mercoledì 4 gennaio 2017
Pensioni d’oro dei sindacalisti? C’è lo stop della Corte dei Conti
I diritti acquisiti di una fetta di sindacalisti privilegiati sono stati infine toccati, da una sentenza della Corte dei Conti. La quale ha stabilito che no, il meccanismo delle «contribuzioni aggiuntive», per anni all'origine di improvvise e a volte strabilianti impennate nelle pensioni di alcune categorie di rappresentanti sindacali, non va bene affatto e deve esser tutto ricalcolato.
Per capirci: mai più casi clamorosi come quello di Raffaele Bonanni che, sommando i contributi originari del suo lavoro con quelli di sindacalista a tempo pieno e per quasi un decennio segretario della Cisl, si era elevato negli ultimi anni da 75.223 a 336.260 euro l’anno di stipendio tirandosi poi dietro, grazie anche ai contributi aggiuntivi, una pensione netta di 5.391 euro mensili. Subito infilzata dalle rabbiose contestazioni di migliaia di lavoratori.
La sentenza 491/2016 del 10 ottobre 2016, emessa dalla III Sezione giurisdizionale d’Appello, partiva dal ricorso di un maestro elementare, da anni sindacalista, che si lamentava di una «valorizzazione della contribuzione aggiuntiva» solamente «parziale» nel calcolo della pensione. Secondo lui, infatti, il decreto legislativo 564/1996 non prevedeva «alcuna limitazione in ordine al numero degli incarichi dirigenziali che possono formare oggetto di retribuzione aggiuntiva». Non solo: l’Inps non avrebbe, secondo lui, alcun «titolo per sindacare quanto deliberato, in merito ai relativi compensi, dagli organi statutari delle organizzazioni sindacali».
Che cosa sono i contributi aggiuntivi? Lo sportello online dell’Inps definisce: «La contribuzione aggiuntiva è una contribuzione di natura volontaria destinata a integrare la contribuzione figurativa o effettiva versata a favore dei lavoratori dipendenti, che siano dirigenti sindacali». E aggiunge: «In particolare a favore dei lavoratori collocati in aspettativa, possa essere versata, facoltativamente, una contribuzione aggiuntiva sull'eventuale differenza tra le somme corrisposte per lo svolgimento dell’attività sindacale e la retribuzione di riferimento per il calcolo della contribuzione figurativa. Come detto, la retribuzione figurativa corrisponde alla retribuzione commisurata a quella cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in base ai contratti collettivi di categoria» senza però «quegli emolumenti collegati all’effettiva prestazione lavorativa o condizionati da una determinata produttività, né incrementi retributivi o avanzamenti che non siano legati alla sola maturazione dell’anzianità di servizio».
Dopo questa sentenza i sindacati, per i loro rappresentanti in aspettativa o distacco sindacale dal posto di lavoro, possono versare contributi aggiuntivi sui compensi ricevuti per l’attività sindacale. Questi «aggiuntivi» non incidono sulla data di pensionamento ma hanno avuto negli anni, «un peso rilevante sull’importo delle pensioni dei dipendenti dell’amministrazione pubblica o appartenenti ad alcune categorie di lavoratori (autoferrotranvieri, elettrici, telefonici…) del settore privato che si trovavano nel regime misto o in regime retributivo, prima della riforma Fornero».
«Questa contribuzione aggiuntiva veniva inserita, fino a oggi, nella quota di pensione relativa alle anzianità maturate fino al ‘92 (la cosiddetta quota A che in teoria dovrebbe contenere solo voci della retribuzione “fisse e continuative” negli anni). La quota A di pensione è calcolata sulla base della retribuzione percepita l’ultimo mese di servizio ed è quindi soggetta a regole molto più generose rispetto a quelle applicate dal ‘92 in poi per il calcolo della quota B, che considera la media delle retribuzioni percepite in un periodo più lungo».
La decisione
Bene: la sentenza che dicevamo della Corte dei Conti nota appunto che «i compensi corrisposti per l’attività sindacale espletata» dal maestro sindacalista «hanno subito un incremento invero assai cospicuo in un lasso di tempo piuttosto breve, passando nell’arco di quattordici mesi dall’iniziale compenso mensile di euro 2.000 (periodo settembre-dicembre 2009), ai 4.000 euro mensili corrisposti nel periodo gennaio-giugno 2010, agli 8.000 euro corrisposti nel periodo luglio-agosto 2010, a ridosso del collocamento in quiescenza, senza che in tale breve arco di tempo, risultino essersi verificate variazioni negli incarichi di dirigenza sindacale». Come non immaginare che si trattasse di aumenti dovuti alla scelta di preparare all’interessato una pensione più alta a carico dell’Inps e cioè, essendo assai inferiori i contributi precedenti, a carico dei cittadini?
Risultato: dopo questa storica sentenza, si dà per scontato che una nuova circolare dell’INPS possa aggiornare le modalità con le quali si determinano le quote di pensioni dei sindacalisti e ricalcolarle. Toccando per la prima volta «un privilegio acquisito non solo sulle pensioni future ancora da liquidare ma anche su alcune delle pensioni in essere». Una trentina di casi, sembra, per ora, sul passato. Ma almeno milletrecento nel futuro più o meno prossimo. Scommettiamo? Barricate.
Speriamo che ora si occupino anche delle doppie e triple pensioni.
Nelle premesse della sentenza leggiamo:
Come è noto, l’articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, ha stabilito che: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma:
A) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile;
B) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.
In concreto, nella determinazione della pensione per il personale destinatario del succitato complesso normativo, sono computabili in quota A, dopo l’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995: gli assegni già espressamente dichiarati pensionabili dallo stesso d.P.R. n. 1092 del 1973; gli assegni già dichiarati pensionabili da altre disposizioni precedenti la legge n. 335/1995; gli assegni dichiarati pensionabili in quota A da disposizioni di legge successive alla legge n. 335 del 1995. Gli emolumenti divenuti pensionabili solo con la legge n. 335 del 1995 vanno invece considerati unicamente nella quota B della pensione.
L’art. 3, comma 5 del d. lgs 564/96 stabilisce che “può essere versata, facoltativamente, una contribuzione aggiuntiva sull'eventuale differenza tra le somme corrisposte per lo svolgimento dell'attività' sindacale ai lavoratori collocati in aspettativa ai sensi dell'art. 31 della citata legge n. 300 del 1970 e la retribuzione di riferimento per il calcolo del contributo figurativo di cui all'art. 8, ottavo comma, della citata legge n. 155 del 1981. La facoltà può essere esercitata dalla organizzazione sindacale, previa richiesta di autorizzazione al fondo o regime pensionistico di appartenenza del lavoratore. Il contributo aggiuntivo va versato entro lo stesso termine previsto per la domanda di accredito figurativo di cui al comma 3 ed è pari all'aliquota di finanziamento del regime pensionistico a cui il lavoratore e' iscritto ed e' riferito alla differenza tra le somme corrisposte dall'organizzazione sindacale e la retribuzione figurativa accreditata”.
Il successivo comma 6, a sua volta, stabilisce che “La facoltà di cui al comma 5 può' essere esercitata negli stessi termini e con le stesse modalità' ivi previste per gli emolumenti e le indennità' corrisposti dall'organizzazione sindacale ai lavoratori collocati in distacco sindacale con diritto alla retribuzione erogata dal proprio datore di lavoro”.
Nella fattispecie presa in esame i caratteri di “fissità e continuità” degli emolumenti risultano palesemente mancanti pertanto la Corte ritenendo che l’interpretazione caldeggiata dall'appellante “legittimerebbe il riconoscimento di una posizione di ingiustificabile privilegio non solo rispetto alla generalità dei lavoratori per i quali il computo nella quota a) di pensione è ammesso per le sole retribuzioni erogate con carattere di fissità e continuità, ma anche a quei lavoratori, collocati come l’odierno ricorrente in posizione di distacco, che abbiano cessato di ricoprire le funzioni retribuite di rappresentanza o dirigenza sindacale prima dell’accesso al pensionamento. Per questi ultimi, infatti, la computabilità degli emolumenti percepiti dall'organizzazione sindacale nella prima quota di pensione dipenderebbe dalla circostanza, del tutto casuale, di essere collocati in quiescenza nel corso dell’espletamento dell’ incarico sindacale”,) l’appello va respinto.
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martedì 3 gennaio 2017
Inps: da febbraio 2017 pensioni, pagamento il primo del mese
Nel 2017 tutte le prestazioni pensionistiche saranno pagate il 1° giorno bancabile del mese, con la sola eccezione della rata di gennaio, il cui pagamento è stabilito al 2° giorno bancabile del mese). Lo ha comunicato l'Inps con una nota spiegando che il Decreto Milleproroghe, firmato dal Presidente Mattarella lo scorso 31 dicembre, ha modificato l'articolo 6 del decreto legge 65/2015, convertito con legge 109/2015, che ha unificato le date di pagamento delle prestazioni Inps, Inpdap ed Enpals. "In base a tale modifica, fortemente richiesta dall'Inps - sottolinea l'Istituto - viene ripristinato per l'anno 2017 il pagamento al primo giorno bancabile del mese, con l'unica eccezione per la rata di gennaio". A febbraio e marzo le pensioni saranno pagate il primo del mese mentre ad aprile le poste pagheranno il primo (è un sabato) e le banche il 3. A maggio le pensioni saranno pagate il due mentre a giugno saranno pagate il primo del mese. A luglio le Poste pagheranno il primo del mese e le banche il 3 mentre ad agosto e settembre la rata arriverà sui conti il primo del mese. A ottobre e novembre le pensioni saranno pagate il due del mese sia dalle Poste che dalle banche mentre a dicembre si potrà riscuotere l'assegno il primo sia dalle banche che dalle Poste.
I pensionati italiani rischiano di dover restituire allo Stato da febbraio lo 0,1% dell'importo ricevuto nel 2015, ovvero la differenza tra l'inflazione programmata e quella effettiva su cui è stato calcolato l'adeguamento al costo della vita delle pensioni. Lo denuncia lo Spi-Cgil, rilevando come nel decreto Milleproroghe di fine anno non ci sia stato l'intervento con cui si doveva risolvere la questione. In questo modo - dice il sindacato dei pensionati della Cgil - tutte le pensioni avranno una perdita di valore. Nel caso di una pensione al minimo la perdita sarà di 6,50 euro all'anno e di 13 euro per una da 1.000 euro. "Cifre - precisa - che possono sembrare di poco conto ma che incidono in particolare sulle pensioni basse". Lo scorso anno il governo intervenne rimandando questa restituzione a quando l'economia fosse effettivamente in ripresa neutralizzandone così gli effetti negativi. Anche quest'anno il governo si era reso disponibile ad intraprendere la stessa strada ma per ora non lo ha fatto. Chiediamo al ministro Poletti - conclude il sindacato - di intervenire urgentemente per evitare che si penalizzino ancora una volta milioni di pensionati italiani".
lunedì 2 gennaio 2017
Pensione dal 2017: modalità, requisiti e calcoli
Fra le misure della riforma delle pensioni c’è il fermo agli adeguamenti alle speranze di vita per alcune categorie di lavoratori, in particolare precoci e addetti a mansioni usuranti. Non ci sono invece novità su questo fronte per le altre tipologie di pensioni, che quindi continuano ad applicare gli aumenti delle aspettative di vita previsti dalla legge.
Vediamo esattamente tutti i requisiti per andare in pensione dal 2017 in poi.
Il primo adeguamento alle speranze di vita è scattato nel 2013, pari a tre mesi, a cui si sono aggiunti quattro mesi nel 2016. Risultato: nel 2017 ai requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e a quelli contributivi per la pensione anticipata vanno aggiunti sette mesi.
Quindi, l’età per la pensione di vecchiaia 2017 è pari a:
66 anni e 7 mesi per lavoratori dipendenti del privato;
66 anni e 7 mesi per lavoratori autonomi;
66 anni e 7 mesi per lavoratrici del pubblico impiego;
66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome;
65 anni e 7 mesi per lavoratrici del privato.
Per quanto riguarda la pensione anticipata il requisito per l’anno 2017 è pari a 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne. Di conseguenza si potrà andare in pensione anticipata a 63 anni, le donne nate nell’ultimo trimestre dell’anno del 1956 o del 1957 (rispettivamente se sono autonome o dipendenti) potranno utilizzare l’Opzione Donna, i lavoratori precoci possono ritirarsi con 41 anni di contributi.
Vediamo, in base alle novità, tutte le possibilità di andare in pensione dal 2017.
L’anticipo pensionistico APE sarà in vigore in via sperimentale a partire dal primo maggio 2017 (e fino al 31 dicembre 2018) i lavoratori che compiranno 63 anni e 20 anni di contributi, potranno raggiungere la pensione anticipata grazie all’APE prendendo un trattamento che viene poi restituito con rate ventennali sulla pensione. Ci sono categorie di lavoratori per le quali il costo è a carico dello stato, e che quindi non dovranno restituire nulla (Ape sociale), è prevista la possibilità di utilizzare per finanziare in tutto o in parte l’APE i contributi versati per la previdenza complementare.
I lavoratori che avevano almeno un anno di contributi versati prima del compimento del 19esimo anno di età (lavoratori precoci), possono andare in pensione con 41 anni di contributi (senza più applicare la finestra mobile che richiede ulteriori sette mesi), se si trovano in una delle specifiche tipologie previste dalla Legge di Stabilità (disoccupati senza sussidio da almeno tre mesi, riduzione della capacità lavorative del 74%, assistono un parente di primo grado con handicap grave, impegnati i mansioni usuranti).
Pensione anticipata: cosa conviene nel 2017
La pensione anticipata Fornero (attiva dal 2012) e l’APE aziendale (sperimentale dal 2017) sono due strumenti che si rivolgono ai lavoratori prossimi al pensionamento ma con molte differenze: la prima delle quali è che l’anticipo pensionistico sarà accessibile anche per le aziende sotto i 15 dipendenti
Analizziamo dunque le caratteristiche per un confronto che mostri quale delle due opzioni è più conveniente per un lavoratore vicino all’età pensionabile.
L’APE aziendale è esercitabile a 3 anni e 7 mesi dal raggiungimento della pensione, prevede un trattamento che il lavoratore poi restituirà con la maturazione della pensione. L’azienda incrementa il montante contributivo individuale maturato dal dipendente, versando all’INPS un contributo non inferiore a quello della retribuzione del lavoratore. Il versamento va effettuato in un’unica soluzione, al momento della richiesta dell’APE.
La procedura si attiva solo con l’accordo del lavoratore. In parole molto semplici, le imprese versano i contributi che avrebbero dovuto pagare per il tempo che al dipendente manca al raggiungimento dell’età pensionabile in un’unica soluzione, in modo che alla fine l’INPS versi una pensione più alta. Il meccanismo dovrebbe consentire di ripagarsi le rate che bisognerà poi versare per restituire l’APE.
Incentivo Esodo
La normativa di riferimento per la pensione anticipata Fornero l’impresa può incentivare l’esodo dei dipendenti in esubero a cui mancano al massimo 4 anni al raggiungimento della pensione, pagando una prestazione pari all’assegno previdenziale pieno e versando i contributi. In realtà il trattamento viene corrisposto dall’INPS, in seguito a fideiussione bancaria stipulata dall’impresa.
Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.
I requisiti di accesso all’Ape Agevolato prevedono almeno 63 anni di età con 30 o 36 anni di contributi ed un assegno pensionistico lordo inferiore a 1500 euro mensili.
Per accedere alla quota 41, invece, sono richiesti, oltre l’appartenenza ad una delle categorie da tutelare, 12 mesi di lavoro effettivo prima del compimento dei 19 anni e 41 anni di contributi versati.
C’è poi il caso particolare della pensione contributiva, applicabile sia ai trattamenti di vecchiaia sia alle pensioni anticipate. La pensione di vecchiaia contributiva riguarda lavoratori che quando raggiungono l’età pensionabile sopra riportata non hanno perfezionato i requisiti contributivi (20 anni di contributi versati, e un assegno pari ad almeno 1,5 volte il minimo). Se hanno cinque anni di contributivi versati, nel 2017 accedono comunque a una pensione di vecchiaia con 70 anni e sette mesi di età. La pensione anticipata contributiva è invece riservata a coloro che hanno 20 anni di contributi e un assegno pari ad almeno 2,8 volte il minimo: il requisito anagrafico 2017 è pari a 63 anni e sette mesi.
E veniamo alle tipologie per le quali la manovra 2017 ha eliminato l’aspettativa di vita. Aboliti del tutto per la pensione anticipata lavori usuranti.
Per quanto riguarda i lavoratori precoci (con almeno un anno di contributi entro i 19 anni), sono stati eliminati gli adeguamenti 2013 e 2016, e il requisito 2017 per la pensione anticipata è stato fissato in 41 anni di contributi (bisogna comunque rientrare in una serie di categorie, elencate dalla legge). I prossimi adeguamenti alle aspettative di vita però, dal 2019 in poi saranno calcolati.
Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni, infatti per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015. L’Opzione Donna allargata alle lavoratrici nate dell’ultimo trimestre dell’anno: non si applica più la finestra di sette mesi, il requisito diventa di 57 anni e di età per le dipendenti, 58 per le autonome, entro il 31 dicembre 2015. Ci vogliono 35 anni di contributi, la pensione è liquidata interamente con il contributivo.
L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.
Infine, ricordiamo che gli adeguamenti alle aspettative di vita non riguardano gli autonomi iscritti alla gestione separata e alle casse previdenziali dei professionisti. Per quanto riguarda i prossimi adeguamenti, sono previsti nel 2019 e poi ogni due anni (quindi 2021, 2023, 2025 e così via). L’entità degli aumenti è decisa di volta in volta, in base ai dati Istat. L’adeguamento 2019 sarà stabilito alla fine del 2017: secondo l’analisi della Ragioneria Generale dello Stato, l’adeguamento potrebbe essere inferiore a quelli precedenti, e non si esclude che sia pari a zero, nel qual caso, i requisiti resterebbero immutati fino al 2021.
Quota 96
Rimane la possibilità di pensionamento anticipato all’età di 64 anni per i soli lavoratori dipendenti del settore privato che hanno maturato entro il 2012 la vecchia quota 96 (60 anni e 36 di contributi oppure 61 anni e 35 di contributi, o eventuali frazioni di quota), agevolazione prevista senza penalizzazioni sulla pensione.
Nuova possibilità di cumulo contributi per raggiungere anche la pensione anticipata (con calcolo pro quota sui contributi versati nelle diverse gestioni).
Le pensioni decorrenti dal 10 novembre 2016, saranno corrisposti integralmente e dalla stessa data gli interessati potranno richiedere alla sede INPS competente la corresponsione della tredicesima mensilità e/o dell’indennità integrativa speciale su pensione in godimento in costanza di attività lavorativa dipendente.
La circolare INPS fornisce inoltre indicazioni sull’acquisizione della domanda, sulle modalità e quantificazione del ripristino degli importi di indennità integrativa speciale e/o di tredicesima anche in ipotesi di ricorsi amministrativi pendenti o in corso di istruttoria.
Sono previsti limiti alla cumulabilità della pensione con i redditi da lavoro per:
i titolari di assegni di invalidità;
i titolari di pensioni di invalidità;
i pensionati lavoratori che trasformano il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Per i lavori usuranti, è accessibile la quota 97 indipendentemente dall’anno in cui sono iniziati i versamenti contributi (prima o dopo il 1995). Per il lavoro notturno da 64 a 71 giorni l’anno, vale la quota 99 per il lavoro notturno da 72 a 78 giorni l’anno la quota 98. In tutti i casi, ci vogliono 35 anni di contributi.
Per chi non rientra in nessuno dei benefici sopra elencati potrà accedere alla pensione anticipata con l’Ape volontario. Per accedervi sono richiesti 63 anni di età e almeno 20 anni di contributi versati. Una delle condizioni da rispettare per accedere a questa forma di pensionamento anticipato è quella di avere un assegno pensionistico, calcolato al momento dell’accesso all’Ape, che non risulti inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo Inps: la pensione, quindi, non deve essere inferiore a 700 euro mensili.
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