giovedì 25 gennaio 2018

NASpI e redditi da lavoro. Casi di interesse




L'INPS ha fornito nuovi dettagli sulla compatibilità di NASpI, ASpI e mini ASpI con redditi da lavoro dipendente o autonomo: borse di studio, soci di capitale, amministratori, liberi professionisti, partite IVA.

La compatibilità dei sussidi di disoccupazione NASpI, ASpI e mini ASpI con i redditi da lavoro prevista dalla Riforma del Lavoro del 2012 (legge 92/2012) si esaurisce, nella pratica, in una serie di situazioni sempre nuove su cui l’INPS interviene con un nuovo documento di prassi. La circolare 174/2017 fornisce una serie di indicazioni operative che riguardano la compatibilità dei trattamenti di disoccupazione con:

borse di studio, stage e tirocini professionali;

attività sportive dilettantistiche;

prestazioni di lavoro occasionale;

attività dei liberi professionisti iscritti alle casse private;

incarichi in ambito societario;

iscrizione ad albi professionali;

titolarità di partita IVA;

incentivo alla autoimprenditorialità.

Per quanto riguarda borse di studio o di assegno, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale, la legge (articolo 50, comma 1 lettera c, Dpr 917/1986), prevede l’assimilazione delle somme corrisposte ai redditi da lavoro dipendente, ma solo ai fini fiscali. Per quanto riguarda invece la cumulabilità con i sussidi, l’INPS sottolinea che le remunerazioni derivanti da queste attività sono interamente cumulabili con le indennità NASpI, ASpI e mini ASpI, senza che il beneficiario della prestazione sia tenuto ad effettuare all’INPS alcuna comunicazione.

Diverso è il caso di borse di studio e assegni di ricerca universitaria (quindi, assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio), che sono vere e proprie prestazioni lavorative, con diritto a un sussidio specifico (la Dis-Coll): quindi, al titolare di NASpI che svolge una di queste attività, si applica l’articolo 9 del Dlgs 22/2015, in base al quale i compensi derivanti da queste attività non possono superare il tetto annuo di 8mila euro. Il lavoratore deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI se l’attività era preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne anche ove sia pari a zero.

I premi e i compensi che derivano da attività sportiva dilettantistica sono interamente cumulabili con l’indennità NASpI, e il beneficiario della prestazione non è tenuto ad effettuare all’INPS nessuna comunicazione.

Le prestazioni di lavoro occasionale sono compatibili con i sussidi di disoccupazione fino a un reddito di 5mila euro, senza bisogno di comunicare all’INPS i compensi percepiti. Se il lavoratore percepisce anche prestazioni di sostegno al reddito, l’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro occasionali.

Se il titolare della NASpI è un libero professionista, la cumulabilità è ammessa fino a un limite di reddito di 4mila 800 euro. Il beneficiario deve però informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI,  dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne.

L’iscrizione ad un albo professionale, o l’apertura della partita IVA, in corso di prestazione di disoccupazione, non è condizione sufficiente per interrompere il sussidio. Se l’attività è effettivamente svolta, l’interessato deve darne comunicazione all’INPS (pena, la decadenza della prestazione). Se invece l’attività non è effettivamente svolta, non è necessario effettuare comunicazioni. Sarà eventualmente l’INPS a fare le opportune verifiche.

Particolari regole sono previste per lo svolgimento di attività in ambito societario. Le funzioni di amministratore, consigliere e sindaco di società, sono consentite e cumulabili fino a un reddito annuo di 8mila euro, sempre facendo le dovute comunicazioni all’INPS. Il socio di società di persone o società di capitali può cumulare interamente il reddito da capitale. Se è anche un lavoratore dipendente, scatta invece il tetto degli 8mila euro.

Se il socio svolge attività in azienda con carattere di abitualità e prevalenza ed è iscritto alla Gestione previdenziale degli Artigiani o Commercianti, a fronte della produzione di un reddito da lavoro in forma autonoma o di impresa, deve rispettare il limite di reddito di 4mila 800 euro.

Infine, l’INPS precisa i casi in cui il beneficiario NASpI può chiedere la liquidazione anticipata dell’intero trattamento come incentivo all’autoimprenditorialità:
attività professionale esercitata da liberi professionisti anche iscritti a specifiche casse, in quanto attività di lavoro autonomo;

attività di impresa individuale commerciale, artigiana, agricola;

sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio;

costituzione di società unipersonale (S.r.l., S.r.l.s. e S.p.A.) caratterizzata dalla presenza di un unico socio. Di regola il socio unico ha la responsabilità limitata al capitale sociale conferito, a condizione che si versi l’intero capitale sociale sottoscritto, sia comunicato al Registro Imprese la presenza dell’unico socio e sia indicato negli atti e nella corrispondenza della società l’unipersonalità della stessa, senza però indicare il nome del socio unico. Il mancato adempimento di tali obblighi comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata. In quest’ultimo caso, il socio che risponde illimitatamente,  può ottenere l’incentivo  al pari  di chi esercita attività di impresa individuale;

costituzione o ingresso in società di persone (S.n.C o S.a.S) – in analogia peraltro a quanto era già previsto per l’istituto dell’anticipazione in materia di indennità di mobilità (circolare 70/1996) – in quanto il reddito derivante dall’attività svolta dal socio nell’ambito della società è fiscalmente qualificato reddito di impresa;

costituzione o ingresso in società di capitali (S.r.L) per la medesima considerazione sulla natura del reddito derivante dall’attività in ambito societario, qualificato anch’esso fiscalmente reddito di impresa.


mercoledì 17 gennaio 2018

Congedo per padri lavoratori: 4 giorni a casa



Dal 2018 ai papà lavoratori spettano quattro giornate di congedo obbligatorio e una di congedo facoltativo da utilizzare entro i primi cinque mesi di vita del bambino. La norma inserita nella Legge di Bilancio 2017 prevede dal primo gennaio il raddoppio, da due a quattro giorni del congedo di paternità. Altra novità: il padre può chiedere un giorno di congedo facoltativo, che però va scalato da quello che spettano alla madre.

Possono accedere al beneficio i padri lavoratori dipendenti anche adottivi e affidatari, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio o dall'adozione e affidamento.

Il congedo obbligatorio è fruibile dal padre entro il quinto mese di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia/Italia in caso di adozioni o affidamenti nazionali/internazionali) e quindi durante il congedo di maternità della madre lavoratrice o anche successivamente purché entro il limite temporale sopra richiamato. Tale congedo si configura come un diritto autonomo e pertanto è aggiuntivo a quello della madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della madre al proprio congedo di maternità.

Ai padri lavoratori dipendenti spettano due giorni, anche non continuativi, per gli eventi parto, adozione o affidamento, avvenuti fino al 31 dicembre 2017. Quattro giorni di congedo obbligatorio, che possono essere goduti anche in via non continuativa, invece per gli eventi parto, adozione o affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2018 e fino al 31 dicembre 2018.

Il congedo facoltativo del padre è invece condizionato dalla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni di congedo maternità. I giorni fruiti dal padre anticipano quindi il termine finale del congedo di maternità della madre.

Il congedo facoltativo è fruibile anche contemporaneamente all'astensione della madre e deve essere esercitato entro cinque mesi dalla nascita del figlio (o dall’ingresso in famiglia/Italia in caso di adozioni o affidamenti nazionali/internazionali), indipendentemente dalla fine del periodo di astensione obbligatoria della madre con rinuncia da parte della stessa di uno o due giorni. Infine, il congedo spetta anche se la madre, pur avendone diritto, rinuncia al congedo di maternità.

Il padre lavoratore dipendente ha diritto, per i giorni di congedo obbligatorio e facoltativo, a un'indennità giornaliera a carico dell'Inps pari al 100% della retribuzione.

Il congedo spetta però al solo padre lavoratore dipendente. I quattro giorni possono essere anche non continuativi e si possono chiedere anche contemporaneamente alla madre. Il diritto è comunque indipendente da quello della madre e fruibile anche nei casi di decesso o grave infermità della madre.

Il padre ha diritto al congedo anche in caso di adozione o affidamento (in questi casi, l’arco dei cinque mesi di congedo facoltativo della madre si calcolano dall’ingresso in famiglia del minore). In tutti i casi sopra descritti, si mantiene il diritto alla retribuzione piena.

L’indennità viene pagata direttamente dal datore di lavoro, al quale va presentata la domanda scritta, almeno 15 giorni prima del congedo (o della data presunta del parto). L’INPS provvederà poi al rimborso dell’impresa.

Ci sono casi in cui, invece, l’indennità viene pagata direttamente dall’INPS (cassa integrazione, cessazione attività, agricoltura, lavori domestici, lavori stagionali. In questi casi, la domanda va presentata all’istituto di previdenza, utilizzando l’apposito servizio online oppure il contact center (803 156 gratuito da rete fissa e 06 164 164 da rete mobile) o ancora tramite patronati e intermediari.

Per presentare la domanda online dal sito INPS si effettua il percorso: Servizi Online > Servizi per il cittadino > autenticazione con PIN dispositivo > Invio domande di prestazione di sostegno al reddito > Maternità. Cliccando sulla voce di menu “Acquisizione domanda – Congedo facoltativo”, viene specificato che la funzione permette di effettuare l’acquisizione delle sole domande a pagamento diretto.

Cliccando su Avanti, si apre il modello da compilare con i dati anagrafici e di residenza del richiedente. Cliccando ancora su Avanti si accede alla pagine dei dati della madre, comprensivi della sua situazione lavorativa (dipendente o in gestione separata). Nella pagina successiva vengono acquisiti i dati del minore oggetto della domanda di congedo facoltativo. E’ necessario specificare se si tratta di figlio biologico o di adozione/affidamento nazionale o internazionale. I dati relativi all’adozione o affidamento sono necessari solo se il richiedente è genitore adottivo. La sezione successiva riepiloga i dati inseriti.






domenica 14 gennaio 2018

Pensioni 2018 di integrazione al minimo



L'integrazione al trattamento minimo scatta quando il pensionato con i suoi contributi avrebbe diritto ad un importo pensionistico inferiore al minimo di sopravvivenza stabilito dalla legge.

Con la fine della stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi anni l’indicizzazione torna a far salire le pensioni 2018, e fra le conseguenze, oltre agli assegni più alti per coloro che percepiscono l’assegno previdenziale c’è anche l’innalzamento della soglia sotto la quale scatta il diritto all’integrazione al minimo. Si tratta del trattamento riconosciuto ai pensionati che hanno un reddito inferiore alla pensione minima. Quest’anno la pensione minima, per effetto dell’adeguamento all’inflazione, sale a 507,46 euro, e di conseguenza diventa questa la cifra di riferimento per il diritto all’integrazione al minimo.

Il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato, tramite l’INPS, corrisponde al pensionato quando la pensione, derivante dal calcolo dei contributi versati, è di importo molto basso, al di sotto di quello che viene considerato il “minimo vitale”. In tal caso l’importo della pensione spettante viene aumentato (“integrato”) fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge. Il trattamento minimo per l'anno 2018 è fissato in 507,46 euro. Per cui le prestazioni a carattere previdenziale al di sotto di tale soglia possono essere oggetto di una integrazione al minimo. L’anno scorso avevano diritto all’integrazione al minimo i trattamenti inferiori a 501,89 euro, quest’anno invece il diritto scatta sotto quota 507,46 euro, pari a 6mila 596,46 euro all’anno. Questa è la soglia per ottenere l’integrazione piena (pari alla pensione minima), mentre l’importo scende a mano a mano che sale il reddito, fino ad esaurirsi a quota 13mila 192,92 euro (1014,84 euro al mese). Il riferimento è la legge 463/1983, che all’articolo 6 prevede i tetti sopra i quali non si ha più diritto all’integrazione al minimo. La norma differenzia fra pensionati coniugati e non coniugati.

I Requisiti. Per ottenere l'integrazione al minimo il soggetto deve soddisfare determinati requisiti di reddito in quanto non tutte le prestazioni al di sotto della soglia limite possono essere integrate. Vediamoli.

Pensionati non coniugati: prendono l’integrazione piena se hanno un reddito fino a 6mila 596,46 euro all’anno. Se invece hanno un reddito compreso fra 6mila 596,46 e 13mila 192,92 euro, devono fare la differenza fra il tetto massimo e il reddito. Esempio: pensione di 11mila euro. Il calcolo: 13mila 192,92 euro – 11mila = 2mila 192,2. Dividendo per 13 mensilità, si ottiene un’integrazione intorno ai 168 euro al mese.

Pensionati coniugati: i redditi propri (quindi del singolo pensionati che chiede l’integrazione) devono rispettare i paletti sopra descritti. E quelli della coppia non posso essere superiori a 26mila 385,84 euro. Bisogna fare lo stesso calcolo sopra descritto, e poi effettuare la stessa operazione con il reddito della coppia (da sottrarre al reddito massimo consentito per la coppia). L’integrazione sarà pari al più basso fra i due risultati. Esempio reddito del sinolo pari a 11mila euro, reddito della coppia pari a 20mila euro. Il calcolo per il singolo è lo stesso sopra descritto (integrazione spettante 2mila 192,2 euro). Il calcolo sul reddito della coppia è il seguente: 26mila 385,84 – 20mila = 6mila 385,84. L’integrazione è pari alla cifra più bassa, quindi a 2mila 192,2 euro.

Il paletto relativo al reddito coniugale si applica solo alle pensioni con decorrenza posteriore al 1994. Per quelle precedenti, il reddito del coniuge è irrilevante.  Dal calcolo dei redditi si escludono i trattamenti di fine rapporto, la casa di abitazione, le competenze arretrate sottoposte a tassazione separata, tutti i redditi non soggetti a IRPEF, e il reddito rappresentato dalla pensione da integrare.

L'integrazione al minimo è, pertanto, strettamente legata ai redditi del pensionato e della coppia. Ai fini della valutazione dei redditi bisogna considerare sia quelli personali che quelli del coniuge non legalmente ed effettivamente separato, con la sola eccezione: dei redditi esenti da Irpef (pensioni di guerra, rendite Inail, pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, Trattamento di fine rapporto, eccetera), della pensione da integrare al minimo, del reddito della casa di abitazione; gli arretrati soggetti a tassazione separata. Qualsiasi altro reddito entra nella valutazione.




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