sabato 26 marzo 2016

Dimissioni on line istruzioni e casi particolari


A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La compilazione del modello è semplice: bisogna inserire generalità di lavoratore e datore di lavoro, data inizio rapporto, contratto applicato, tipo di comunicazione (dimissioni, risoluzione, revoca) e relativa data di decorrenza. Va inviato alla casella PEC (Posta elettronica certificata) del datore di lavoro, attraverso le specifiche tecniche indicate nel decreto. Il lavoratore ha 7 giorni per revocare le dimissioni dal momento dell’invio, con le stesse modalità.

La pratica che si vuole combattere è quella delle dimissioni in bianco, che consiste nel far firmare al dipendente un foglio di dimissioni senza data, spesso proprio al momento nell’assunzione, che l’impresa può quindi utilizzare in qualsiasi momento. Il fenomeno, storicamente, riguarda le lavoratrici donne, per costringerle a dimettersi in caso di maternità.

Le dimissioni con formato esclusivamente digitale hanno data certa, è impossibile “preconfezionarle”. Dal 12 marzo, quindi, non sarà più possibile attuare dimissioni “forzate” perché il documento ha un codice identificativo e una data di trasmissione, che impediscono pratiche come quella delle dimissioni in bianco.

Le nuove norme non si applicano al lavoro domestico e alle dimissioni nelle sedi di cui all’articolo 2113, IV comma del codice civile o davanti alle commissioni di certificazione. Le dimissioni delle lavoratrici in gravidanza o nei primi tre anni di vita del bambino restano da convalidare dal Ministero del Lavoro.

Le nuove norme non si applicano al lavoro domestico e alle dimissioni nelle sedi di cui all’articolo 2113, IV comma del codice civile o davanti alle commissioni di certificazione. Le dimissioni delle lavoratrici in gravidanza o nei primi tre anni di vita del bambino restano da convalidare dal Ministero del Lavoro.

Chiarimenti e istruzioni operative per la presentazione delle dimissioni online, obbligatorie dal 12 marzo 2016, il Ministero del Lavoro ha chiarito innanzitutto che il lavoratore può scegliere fra due opzioni:

inviare il modulo attraverso il sito del Ministero con PIN INPS dispositivo,

rivolgersi a un soggetto abilitato (CAF, patronati, professionisti).

Sul sito web ministeriali sono presenti a questo scopo videotutorial con tutte le indicazioni per il contribuente e per gli intermediari.

Si ricorda che l’obbligo di dimissioni telematiche riguarda solo il settore privato e non il pubblico impiego. Sono inoltre esclusi il lavoro domestico e le dimissioni o accordi conclusi in sede conciliativa. Utilizzano le nuove modalità di invio delle dimissioni anche gli assunti a tempo determinato, nel caso di dimissioni precedenti alla scadenza del contratto.

Nel caso in cui le dimissioni siano state presentate prima del 12 marzo ma abbiano effetto successivamente, non scatta la nuova procedura (si applicano le vecchie regole previste dalla legge 92/2012).

Il modulo di dimissioni è caratterizzato dalla data di trasmissione e da un codice identificativo: il lavoratore può revocarlo entro sette giorni. La consultazione della domanda di dimissioni telematiche è permessa solo al datore di lavoro e alla DTL (direzione territoriale del lavoro) competente.

Casi particolari
Se il lavoratore si ammala dopo aver dato le dimissioni, dovendo posticipare la data di chiusura del rapporto, ma sono già passati i sette giorni utili per correggere le dimissioni: il dipendente in questo caso non deve fare nulla e le dimissioni restano valide; sarà il datore di lavoro a calcolare la nuova data di fine rapporto e inserirla nella comunicazione.

In generale, è sempre possibile spostare la data di cessazione del rapporto, anche sulla base di semplici accordi fra dipendente e impresa, e non c’è bisogno di ritirare le dimissioni e inviare una nuova pratica: sarà sempre azienda a scrivere la data pattuita nella comunicazione di fine rapporto.
Esodi volontari sulla base di accordo sindacale aziendale: non trova applicazione la nuova procedura; tutti gli accordi raggiunti in sede extragiuziale sono validi e non prevedono l’obbligo di dimissioni telematiche.

La data da indicare nel modulo da compilare per le dimissioni on line, come emerge in una delle FAQ aggiornate dal Ministero del Lavoro, è quella di decorrenza delle dimissioni, ovvero quella a partire dalla quale, decorso il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro cessa. Pertanto, la data da inserire sarà quella del giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. Inoltre, sul preavviso, le FAQ aprono alla possibilità che la data indicata nel modulo sia discordante rispetto a quella di effettiva cessazione del rapporto di lavoro.

Se il lavoratore non procede alla sottoscrizione della comunicazione entro 7 giorni dalla sua ricezione e non si presenta presso la Direzione Territoriale del Lavoro, del Centro per lʼImpiego o presso il datore di lavoro per sottoscrivere la ricevuta della “Comunicazione telematica di cessazione”, le dimissioni o la risoluzione del contratto sono da ritenersi nulle.

Un modulo di dimissioni volontarie specifico da inviare al Ministero del Lavoro tramite le Direzioni Territoriali del lavoro, Centri per l'impiego, Comuni, Sindacati o patronati, uguale per tutta Italia e redatto secondo le disposizioni del DL del 21 gennaio 2018.

Come funziona l'invio del modulo telematico? Il lavoratore/lavoratrice deve compilare il modulo dimissioni ed inviarlo online, utilizzando la seguente procedura:

A) Se possiede il PIN dispositivo INPS:

1) creando un proprio account sul portale www.ClicLavoro.it;

2) una volta creato l'account, accedere al portale www.lavoro.gov.it  e nello specifico al form on-line per la trasmissione della comunicazione, oppure ad un modulo precedente inviato per la revoca;

3) Compilare il modulo dimissioni o risoluzione consensuale tramite PEC al datore di lavoro e alla Direzione territoriale competente.

B) Se non si possiede il PIN INPS, la trasmissione telematica del modulo dimissioni può essere eseguita rivolgendosi a: Patronati, Sindacati, Enti bilaterali; Commissioni di certificazione.

Una volta confermati i dati inseriti, il modello potrà essere salvato in formato PDF e sarà inviato automaticamente al datore di lavoro e alla Direzione territoriale competente, dal seguente indirizzo dimissionivolontarie@pec.lavoro.gov.it.


venerdì 25 marzo 2016

Legge n. 104, licenziamento legittimo per chi usa alcune ore per fini personali


Legittimo il licenziamento per il beneficiario dei permessi della legge 104 che utilizzi una parte del tempo non per assistere il congiunto malato ma per propri interessi, ovvero è legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore, il quale, fruendo dei permessi retribuiti previsti dalla legge 104 del 1992 e anche in assenza di un comportamento ambiguo, usufruisca solo parzialmente del tempo totale concesso per l'assistenza al parente. A dirlo è la sentenza 5574/16 della Corte di Cassazione, depositata il 22 marzo 2016.

La natura illecita dell'abuso del diritto a fruire dei permessi per l'assistenza dei congiunti e il ragionevole sospetto che il lavoratore ne abbia abusato, legittimano il ricorso al controllo occulto c.d. "difensivo" ad opera del datore di lavoro.

Ricordiamo che anche dopo la riforma del 2010, il lavoratore dipendente può chiedere i permessi retribuiti, come previsti dalla legge, solo a condizione che presti assistenza continuativa ed esclusiva ad un familiare disabile. Egli deve utilizzare tutto il giorno per sopperire alle esigenze del familiare bisognoso, non potendo invece adempiere, nello stesso tempo, anche solo in minima parte, ad necessità proprie.

Pertanto, chiunque utilizzi i permessi mensili per scopi personali o comunque estranei a quelli per i quali sono stati concessi (appunto l’assistenza al parente), manifesta disinteresse verso le esigenze aziendali e verso i principi di correttezza e buona fede previsti dal contratto di lavoro.

Con una importante sentenza, la Cassazione ha ribadito un interessante principio in tema di licenziamento disciplinare, affermando che deve ritenersi legittimo il recesso datoriale a fronte della condotta di un dipendente che, autorizzato a fruire dei permessi per l’assistenza al familiare disabile, a fronte di 24 ore di permessi retribuiti concessi, tenga una condotta compatibile con le motivazioni assistenziali poste a sostegno della richiesta solo per poche ore rispetto al tempo totale; ed invero, tale condotta, dimostrando un sostanziale disinteresse del lavoratore per le esigenze aziendali, è idonea ad integrare una grave.

Non serve a giustificare il fatto di aver assolto, anche solo in parte, all’obbligo dell’assistenza del familiare con l’handicap. Questo aspetto – si legge in sentenza – non connota di minore gravità la condotta del dipendente “bugiardo”. Il licenziamento è ugualmente valido. La condotta di chi utilizzi anche solo alcune delle ore dei permessi per scopi personali è – secondo la Corte – oggettivamente grave, tale da determinare nel datore di lavoro la perdita di fiducia nei successivi adempimenti e idoneo a giustificare il licenziamento senza preavviso (cosiddetto licenziamento per giusta causa).

In verità, nella vicenda, il lavoratore si era limitato a fare assistenza al familiare solo per 4 ore e 13 minuti al giorno, pari al 17,5% del tempo totale. Sembra essere proprio questo l’elemento che più pesi nella valutazione dei giudici sulla legittimità del licenziamento, facendo quasi ritenere che una assistenza più intensa avrebbe evitato tanti problemi al lavoratore. La Corte, insomma, sottolinea, nel caso di specie, soprattutto l’irregolarità, sia in termini di fascia oraria, sia in termini di durata della permanenza presso il familiare. Quattro ore – pari a tutta la mattinata – vengono ritenute del tutto insufficienti per adempiere ai propri obblighi. Sarebbe stata necessaria una maggiore presenza.

Una condotta di abuso a cui il lavoratore aveva fatto ricorso e che aveva considerato, quindi, legittimo il recesso datoriale per giusta causa. La tesi del Giudice di primo grado era stata fatta poi propria anche dalla Corte d'appello, a cui il lavoratore si era rivolto. Per il Giudice di secondo grado, in particolare, la sanzione irrogata doveva ritenersi “proporzionata all'evidente intenzionalità della condotta e alla natura della stessa, indicativa di un sostanziale e reiterato disinteresse del lavoratore rispetto alle esigenze aziendali e dei principi generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, senza che potesse rilevare in senso contrario, stante l'idoneità della condotta a ledere il rapporto fiduciario, la sussistenza di un marginale assolvimento dell'obbligo assistenziale”.

Nel valutare i motivi di ricorso del lavoratore licenziato, tutti respinti, la Cassazione si è concentrata in particolare sul rilievo secondo cui in appello sarebbe stato trascurato il fatto che il dipendente non aveva avuto alcuna intenzione di non prestare assistenza al familiare, essendosi anzi regolarmente recato da lui e non essendosi allontanato dalla propria abitazione per momenti di svago o per andare a svolgere altre attività lavorativa, con ciò violando il disposto degli articoli 1175, 1375 e 2119 del codice civile. Secondo il ricorrente, in buona sostanza, la condotta da lui posta in essere, qualora fosse “suscettibile, per ipotesi, di rilievo disciplinare, non poteva certamente, in assenza di un consapevole intento elusivo, condurre all'applicazione della sanzione espulsiva”.

Una censura a cui per i giudici la sentenza di appello si sottrae dal momento che la sussistenza dei requisiti per la concessione dei permessi e la valutazione della condotta successiva del tenuta del lavoratore che li ha ottenuti restano due elementi distinti, “ben potendo il datore di lavoro procedere a una propria autonoma valutazione di tale condotta nell'ottica del rispetto del canone di buona fede che presiede all'esecuzione del contratto di lavoro”. In questo contesto il fatto che il lavoratore abbia tenuta una condotta compatibile con le motivazioni assistenziali alla base delle legge non incide sulla giusta causa di recesso datoriale, “risultando dagli indici di fatto accertati nella sentenza impugnata, sia relativi alla percentuale del tempo destinato all'attività di assistenza rispetto a quella totale dei permessi, sia relativi ad altre modalità temporali in cui tale attività risulta prestata” la presenza di “un evidente, quanto anch'essa incontestata irregolarità sia in termini di fascia oraria, sia in termini di durata della permanenza”.

In conclusione l'uso improprio del permesso per l'assistenza dei congiunti giustifica il licenziamento per giusta causa in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro.


giovedì 24 marzo 2016

Start up nuove regole per gli investimenti


Al via le nuove norme sulle agevolazioni fiscali a favore di coloro che investono in start up innovative. È stato firmato il decreto recante le nuove disposizioni di attuazione dell’art. 29 del D.L. 179/2012, al fine di adeguare la disciplina ai nuovi orientamenti comunitari in materia di capitale di rischio e alla decisione della Commissione europea del 14 dicembre 2015 che ha autorizzato gli aiuti anche per il 2016. E’ operativa l’estensione al 2016 della detrazione al 19% per gli investimenti in startup innovative: il ministero dello Sviluppo Economico ha firmato il decreto, insieme a un altro provvedimento in materia di nuovo imprese ad alto tasso di innovazione, con le facilitazioni per l’accesso al Fondi di Garanzia.

Tra le novità di maggior rilievo si segnalano:

l’estensione delle agevolazioni al 2016;

l’aumento da 2,5 a 15 milioni di euro della soglia massima di investimenti ammissibili che ciascuna start up innovativa può ricevere in ciascun periodo di imposta;

l’aumento da 2 a 3 anni del periodo minimo di durata dell’investimento.

Possono fruire degli incentivi i soggetti IRPEF (persone fisiche) e i soggetti IRES (persone giuridiche), che effettuano un investimento agevolato in una o più start-up innovate.

Non possono accedere alle agevolazioni:

le start-up innovative;

gli incubatori certificati;

gli OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio);

le società di capitali che investono prevalentemente in start up innovative intermediarie per investimenti propri nel capitale di start-up innovative;

nel caso di investimento diretto, o indiretto per il tramite di altre società di capitali che investono prevalentemente in start up innovative e le cui azioni non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione: i soggetti che possiedono partecipazioni, titoli o diritti nella start up innovativa.

Danno diritto alle agevolazioni gli investimenti effettuati sia direttamente che indirettamente per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in start up innovative. In particolare, sono agevolati i conferimenti in denaro e viene considerato conferimento in denaro anche la sottoscrizione di un aumento di capitale mediante compensazione di crediti.

I conferimenti agevolabili rilevano nel periodo d’imposta in corso alla data del deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo o della deliberazione di aumento del capitale sociale ovvero, se successiva, alla data del deposito dell’attestazione che l’aumento del capitale è stato eseguito.

Le agevolazioni non competono in caso di:
1) investimenti effettuati tramite OICR e società, direttamente o indirettamente, a partecipazione pubblica;
2) investimenti in start-up innovative:
che si qualifichino come imprese in difficoltà di cui alla definizione della comunicazione della Commissione europea “Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà” (2004/C 244/02);

operanti nel settore della costruzione navale e dei settori del carbone e dell’acciaio.

Le imprese possono dedurre dal reddito un importo pari al 20% dei conferimenti rilevanti effettuati, per un importo fino a 1,8 milioni. La percentuale sale al 25% nel caso di investimenti in startup a vocazione sociale, e al 27% per le aziende che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico. Le agevolazioni spettano fino a un ammontare complessivo dei conferimenti non superiore a 15 milioni per ciascuna startup innovativa.

E giusto ricordare che i benefici fiscali applicabili alle startup innovative sono descritti nell’articolo 29 del decreto legge 179/2012, che stabilisce con precisione caratteristiche degli investitori, limiti di spesa, investimenti agevolati, caratteristiche della detrazione.

Infine, il decreto sull’accesso al Fondo di Garanzia amplia alle PMI innovative la procedura semplificata. In pratica, anche le PMI innovative possono accedere al Fondo senza che il gestore effettui la valutazione del merito creditizio dell’azienda beneficiaria (che verrà comunque fatta dalla banca o dai Confidi).

Per fruire delle agevolazioni, il beneficiario ovvero il soggetto intermediario (nel caso di investimento indiretto) ricevere dalla start-up - e conservare - una serie di documenti, tra cui la documentazione della start up innovativa che attesti è stato rispettato l’importo complessivo massimo di conferimenti che la start-up innovativa può ricevere in ciascun periodo di imposta in cui rileva l'investimento agevolato, pari a 15 milioni di euro.

Il decreto inoltre disciplina le cause di decadenza dalle agevolazioni fiscali. In particolare, il diritto all'agevolazione decade se, entro 3 anni dalla data in cui rileva l'investimento, si verifica una delle seguenti cause:

la cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni ricevute in cambio degli investimenti, inclusi gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e i conferimenti in società, nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni o quote;

la riduzione di capitale sociale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start-up innovative o delle società che investono prevalentemente in start-up innovative e le cui quote non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione;

il recesso o l’esclusione degli investitori;

la perdita, da parte della start up innovativa, di uno dei requisiti richiesti per la qualifica di start up innovativa.

La decadenza produce effetti nel periodo di imposta in cui si verifica una delle circostanze descritte e comporta l’obbligo di restituzione della detrazione fruita (soggetti Irpef) o di recupero a tassazione dell’importo dedotto (soggetti Ires), più gli interessi legali. Il relativo versamento deve essere eseguito entro il termine per il pagamento del saldo dell’imposta del periodo di imposta relativa al periodo d'imposta in cui si verifica la decadenza.

Non costituiscono, invece, causa di decadenza:
i trasferimenti a titolo gratuito o mortis causa del contribuente e quelli conseguenti a operazioni straordinarie;

la perdita dei requisiti da parte della start up innovativa dovuta alla scadenza dei 5 anni dalla data di costituzione, o al superamento della soglia di valore della produzione annua pari a 5.000.000 di euro o alla quotazione su un sistema multilaterale di negoziazione.

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