venerdì 24 maggio 2013

Apprendistato 2013 il rilancio del ministro del Lavoro


Formazione più agile, costi leggeri, minori vincoli sulle stabilizzazioni. E ancora: ridurre la differenza territoriale dei percorsi formativi e rafforzare l'alto apprendistato nell’università.

Sono le mosse per rilanciare l'apprendistato, nel cantiere nuovamente aperto dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che ha annunciato entro giugno una riesame della formula per favorire l'occupazione giovanile. L'appesantimento dei costi determinato dalla riforma Fornero è il primo tema da rivedere nel dossier di interventi proposti dalle imprese, oltre alla necessità di spostare il fulcro della formazione dall'aula all'azienda. Dai sindacati, invece, si sollecita l'attuazione del repertorio nazionale delle qualifiche e il maggior coinvolgimento dei fondi interprofessionali.

Il modello di riferimento è la Germania, dove i posti da apprendista crescono del 12% all'anno e un'impresa su tre fatica a trovare candidati. L'Italia è ancora lontana, ma gli ultimi dati sulle comunicazioni obbligatorie registrano un'inversione di rotta che fa ben sperare: +5,2% per i contratti attivati nel quarto trimestre del 2012 rispetto a quello precedente, che evidenzia, secondo il monitoraggio realizzato dall'Isfol, «la ripresa di un andamento crescente verso livelli simili a quelli del periodo precedente la caduta». E il cantiere dell'apprendistato è di nuovo aperto, visto che il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha dichiarato di voler mettere mano alla formula. Formazione, costi, semplificazione delle regole sono i punti principali nell'agenda di imprese e sindacati per aumentare l'appeal del contratto.

Sul fronte sindacale, se la Cgil sottolinea l'esigenza di completare al più presto il repertorio nazionale delle qualifiche per favorire il riconoscimento dei titoli sul territorio, la Cisl rileva come «sarebbe importante allargare lo sgravio contributivo totale - spiega il segretario confederale Luigi Sbarra -, oggi vigente solo per le aziende sotto i 10 addetti, anche alle aziende più grandi». La Uil evidenzia che l'intervento sull'apprendistato sarebbe da inserire in un disegno armonico di sostegno alle assunzioni, evitando interventi spot. Per il segretario confederale Guglielmo Loy, «sarebbe necessario intervenire sull'apprendistato professionalizzante, allentando i vincoli delle imprese sul versante della formazione. In questo campo – ha aggiungto – potrebbero essere coinvolti i fondi interprofessionali».

L'aggravio dei costi determinato dalla riforma del lavoro è il tema su cui maggiormente insistono le associazioni di categoria. Da Confcommercio sottolineano che «l'attribuzione ai contratti collettivi della disciplina dell'apprendistato, compresa la formazione in azienda, sta facilitando l'utilizzo del contratto professionalizzante costruito sulle esigenze delle imprese. Resta, però, la criticità dell'incremento di costo introdotto dalla legge Fornero per l'Aspi».

Sulla stessa linea Confartigianato: «Dopo la riforma – fa notare il direttore delle relazioni sindacali Riccardo Giovani – per gli apprendisti assunti nell'artigianato si versa il contributo Aspi dell'1,61%, mentre per gli altri lavoratori il contributo è dello 0,70 per cento. Una penalizzazione tanto più grave per il settore dell'artigianato, che impiega un terzo degli apprendisti».

Secondo Confindustria, invece, «per una riforma più incisiva si potrebbe ragionare di un ampliamento del periodo di prova degli apprendisti ed eventualmente della possibilità di dare la tutela obbligatoria/economica durante il periodo di formazione, sulla scorta delle proposte sul contratto unico».

È vero che il contratto di apprendistato ha una valenza formativa, ma la quantità e l'organizzazione del training richiesto sono uno dei temi su cui più si concentrano le critiche degli operatori. Un problema è la disomogeneità dei percorsi tracciati a livello regionale, per cui ci sono Regioni che per l'apprendistato professionalizzante richiedono il numero minimo di 120 ore di formazione esterna all'azienda nel triennio, e altre che arrivano a richiedere oltre 900 ore. Dal mondo produttivo si sollecita, dunque, un allineamento delle regole sul territorio, all'insegna della semplificazione. «Bisognerebbe anche - dice Mario Resca, presidente di Confimprese - riproporzionare le ore di formazione per i contratti part-time e "portare" il maggior numero di ore possibile dalle lezioni in aula al training on the job».

Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, sottolinea infine che «negli studi professionali gli apprendisti possono già ricevere una formazione rilevante. Per incentivare il ricorso all'apprendistato di alta formazione e alleggerire i costi a carico degli studi – suggerisce – sarebbe utile prevedere una riduzione delle ore di formazione esterna, valorizzando quella sul campo».

martedì 21 maggio 2013

Governo e la politica del lavoro 2013: esodati, pensione anticipata e staffetta generazionale


Come già scritto su queste pagine con la riforma del lavoro dal 2013 si potrà andare in pensione di vecchiaia con almeno 62 anni e tre mesi se donne (63 anni e 9 mesi se lavoratrici autonome) e con 66 anni e tre mesi se uomini. Si potrà andare in pensione anticipata solo se si sono maturati almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini e 41 anni e 5 mesi se donne.

In vista nuove tutele per gli esodati (salvaguardati) e le possibili modificazioni alla riforma delle pensioni che privilegino le staffetta generazionale e sconfortino la pensione anticipata: vediamo i piani del Governo per il 2013.

Per tutelare gli esodati il Governo ragiona su nuove misure per limitare il numero dei salvaguardati si pone come obiettivo di scoraggiare la pensione anticipata, introducendo nella Riforma Fornero elementi di flessibilità sull’età pensionabile e meccanismi del tipo staffetta generazionale.

Queste sono le linee guida illustrate a più riprese dal ministero del Lavoro, Enrico Giovannini.

Il problema riguarda in modo particolare chi è vicino all’età pensionabile (ma che per effetto della Riforma Fornero, non l’ha raggiunta) e chi rischia di trovarsi in analoga situazione nei prossimi anni. Innanzitutto bisogna «migliorare il sistema informativo»: davanti a stime più esatte attese dall’INPS, il governo prenderà le sue disposizioni.

Il punto, ha spiegato Giovannini, non è soltanto «la tutela degli esodati, ma la transizione a un sistema pensionistico che, a causa della riforma, ha subito un brusco cambiamento». Su 130mila lavoratori tutelati, ad oggi sono solo 7mila gli esodati che hanno ottenuto la pensione. Giovannini ha quindi fornito indicazioni sul completamento delle salvaguardie previste.

Per il primo decreto, a fronte dei 65mila soggetti che dovevano essere salvaguardati, ne sono stati salvaguardati 62mila». Ma «non significa che le risorse relative a questi ulteriori 3mila soggetti verranno perdute, perché i decreti successivi indicano chiaramente che le eventuali economie possono essere impiegate in essi».

Per il secondo decreto, «le imprese avrebbero dovuto comunicare entro il 31 marzo le liste dei soggetti che si prevede verranno licenziati (quindi perderanno il posto di lavoro) entro il 31 dicembre, ma in realtà non l’hanno fatto. Perché? Perché non c’è incertezza, anche dal punto di vista delle imprese, se questi soggetti effettivamente verranno espulsi dal sistema produttivo entro quest’anno, o se invece si andrà all’anno prossimo».

Il governo sta considerando di rendere più flessibili le misure che consentono la pensione anticipata, continuando a consentirla ma sempre con decurtazione dell’assegno, e magari incentivare chi invece rimane al lavoro più a lungo.

La legge attualmente prevede per le donne con 35 anni di contributi e 57 anni di età la possibilità di ritirarsi ma calcolando la pensione con metodo contributivo (significa un assegno più basso di almeno il 30% rispetto al retributivo o misto). La riforma Fornero prevede anche un ritiro anticipato per uomini e donne prima dei 62 anni, ma con un prelievo dell’1-2% per ogni anno in meno rispetto all’età pensionabile. Per la pensione anticipata senza decurtazioni bisogna avere 42 anni e 5 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e cinque mesi per le donne).

Infatti, la staffetta generazionale che il ministro del Lavoro sta portando avanti conferma che questo provvedimento sia un punto centrale nel suo progetto. C’è da mettere in evidenza che ci sono diversi modi per realizzare il graduale passaggio di consegne tra i lavoratori anziani e quelli giovani. Un a prima l’idea è quella di un part-time per i lavoratori vicini all’età pensionabile, che manterrebbero la contribuzione piena (a carico dell’ente previdenziale) mantenendo i requisiti pensionistici. Le aziende risparmierebbero ma dovrebbero in cambio assumere un giovane per ogni part-time di un lavoratore anziano, per esempio in apprendistato o a tempo indeterminato.

La seconda idea prevede che il lavoratore anziano non vada in part time ma in pensione prima della scadenza naturale. E in questo caso bisogna intervenire sull'altra riforma Fornero, proprio quella che ha alzato l'età pensionabile.

sabato 18 maggio 2013

Fondo di solidarietà a sostegno del reddito 27 dal aprile 2013

Torna ad essere operativo il Fondo di Solidarietà per i mutui sulla prima casa, rifinanziato con 20 milioni di euro dal decreto "Salva Italia". A partire dal 27 aprile è possibile fare richiesta per la sospensione del pagamento delle rate del proprio mutuo, per un massimo di 18 mesi di interruzione. Possono ottenere questo sostegno coloro che si trovano ad aver perso il lavoro, che subiscono la morte di un familiare o il riconoscimento di una grave invalidità successivamente alla stipula del contratto di mutuo e nei 3 anni antecedenti la richiesta di accesso al beneficio e in presenza di alcuni requisiti legati al reddito.

Il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa è stato istituito, presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la Legge n. 244 del 24/12/2007 che all'art. 2, commi 475 e ss. ha previsto la possibilità per i titolari di un mutuo contratto per l'acquisto della prima casa, di beneficiare della sospensione del pagamento delle rate al verificarsi di situazioni di temporanea difficoltà, destinate ad incidere negativamente sul reddito complessivo del nucleo familiare.

La legge n. 92 del 2012, entrata in vigore in data 18/07/2012 e recante "disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita", ha modificato in modo sostanziale la preesistente normativa incidendo sui requisiti previsti per l'accesso al Fondo e consentendo nello specifico l'ammissione al beneficio nei soli casi di:
cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato;
cessazione dei rapporti di lavoro parasubordinato, o di rappresentanza commerciale o di agenzia (art. 409 n. 3 del c.p.c.);
morte o riconoscimento di grave handicap ovvero di invalidità civile non inferiore all'80%

In Gazzetta le modifiche al decreto 21 giugno 2010, n. 132 concernente norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa.

Analizzando i casi dell'ammissione al beneficio dobbiamo sottolineare che è subordinata esclusivamente all'accadimento di almeno uno dei seguenti eventi riferiti alla persona del beneficiario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e verificatisi nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:

cessazione del rapporto di lavoro subordinato ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità  dello stato di disoccupazione;

cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409,  n. 3) del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;

morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80%.

La sospensione del pagamento delle rate di mutuo si applica anche ai mutui:
oggetto di operazioni di emissione di obbligazioni bancarie garantite ovvero di cartolarizzazione ai sensi della legge 30  aprile 1999, n. 130;

erogati per portabilità tramite surroga ai sensi dell'articolo 120-quater del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, che costituiscono mutui di nuova erogazione alla data di perfezionamento dell'operazione di surroga;

che hanno già fruito di altre misure di sospensione del pagamento delle rate purché tali misure non determinino complessivamente una sospensione dell'ammortamento superiore a 18 mesi.

Per beneficiare del fondo di solidarietà per i mutui prima casa i mutuatari, tramite gli istituti di credito o gli intermediari finanziari, devono ottenere il nulla osta da parte della Consap, la Concessionaria servizi assicurativi pubblici nonché la società del Mef che gestisce il fondo. La richiesta si inoltra telematicamente, attraverso la moduliststica disponibile sul sito del Ministero del Tesoro e della Consap.

Accanto al rifinanziamento sono stati introdotti nuovi criteri per accedere al provvedimento sospensorio delle rate. I nuovi criteri stabiliscono che le banche possono accettare la richiesta di sospensione in caso di licenziamento da lavoro di tipo subordinato nei tre anni precedenti la richiesta stessa, ad esclusione dei casi di licenziamento per giusta causa. Rientrano nei criteri stabiliti, oltre ai casi di licenziamento, la morte e il riconoscimento di handicap o invalidità superiore all'ottanta percento.
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