mercoledì 29 maggio 2013
Esodati: pubblicato il decreto del 22 aprile 2013
E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (28 maggio 2013, n. 123) il decreto interministeriale 22 aprile 2013 che disciplina le modalità di attuazione dell'art. 1, co. 231 e 233, della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (cd. Legge di stabilità 2013), individuando il limite massimo di lavoratori e la ripartizione dei soggetti interessati alla concessione dei benefici. Comunque resta fermo il possesso dei requisiti utili al trattamento pensionistico.
Il contingente numerico di 10.130 lavoratori concernente la terza salvaguardia in materia pensionistica trova tra le categorie interessate, i lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, registrati entro il 31 dicembre 2011, che abbiano perfezionato i requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di godimento dell’indennità (in ogni caso entro il 31 dicembre 2014) sono tenuti, entro 120 giorni, e cioè entro il 25 settembre, a presentare un’istanza alla Direzione territoriale del lavoro competente territorialmente, per poter acquisire la pensione secondo le direttive ante-riforma Monti-Fornero.
I lavoratori salvaguardati da questo decreto possono andare in pensione con le regole precedenti alla Riforma delle Pensioni (contenuta nel Salva Italia, Dl 201/2011).
Adesso vediamo chi sono e cosa devono fare:
numero 2.560 lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi, governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, e che abbiano perfezionato i requisiti per il pensionamento entro la fine della mobilità, e comunque entro il 31 dicembre 2014: questi lavoratori devono presentare istanza alla DTL (direzione territoriale del lavoro) competente per territorio, corredata dell’accordo di mobilità, entro il 25 settembre 2013, indicando la data di cessazione del rapporto di lavoro. Se il lavoratore non è in grado di produrre l’accordo di mobilità, la Dtl lo acquisirà presso il datore di lavoro o la competente Pubblica Amministrazione. La Dtl trasmette l’istanza all’Inps entro 45 giorni dal ricevimento;
numero 1.590 lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore della riforma delle pensioni, ossia il 6 dicembre 2011. Questo lavoratori possono aver svolto, dopo il 4 dicembre 2011, qualsiasi attività, ma non riconducibile a un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, e a condizione che il reddito annuo lordo conseguito dopo il 4 dicembre 2011 sia al massimo pari a 7mila 500 euro. Questi lavoratori devono aver conseguito il diritto alla pensione entro il dicembre 2014 (lettera b, comma 231: presentano domanda all’Inps entro il 25 settembre 2013;
numero 5.130 lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali o collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011. Possono avere svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che il reddito annuo lordo conseguito dopo il 30 giugno 2012 sia al massimo pari a 7.500 euro. Anche qui, il perfezionamento dei requisiti per la pensione deve essere conseguito entro il dicembre 2014 (lettera c, comma 231): questi lavoratori devono presentare domanda alla DTL davanti alla quale sono stati sottoscritti gli accordi di incentivo all’esodo o a quella competente per territorio, entro il 25 settembre 2013. E' obbligo che alla domanda va allegato l’accordo.
numero 850 lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, che devono attendere il termine della mobilità per poter effettuare il versamento volontario. Devono perfezionare i requisiti pensionistico entro il dicembre 2014 (lettera d, comma 231): presentano domanda all’Inps entro il 25 settembre 2013.
Riassumendo la salvaguardia vale per i lavoratori che hanno risolto il rapporto lavorativo entro il 30 giugno 2012 per effetto di accordi individuali o collettivi di incentivo all’esodo stipulati entro il 31 dicembre 2011, a condizione che non siano stati riassunti a tempo indeterminato, che abbiano guadagnato un reddito annuo lordo complessivo non superiore a 7.500 euro e che giungano a perfezionare i requisiti necessari all’accesso pensionistico entro dicembre 2014.
Sono ammessi alla salvaguardia anche i lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria dei contributi entro il 4 dicembre 2011 e con un contributo accreditato o accreditabile entro il 6 dicembre 2011 benché abbiano svolto, dopo il 4 dicembre 2011, ogni tipo di attività riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato a seguito dell’ottenuta autorizzazione. Anche in questo caso l’ammissione è valida a patto che i suddetti lavoratori abbiamo conseguito un reddito annuo lordo non superiore a 7.500 euro e maturino i requisiti che consentono l’accesso al pensionamento entro il mese di dicembre 2014. In questo caso, l’istanza dovrà essere presentata direttamente all’Inps.
Beneficiati dalla salvaguardia sono infine anche i prosecutori volontari collocati in mobilità ordinaria, i quali rientrano nella manovra di ‘tutela’ soltanto avendo però perfezionato i requisiti di accesso entro il termine precedentemente indicato. L’ente preposto al vaglio ed al controllo delle singole domande è l’Inps.
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domenica 26 maggio 2013
Enrico Letta all’Unione Europea fare più per il lavoro
La Commissione Ue proporrà ai 27 di chiudere la procedura di deficit eccessivo raccomandando all'Italia di andare avanti sulla strada del risanamento dei conti pubblici. E' quanto emerge dalla bozza del documento con le 'raccomandazioni' Ue che dovrebbe essere approvata mercoledì prossimo dalla Commissione europea
Letta all'Ue: fare di più per il lavoro - Il paletto del rapporto deficit/Pil al 3% resta invalicabile, ma al suo interno si possono sfruttare i margini concessi dal Patto di Stabilità ai Paesi virtuosi; se tuttavia questa flessibilità non dovesse bastare per realizzare tutti i provvedimenti annunciati il governo dovrà decidere a quali misure dare la priorità. Fonti di governo riassumono così la linea tracciata durante il vertice convocato da Enrico Letta a palazzo Chigi, per fare il punto con il vicepremier Angelino Alfano e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni sulla situazione economica.
Per quanto concerne il lavoro, la partita si giocherà soprattutto al vertice Ue di fine giugno. Letta ha illustrato il percorso in vista di quell'appuntamento, riferendo anche del lungo incontro avuto ieri sera con i ministri Giovannini (Lavoro) e Moavero (Affari Europei). Il premier ha poi illustrato le proposte con cui intende presentarsi al tavolo europeo: ed in particolare, oltre all'uso del fondo sociale e all'anticipazione del piano Ue per l'occupazione giovanile, la possibilità di scorporare dai bilanci le spese nazionali concordate con l'Ue per il rilancio dell'occupazione.
Premier Letta scrive a Van Rompuy - Avere finanze pubbliche sane serve. Ma se l'Ue ''non è capace di intervenire per risolvere la disoccupazione, finirà per alimentare sentimenti di frustrazione e risentimento'' facendo crescere ''movimenti populisti ed antieuropei''. Lo scrive Enrico Letta a Van Rompuy chiedendo di fare di piu' per la lotta alla disoccupazione.
Il presidente del consiglio, Enrico Letta, ha infatti risposto alla lettera con la quale il presidente del consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha annunciato che la lotta alla disoccupazione, specie quella giovanile, sarà al centro del prossimo vertice europeo di giugno. "La lotta alla disoccupazione giovanile - scrive Letta - rappresenta la sfida prioritaria, per l'Italia e per l'Europa" anche alla luce degli ultimi dati che "dimostrano che il problema ha raggiunto livelli allarmanti praticamente in tutti gli Stati membri". Pur riconoscendo che sulla questione sono stati fatti "passi avanti importanti" questi, sottolinea, "non sufficienti. Vi sono diversi fronti - avverte - su cui dobbiamo e possiamo fare di più".
La Commissione Ue proporrà ai 27 di chiudere la procedura di deficit eccessivo raccomandando all'Italia di andare avanti sulla strada del risanamento dei conti pubblici. E' quanto emerge dalla bozza del documento con le 'raccomandazioni' Ue che dovrebbe essere approvata mercoledì prossimo dalla Commissione europea
Letta all'Ue: fare di più per il lavoro - Il paletto del rapporto deficit/Pil al 3% resta invalicabile, ma al suo interno si possono sfruttare i margini concessi dal Patto di Stabilità ai Paesi virtuosi; se tuttavia questa flessibilità non dovesse bastare per realizzare tutti i provvedimenti annunciati il governo dovrà decidere a quali misure dare la priorità. Fonti di governo riassumono così la linea tracciata durante il vertice convocato da Enrico Letta a palazzo Chigi, per fare il punto con il vicepremier Angelino Alfano e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni sulla situazione economica.
Per quanto concerne il lavoro, la partita si giocherà soprattutto al vertice Ue di fine giugno. Letta ha illustrato il percorso in vista di quell'appuntamento, riferendo anche del lungo incontro avuto ieri sera con i ministri Giovannini (Lavoro) e Moavero (Affari Europei). Il premier ha poi illustrato le proposte con cui intende presentarsi al tavolo europeo: ed in particolare, oltre all'uso del fondo sociale e all'anticipazione del piano Ue per l'occupazione giovanile, la possibilità di scorporare dai bilanci le spese nazionali concordate con l'Ue per il rilancio dell'occupazione.
Premier Letta scrive a Van Rompuy - Avere finanze pubbliche sane serve. Ma se l'Ue ''non è capace di intervenire per risolvere la disoccupazione, finirà per alimentare sentimenti di frustrazione e risentimento'' facendo crescere ''movimenti populisti ed antieuropei''. Lo scrive Enrico Letta a Van Rompuy chiedendo di fare di piu' per la lotta alla disoccupazione.
Il presidente del consiglio, Enrico Letta, ha infatti risposto alla lettera con la quale il presidente del consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha annunciato che la lotta alla disoccupazione, specie quella giovanile, sarà al centro del prossimo vertice europeo di giugno. "La lotta alla disoccupazione giovanile - scrive Letta - rappresenta la sfida prioritaria, per l'Italia e per l'Europa" anche alla luce degli ultimi dati che "dimostrano che il problema ha raggiunto livelli allarmanti praticamente in tutti gli Stati membri". Pur riconoscendo che sulla questione sono stati fatti "passi avanti importanti" questi, sottolinea, "non sufficienti. Vi sono diversi fronti - avverte - su cui dobbiamo e possiamo fare di più".
La Commissione Ue proporrà ai 27 di chiudere la procedura di deficit eccessivo raccomandando all'Italia di andare avanti sulla strada del risanamento dei conti pubblici. E' quanto emerge dalla bozza del documento con le 'raccomandazioni' Ue che dovrebbe essere approvata mercoledì prossimo dalla Commissione europea
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Ministro del lavoro Enrico Giovannini e il capitolo pensioni
Per le pensioni c’è l’ipotesi uscite flessibili per risolvere il duro nodo sugli esodati.
Infatti, con le penalizzazioni il governo Letta punta a svuotare la platea dei senza tutele. Ma c’è il nodo del livello dei disincentivi: il 2% l’anno potrebbe non bastare.
Un modello di pensionamento flessibile ancora da definire nei suoi contorni esatti, ma che in prospettiva potrebbe anche disinnescare la mina degli esodati, i lavoratori da salvaguardare rispetto alle conseguenze della riforma Fornero. Al ministero del lavoro i dossier aperti sono tanti, da quello relativo agli sgravi per l’assunzione di giovani agli aggiustamenti alle norme sul mercato del lavoro.
Sul fronte della previdenza si sta lavorando soprattutto a due progetti: da una parte la cosiddetta staffetta
generazionale tra giovani e anziani, dall’altra il possibile abbassamento, con penalizzazione, dell’età minima di uscita. Progetti entrambi non semplici e potenzialmente costosi per il bilancio dello Stato; ma in grado di ammorbidire le conseguenze delle regole pensionistiche introdotte a fine 2011 sull’onda dell’emergenza finanziaria.
La legge Fornero-Monti sulle pensioni ha di fatto spostato in avanti la data dell’uscita del lavoro, anche di molti anni, creando come effetto parallelo una considerevole porzione di lavoratori che si ritrovano o si ritroveranno senza stipendio ma anche senza pensione: perché l’azienda li ha messi fuori, o loro stessi si sono dimessi, in previsione di un’andata a riposo che poi si è rivelata un traguardo lontano o lontanissimo. Finora per tutelare queste persone si è scelta la strada dell’eccezione rispetto ai vincoli stringenti della riforma: in più riprese 130 mila persone sono state ammesse a usufruire delle vecchie regole.
Si sta lavorando per estendere la platea, probabilmente non in modo particolarmente incisivo visto anche l’esiguità delle risorse a disposizione; ma il problema verrà affrontato anche da un altro lato proprio attraverso il pensionamento flessibile. 62 anni erano l’età richiesta per l’uscita, insieme a 35 di contributi, con le norme precedenti alla riforma Fornero: la famosa “quota 97” che sarebbe dovuta scattare nel 2013.
Quindi lasciare il lavoro con questi requisiti, seppur con una penalizzazione economica, la gran parte dei lavoratori coinvolti ritroverebbe il percorso segnato negli anni passati.
I tempi saranno forse un po’ più ravvicinati per il progetto della staffetta generazionale, ossia la possibilità per i lavoratori più anziani di svolgere a tempo parziale gli ultimi anni di lavoro, in cambio dell’assunzione di giovani. C’è però un problema di costi: anche escludendo specifici incentivi retributivi, il solo costo della contribuzione figurativa a carico dello Stato si aggira sugli 8 mila euro l’anno per ciascun interessato, nell’ipotesi di un reddito medio basso. Se i lavoratori coinvolti fossero centomila la spesa sarebbe di 800 milioni il primo anno, indirizzata poi a crescere negli anni successivi.
Vediamo le ipotesi della flessibilità in uscita. La riforma Dini (1995) prevedeva una flessibilità in uscita tra i 57 e i 65 anni, misurata su un sistema di penalizzazioni o premi per indurre al posticipo basata sui coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensioni. Visse per poco tempo quel sistema, messo a punto dal ministro del Lavoro, Tiziano Treu. In pochissimi lo utilizzarono davvero per scegliere il momento del pensionamento. Appena entrata in vigore la riforma che ci avrebbe proiettato nel sistema contributivo puro, arrivarono nuovi Governi con nuove soluzioni: Antonio Bassolino e Cesare Salvi con i decreti per le pensioni anticipate dei lavoratori impegnati in attività usuranti spostarono l'attenzione su platee particolari di beneficiari. E poi arrivò Roberto Maroni, che quasi accantonò la flessibilità e reintrodusse elementi retributivi con i nuovi requisiti per l'anzianità incrementati (il famoso scalone), successivamente mitigati ma non cancellati dalle "quote" di Cesare Damiano. Ci siamo affrontati con un susseguirsi di interventi, proseguito con le "finestre mobili" di Maurizio Sacconi e che si sarebbe concluso con la riforma Fornero dell'autunno 2011.
L'attuale sistema, che il Governo Letta intende correggere, prevede il superamento delle anzianità e il pensionamento di vecchiaia a 66 anni con 20 anni minimi di contributi. Il nuovo requisito viene innalzato gradualmente per le lavoratrici private ma entro il 2021 per tutti varrà il requisito dei 67 anni, raggiunto con l'aggancio del pensionamento effettivo alle aspettative di vita. La flessibilità in uscita c'è ma prevede delle penalizzazione: fino al 2014 gli uomini con 42 anni e tre mesi di versamenti (41 e tre mesi per le donne) possono andare in pensione anche prima del 62 anni, ma perdono l'1% della pensione per ogni anno di anticipo (entro un massimo di due anni) e del 2% per ogni anno ulteriore rispetto ai primi due. Per esempio se un lavoratore con 42 anni e 2 mesi decidesse quest'anno di andare in pensione a 58 anni perde il 6% della pensione.
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