 sul fronte previdenziale. La causa è il meccanismo che adegua alle aspettative di vita i coefficienti di trasformazione in rendita e i requisiti di età. Mentre l'adeguamento sarà triennale sino al 2019, e successivamente diventerà biennale».

L’adeguamento dei coefficienti si applica al sistema contributivo (che si basa sui contributi versati durante l’intera vita lavorativa) e riguarda, in tutto o in parte, tutti i lavoratori.

Per le donne è previsto aumento significativo dell'età che crescerà ancora gradualmente fino al 2018 (quando sarà equiparata a quella degli uomini). Fino a tutto il 2012 sono andate in pensione di vecchiaia donne dipendenti con 61 anni (60 più uno di finestra mobile) e lavoratrici autonome con 61 anni e mezzo (60 anni più 18 mesi di finestra mobile), mentre dal 2013 bisognerà attendere per le dipendenti i 62 anni e tre mesi e per le autonome 63 anni e 9 mesi. Dal 2014 ci vorranno 63 anni e 9 mesi per le dipendenti e 64 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome. Per evitare il salto repentino previsto per gli anni successivi è previsto che le dipendenti che abbiano compiuto 60 anni entro il 2012 possano andare in pensione a 64 anni e 7 mesi.

Per gli uomini con l'abolizione delle quote e l'incremento di un anno per gli anni di contributi necessari per l'uscita (oltre l'aspettativa di vita) terrà ancora al lavoro chi effettivamente pensava di aver concluso il periodo lavorativo. Se infatti per la pensione di vecchiaia basteranno nel 2013 66 anni e 3 mesi (a fronte dei 66 anni con cui si è usciti fino a fine 2012), per la pensione anticipata ci vorranno 42 anni e 5 mesi di contributi. In pratica, se si è nati dopo il 1946, per ritirarsi dal lavoro bisognerà aver cominciato a lavorare almeno nel 1972 (se si è cominciato nel 1971 è stato possibile uscire nel 2012 grazie a 40 anni di contributi più uno di finestra mobile). Anche per gli uomini dipendenti è prevista una eccezione con la possibilità di andare in pensione a 64 anni se si sono maturati entro il 2012 60 anni di età e 35 di contributi.

E’ stato calcolato che i nuovi coefficienti riducono gli assegni intorno al 2-3%. Inoltre, con il nuovo sistema il quando e il quanto della pensione future saranno agganciati alle statistiche sulla vita media.

L’adeguamento, curato dall’Istat, sarà triennale sino al 2019 e poi biennale. Occorre infine ricordare che, per tutto il 2013, le pensioni tre volte superiori all’assegno minimo (pari a 1.405 euro lordi) non godono dell’indicizzazione all’inflazione.

Vediamo i nuovi coefficienti presente nella nuova riforma delle pensioni. Innanzitutto diciamo che i coefficienti si applicano solo alla parte contributiva degli assegni e, per la prima volta, si riferiscono anche a chi resta al lavoro fino a 70 anni.

In modo specifico mettiamo in evidenza i nuovi coefficienti, che saranno in vigore dal primo gennaio 2013 al 31 dicembre 2015.

Data pensione a 57 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,304% (rispetto al 4,42% precedente);
Data pensione a 58 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,416% (rispetto al 4,54% precedente);
Data pensione a 59 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,535% (rispetto al 4,66% precedente);
Data pensione a 60 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,661% (rispetto al 4,80% precedente);
Data pensione a 61 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,796% (rispetto al 4,94% precedente);
Data pensione a 62 anni: il nuovo coefficiente è pari al 4,940% (rispetto al 5,09% precedente);
Data pensione a 63 anni: il nuovo coefficiente è pari al 5,094% (rispetto al 5,26% precedente);
Data pensione a 64 anni: il nuovo coefficiente è pari al 5,259% (rispetto al 5,43% precedente);
Data pensione a 65 anni: il nuovo coefficiente è pari al 5,435% (rispetto al 5,62% precedente);
Data pensione a 66 anni: il nuovo coefficiente è pari al 5,624%: da questo momento in poi non c’è un confronto precedente perché è la prima volta che i coefficienti incamerano un’età pensionabile sopra i 65 anni;
Data pensione a 67 anni: il nuovo coefficiente è pari al 5,826%;
Data pensione a 68 anni: il nuovo coefficiente è pari al 6,046%;
Data pensione a 69 anni: il nuovo coefficiente è pari al 6,283%;
Data pensione a 70 anni: il nuovo coefficiente è pari al 6,541%.

I coefficienti calano rispetto a quelli in vigore dal 2010, abbassando l’importo degli assegni delle future pensioni. I coefficienti dai 66 anni in poi sono più alti di quello previsto nel 2010 relativo ai 65 anni (che era l’ultimo), il che significa che chi va in pensione dai 66 ai 70 anni invece ci guadagna. In sostanza, il coefficiente relativo ai 65 anni fa perdere circa il 3% sull’importo della pensione, mentre aspettando fino a 70 anni, rispetto ai vecchi coefficienti, si guadagna circa il 16%.

I coefficienti si applicano solo alla parte contributiva della pensione. Significa che avranno un impatto tutto sommato abbastanza limitato su coloro che, lavorando dal 1977, avevano già 18 anni di contributi al 31 dicembre ’95 (la parte contributiva si applica solo a partire dal primo gennaio 2012, in base alla riforma Monti-Fornero, mentre tutta la parte precedente si calcola con il retributivo).

Si applicano invece all’intero montante per chi va in pensione interamente con il metodo contributivo, ovvero per tutti coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre ’95 (quindi hanno iniziato a lavorare dopo questa data).
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