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venerdì 28 settembre 2018

Jobs act: la Corte costituzionale boccia i criteri sui licenziamenti



Per i licenziamenti illegittimi sarà a discrezione del giudice. È questo l’effetto immediato della sentenza della Consulta che ha ritenuto irragionevole che la misura dell'indennità sia calcolata automaticamente in base alla sola durata del rapporto.

La Consulta ha esaminato il decreto legislativo 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti- il Jobs Act, appunto - e ha bocciato alcune disposizioni contenute nell'articolo 3, comma 1: in particolare, la norma che determina in modo rigido l'indennità che spetta al lavoratore licenziato in modo ingiustificato. Norma che non è stata modificata dal successivo decreto legge n.87/2018 (il cosiddetto Decreto dignità). In sostanza il Jobs Act prevede per il lavoratore licenziato in modo ingiusto, salvo alcuni casi, un'indennità e dunque un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, entro un limite minimo di 4 mesi di stipendio e massimo di 24 mesi. Se per esempio fosse stato giudicato illegittimo un licenziamento di un lavoratore a tutele crescenti con 4 anni di servizio, questi avrebbe ricevuto un risarcimento di 8 mesi di stipendio. Il Decreto Dignità, approvato ad agosto, ha modificato solo una parte dell'articolo 3: è stato rialzato il limite minimo e massimo dei risarcimenti rispettivamente a 6 e a 36 mesi. L'impianto generale, però, non è stato cambiato: dunque l'indennità resta legata all'anzianità di servizio.

Secondo la Corte, la previsione di una indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è “contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro” sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Tutte le altre questioni sollevate relative ai licenziamenti, invece, sono state dichiarate inammissibili o infondate. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

Le nuove tutele crescenti, in vigore dal 7 marzo 2015, hanno marginalizzato la reintegrazione, sostituendola nei licenziamenti economici e in parte disciplinari, con indennizzi monetari crescenti in base all'anzianità di servizio del lavoratore. Oggi, a seguito delle modifiche operate dal decreto Conte di metà luglio, gli indennizzi oscillano da 6 (minimo) a 36 (massimo) mensilità. La scelta del Legislatore del 2015 era quella di fornire certezza sui costi di separazione, sia per le aziende sia per gli stessi lavoratori.

Per la Consulta, con il dispositivo pubblicato, non è in discussione il meccanismo di ristoro economico al posto della tutela reale. Cioè, le tutele crescenti continuano a esistere. A violare la costituzione è piuttosto la previsione di una indennità crescente in ragione della sola anzianità aziendale. Questa previsione, secondo i giudici di legittimità, contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e uguaglianza, e, anche, con il diritto e la tutela del lavoro.

Cosa cambierà in pratica? Secondo esperti e giuslavoristi ci sarà il rischio di una ripresa del contenzione nei tribunali del lavoro.

«L’impianto del Jobs act è confermato – spiega il giuslavorista Giampiero Falasca – ma annulla il criterio di quantificazione del risarcimento escludendo che possa legarsi solo all'anzianità lavorativa. Il giudice quindi potrà decidere caso per caso». Fatto salvo comunque il limite minimo di 6 mesi e il massimo di 36 mesi, due soglie ritoccate al rialzo la decreto dignità di questa estate. Prima infatti la forchetta era tra 4 e 24 mensilità.

Sulla stessa lunghezza d’onda Pietro Ichino che ha twittato: «L’effetto pratico sarà un aumento dell’alea del giudizio, quindi del contenzioso giudiziale (i grandi beneficati sono gli avvocati). Ma è probabile che i giudici finiscano col non discostarsi molto dal criterio stabilito dalla legge».

Ovvero cambia l’indennità di risarcimento sui licenziamenti illegittimi per motivi disciplinari ed economici nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il giudice non dovrà più stabilirla in base agli anni di servizio, come dice la legge, ma, fermi restando i limiti minimi e massimi dell’indennità (6-36 mesi di stipendio), deciderà il risarcimento al lavoratore valutando la gravità del singolo caso. Per esempio, un dipendente licenziato in modo pretestuoso e che abbia carichi familiari gravosi (figli disabili, genitori anziani, ecc.) potrebbe vedersi riconosciuto un indennizzo pari a 36 mesi di stipendio anche se assunto da poco, contro i 6 mesi cui avrebbe diritto secondo le norme finora vigenti.





sabato 30 maggio 2015

Contratto a tutele crescenti: dal 1 giugno offerta di conciliazione online



Con nota del 27 maggio 2015 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso operativa la comunicazione obbligatoria in caso di intervenuta conciliazione a posteriore di un licenziamento comminato ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Sarà possibile inviare con Unilav-conciliazione la comunicazione obbligatoria integrativa prevista dal nuovo contratto a tutele crescenti del Jobs Act per la risoluzione stragiudiziale dei licenziamenti.

Con la nuova procedura digitale  i datori di lavoro   potranno comunicare le informazioni necessarie relative al procedimento di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi. La nota ricorda che " Tale conciliazione prevede che il datore di lavoro possa offrire una somma predeterminata al lavoratore in cambio della rinuncia all'impugnazione del licenziamento , somma che non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali. La norma si applica ai lavoratori assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015"

Ad integrazione della comunicazione telematica di cessazione, il datore di lavoro dovrà comunicare i dati relativi all'offerta di conciliazione entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, come previsto dal decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti attuativo del Jobs Act. Dal 1° giugno 2015, nella sezione "Adempimenti" del portale cliclavoro, sarà disponibile un' applicazione "UNILAV_Conciliazione" utilizzabile dai datori di lavoro - previa registrazione al portale - per comunicare le informazioni relative al procedimento di conciliazione. i datori di lavoro potranno inviare gli esiti dell'offerta di conciliazione intervenuta con il lavoratore. La mancata comunicazione integrativa è punita con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato.

Il Jobs Act introduce un nuovo istituto di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti illegittimi, che consente al datore di lavoro di offrire una somma predeterminata e certa al lavoratore in cambio della rinuncia alla impugnazione del licenziamento, somma che per il lavoratore non rientra nel reddito imponibile ai fini fiscali.

La legge ha disposto che:
la comunicazione telematica di cessazione del rapporto di lavoro dev'essere integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi, da parte del datore di lavoro, entro sessantacinque giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale dev'essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione, di cui alla norma in commento.

Per effettuare tale comunicazione i datori di lavoro dovranno registrarsi al portale cliclavoro e accedere all'applicazione inserendo il codice di comunicazione rilasciato al momento della comunicazione di cessazione. Questo dato serve ad collegare l’offerta di conciliazione al rapporto di lavoro cessato.

Sanzioni
Sempre il terzo comma dell’art.6 in questione prevede che l’omissione di detta comunicazione integrativa sia assoggettata alla stessa sanzione prevista per l’omissione della comunicazione, di cui al predetto art.4-bis, ovverosia con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100,00 ad euro 500,00 per ogni lavoratore interessato.



mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act: e le indennità assicurate in base all'anzianità



Con la riforma in esame si punta a promuovere il contratto a tempo indeterminato attraverso misure che lo rendano più conveniente rispetto ad altre tipologie contrattuali.

Il contratto a tutele crescenti taglia del 30% il costo del lavoro. L’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato prevede due mensilità per ogni anno di servizio e andrà da un minimo di 4 mesi a un massimo di 24 mesi di stipendio. Le aziende con meno di 15 dipendenti restano escluse dall'articolo 18 (per loro continuerà a valere l’indennizzo attuale, variabile tra i 2,5 e i 6 mesi di retribuzione). Le nuove regole si applicano soltanto ai nuovi assunti e anche in caso di licenziamento collettivo. Chi ha già un contratto a tempo indeterminato mantiene lo Statuto del passato. Il reintegro scatterà solo in caso di licenziamenti nulli e discriminatori. Nei licenziamenti disciplinari ingiustificati il reintegro ci sarà solo nel caso in cui il giudice rilevi che il “fatto materiale non sussista”. NASPI: l'indennità di disoccupazione ha una durata massima di 24 mesi, tetto a 1.300 euro, platea allargata a cococo e cocopro, scatta dal primo maggio 2015. DIS-COLL: 6 mesi di indennità per i precari. ASDI: l’assegno ai disoccupati indigenti.

Per gli assunti con il contratto a tutela crescenti il Dlgs 23/15 prevede, in caso di recesso ingiustificato del datore di lavoro, una tutela di natura essenzialmente legata alle indennità, eliminando la reintegrazione nel posto di lavoro come sanzione unica in caso di accertamento dell'illecito, eccetto che per alcuni casi tipizzati di licenziamento discriminatorio e per quello di natura disciplinare nel caso in cui venga provata l'insussistenza del fatto materiale contestato.

Per tutti gli altri casi di recesso ingiustificato, a partire da quelli determinati da «ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (i cosiddetti licenziamenti economici) l'unico strumento che resta al giudice, nel caso in cui determini che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo, dopo aver dichiarato estinto il rapporto, è quello di un risarcimento compreso «certo e crescente con l'anzianità di servizio».

La misura dell'indennità è predeterminata dalla legge, così togliendo al magistrato qualsiasi margine di discrezione sul suo ammontare: si tratta di due mensilità dell'ultima retribuzione considerata per il Tfr per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Nel caso di frazioni di anno d'anzianità di servizio, l'indennità viene riproporzionata, mentre le frazioni di mese intero si computano integralmente quando siano uguali o superiori a 15 giorni.

Logicamente, se il giudice ritiene il licenziamento giustificato, il lavoratore avrà diritto solo all'indennità sostitutiva e al trattamento di fine rapporto.

Le stesse regole valgono anche in caso di recesso per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (cosiddetti licenziamenti disciplinari), eccezion fatta, come detto, nel caso in cui il fatto materiale non sussista.

Le nuove disposizioni in materia di licenziamento si applicano a tutti i datori di lavoro privati; il decreto opera, tuttavia, una differenziazione per quelli che occupano fino a 15 dipendenti. In caso di recesso illegittimo, in questo caso, le sanzioni sono infatti ridotte. L'indennizzo ammonterà a una mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di due e un massimo (non superabile) di sei.

Nel caso in cui le aziende con le nuove assunzioni superino la soglia dei 15 dipendenti, le nuove regole si applicheranno anche a quelli già in servizio.

Quando, infine, il licenziamento è affetto da vizi formali e procedurali il rapporto di lavoro viene estinto comunque, ma il datore di lavoro dovrà pagare un'indennità pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, la quale non può essere inferiore a due o superiore a 12 mensilità. Anche in questo caso l'indennizzo a carico delle piccole imprese sarà ridotto (mezza mensilità per anno di servizio tra un minimo di una e un massimo di sei).

La disciplina dei licenziamenti nel rispetto del seguente criterio direttivo: "previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento".  Il contratto a tutele crescenti, ovvero tutele che cresceranno in relazione all'anzianità di servizio, prevede per i neo assunti una modifica del regime di tutela in caso di licenziamento, regolato dall'art.18 dello statuto dei lavoratori. Al lavoratore verrà pagato un indennizzo economico crescente in base all'anzianità di servizio, con un limite di 24 mensilità. Il reintegro nel posto di lavoro scatterà solo per i licenziamenti discriminatori, per quelli nulli e per una fattispecie limitata di licenziamenti disciplinari  1 (quando cioè il fatto materiale contestato è insussistente, senza alcuna valutazione sulla sproporzione del licenziamento).  La delega, in ordine ai destinatari della nuova regolamentazione, contiene un riferimento di tipo soggettivo (individuati nei neoassunti), ed uno di tipo oggettivo, attinente all'introduzione delle nuove tutele in caso di vizio dell'atto di risoluzione del rapporto.  Nei confronti dei nuovi assunti (dal 1 marzo 2015).



lunedì 23 febbraio 2015

Riforma del lavoro per l’anno 2015 come cambiano i contratti dì lavoro



Cambiano i contratti di lavoro con approvazione decreti attuativi del Jobs Act, dal primo marzo sarà ufficialmente in vigore. Per lo meno, lo saranno i primi due decreti che il governo ha portato oggi in Consiglio dei ministri, a conclusione di una maratona parlamentare durata quasi due mesi.

Riforma dei contratti (con la nuova disciplina che apre al demansionamento), via libera definitivo al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (con le novità in materia di licenziamenti) e ai nuovi ammortizzatori, misure di flessibilità su conciliazione tempi lavoro-famiglia, a partire da congedi di maternità, paternità e parentali.

Via libera al contratto a tutele crescenti, al riordino delle forme contrattuali e all'abolizione dei contratti di collaborazione a progetto, co.co.pro, e restano i contratti a termine per u massimo di 36 mesi. Nel caso dei co.co.pro, resteranno in vita solo quelli in essere e saranno totalmente aboliti dal primo gennaio 2016, sostituiti dal nuovo contratto a tutele crescenti, contratto a tempo indeterminato e che prevede sgravi contributivi per tre anni per le aziende che assumono.

Significa che  nei casi, come riporta il provvedimento, di ‘modifica degli assetti organizzativi’, le imprese potranno decidere di spostare il lavoratore da un ruolo operativo ad un altro, senza però modificarne il livello di inquadramento o la retribuzione che si percepisce al momento del cambio di mansione. Considerando che, come spiegano diversi esperti, in questo momento di crisi le aziende hanno bisogno di flessibilità nella gestione dei propri lavoratori, questa soluzione è quella giusta che permetterà così proprio quella flessibilità organizzativa necessaria.

In realtà resteranno comunque in vigore altre formule di precariato, come il lavoro a chiamata, i voucher, il lavoro interinale, senza contare che rimarranno 5 i rinnovi di contratti a termine nell’arco di 36 mesi, prima di definire l’assunzione a tempo indeterminato.

“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Il vecchio rapporto di assunzione stabile muterà forma, sotto la sigla del neonato contratto a tutele crescenti, che verrà attivato essenzialmente per le nuove assunzioni nel settore privato.

Confermate le modifiche al licenziamento di tipo economico e disciplinare, che costituiranno, secondo precisi criteri, modalità sufficienti a evitare il diritto al reintegro. Rimane inalterato il licenziamento discriminatorio.

Il decreto legislativo elimina quasi definitivamente i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Spariscono il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sarin , mentre resta sostanzialmente il contratto a tempo determinato (che quindi è applicabile per 36 mesi, tre anni, senza causale). È ampliato il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing), che non necessita più di causali e si può stipulare con un limite fissato al 10% del totale dei contratti a tempo indeterminato esistenti in azienda.

Novità sul part-time: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Viene infine previsto per il lavoratore il diritto a chiedere il part-time per necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa al congedo parentale.

Lavoro accessorio: elevato a 7mila euro il tetto massimo dell’importo, viene introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

La nuova disciplina delle mansioni introduce la possibilità di demansionamento del lavoratore, vietata dallo Statuto dei Lavoratori, in particolare, in presenza di ristrutturazione aziendale e in altri casi individuati dai contratti collettivi, l’impresa può modificare le mansioni del dipendente, limitatamente a un livello e senza diminuire lo stipendio. È anche possibile contrattare individualmente con il dipendente (in sede protetta, quindi attraverso una specifica procedura) modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (e di retribuzione), «nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita».

Un’altra delega interviene sui congedi di maternità, paternità e congedi parentali e introduce novità in materia di telelavoro e donne vittime di violenza di genere. Per quanto riguarda i congedi di maternità, diventa più flessibile la possibilità di godere dei giorni di astensione obbligatoria non goduti in caso di parto prematuro, che possono essere fruiti successivamente, anche superano il limite dei cinque mesi. Prevista la possibilità, per la madre, di sospendere la maternità in caso di ricovero del neonato(previo certificato medico che attesti la buona salute della madre).

Il congedo di paternità è esteso a tutti i lavoratori (ora è previsto solo per i dipendenti): anche gli autonomi quindi possono utilizzarlo, nel caso in cui la madre non usufruisca del congedo di maternità.

Il congedo parentale è esteso ai primi 12 anni di vita del bambino (dagli attuali otto). Ampliati anche il congedo parzialmente retribuito al 30%, dagli attuali tre anni a sei anni di vita del bambino, e quello non retribuito, fino a 12 anni di vita del bambino (dagli attuali sei). Infine, sono introdotte nuove norme per tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.

In tema di telelavoro, previste agevolazioni per i datori di lavoro privati che lo concedano andando incontro alle esigenze di cure parentali dei dipendenti.

Infine, è previsto un nuovo congedo, di tre mesi, per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. La lavoratrice (dipendente o collaboratrice a progetto) mantiene l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi, e ha il diritto di chiedere la trasformazione del contratto in part-time.



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